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Full text of "L'Avarchide di Luigi Alamanni"

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V ammim 


D I 

LlilGI ALAMANNI 



V E IS E Z I . V 

GIUSF.PPE ANTONELM EDITOHE 
TIP. PREHIATO CON HCDAGLIF. T>* ORO 

Sf.DCCC.XIJ 


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^'<SJdo 


'ire a 



— — 


Ad essere ingenuo, lacere non posso che il poema che or ti 
presento, fu dagli storici assai censurato, siccome privo di estro e 
di calore, non essendo che una imitazione pressoché servile del- 
1’ Iliade. Ma il vederne eseguite varie edizioni, ed il riscontrarlo im- 
presso nella raccolta de’ più celebri poemi falla per cura del chiaro 
abate Pieranlonio Secassi, mi è pruova, che se mancano invenzione 
e calore, il trovarvi sparse per entro ottime massime di morale, il 
-sentirlo dettato con pura lingua, e assai volte con armonico verso e 
leggiadro, il fece, più che non crede il Ginguenè, gustare c leggere 
da chi ama occupare qualche ora di ozio in grate letture. 

È per ciò che io te l’offro, o cortese; è per ciò che il corredai 
di nuovi argomenti ad ogni canto e di nuovo indice delle materie. 

Pensa che questo poema fu l’opera della vecchiezza di quel 
celebre, che aveva dettato 1’ altro classico della Coltivazione ; pensa 
che X: Alamanni^ è uno de’ [>oeti che diedero maggior lustro all’ Ita- 
lia, e pensa che il lavoro che l’ offro è testo di lingua. 

E per dirti qualche cosa intorno alla tessitura di esso, sappi che 
1’ Autore prese il titolo d’ Avarchide dall’ antico nome della citta 
assediala, come il nome dell’ Iliade deriva da quello d’ Ilio. Avar- 
cum o piuttosto Avaricum^ è 1’ antico nome della città di Biirgcs 
nel Berri. Gli eroi del poema sono Artù, Lancilotto l'rislano, e gli 
altri cavalieri della Tavola ritonda, c l’ Alamanni operare li fa e 
discorrere come Agamennone, Achille, Ajace e gli altri croi della 
Grecia. 


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Tulli gli avvpnimonli parlicolari dell’ assedio sono foggiali sulle 
parlicolaritii dell’assedio di Troja ^ caralleri per caralteri; discorsi 
per discorsi 5 Imllaglie per haltaglie. E vero ciò dice Ginguenè, che 
manca il nerbo e la vita, die i nomi oscuri e barbari sono opposti 
all’ armonia del verso ^ ma le altre notate qualità, non possono far 
dannare (pieslo poema, come egli porla senlenya. 

I falli son fatti, ed è vero quello, che per la bontà del verso, 
1 opera si legge con piacere, e con istruzione di chi vuol a|>parare 
la propria lingua. 

Fiuvcr.sro Zavotto 


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L AVARCIIIDE 

D I 


r 





CAWTO 1 



ARGOMENTO 


1. cr r aeerftQ parlar del reo 6'orrso 
t)' ira » a^ctndon Lam^UnUo t ^rturv^ 
Aè Ir offìrte fra loro haamo piit fretto^ 
Aé vai comsigiìo di garrnrr maturo ; 
CAè LamcHolto, pirn d* aspro rraeao^ 

Di parttrf dal rampo ia tmor fa ^iiiro ; 
Ma coHtoìato dalla madrr^ a parte 
Himaa tangi dal fero Marte. 


* AJoU, o Mma, lo tiìeffoo e l' ira anlmte 
ni LanriloUo dtl re Baa fi|(littolo 
Contra ’l re Artaro i oode $'t aoiaramenle 
Il BriUoniro piaoae, e ’l Fraoco ilaolo : 

E taole anime chiare alRille e apente 
Laaciar te membra io aanpuinoeo duolo, 

D* empi ooeelli • di can rapina iadepna t 
Come piacque a colai che muove e regna. 

Il 

Or chi fn la copioo di Unta lile F 
Cavea, che dell’ Oreania era iipo«»rr, 

Che porht invidia alle virtù gradite 
Di Laneiloltu, e ali pungeva il core, 

Che per opra di lui loiter bllite 
Le none, cb'ei bramò eoa troppo ardore 
Di Claudiana di (<lnda»M figlia, 

Che fu bella e leggiadra a maraviglia. 


Bla temendo di luì, gran tempo tenne 
L’uno c r altro dolor nel pcUo ascoio, 
Fin che Trìstan eoo le sue genti venne; 
Air arrivar del quale il re (amoio 
Fe”l nmiiglio adunare, ove roorenue 
Ogni duce maggior oode fu oao, 

Di dar prinripio alle dannose riiw t 
E drùaatoM in piedi, così disse: 

IV 

Invittissimo Arturo, poi eh'iu veggio. 
Che tallo il cielo a^ vostri onori aspira } 

K che nulla trmcnaa avem di peggi«s 
Che ne possa d' alimi fare ìnglosl’ira; 
D’aperto palesar divutu rhieggio 
(Come rolni, eh' al suo dover rimira) 
Qoel, eh a voi sia vergogna, e strasìo c murlc 
A chi segua di voi l' ìstessa sorte. 

V 

Qui eoa voi tanti duci avete e tali. 
Tanti gran cavalieri, c tanti regi, 

Che di quanti mai furo, e fico mortali 
Biporlar ne porrian le palme, e i prrgi i 
Se non fusce tra lor chi gli immortali 
(Non por simili a noi) par che dispregi ; 

E nuQ sol voi, ma Chi nel ciclo ha regno 
(Cred' io) che lien di comaodargli indegno. 

VI 

Questi per sempre aver l'impero in mano, 
E voi signoreggiar con gli altri insieme. 
Fa d ora Ìo ora ogni disegno vano 
Uri tango assedio, che i ncmfci prrme : 
'fai che *1 fin è pin che già mai lontani», 

R men eh* al rominciar si mostra speme 
D’espugnar più lo sventurato Ararro, 
t'.he prender si dovrà nel primo varrò. 




AVARCHIDE 


1-H 

E certo <1 preodra con tnllo quello 
r>hr '1 nemico Clod«»so u^p po<>ticde ; 
S'aIIof rhc'l crudo cicri'ito riibeilu 
Pn«r in Brcta^rna l' infelice piede, 

£ che Viilorìo e Ma<»imu ìi fratello 
Far deiro*te di voi famoie prede; 
Alcun de* Tuitri, che pre»cnti «uno. 

Non ne facean» al padre in^iiuto donu. 

XIV 

Ma «e non fosse l'alta riverenza. 

Ch'ai nostro re, qual é dus'uta, porlo; 

V avrei di tutti ì vustri alla presenza. 

Per nun mi far dìsoor, non dirò uiorUi, 
Ha la lesta lassala, e '1 mento senza 
Gli elTemininalì velli, e '1 rollu attorto 
D' uccello in guisa, e fatto elenio esempio 
Ai falsi accusatori il vostro «cempio. 

viti 

Sefcaì *1 medesmo poÌ non di qni luO|(c, 
Ch'cftli ebbre Claudiana priponiera : 

Co«'t ‘1 «rcondo a quel primiero af giunge 
Danno più fravr, e di pcf f^ior maniera ; 
Perchè Irnrru amor di cu»tci punge 
Tale il paterno cor, che in una «era 
Varia dato quant'ha lontano c preM>o, 

1 figliuoì, la corona, e poi »e »tea»o. 

XV 

Cbe se bea non diceste il nome mio, 
Nè di fari' anco «eie degno asiai, 

Bene intendo, Gaven, che «un quell’ io, 
Ch' Arturo e tutti i suoi sempre «pregiai; 
Che quanto aia menzogoa «allo Dio, 

Che sa ben rh* altra ra«a non bramai. 

Da poi eh’ io porlo lancia e cingo spada. 
Che di far notte e di ciò che gli aggrada. 

IX 

E l'uno e r altro apertamente fero 
Senza vottro congedo e «euza Toi ; 

Per ben inuslrar, eh' ogni potere intero 
Era in lor «olì M>pra gli altri eroi: 

Or chi ciò «limerà fallo leggiero, 

Qual può grave elùantar peccato poi ? 
E chi ardi«ce cotanto, non luggellu. 

Ma imperadurc c re puoi' e»«cr detto. 

ITI 

E «enxa ragionar de' merli vostri, 
Coufermo, ch'io rendei certo a Cludaiso 
I due suo' figli, rh'cran prtgion nostri, 
Presi da me nel periglitmi passo, 

Quand'io salvando di Britannia i chiostri, 
Fui nel «angue de' lor vermiglio c lasso | 
£ feci ai, eh' ci non ai vaaUn oggi 
D'aver troppo calcati i vostri poggi. 

X 

Or quel, eh' erser devea utile a voi. 
Sema fine a voi nuoce, ail altrui giova; 
Perù che ‘n sicurtà di tatti i «noi 
(Non molto ha) Claudiana «i ritruuva 
Sputa di Segnran, eh' or verso noi 
Farà più che giammai di vincer pruuta, 
CuQ virta rischiarando, ove Fortuna 
D'oscura povertà fi>r«c l' imbruna. 

XVII 

E s* io volsi del mio fare altm! dono 
(l'.h' eran miei dì ragion, p«>Ì cirìo gli presi) 
Perrhè aerusalo a si gran lori» sono. 

Che del mio re la maestade offesi? 

Nun avrebbe Cludasso in abbandono 
Per questi due lassato i suoi paesi : 

Fusela io non son (come voi sete) avvezzo, 
Di guerra i prig’onier vendere a prezzo. 

XI 

E troppo è da temer eh' egli è pur cerio 
Del buon «angne illu<lritiimo drt Bruno: 
K «'et non patia, agginuge qua»i al merlo 
Del corine Girone ìiivilto ctl uno: 

Mi)llo è in eonsiglio, è più nell'upre esperto. 
Onorato e gradito daciaarunn; 

Ha multi cavalìrr multi altri a piede, 

Poi «opra tallì «1 forte PaLmede. 

XVIII 

£ se nell* espugnar di qua dal mare 
Beoìero; il luugu, dov’ io nacqui prima; 
Mi renoe in sorte d' ivi ritnsvare 
Del re la figlia ; e noo ne fei la stima, 
Ch* iu veggio al vulgo, ed a voi stesso lare, 
C.ome di spoglia veramente opima ; 

Ma qual si roiivenia con donna tale. 

La rimandai nell' abito reale; 

Xlt 

Ma perehè '1 ragionar del tempo andato 
Par più di «consolato, che dì «aggio, 

Più longu non sarò, poi che «fugalo 
Quel, che nascofì lungo tempi, v’ aggio : 
Vi dirò »oi, che poi che 1 Cielo ha dato 
AI buon Tristan per noi lieto viaggio. 

Si ricorreggan quei, che torli andranno, 
Hichiodendu ugui varco al noovu danno. 

XIX 

Dovreste voi però tanto tiismarme, 

£ metter tra i superbi e tra i rubelli? 
Non volsi, come avaro, cunservarme 
A miglior tempo lei cu' suoi fratelli, 

Ch' iu rerco usar conlr' agii armali 1' arme, 
E oon runtra ì legali e poverelli; 

Né cangrrò voler per altrui vuglia ; 

E seguane a chi può piacere u duglia. 

xm 

Qot «t tacque, e rassise t e 'mmantenenle 
Sorge all' inroniro il fero Lanriiottu 
Con gli occhi accesi, e con la faccia ardente; 
K con torbat'i «uoii tremante e rollo 
Di*te: Chi fogge tra l'armata gente. 
Sempre in biasuiar i buon fu ardilo e dolio ; 
£ la chiara virtù, che non è in lai, 
OsCora quanto può tempre io altrui. 

XX 

Dehbon esser nemici ì cavalieri, 

Hrnlr hanno spada in manu,u lancia in resta; 
Ma rurlesi, pietosi, amici veri. 

Come scarca dell' elmo aggìao la lesta: 

1 fatti come voi, sian crudi e Ieri 
Più die leuui, o turbini, o tempesta 
Verso 1 prigton, verso le donue wmiii, 
Qitauio verso i guciricr timidi e vili. 


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5 


l’ avarchide 




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7 


f. A \ \ i\ C n I l) E 


8 


E It^oe *<ì tiofM fu, che H' atlra parie 
Erari là giiinlì «li r.lmÌaa<o i Gfli| 
(‘.li'aveau (iià molle mura a terra i-paiie, 
E molli vu»trì rampi erap vermifilì; 

Qiirl rti'iu farrsii allor cup fona e«l arie. 
Altri a narrarlo la fatica piftli« 

So ben, clic Pun roti pare, e ì «iurcoo (iiierra. 
Fri, clic non Jannee^iar la vu*lra Urrà. 

xtxri 

Or te, trarriati qui’i, venato tele 
Qui per puniritli, c far tiruro voi, 

C«in qual cor, con che voce affermerete. 
Che |(ucrrc|(|EÌatc per ouor dì noi ^ 

Detio di f^loria, e di vendetta tele, 

Non amor del re Bano, o d'altri tuoi, 

Del i|ualr nr vi roooìr«> Iruppu partro, 
Y'ba qui menalo ad espugnare Avarco* 

xxxvii 

E quandi) ei fotte pur, divotamente 
Vi prego, rhe latriate «miai l'impretas 
Ch'io iiuu inleiiilu voi, uè votlra gente 
Ailoprar |>er aita o per difeta : 

Ben ho fatto e fan» più rhe dolente 
Con quetla nuii ehi m'aggia fatto uffeta; 
Sirrhè polrrtle indietro ritorpare. 

Se voi per r|ucaU» tol pattaste il mare. 

XXKVIil 

Da voi rifiuto ogpi paese c loco 
Già da* miei per aildielro pottrclulo: 
Perch'io preaait niente, non rhe poro, 
Uirrhezae, pottettiou, regno o tributo ; 
Ogni altra cosa in somma mi par gìoru. 
Se non quel vero onur, che n' è dovuto. 
Deli' i»lr»«a tirili, che da noi nasce, 

£ di ciba iiumurtal gli animi pasce. 


Cosi detto 6* assise, e ‘I re sdegt»t>to 
Ritptsr : Senaa fiu grazie vi reudu 
Dei biioa rirurdi, e del desio bramoso 
Di tutto c|uelli>, ore la voglia intendo; 
Che rerriuale per voi pare e riposo, 
Lasrlando me, nessuno affanno preado ; 
Che molli altri ho speranza all' oiior mio 
D' aver piu amici, c sovra tulli Dio. 

xuu 

£ nnn ei scodo vai penserò avere 
D'ngni lite e qtiestiou purgato il rampo; 
Il qual più ili pare non polca tenere, 

Nè contro al vostro orgoglio avere scampo; 
Sr ‘I riel vi dìè il' ogni altro cavaliere 
Di forza e di valor supremo lampo. 
Dovreste in gurrra usarlo, « Ira i nemici, 
Nuu, cum’ or, nei conugb e tra gli amici ; 

XLIV 

Nè eoolr'a me, cui la bontà divina 
Ha più degno, rii' a voi, donato loco • 
Gitene or duuque, dove più v'ìachiua 
L'alta vostra siiperhia, e 'I vostro foco; 
Che ({Ilei rhe 'I « irlo in allo luì destina, 
Non mi potrà fallir, sia molto o poco; 
Ahresi a voi, che 'I He della Natura 
Egualmente dì tutti ha dritta cura. 

XLV 

Poi che 1 re sì Iacea, più non poleu«lo 
Il fido Galeallo ornai soffrire, 

InroBunciò: Per «pel ch'io veggio c 'nlendo. 
Troppo infiammali son gli sdegui e I’ ire. 
Invittissimo re, nè beu comprendo. 

Come vi possa l'alma consentire. 

Per si breve ragion di perder tale. 
Ch’assai più sul, die lutto il mondo vale. 


Lasciatemi pur voi povero e solo 
Con l'arme, e coi pcnsirr, ch'io p<irto in seuo: 
Cile s' io non potrò far trupp'alto volo. 
Nella tuia libertà slarommi almeno : 

£ poi che, <|uanto più v'adoro e colo, 
Tanto suo più sclicruilo da Gaveoo, 

E meno Ìl mio servir sempre v'aggrada; 
Non iolimdo per voi cìnger più spada. 

XL 

Cosa che senza colpa io posso fare, 

Non essendo tenuto a gìurauienlo, 

Nè di cavalleria, uè d altro affare, 

Che d’ ogni nodo libero mi sento ; 
L'omaggio in vostra inau lassai pigliare 
Da Buorle, c dagli altri, a coi rousento 
Quanto mai Iroverau di lutto il bene 
De' nostri antichi, che Clodasso tiene. 


Lassiamo andar, rhe '1 suo partir vi toglia 
Di mano ogui vittoria ed ugni speue ; 

£ rhe oc dee venir disnore e doglia 
Alla vo«tra corona, agli altri prue; 

Perchè r tiom piiote aver talvolta voglia 
Di convertire io mal l'avuto betic, 

Ma qual potrete dir giusta ragione 
Che da voi nasca un simil guiderduue f 

x/.sii 

Chi non sa di costui l'alto valore, 

E ’n. servigio di voi le divia' opre, 

O rh'egli c senza orecchie, o ch'egli è fiiore 
Di questa vita, e luuila terra il cnopre ; 
Ms (|uaudu ei fosse asi'ou», al vostro core, 
Ch' è il sommo testiniooiu, ogour si scu«)prc, 
Ogour si ni«j»tra I' alla sua virtute. 

Che partorì pio volle a lui salute. 


£ ver, che nel mio cor dirposto avea. 
Dì voi sempre seguire in ogni guerra; 
Ma dispose altro la fortuna rea, 

Clie’l catnmiu disegnalo spesso serra; 

Nè desio men di quel che già sulea 
Di vedervi felice e grande in terra: 

Dio vi dia pur vittoria, e metta in core 
Di pregiare e innalzar chi merla onore. 


Non è presente ognora agli occhi vostri 
Quel, eh' ri fc' <x>otr* a me nel gran bisogno? 
£i sul s* oppose ai gravi assalti nostri. 

Gli affrenù voi (né a dirlo mi vergogno) 
t.he chi *1 scrivesse, i piu famosi inchiostri 
Tutti presMi di lui parn bbcr Migoo ; 
t^l suo valore il mio furore esliuse, 

£ s'UQ la sua boutade alfine il viuse. 



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VintrmS verammlr In Lnntaffr, 

Ch'or non ha rrrto e mai non rUbr pare! 
P«T Im vi ferì lo do« delle rontrade 
Vinte prima da' miei nel vostro mare; 
Quando dall'altra parte, e in altre strade 
Niiovo M>ftpnnse e periglioso alTare 
De*5ftliaoi di f.lnda«<o ftià disresi, 

K eh' areaa molti foorlii intorno aereti. 


Fè,che*l ^ran re de' Franehi r'ha mandato 
Qtiatirn *ooi fipli, e 'I re SÌramlin> insieme, 
Con fi fiorilo «tunlo, e bene ornalo 
E d’armi e di desirier, eh'ogoi «om ne tenne; 
Che Lanrilnllo nel materno lato 
Uscendo dal reai Franre»eo seme, 
flan volnto mostrar, ohe rio ftli invila 
Di dare a voi contro a Clodatso aita. 


Con qnal enr,ron che amor, enn qoanto ar- 
si mosse allora il rhiaro Lanrilotio ! (dire 
Ritenne i molti che vnlean fiip;:ire, 

Bimise insieme il vostro popol rollai 
Poi come tipre irata, che rapire 
Si ve^^a i fifili, corse a tìamelotlo, 
Ch'era in man dei nemici, e ben |tiiardato, 
E in mcQ d' nn mezzo dì I' ebbe rspngnalo. 


Or »on questi però fatti e aerviti. 

Che. ti possan rosi porre in oblio ? 

Che ne dovreste «lopo i fiumi Stigì 
F.«ser mai tempre ronosrrnte. e pin ; 

Che ne diran di voi gli nomini ligi? 

Che i cavalieri strani, qnal lon'io? 

Che speranza avrao quelli? e qiie«li come 
Pulran rrnder onor al vostro nome? 


Non perde tempo, che ’l medesmo giorno 
Con «nllecilo pasto anco ragginnic 
Oli etercili neniirt, cite rìlornn 
Al mar facraii per tema, rhe gli pome; 
Fe'lor danno iiifinilo, r sommo scorno, 
Quando non n>pellato «npraggiunte ; 

Fer»i Fonde vermiglie in nn momento, 

E ‘I rivi, la terra, e 'I mar n' ebber spavento. 


K te por qni di noi nnlla vi cale. 

Non vi cal di Caini che tatto vede? 

Che ristora e poni«ee il bene e *1 male, 

E da cui quanto abbiam nasce e procede? 
Ositi impresa ritorna vana e frale. 

Quando F ineratitadine é mercede ; 

Ciò rh'ei fa, eiòeh'eì pensa, a scorno e «lanno 
Al fin gli torna, ed a perpetuo lOanno. 


Nnn Cessò, ch'el trovò l'alta regina, 

T.a vostra nobilissima consorte. 

Fatta per tema rome neve o brina, 

Che pìangea lassa, e desiava morte; 

Cuti il hoon duce, e la virtn divina 
La tras*er qnindi da ti amara sorte. 

Ma un putito sol, che i* indugiava ancora. 
Era d'ogni speranza in lutto fuora ; 


Spoetiate adunque ornai l'ira novella, 
E rivestite in voi l'antico amore: 
Mirale ben, eh' a ciò aegnir n' appella 
Il profitto comune, e 'I proprio onore: 
Che «e F oceasioo, ch'or bionda e bella 
Vi presenta la chioma a tal favore, 
Tornatse il volto disdegnosa altrove j 
In van poscia aarian Fumane prove. 


Che gli lo braccio F avean molti nnecbJeri 
Per portarla d-il Ilio al palòrliemio. 

Ma più che fosse mal pronto e leggieri 
Fu Lanciloltn, e Inr nnn valse schermo ; 
Molti ne pose morti sn'seotirri, 

GII altri fotti non tennero il piè fermo* 
Chi fogge in qnella parte, chi i'a«cnnde, 
Chi l'aitufTò, tome delfin, nell* onde. 


Così dist' egli ,e 'I buon re Lago il veglio, 
Dell' ftrradi signor nel freddo cielo. 

Di forza in prima, e di prodezza speglio, 
Or rhiarissim» onnr del bianco pelo; 

Che da Innge «cernendo il ben «lai meglio, 
Del fninro «nivria ma» tempre il velo; 
Non per divinità, ma per la vista. 

Che vecchia priiova ne* molti anni acquUUt 


Coi legni de'nemìei in qnesta parte, 
Volando qnaȓ, discendemmo allora; 

E mentre a fahbrlrar governi e sarte 
Aitavate inteso nel passaggio anrnra ; 
>inse otto volle tra conginnle e «parte 
Le genti avverse, rh'ei trovò di fiiura ; 
Acquistò più paesi, passi, e terre, 

Che I migliar non farla con mille gnerre. 


Egli adonqne levata ditte: Or enme 
Non vedete voi. latti, apertamente, 

Che «piagete tolterra il vostro nome, 

F. date il pregio alla nemica gente ? 
Qnesta barba nevosa, c qnetle chiome. 
Che devean già molli anni essere spente, 
K questa vita tianra ancor ai serba. 

Per veder tal di noi rovina acerba ? 


Egli ! monti spianò, largo le porte, 

E VI fece il cammin dritto e sleorn, 

Che poteste venir con p*»che scorie, 
Senza impaccio trovar dì fosso o muro ; 
Non vi fu alcuno a contrastarvi forte. 

Se non Avareo, cui fa saldo e duro 
Non gente, nè virtù, rh'ei rhliiHa ta Ìtii, 
Ma il diviso voler, che trova in mi. 


Nnn vi ulegnate, Artnm, a dar* credenza 
Alle parole mie, che Pandragone, 

K Votlimrro anrur non for mal senza 
pene approvar la nostra opinione; 

Come che poca avessi esperienza, 

Nè sapessi però render ragioar 
Di molto più, che di cavalli e H*arme( 
Ebber sempre diletto ri* ascnilarme. 


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L AVARCHIDE 



ITtM 

Voi, chiaro T.ancilolto, che ripieno 
Di valor, e <1* ardir più d* altro eilinto, 
Sappiate pur, eh’ anch' io nìi leoni almeno 
Serondn «empre, e ben «irenle il primo; 
Nè giammai di timor mi atrinae freno, 

E paite<«emi il Cielo io alto, n io imo, 
Coo Eltur, con Giron, con Febo si Bruno 
Combattei apeato, e non cedeva a alcnoo: 

iviv 

E col Toatro re Ban, col re Boorte 
Mi ritrovai più d’ una volta in pmovai 
Vinai e perdei, come volea la aorte, 

Che non sempre l’ ialeaaa ai rilruova: 

E ae Inr non venia subita morte. 

Io passava di qua con gente noova 
Per dar aoceorao a quei, ma in mexzo Ìl mare 
Ebbi d' ambedoe lor le nuove amare. 

t*v 

Qneato dith'io, perchè sappiate si vero. 
Ch'io v'amo, e v' amerò qnal proprio figlio; 
E rhe vogliate credere al lineerò 
Mìo prego, ed amorevole consiglio: 
Bendele obbedienza al sommo impero 
Del vostro Artnro, e pongasi in estglio 
Ogni altra rosa andata, ctie sovente 
L' uom di tosto crucciar lardi si pente* 

LIVI 

E rilomivi a mente, come voi 
Non sete in molle partì a Ini simile : 

Dio gli ha dato pnder sovra dì noi. 

Come al degno paslor sovra I* ovile; 

£ r aver riverenaa ai signor aitoÌ, 

NaKe da nobil animo e gentile; 

E quanto in voi ri«plendc più il valore, 
Tanto pìn onor vi fia rendergli onore. 

tZVIT 

E voi, famoso re, dovreste porre 
Ogni perturbazione ornai da parte; 

Legare s sensi, e la ragione scìorre, 

£ rivestire Ì1 cor di reai arie ; 

La quale è, dolcemente di riporre 
Nel caramin drillo chi da Ini ai parte; 

£ serbare, il corruccio all’ iiltim’ ora, 

Cbe veggia altrui d’ogni speranza fnora. 

LKVIII 

Che troppo rpavenicvole è quell'ira. 
Ch’accenda chi può far ciò che gli aggrada: 
Chi non guarda al princìpio, indarno tira 
Il fren da poi, che mal rilruova strada: 
Rare volte cadrà chi fiso mira 
Il camoiio cbe dee far. nè ad altro bada; 
E chi più lien colle sue forre speme, 

PIÙ tmova intoppo, che 1’ abbatte e preme* 

LUX 

Non ha tanto fallito, che non merle 
Lanrilollo da voi largo perdono; 

Che spesso prende I’ uom per vere e certe 
Le cose, che incertissime poi sono; 

Pensò, rhe voi gradiste quelle offerte, 

Ch' ei fe‘ de' prigionieri, c eh’ esso dono 
Non vi doves.se offendere; or rhe sente 
Avvenirne il contrario, sì ripeole. 


LEK 

Ricordatevi poi, eh’ no tal guerriero 
Non si trnova talor dopo molti anni, 

E chi l'ha, noi dee pertler di leggiero, 

Ma ben servarlo a simiglianti affanni; 

Egli ha molto giovato al vostro impero, 

£ molli a tulli noi schivati danni; 

Egli è pnr sempre (c tulio tl mondo salto) 
Stalo del vostro campo argine c vallo. 

LXXI 

Al buon vecchio reale il grande Arturo 
Tal feo risposta, c multo meno irai»; 

Ben vegg' io quanto sìa saggio e maturo 
L'alto rousiglio. rhe da voi n* è dato, 
Oltimo re dell' Orcadi, e vi ginro, 
r.he la fona e I' ouor m’ hao qui menato, 
Ch* io I ho mai sempre col medesmo amore, 
Che si deve un figliuol, portalo ia core. 

LZAIt 

Ma con qual dignità soffrir pou'io, 

E gli oltraggi, e gli schermi, rhe mi face? 
Chi l'adorasse pur qual proprio Dio, 

A pena seco aver poirelibe pace: 

Sempre sprezza e contrasta al parer mio, 

£ di maggior tenermi gli dispiace : 

Di nessun più gli cale, ogni uomo sdegna 
Quest' anima d' orgoglio e d’ ira pregua. 
txxiii 

Qnì Lanrilollo, Ini mirando torto, 
Sdegnalo più che mai, così dicca : 

Voi mi vedrete pria sotterra morto, 

Che seguirvi mai più, com' io solca ; 

Per altro nuovo mare, iu altro porto 
Mi condurrà la mia fortuna rea; 

K la ragion mi fa sperar eh' un giorno 
Bramerete anco indarno il mio ntorao. 

LXXIV 

Fiuite le parole, volse il piede 
Verso il suo padigiion poco lontano; 

E Gaiealto pio. ripien di fede 
Il seguitava sol tacito c piano. 

Vota lasciò di sé la reai sede 
Arturo, e seco ogoi altro capitano; 

Poi ripien di peniier, turbalo c bruno, 

Al proprio albergo riluruò ciascuno. 

LXXV 

Fo*esÌ Lancilotlo lungo il rio, 

Lonlau da tutti i suoi, duglioso c solo; 

E d' Derider Gaveno ora ha desio, 

E di dare al suo re perpetuo duolo ; 

Or, dove il porterà suo deslin rio. 

Di prender brama nn disperato voto ; 

E mentre questo c quel dauna ed appruova, 
Viviana innanzi agli occhi si rtlruuvau 

txzvi 

Alla qnal cominciò ; Cara e gioc\»nda. 
Più eh' essa madre, ch’io ooo vidi mai, 
Chi v'ha menato qui sopra quest'onda 
A contemplar le mie vergogne e ì guai ? 
Olili' oggi si gran mimeru ui' abbonda, 

Che per mille, oltre, a me, sariano assai ; 
Or sou gli onori, or son te palme queste. 
Che Unte volte già mi ]»redk-esle ? 


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tXXTU 

r.h* io dovei *ovr' o|;ui litro tinti pr«|< 
Avrr vivendo, e dopo morte poi 
UMÌrebber di nte Unti alti regi, 

Adonti dii Galli e vicio itioì ; 

Ch' eterni «erveriano manti e Ì fregi 
D'ogni reai virtù sopri jcli eroi. 

Il fauiuio Franrescii, il grande Enrico, 
Ch* ivinierebbc ogni valore antico F 

LXXXIV 

Per cui ve ne seguir battaglie tante, 

E di tutte li palma riporUsle: 

Indi soletto e cavaliero errante 
La dolorosa guardia conquistaste : 

Per la qual mille volte, e mille avanle 
Furo invao dai miglior rntle mille aste: 
Ciò fu vostra virtù, ma la fortuna, 

Par guidata da Dio, con lei •* aduna. 

Lxivm 

Ben Contrario è il principio, le Giveao 
ila pure avuto ardir d'oltraggio dirzue ; 
Nè voli’ io rìuluaiar l' empio veleno, 
Pensando ronlr' a tal troppo avvilirme; 
Parlai mi re, die mi pensava almeno. 
Che per ragion dovesse favorirme; 

E ’l trovai li contrario e tanto ìugrato, 
Che 'a meraviglia estrema lon resUto, 

txxxv 

L*nno e l'altro gigante i Camelotto, 
Che facea la Bretagna mal lìcnra, 

Fo nell'estremo Gn per voi condotto, 

K •liseiolio il terreo d* aspra paura : 

Poi liberaste Arturo, ch'era sotio 
Chiavi serrato, e fra incaniate mura 
Di Camilla spielata ed impudica, 

Con gran vostro periglio, e più fatica. 

LXXIX 

Cosi dicevi, illor che lospiriodo 
Fece la donna a lui risposta tale: 

Caro lìgliuol, cosi vi chiam' io, qgaodo 
Sempre amor vi portai di madre cgnalet 
Io vi trovai d' ogni ventura in bando. 
Vicino al lago, il nido mio natale. 

Con la misera madre, a coi vi tolsi 
Nato d' nn anno, e meco vi raccolsi. 

LXXXVI 

Molle poi gravi imprese in si pochi anni 
Al fin traeste, ch'io dovrei contare; 

Però che '1 rimembrar gli andati alTanoi 
Suole il presente duul tnen doro fare ; 
Tanto più, quanto son d'onte e dì danni 
Nudi, e vestili di vittorie chiare; 

Ma questo basti assai, per farvi arcorto, 
Che '1 troppo lamenlar sarebbe torto. 

LXXI 

Ove ma somma e vera cariUde 
Vi milril fra gii stmli c buon cosinmi, 
Quai d'anuo in anno ricbie«lea l'eUde, 
Ma in dura vita, e nei selvaggi dumi; . 
inviandovi ai ciel per Perle strade, 

E di gloria mostrando i veri lumi. 

Or con saggi rimrdt, or con esempi 
Di qnei miglior dei piu lodati tempi. 

Lxxxrti 

Prendete dolcemente adunque in grado 
Il presente dispregio, che vi viene; 

Che mal ai può d'onor trovare it guado, 
Senza spesso trovar rtii il piè rìlìcue : 
L'asseuzio in terra è molto, il mele è rado, 
Corto sempre il gioir, lunghe le pene; 

Ma 1 buon contro a fortuna irioalzin l'alma. 
Come contro all' incarco invitta palma. 

MtXXi 

Nè gran fatica fu, perche le stelle, 

Com* io ben conosceva, v' inchinaro 
Alle imprese lodale, altere e belle, 

A mostrarvi fra gli altri unirò c chiaro { 
Benché alcune di tur rontrarie e felle 
Spesso qualche sveulura minacciaro : 

Che *1 corso di virtù non dura troppo, 

Che non Irovc in cammin più d'un intoppo. 

I XXXVIII 

Così disse Viviana, ed ei risponde : 

Non m' afliigge il prntirr, madre pietosi. 
Percossa o forza delle mortili onde. 

Nè tempesta, che surga atra e noiosa ; 

Ma U veder sol, che quella parte, donde 
Sperava ogni mio ben, mi venga odiosa; 
K quel, ch'io sersù' già con tanto zelo, 

Hi spinga al centro, com* io 1* alzo al cielo. 

I.XXXII 

Ha questo è quel di'al gran valore aggradi. 
Che senza allaticar non preaia onore. 

Ora aduui|ue, figliuul, per tale strada 
Del terzo liutru vi condussi fuure : 

Dìevvi la lancia allor, cinsi la spada, 
ben servale del Ciel le felici ore : 

Posi sopra il destrier, mena' vi io corte 
D' Arturo a seguiUr la vostra sorte; 

txxxix 

Ma tal prenderò volo, e sì lontano, 

Che 1 nume ingrato non m'ofTenda il mret 
Ove in Dio porto speme, e 'a questa mano 
Di poterne ritrae piu largo onore, 

Come trasposta in un terreno strano 
Suoi la pianta portar frullo migliore; 

E perché non si può destare in noi 
L' indormita virtù dei primi eroi F 

Lxxxm 

Di cui doler nou vi devresle certo; 
Cumiiieiando a guardar con occhio sano. 
Pria Mdianso da ciascun deserto; 
tonando voi sol con giorinelU mauo 
Ardiste di sferrarlo, e dire aperto 
A qualunque uuui, che fosse ivi o losiUno, 
Ch'amar dicesse gli iniiaici suoi. 

Che voi 1' uccidereste, od esso voi : 

xc 

Il cangiar di paese mi porria, 

CiOme di molli s'è parlato c scrìtto, 
(Cangiar di buona la fortuna ria, 

E D lieto riti>riiar lo stalo afilillo : 
Non è oggi per me chiusa la vìa 
De' neri Garamanli e dell' Egitto, 

O de luoghi piti là verso l'aurora, 

Piu eh' a Baeco ed Alcide fosse allora. 


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A V \ R C H I D E 


XCI 

Meotre coti |>li ri»pnB<l« 

Sorrìdrndo U Junua io lai panile: 

Non della luna ì tnonli, o drt Nil 1' uiide, 
0 {qual di Giove la Tehaaa prole) 

Là 've più clt' a Dui qui lardo a' aacondCf 
O più lutto, e più l*cl ti iiiotlra il aule ; 
O dove «calda più, cunvien «‘creare, 
Vulcoduvi cui werli «terno fare. 

xcvm 

E 'n qnetlo ronvenenle gli promeui, 
Ch' ci mi faceste nn loco fabbricare, 
li qual icrraln eteroainenle iteiii, 

Nè forza u ingegno vi polene oprare; 

Ma che '1 modi» d' aprirlo io lola avelli, 
Lontana, o prexo, eh'ìo'l bramassi fare, 
PerrU' aveva un nemìro, ch’io trmea, 

Che non mi condureiie a morte rea. 

XC'I 

Pcri'hè iu qtietlo parte, e *n quctio luco, 
In qurale tiualre parti ime e paitutrì 
V è dato ad ««ter tal, clte parrao poco, 
Quante altre auliche furo oprre illuttri : 
Slancherauti le prone, e verrà Cor«> 

Per voi più d'un poeta, e pii aiiui c i lualrt, 

E i aecoli iuflnili non pntraoao 

Fare al grau nume vostro ingiuria o danno. 

xcix 

E eh' ancor mi mo*tras«e il modo e l'arte 
D' antiveder, qoal eì, ciò eh' riier deve, 
Che l’io rat riiroraevi In qnalrhe parte 
Senza Taìla ina, mi fos«e leve 
Per la virtù di tue celeiti carte 
E<-aniìiiar mia lorle, o lieta, n greve; 
Schivando accorta ogni mortale inganno, 
Che mi potcìie far vergogna o danno. 

xciu 

E crediatemi certo, rb* io non dico 
Cola, che ooo mi lia ben maoiretla: 
Però che intera di Merlino aulirò 
La divina icìeuza opp mi reità; 

Che nel tempo eli' ri fu mio caro amico, 
Udii rorleie la preghiera oneila. 

Ch* io pii fei, di chiarirmi 1' arti oicure 
Di preveder le cose a noi future. 

c 

Amore fopraodo in lui, lierome luole 
Mai irinpre usare in ogni tuo irguaee) 
Fe', che Merlino, il qual «apea del iole 
Tutti ì irgreti, e d' «sfili errante face. 
Non conobbe esser false le parole ; 

Ma «limando il mio dir certo c verace, 
Fabbricò il loco, e diemrai la dottrina. 
Per cui li icurge la virtù divina. 

»c»v 

£ pria che ciò avveniiie, pii avea «Ietto 
Ch'io d* aver un fÌ(tliuol bramava mollo, 
Ma che lopra il mortai fune perfclUi, 

Di virtù colmo, e d'e^ni vizio iriollo. 
Che lì chiamane il cavaliero ciello. 

Ove il ciclo o^nì bene avene acrollo: 
Femuii rùpo»la: Donna, a non mcuUre, 
Di voi noa debbe prole riuicire: 

a 

Onde agevol mi fu quali in quell' ora. 
Mostrando far di quello alliergo prnova, 
Di icrrarl'ivi, dove anc«tr dimora, 

£ 'n rni l'alto laver nulla gli giova; 

K di Irarl' indi mi rilieoe ancora 
L'antica ingiuria, e la temenza nuova, 
r.lie '1 Girl mi motlra. che t' ci foiic «ciotto. 
Mi «aria con la vita ogni beo tolto. 

xcv 

Ma VI apprenderò il ron«lo, onde potrete 
Averue im, che lia Ut, cirappuuto nacque 
11 panalo anno, a cui le iletle liete 
Proiuctton quanto onore in uommaì xiaeqiie: 
In tal mudo, in tal tempo il troverete, 

E uii fé' bea vedere il liio^n e T acque, 
Là *v' iu v' accolli, e rioraulato lago, 

Ju cui aolctta d'abitar m'appago. 

Cll 

Vedeva ancor, che'l gran valor di vm 
Dovei nel tempo roorlaimriile odiare ; 

Non cperand' ri giammai, rh' alcun de* «noi 
PoteMc a pari altezza «orraonUre; 

Nè pensava Ìo poisenti ambi due noi 
D'alla ina gran dottrina contraltare: 

Che la «pada non vai conir' a qneirarte, 
Ed io K» multo men, che le «uè carte. 

xcvi 

Nè mancò (ulto quel di farmi poi, 

Ole v' è avvcoulu, e vi avverrebbe, chiart;^ 
Alfermando : Li «ara mai lempre a voi, 
t<omc del ventre itcìio, amato e caro; 

E de' pregi diviu, dei inerti tuoi 

Fia 1 voitru cor, pin che di rila, avaro. 

(.Oli «iicra lovcute, e non trovai. 

Che d uu moincato lol faiUiae mai. 

CUI 

Coli merla perdon la rotta frde, 

£ '1 mìo duro voler, che «embra ingrato; 
Clic r altrui mai, rhr per luo ben prorede, 
Surenle ha Ira' miglior perdon trovato. 

Or per tornare a voi; d'onore erede 
V'ba fatto il CÌel, che tempre «ia hsdito. 
E ciò «ia in quello loco, in questa terra, 
lo quello teinpss Uteuo, iu quella guerra. 

ieri 

Deviando euo poi di «posa averme, 

Non mi piacque accordarmi alle lur voglie. 
Che poi cir uicir di aie non duvea germe, 
Volli loia reitar fra le mie toglie ; 

Ma perché di me tempi ire ed inerme, 

Nnu riportane alfin vittoria e ipopiie 
Uom, rh era armalo d' iminortal ia(>ere. 
Mi convenne al mio lUlu provvedere. 

av 

Fregovi or dnnque, o min famoso 6glio, 
Che lenza altro pensar, qoi vi reitìate, 

E che nel mio materno iitil cuoiiglìo 
(Qual cunviensi a ragion) i|>eranza agziate, 
Che vedrete io tal pena, e n tal periglio 
Le geoli altere, che vi furo ingraie, 

E u rosi «anguiniiHi e largo «Irazio, 

Che vi farà |>ieloso, non che «azio. 


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l’ a V a R C II I d e 




cv 

Nel fin delle parole, il pran poerrìero 
Tallo raociato in rur, rì>po«e tale: 
Perch*opni roilro detto amico e vero 
Sempre Ìiu trovalo, e eoa pii efiVili epaale. 
Vi credo interamente, e a* all' impero 
D' Arturo annnniia il CìeI futuro male, 
Voplio obbedirvi, e i|ui rettar da parte. 
Senza ferro veatir, nè aegair Marte, 
evi 

S' io noi vedessi alfine io tale alalo. 

Che l'onore, e ‘1 dever forza mi fcMe, 
Ch'ai non fallire in ciò pur m' hau legalo 
Di chiara nobiltà le lespi iatraac; 

Ha da neceiiitade in piu d' un lato 
Lui vedrò prima, e le sue penti oppreatc ; 
Non per conforto mio, che uubii petto 
Non può dell' altrui mai prender diletto ; 

fVII 

Ha perchè tutto il mondo, ed epìi impari 
A non euer ioprato a chi ben acrvej 
A non mai dispregiar pii amici rari. 
L'empie iiupue onorando c le proterve; 
Nè totlo un pìupo fare andar di pari 
Leoni arditi, e timidette cerve, 

Ha tappiameulc, e con rapiun disporre, 
Poi tecuudu il dever levare e porre. 

eviti 

E perchè snol la preppe, r '1 vile armenti' 
Dormir con guardia di fossato u muro, 

K 1 feroce leun senza spavento 
Aperto in mezzo i boschi star sicuro, 


Non vo* che cinga il ooitro alIupgiamenU) 
Cosa, che renda il passo angusto o duros 
Mero la guerra avrà, non con la soplia, 
Ch» di quindi scacciarmi avesse voglia. 

CI» 

Cosi detto, spianar pii arpini c i valli, 
£ riempir t fossi feo d' intorno, 

Quanto lo spazio tiene, ove ì cavalli, 

E gli altri suoi gnerrìer fai'can soggiorno; 
Comandando ai compagni ed ai vassalli, 
Che non ve«ti*ser arme notte o giorno, 

Se contro a lor non si vedea 1‘ assalto, 

Ed a suoi fe' 'I medrsmo Galeallu. 

ex 

Così tutto ordinato, già Viviana 
D' averlo ritenuto assai contenta. 

Da lui disparve, c già |h>co luntana. 

Sotto il suo lago, a' primi studi intenta: 
Ed ri eoo Galeallu, dell' umana 
Miseria ragionando, si lamenta ; 

Poi conchiudun fra lor, che I' unm lodato 
Dee quieto stare a quanto il Cte! gli ha dato. 

rxj 

Ma perchè già inchinava all'occidente 
Tebo, menando il giorno in altra parte, 
Preutie ristoro ornai tutta la pente 
Tra le semplici I 1 lcll^e a terra sparte; 
Sotto r albergo poi, che rozzamente 
Di froiidì è fatto con saivatic arte, 

Si ripoo lassa, sopra pìum-hi e paglia, 
Infiu che I iiuuvu dì uell' alba saglia. 


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ARGOMENTO 

rturo sorge dalle piume e aduno 
t cnpiian per assaltare Aforeo, 

44rinsa lory nè tace causa alcuna 
Che so spinge a brandir la spada e f arco: 
prendesi di pugnare, e la digiuna 
Brama ss spegne in pria ; pos sotto il corco 
fieirarmi ognun si mostra al rege /irturv. 
Cludasso pur co' suoi esce dal muro. 


^Tealr'ogni altro mortai dì rurr tciullo, 
Dava ripoao all' affannale membra; 

Di pravoit pensieri Arlnm avvolto, 
li sonno ha in bando, c d'avvampar gii sembra; 
Nell'alma ba Gsse le parole e '1 volto 
Di LaoHIlotto irato, e ti rimembra 
Di <|uaalo è stato, c '1 punf;e anror T immago 
Del fido Galeallo, e del re Lago. 

Il 

L* ira lo ipingc c sprona, tema il frena 
Di non portare a’ suoi danno e diiourc, 
Che non vorria perù sentir la pena 
In altrui gir del suo rommesso errore; 

Ha la mente reai di dubbio piena. 

**ul rtmibalte il prt>fiilo, e qui l'onore: 
Viuce alfìa la virtude, c vuol eh' ei vada 
Per più lodata e più daonosa strada. 

ili 

Die* egli, rh’ un tal re mo«lrar ti deve 
Più tempre ardilo nell’ avversa sorte, 

(die nulla impresa è perigliosa, o greve 
Air alto, valoroso, animo forte ; 

E le '1 prender Avarco fia men leve, 

Non avend'ei di Lancillotto scorte, 

Cile iQuIln ancor maggior fia la vittoria, 
Senza quel che ricopre ugni sua gloria. 

IT 

Così fermo nel cor, pria che l' aorora, 
Spiegali i biondi crini, anounzìe il giuruu; 
Sopra del letto suo sedendo ancora, 

Le sete c gli ostri si ravvolge intorno: 

Poi l'imo e l'altro pié traendo fuora, 

Di panno porporino il face adorno, 

E ‘n basso armalo di ben culla pelle, 

Gli sproi) s'adatta dell’ aurate stelle. 


La reai chioma ina ricopre poi. 

Onde possa sprezzar la pioggia e '1 aolc ; 
Cìngesi indi la spada, che de' suol 
Fu lunga possrs^ion di prole in prole; 
Veste il bel manto, eh* a quegl' altri eroi 
Mostra, che sovra lor s' onora e mie; 
Prende lo scettro al fio, che in alto pende, 
£, quale ardente sol, di gemme splende. 

VI 

Monta sopra il cavai, non un di quelli, 
Ch* usava in gnerra, e *n perigliose pruove; 
Ma picciolo, e che insieme i piedi snelli 
D' un lato islesso dolcemente muove; 
Vieta, eh' alcuno il segua, o gli altri appelli; 
Ma tatto sol, mostrando gire altrove, 

Al padtglion, che poco Innge avìa 
Il vecchio re dell' Orcadi, s' invia. 

VII 

Trnoval, che del suo letto nirìto a pena 
Tutte le vesti intorno anco non ive, 

Tal che dì maraviglia l'alma piena, 

Gli dice : O sommo re, qual caso grave 
Davanti al giorno, e così sol vi rama 
Verso colui, cui nnlla è più soave. 

Che r obbedirvi? e perché non più tosto 
Fu di farmi chiamar da voi disposto f 

viu 

Risponde Arturo : Io vi volea soletto 
Innanzi all' apparir de* duci nostri 
Aprir nuovo pcosìer, eh* io porlo in petto, 
In cui pubblico ben par si dimostri. 

Che non trovando mai d* amor difetto, 

Nè d'alta fede, ne* ricordi vostri, 

Ragione è ben, che ciascun mìo consiglio 
Scuupra a voi prima, come a padre il figliu* 

IX 

Sappiate adunque, che I' andata notte, 
Che sola in gravi cure consumai, 
Conoscendo Ir cose a tal condotte, 

Che se ne può temer vergogna e guai, 

Poi che r aperte strade n' ha ìhtrrrutte, 
Chi ’i devea meno, e di coi men pensai ; 
Disposi in me, col pio voler dì Dio, 

Dì non ceder (Irmcudu) al tempo rio; 

X 

Ma qual franco nocchier con vela e remo 
Al contrario soffiar volger la prora, 

E n'avvegna che può, ch'io oitlla temo, 
Che 1 porto amato non si Irove ancora. 
Che se in vera concordia oggi vorremo 
Spiegar l' alta virtù, che in uui dimora, 

So ben, eh' A varco non terrà sicuro. 

Ferro o fuoco, ch'egU abbia, u fosso o muro. 


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L A VARO HI DE 




« 

XI 

Ma perché in dubbio son, rh’una gran parte 
Drir ««irrito no«tn> noi cnnienla. 

Che ehi invidiando *i starà in dirparte. 
Chi perrh'a Lanrilotto ha Palma intenta, 
Qiie4ti è tuo amiro.e quegli il tiene un Marte, 
E «eoia lui veder tutto paventa. 

Ma spero in voi. che (se ’l vorrete usare) 
Il vostro dolce dir può il tutto oprare. 

XVIlt 

Certo che d'nn si ardilo cavallern, 

Con gli altri poi, ch* a lui d'intorno tono 
In ti stretto bisogno (a dirne il vero) 
Troppo saria il soccorso utile e buono; 
Ma senza quello ancor sicuro spero, 

Prima per somma grazia, e proprio dono 
Di Chi fa il tutto, e poi per l'opre vostre, 
Che la vittoria fia nelle man nostre. 

XII 

$' a voi da%(Qe paresse, io loderei 
Di chiamar tosto il pubblico consiglio, 
Al quale aperUmente muterei 
L'onor di tutti in quanto sia periglio; 
E come oggi sarem di viltà rei, 

E del primo valor posti io esigilo, 

S' ali'uua pniova non moslriaiu dì noi: 
Voi seguirete ragionando poi. 

XIX 

E ben dir sì porria, ehe qnella speme. 
Ch’area ciascrm dì noi nel ino valore. 

Ne ficea incauti, e men concordi insieme. 
Che *1 soverchio sperar padre è d’ errore. 
Ma l’alquanto timor gli animi preme, 
Viro più sano il con^^glìo e salilo il core ; 
Tal ehe noi non arem, chi dritto stima. 
Più dubbioso il trionfo oggi che prima : 

XIII 

Dolce e ridente il valoroso vecchio 
Risponde; Or vrgg' io hen Palla virtmle 
Di PandragOQ, come in iin chiaro specchio, 
Che col senno reale in voi ii chinde; 

All' obbedir più pronto m' apparecchio, 
Cli'a ricercare ornai martello o incude 
Per fabbricar consigli entro al mìo seoo, 
De’ quali ottimi c certi sete pieno. 

XV 

E tanto più, che forse ora i nemìri. 
Che gli sdegni de* nostri avranno uditi; 
Pensando i ('icli a’ lor disegni amici, 
Mollo più del dover saranno ardili. 

E ’n brevissimo tempo se Infelici, 

£ noi vedranno di lassù gradili, 

Pur che noi dì«pnniam con gran ragione 
Di bene usar la dritta occasione. 

xtv 

Cosi fermo In tra Inr, fu mmandato, 
Che la tromba reale immanlincDle 
Al pubblico consiglio in ogni lato 
Cbiamasse i maggior duri, e P altra gente] 
Tosto che tulio il popol fu adunato, 
Snvr' alto trono aurato degnameute 
Posto il re prima, agli altri illustri foro 
Dati dovuti seggi ai merli loro. 

XV t 

Loderei dunque mollo, che ’n quest’ora. 
Quando si crede meno, ordin si desse 
Di trarre il nostro esercito di fnora. 

Che eoa diversi assalti rieingetie 
La città intorno, a dimostrar rh' ancora 
Avem quei cori, e qoelle mani iilc««e, 
Quel medesmo valore, e qnella gente, 

Ch’ han provalo olirà il mare, e qui soTentr. 

XV 

Allora in chiaro e placido semlHanle 
Riguardandogli intorno, il sacro Arturo 
Cosi dicea : Coltri, ch'ha sempre arante 
Il presente, il preterito e ’l futuro. 

Che 'utende il tulio, e con le luci sante, 
Aperto sceme quel ch'agli altri è scuro. 
Spesso conduce P nom per ria di pene 
Al proprio desialo c sommo bene. 

XVII 

E quando anco, signor, paresse a voi, 
Che ciò fotte a tentar troppo periglio, 

Ma senza quello irato, e gli altri suoi 
In pare dimurar, miglior consiglio ; 

Col proprio amor, come se fusse a noi 
Padre eia<ciin di voi, fratrlhi, o Gglio, 
Prenderò tnllo in grado, e ’n questo giorno 
Presto suo nel mio regno a far ritorno. 

XVI 

Ed ora che i mortali spesso fanno 
Cose, ehe colme a noi sembran d' errore, 
Ch* alGn veggiamo, onde s' attende il danno, 
Il nostro util venire e *1 nostro onore : 
Alle prime virtù, che in allo stanco. 

Non arriva pensier d'uniao valore; 

E perchè il lor voler più ascoso vada, 
Non teogoo sempre la medesma atrada. 

xvtti 

Che comnn è di voi, non di me solo, 
Qnel ehe oe dee seguir dimore, o giuria] 
Bastami non sentir nell' alma duolo 
1)' avervi ascosa, o tolta la villorta, 

O che la colpa mia chiudesse il volo 
Air eterna di voi chiara memoria; 

Nè d’ altro calme, il resto pongo in Dio, 
£ 'n voi moderator del voler mio. 

xrii 

Io non posso negar, ch* io dovea forse 
A più grao soflerenaa ieri armarme ; 

Ha P altrui fero orgoglio tanto scorse, 
Ch'io più non volli, e non potei frenatine, 
Ch’ assai giusta cagione a dir mi porse, 
Ch’io non lemea restar senza quell' arme, 
Cli' ei troppo apprezza, tra voi tali e tanti 
Re, duchi, conti e cavalieri erranti. 

XXIV 

Qnì lì tacque, e ’l re Lago il dir riprese: 
Famoso re, poi eh' all' antica etate 
Ogni legge, ogni gente, ogni paese 
Cnuce'lon la suprema dignitatc; 

Rispsindo il primo, e dieo, che V imprese 
Con SI chiaro valor già cominciate, 

E luogo tempo andate, e al fin ristrette, 
Non si devou lasciar, se non perfette. 


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13 


L AVARCHIDE 




XXV 

K't T43»lrn alto « tnapnanino diir^n» 
AflTrrmo, r la tfrra ornai a*a«iaflia, 
r.hr pur troppo p«r ooì >arrbb« imirgno, 
Dar TÌIìs«imo inibieio alta battaglia ; 

K non vrggia r.lo(ia*«Of rh’ un tal rrgoo, 
Che non prn«iam, che sovr'ogni altro «aglia. 
Sia per avere un toìo o iliir peritato, 
AU'eitrema ruina oggi venuto. 

XXVI 

Gran danno veramente i alato e grave, 
Di Galeallo, e più di Laneìlotto, 

Ch'ai graa binigiio abbandonali n‘ ivr, 

K '1 più «aldo pentier nel meno rnlln; 

Ma per q«e«lo mi ben eh’ alenn nou pavé. 
Che per servire a voi sia qoi condotto. 

Di far fede ora, e sempre a quelle mura, 
Come rontr* a virtù niente dura. 

XXTH 

Noi non venimmo in qiiesln lilo strano, 
Di così nobit re seguendo t parvi, 

Per far rbiaro con i' opre, che fia vano 
Di noi l’aito rumor, ch’ai mondo fa<si; 

Ma più torto a mostrar presso e loiiiano. 
Che 'I valor nostro ìl grido snpera.«si ; 

K ne vedrete anmr la pruova intera, 

Pria che questo mattili si volga in sera. 

xxvtii 

So, che riarenn, rom’ io, ii lagna e duole 
Della tema, che in noi pensate sia; 

Come importar qncll' ultime parole, 

Che del Inmarc indietro apron la via ; 

Ma prima fermo, oscuro, e freddo Ìl iole, 
La terra in allo, e '1 fuco in basso fia. 

Che vegliale mancar la voglia in noi, 
Ueotre in rila sarem, d'obbedir voi. 

XVIX 

E s' io giunto al conlìn, che cangia e fura 
Il volere c '1 poter, così prtimelt», 

Che faran quei, che oeireU più dura 
Ilan le membra robuste, e fermo il petto? 
Vi pregheran, che sul prendiate cura 
Di pur tosto inviargli, ove s'è detto; 

E vi prometteranno, in qual sia sorte. 

Che voi gli loderete, o ìu vita, o in morte. 

XXX 

Cosi dello, s* assire; allnr Careno 
Comincia : Indarno fia tulli altri udire, 
Dopo nn tal re, che largamente é pieno 
Dì senno, di valor, d'arte, e d'ardire; 

K cerio son che tutti abbiamo in seno 
Il mrdesmo, eh* ei dice, allo desire. 
Chiaro mio re, di far quanto a voi piace, 
Nè senza darvi A varco essere io pace. 

XXXI 

Né crediate, di' alcuno *gg<a temenza, 
Percir un sol cavaliero stia da parte. 

Anzi più speme è nui di poter senza 
Lui, veder quelle mura a terra sparir, 

Cir aocur rh’ei mostre foore alla eccrllenza. 
Non è perù nel bne Ercole o Alarle ; 

Ma sì orgoglioso è lien, che spesso tale 
Dispreiza e biasraa, ehi più d' esso vale. 



XXXII 

Rignardatc ogni duce e eapitaflo. 

Ogni famoso re, rh* avete intorno, t 
Che più d' nn troverete a lui sovrano, 

Ma «!' altra cortesia I' animo adorno : 
roscia ove sì rtiraovi ìl buon Tristano, 
Ch'ali' antico valore ha fatto scorno, 
l’.an sì 6orilo sinol, ch'egli ha condotto. 
Si dee cara Icorr di LaucìluUo ? 

XXXIII 

Miicivansi pur le vostre al^re insegne, 

E conosca il nemico, di' ancor vive 
Quella virtù, die tutte I' allyr spegne, 
fUime ogni lume Ìl sole, ove egli arrire; 

E vedransi illiisinssime opre e degne. 

Più che di quante mai si narra o scrìve. 
Che firn donate al vostro nome «olo, 

Non al superbo del re Ban figliuolo. 

XXXIV 

Come tacque Gaven, snbilo sorge 
Il buon Tristano, e dire; Invitto Arturo, 
Il parlar di costui cagton mi porge 
Di ragionarvi anrh* io piano c sicuro 
Di quanto il mio veder si frale scorge 
Nello stalo presente e nel futuro. 

Con quella fé, con quello integro core, 
Che drbbe nn cavalier, che cerchi onore. 

XXXV 

Qnant’ha del buon voler di lotti noi 
Barronlato Gaveno é fermo e vero, 

Che mille vile, e mille oggi per voi 
Spender siam pronti sotto il vostro impero. 
Quel che ne seguirà, si resta poi 
Palese ad altri, rh'ail'uoian peasiero. 

Che non può veder egli, e non poss'io. 
Ciò che n' abbia disposto in cielo Dio. 

XXXVI 

Deve il saggio di sé prometter l'opra. 
Ma non I* effetto mai, che 'n lui non giace ; 
Diiulmi poi che Gaveno oseiiri e cuopra 
Delle somme virtù la chiara face; 

Qiirllo opprrssando, eh* ad ogni altro é sopra 
(E Ga detto con nostra, e con sua pace) 
Che Lanrilnllo è tal, di' io posso dire 
Non aver dì valor pare o d'ardire. 

XXX vn 

S’ei fowe stato io pruova alla battaglia 
D’ogni sorte con Ini, com' io più volte; 
Con più dritta ragion, dì quanto vaglia, 
Poiria credenza aver da chi rasrolte.' 
Quanto ferro schiantare, e snodar maglia 
Gli ho poi veduto intra le schiere folle ? 
Come pronto a scovrir dov' è 'I vantaggio^ 
E come al comandare accorto e saggio ? 

XXXVItl 

Questo didi' io, perché non sìa celato 
Il ver, come ai signor sovente avviene; 

£ perché si poù dir grave il peccato 
D' un cavalier, qnando silenzio tiene. 

Ove con si gran torlo sìa biasmalo 
Quegli, a coi lude eterna si cuoviene; 

Non per dire al mio re novella cosa, 

Né di' a si gran bontà venisse odiosa. 


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L AV ARCI! IDE 


XXIIX 

Ma «e por piarf al CicI, di tal« aita, 

AI più gra>*e bisogno, Ofi^t prìvarve; 

Non sia per qtieslu in n«>i niaofta e fallita 
Qiirlla virln, rhr 'o tanti Inophi apparve! 
Forte rhe l'ampia «Irada v'ha impedita 
(Tom* altri ha detto) per più gloria darve: 
R par Ga rcalivtiino contiglio. 

Lo «prezaar per onore ogni periglio* 


Che n* ha fatti illnttriitimt e iminnrtali 
Sopra qnanli ton oggi, e che mai fnro ; 
Pur che noi tte»««, a ti gran volo, l’ali 
Non cerchiamo Impedir dì vìteo impuro. 
Perchè il Gn delle ìmprrte a noi mortali 
Rende tolto il pa<tatn. o chiaro, o tenro; 
K la gloria acqHÌitata in danno e trorno. 
Senza ben «eguitar, farla ritorno. 


E quanto a me, non venni a tale ìmpreia. 
Con tperanza d' alimi, che dì me tletso ; 
Avvenga ai, ch’aitai mi duole e pcta 
I)i non vedermi Lancìlotto pretto: 

Muvele ornai, che nostra voglia inlcta 
E tutta al fare il voler vostro ittetto: 

Già tcoloraia ha il sol la bianca aurora; 
£ mentre noi parliam, ai fogge 1* ora. 


E a* al meno cammin dell* opre altere 
Non cerca»«imo a lui termine degno) 

Il penar di molti anni, in poche aere, 

S' avria posto 1' oblio tolto il iiin regno; 
Convien, eh 'or più chr mai cretea il volere 
Di pervenire a! destinato aegno 
D'espugnar la città di tanto nome, 

£ carchi andar di preziose acme. 


Lieto più che mai fotte, il re BritaooOf 
Diceva : E questi sono i cavalieri. 

Che fon l’ opere iiiuilri onor ti fanno. 
Non cui mostrar orgogli», e gire alteri : 
Qual faremmo a’ nemiri scorno e danno, 
Se dne soli, olir’ a voi, colai gnerrieri 
Nell' oste avessi? e con voi tulio solo, 
Spero loro anco dar perpetuo doulo. 


Nè malagevoì Ga, se *1 core istrsto, 
Qnale avemmo inCn qni, ne resta in petto. 
Che questo è '! chiaro di, che n' ha concesso 
11 nostro re, per ai onoralo effetto : 

£d oggi adempierem qnelch'ha promesso 
Più d' un profeta, e piu d' un vale ha detto, 
AMor che dri fnlnm volse il Cielo, 

Alla vittoria c *1 tempo aprirne il velo. 


Poi chiamalo in dìiparle Maligante, 

Di Baodegam Ggliuolo, il re di Gorre, 
C-omandò, eh' alla plebe intorno stante, 
Doveste il tutto in alta voce esporre : 

Ed ei, passando molto spazio avante, 
Giunto al mezzo di lei, silenzio tiuporre 
Fc' da' reali araldi, acciò ch'iiditte 
Ciascuno il ano parlare, e cosi disse: 


Non vi sowirn, eh' alla isola dì Vette, 
Là ’v è più fgaarda la famosa Aninna; 
Ch'eran le nostre navi io nn ristrette, 
L’aura attendendo, che dall’ Orse sunna; 
Ch' Arturo il grande, e le sue genti elette, 
E poi di grado in grado ogni persona. 

Al sarrifìrio avean le lari intente, 

Che ’n sul lito si fea divotameote: 


Poi che noi trapassammo il nostro mare. 
Onorali fratelli, e dolci amici, 

Seguendo il sovran re, per vendicare 
I ricevuti oltraggi dai nemici. 

Già sei volte vedemmo il miI lustrare 
Del tuo ciel le mede»ime pendici ; 

K sette volle poi la sua sorella 
Tornar coogiuota alla medttraa stella. 


Che in nn momento, d’alto ivi apparire 
Vegsiam votando il fero acce! di Giove t 
E di colombe timide assalire 
Schiera, che fugge, e non sa, lassa, dove ; 
£ mentre ha di predar maggior desire. 

In questa, e 'n qurlla il erodo artìglto muove; 
Sei ne pcrrnote indarno, ad una ad una, 
Nè per pasto dì luì ne resta alcuna t 


Tal che poco a ciascun Ga meraviglia, 
Quando saprà di noi l'aito dr<>io, 

Di riveder la dolce pia famiglia, 

E far ritorno al suo terrcn natio. 

Che se la pace della gnrrra è Gglia, 

E *1 dì chiaro ha '1 oatal dal tempo rio, 
Beo par che'l giorno ornai soverchio alleiida 
A far che 1' una e 1' altro il parlo renda. 


Che tnlte sopra noi caddero a terra. 
Altre nel collo, altre nell' ali offese ; 

Dopo la festa, irato il voi riserra 
Dielr’una al Go, che la raggiunte c prete; 
E ai tenacemente io pir I' afferra, 

Che non più come 1' altre in basso scese; 
Poi con la preda sua tanl' alto sale. 

Che noi puteo seguir vista mortale. 


Ma se noi guarderemo a qoanto è stato 
Fatto ìnCo qui da noi, con somma lode; 
Le eiltadi, e il paese guadagnalo, 

E r altrui vrndirate ingiorie e frode; 

Non ci dovria parer, che indarno andato 
Sia 'I di veloce, che le vite rode : 

Anzi a Dio ringraziar tenuti temo, 

Dei molti affanni e del sudore estremo. 


Taurino allor, che di Merlino è Gglìo, 
E de' celesti ang^trii ha Parte vera, 

Tulio informato dal divin consiglio. 
Disse: Il Motore eterno d'ogni spera. 
Colui, che quanto vuole opra col cìglio, 
E fa pioggia c scrvn, mattino e sera, 

Ne promette all'impresa alla vittoria, 

£ che sovra 'I mortai n'andrà la giuria. 


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un 

Ma qaal pirroiie qui l’ aquila invano 
Lr avi colombe^ or Iroulv 1' arv, 

Nvlla tfttinia poi, 1* adunca mano 
Viiiriirice ir ’o pio, di perda prave ; 

Tale il irit' anno in qurt parar itrann 
Vrdrrm, che indarno di dolor n'apprave; 
Ha nel sellimo poi, durala salma 
Avrem di lauro, e di famosa palma. 

uv 

Or non volete adnnque, anime ciliare, 
Dell’ annunzio del Ciri vedere Ìl fine? 

Che cinque volle ancor veppiam tumare 
Cinzia, ch'or fuppa il sole, or a'avvicioe? 
Grande error certo fora il disprrpiare 
Per breve «pazio le virtù divine, 

£ tanto più che in lè rnnpiiinlo (iene 
li dovere, e I' onoee, e’I ooilro bene. 

IV 

£ perrh'io sn, come a pran (orto adopra 
Chi di sprone il drstrirr rurrcnie slrinpa ; 
Non vi voplio altro dir, se non, eh' all' opra. 
Con mapaaniino core, opn' iiom s* accinga : 
Ciascun dell' arme lucide si ruupra, 

E cui ferro il valore intorno cinga; 

Con ticarn sperar di dentro Avarro 
Dormir, di preda c di viUoria carco. 

tvi 

Ma innanzi convenevole ristoro 
AiraiTannato corpo dia ciascuno. 

Perchè frale è la forza di colori), 

Che soverchia soffrir sete o digiuno: 

Poi per discernrr meglio il -valor loro. 
Ogni pente, ogni duce, ad uno ad uno, 
Comanda il re, eh’ a lui davanti vepna, 
Con r ordine richiesto, e cou la insegna. 

Lril 

Cosi diss’epli, e*l popnl lieto intorno 
Fere il riri risonar con chiaro grido ; 
Quale il vroto, che vien dal mezzo giorno, 
Spingendo il mare al più sassoso lido, 

Ove il monte più rotto innalzi il corno, 
Preparando agii ucce! sicuro il nido : 

Poi r un r altro invitando in alla voce, 
Uuovon verso l' albergo il piè veloce. 

tvin 

Chi porge ivi naor* esca al suo corsiero, 
Chi la sella gli pon, chi addrtzza il freno. 
Chi riguarda il suo snido, chi al cimiero 
Le piume adatta, che venian già meno; 
Quel si riruopre d'arme ardente e fero; 
Queir altro chiude i suoi pensieri in seno; 
Questi ha vergogna di voltarsi al cielo; 
Quest’ altro il prega con divoto zelo. 

LiS 

Tra i privali goerrìer, già intorno al foco 
Chi legne apporla, e dii vivande appresta; 
Chi sgumbra sassi, c fa spazioso il loco. 
Ove la mensa poi sì Iniovi presta, 

Che riasciin la fatica prende in gioco, 
Hrntrc la fame vincitrice resta: 

La qual poi superala, ogni nom riprende, 
O r asta, o r arco, che virin gli pende. 


IX 

Ha il magnanimo Arturo d’ altra parte, 
Soli' ampio padiglion, che intorno ornalo 
Di seta f d'ostro, con mirabii arte, 

Ha riccamente ogni sostegno aurato, 

Dal suo diyn genrnan, quel che le carie 
Celesti ha tutte iolere rivoltato: 

F. di Gallia passato a Pandragnne, 

Difese ivi di Dio la pia ragione. 

I.X1 

Nè sol l'alta dottrina, e1 santo esempio, 
Mostrò cantra i nemici allor del vero ; 

Ha con l'arme compagno al duro scempio 
Degli Angli fu con l' onorato Utero: 

Il qual mancato poi del sommo (empio, 
Sulto d' Arturo ancor, tenea l'impero, 

Da costui dnnqne aliar dtvoln e pio, 

Fu il suo richiesto ouor rcndnto a Oio< 

{.xtt 

Dopo il qnal, con le luci al ciel rivolte, 
In atlo, e ’n voce umi'l, cosi direa : 

Alto Signor, che le noslr' alme hai tolte, 
Col morir del tuo fìgiìo, a morte rea; 

Fa, eh' avanti che in notte il dì si volte, 
L* orgoglio abbassi, che soverchio avea 
Contr'a te, cnnir'a noi l’empio Clo<las<o, 
Che dì crudele oprar non fu mai lasso. 

tzni 

Cosi detto, partissi, e gli altri anrnra 
Vanno a prender ristoro, e Tarme appresso; 
Ma per voler del re con luì dimora 
Il re Lago, di' amò qnal padre istesso; 

Il buon Triitan, rhe sovr* ogni altro onora ; 
Il saggio Maliganle, e i giuoli ad esso 
Bourte, e LtnnrI ; poi non chiamalo 
Restò Gaven, che sempre gli era a lato. 

I.XI» 

Fatti assfdcre all’ onorala mensa. 

Di preziosi cibi intorno piena, 

Or a questo, or a quel dona r dispensa 
li re, eoa fronte placida e serena ; 

In quel modo migliore, in eni si penta, 
t'.he scorger possa alcun di loro a pena 
(‘hi sia più in grado alla reale altezza, 

Ma rhe di sorte egual ciascuno apprezza. 

txv 

Quando alilo fu di vino e di vivande 
Il desio convenevole adempito. 

Disse il re Lago: Poi che 'I sole spande 
Già caldi i raggi, in alta parte gito. 

E dell'estivo di, eh' oggi è 'I più grande, 
Il quarto del ramroin quasi ha fornito ; 
Non tardiam piu di dar prinrìpio alT opra, 
£ arguire il voler di Chi sU sopra. 

ttvi 

Noi disse invan, eh' Arturo immantcnente 
Comandar fa, che le sonore trombe 
Kmpìaiin il riel di grido alteramente, 
Onde il fiume, e la valle oe rimhombe : 
Al cui mro romor, T annata gente 
Lascia gli alberghi, a guisa di culombe, 
Ch' esran fuor nell' aurora, ad ali stese, 
De' seminali campi ai danni intese. 


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l’ avarchide 

'' 


tUTU 


LXXIV 

E qoal poi di Inntan U fìamiiu «ppare, 


Ove l'Usa, e *1 Sual mischiato insieme 

Ch'a'LuKhì d«pr«dar le chiome *nole } 


|,e plarid' acque, ove si gode in seno 

Tal delle lurid'anni il Umpc|(giare 


La riera e bella Udtina, che non teme, 

Si Tctie iremolarf che muove il iole : 


rhe'l nnlrimento sen le venga meno; 

Nè Unte le itJ|(ion più belle e care 


Ov'Ulla, c Beveria! 1* on 1* altro preme, 

ilan (rondi, crlielle, Gor, roie e viole; 


Per vicinanza, in quel medesmo seno; 

Né tante ha alrlle il ciel, quanta li vede 


E dove PalriotOD quel loco ingombra, 

Geute sopra ì destrieri, c gente a piede. 


Ove 1' acque insalar si vede all' umbra. 

txvm 


Lxxv 

E come il boon pattor, che le tue gregge 


Quattro anch'ei sopra lor portava insegne, 

Sopra gli erbmi colli a pascer mena, 


Non tnen che 1' altre, di valore ornate: 

Che eoo la verga io man muove e corregge, 


Altrettante ne innalza, né più iodegue. 

Uentrc che questa ipinge, e quella afireua ; 


Agravro leeo, di Gaveoo il frale, 

4.0*1 la schiera sua governa e regge, 


Sotto cui va la gente, ch'oggi spegno 

Talor loda porgendo, e talor pena, 


La sete in Dona alle sue gregge amate; 

Ogni onorato duce, e guarda intorno. 


Dico AsMdme, e Lincolnia, e dove ÌI Trenta 

lù>nie r ordio miglior più venga adorno. 


D'irrigar pure Ancaslro s’ argomenta. 

LUX 


LXXVt 

Poi più di lotti Arturo, il re sovrano, 


Lucano, il bratto ardito, aveva qoclli, 

Firn di divino onore andar si vcde;| 


Sbollo il numero eguale alle primiere, 

li cui sembiante alteramente umano. 


Più vicini all* Avon, eh* ampi niscrlli, 

Di Giove al sacro aspetto ivi non cede, 


Nel principio assetato, veggìon bere. 

Nell' altre membra a Marte prossimano, 


E tra i colli d* intorno erbosi e belli. 

E nel petto a Nettuno, esser si crede; 


Noriiigania, e Lerestria risedere. 

E qnal l'invitto lauro ai bassi armenti, 


E Norlantona, nel mi lilo aprico, 

Tal quel dì si mostrava all’ altre genti. 


Sun Bulrone, e Coveutria, e Varrivico. 

LXX 


txxni 

Or, voi figlie rliiarissime dì Giove, 


Ha in compagnia del primo duce dtero. 

Sacrate Muse, cui niente è scuro. 


Per meglio esser condotti all' opre rare. 

Craniale a me, perch'io gli canti altrove, 


Il possente Avirago, e '1 buon Gnndero, 

1 duci e i re, che seguìlaro Arturo; 


4ìh' han, non men di Lucan, le spade chiare: 

t'.h' a narrar l'altro stuol, che seco muove, 


Gli altri popoli poi, presso al sentiero. 

Voce aver converrìa di ferro doro, 


Ove più irato di Germania il mare, 

Con mille lingue, e mille bocche poi; 


Combattendo gli scogli, alto risuona, 

Ond' io dirò quei soli, e gli altri voi. 


Verso la Cantabrigia, e rUmlinctona; • 

LXXI 


LXTVItI 

Del paese Norturobrio, ove a Boote 


Ove da molli rivi cinta intorno. 

Spande il Tiieda le sue frigid’ onde, 


La vaga Eli. qnal isoietta giace. 

E 1 tien diviso dalle terre Scote, 


Ove lieta ValjMile il destro tomo 

Là dove il Cheviula il di gli asconde ; 


lugoiubra, c ricche le sue valli fare. 

Non luiitau dalla Tina, che percuote 


Dello scettro ducal fecero adorno 

Dall* Austro il fianco, ron l' erbose sponde, 


Il possente Agrevat, che io guerra e *n pace 

Vollcr le genti aver per dure loro 


Tal cunubbero in lui senoo e valore, 

Solo il re valoroso Pclinoro. 


Che '1 vollcr tutto solo a tanto onore. 

LXXII 


LXXtX 

Sei chiare insegne arca spiegate al vento, 


Ha Ganesmoro il nero quelli avea, 

4We sotto ogni dne mille conlaro 


l'.he soli sopra l'Oceano orientale, 

Cuerrier pedeilrì; e riascua mille cento 


Di Nurlfidcia. c SufTulcia, che solea 

Cavalier d'esso, e d’altri seguìtaro; 


Mostrar fra 1' altre, che più in arme vale; 

Poi Gargautin, ch'avra tanto ardimento, 


Con quei di Nordoviro, e gli reggea 

Che *1 teneva al suo re pregialo e raro, 


Con la quinta bandiera, all'altro eguale: 

4juei di Uunelmia e Ricrìamoudia mena, 


l*ui veniva il superbo re Gaveno, 

Ove la Tesa, e '1 Vere empie l' arcua. 


Ch' alla pietrosa Orcaoia regge il freno. 

ixxm 


LXXX 

Seco eran di Darlìngia, e d'Alcrtone, 


Era Gglìtio! cnituì del gran re Lotto, 

E deir altre citladi, e ville intorno, 


E della bella Elia, suora d'Arturo: 

Per sangue e per virtù quelle persone, 


E però venti insegne avea condotto, 

t'.h' avean più il nome di rhìarczia adorno, 


Di stool più ricco assai, che io arme doro. 

Sopra cui sole quattro insegne pi>ne, 


Oud' avea troppa invidia a Laucilotto, 

t.h' a multe più di lor (ariano scorno: 


Non scudo ai par di luì forte e sccuro, 

Appresso era Aboudano Ìl fortunato, 


r.iie con ogni altro avuto ardire avrebbe 

f.he i guerrìcr d' Eboracc avea da lato. 


Di coQlrasUr, come poi seco anch'ebbe. 


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L AVARO H IDE 


32 



LIIXI 

Qoci di Cjinxlo, e di RnlTa rou lui meu, 
D' Éts«»ÌA, e Mi«lel»e»i*, dnv« c auiu 
La nccliisjima Londra e Uclla, pirtu 
De'bfD della furluiia io ogni gui»a, 

DrIU Tamigia io tu la riva auiroa. 

Che dal rur di Ciprìgoa mai divita 
Nun fu, poiché le latta in dolci lempre 
I tuoi candidi cigni a patcer tempre ; 

Lxaxii 

E gli maolien tecori dagli asialti 
I)el Britannico mar, che la ritpìtigc 
Verto il tuo fonte, a periglioti tallì, 
Quanto in due dì va rnom, che nun t'iuCnge: 
£ quei della Sutsetia, che men aiti 
Da' liti ton, che 1' Oceao dipinge ; 

Con gli altri di Surrea, pur tcgtion l' orme 
Del ra, eh* io ditti, eh' a virtù gl' iofunne. 

LXXStlI 

11 taggio Haliganle, che fa figlio 
Del vecchio Bandigamo, il re di Gorre, 
Famotittimo in arme, ma in cuntiglio 
Tal, eh* a quanti vi fur, tì dee preporre. 
Con parlar dolce, e eoa allegro ciglio 
Brgccva quei del lito, che ditcurre 
Vintuoia, e Vetta, Titola, che siede 
Al mar, citc Neutlrìa a meaxu gioruu Cede. 

LXXXtV 

AUretì di Cicettra e Bereherta, 

Là verso il monte, onde Tamigia parte, 
Ogni prude guerriero etto tegai'a, 

Con «ette tue bandiere alT aria tparte : 

Fui di Dorccitria, e di Sarisburia, 

Sul lito pur della medetma parte. 

Menar Gerlletio, Ottorìo, e Fratutago, 

Con quattro sole intcgiie il pupol vago. 

LXXXV 

Indi vìen Goiiemante il core ardito, 

Con quei di Sommerteto, e dì Devuna, 
Che poste ton tra Tuno e T altro lÌto, 
Ove il mar dì Boote e d' Austro tuona; 
£ d' alireltauta gente era fornito, 

Che tutti tre quei primi, e non mcn buona: 
Creuso il Senrscial veniva poi, 

Che '1 lerao piu di lui menù de' tuoi t 

r.xxxvf 

Ch' cran della Curuubìa, ore più sporge 
Al sito orcidetiial, verso la Spagna, 

£ dove più vicina e dritta acorgr 
Di qua dal utar, TArinurira Brettagna; 
Ma quei della Siituallia, che più sorge 
Dritto al Selteiitrion, che 'i mar non bagna, 
Uve il iVtnbrtico poi>olo, a Miiforle, 

Nun pensò mai trovar dì té piu forte. 

Lxxxru 

Ebbero in duce loro il forte Ivano, 

Che 'n fra quattro stendardi gli divide; 
poi Meliastu, che in beltà sovrano 
A ciascun altro fu, che mai ti vide, 

Fuor eh’ al figlio onoralo del re Bano, 
Ch' ebbe in tulio le stelle amiche c fide ; 
Nacque cutlui d' Agiate, e dì Campo, 

Ne mai simile a lui fu inoauzi o dopo. 




tXKXVUI 

Ma perchè la beltà fu in batto stalo, 

E Tela gioviucUa auco il premea. 

Fu d' una tuia insegna accompagnalo, 

Che di Slrumorra, e di Norvallia avea ; 
Mandrino il taggiu, che *1 segiua da lato. 
Menava quei dell' isola Aoglitea, 

Con gli altri di Bangarìa, ed ha la terza 
Bandiera sopra lor, ch'ai vento scherza. 

LXXIIX 

Taurio che di Merlino era ficliuolo, 

E dell' arte paterna dotto a pieno. 

Degli uccelli ostervaodu il gusto e'I volo. 
Prediceva le pìoggic e *1 cìci sereno t 
Quante stelle sustien questo « quel polo, 

£ qual propria virtù chiudano in seno, 
Conuscea in lotto, c '1 corso de' pianeti, 

£ quai fossero a noi dogliosi o lieti. 

xc 

Egli in somma vedea cosi ’l futuro, 
Com’ogni altro il passato, o quel ch'ha innante: 
Due frali ha seco, a cui Don giace oscuro 
D'erbe valor, di fiori o d'altre piante. 

Né di morte puleo T artiglio impuro 
Sopra alcun mai, eh' a lor venisse avante; 
Con T onde ciliare, o cuo radici sole, 
Risaldaudo ogui piaga, o con parole. 

xei 

L*nno era Pellican, T altro Serbino, 

£ lutti tre sei insegne aveano insieme. 

Di Landaffi, c d' Lrfordia, che '1 confino 
Tra T Uvaliia, e Cormibia addentro preme; 
Con quei die 'I fiume Logo hao per vicino, 

£ l'ondosa Sabrina, ov ella geme, 
Scendendo al mar, che in uccidente guarda, 
£ cui lorbo reflusso la ritarda. 

XUI 

Gli altri intra qnella, e *1 corso delTAvone, 
Di Glicestra, Sufurdia, e di Yigorna, 

Sullo il quarto onuratu gonfalone 
Mandoro han primo, che la schiera adorna. 
Perdi' ha di ben condurla ogni ragivue. 
Quando innanzi s'addrizza, o iudìelru torna, 
Pure riesser Costante c Vcrtigero, 

Clic gli fosser compagni a Ule impero. 

xeni 

Mena in guerra Urian quei di Lircslra, 

£ quei di Dcrbia, ove bagnando il Trenta, 
Questa lassa a sinistra, e quella a destra. 
Non lunge al niuule, onde rnscel diventa, 
E per la piaggia sterile, e silvcstra, 

Per sassoso cauauin rattu s'avventa; 
Cinque insegne ha spiegale, e 'n compagnia 
Condevallo, c Cunon seco venia. 

ZCIV 

Quanto ha Lanraslru.e quanto intorno gira 
Dopo il fiume Bibel, viciuo al mare, 

Che 'over T occaso, e nell Iberela mira. 

Col buon Laudone, il destro volle andare: 
l.umhria, e Carlela, che più ali' Orse lira. 
Là dove il Cbeviata in alto appare, 

£ dove all' Ot-ean passa Solveo ; 

Brun senza gioia per suo duce aveo. 


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33 l’ A V A R C II 1 D E 


*c» 

PorUo sci >DM|QC ì due, ma Telamoro 
Condace quei, clic *on luii|;u il Tneda, 
Tra Laoduiiia, c la Marcia, che 'n fra loro 
Vc)(|cioo Furtca del mar latoo»a preda, 
Cult quei di FilTa, ove io ni l>cl lavoro 
Ila tempio il divo Andrea, di' a aulto ceda; 
Con gli altri d' Edimburgo, e di Bombaru, 
£ Ire iuiegue fra tutti alte apiegaro. 


eli 

Quei da Loquabria, che *1 medcsno Nessa 
Van seguitando pur, oel Grampio munte, 
Ove la selva siirge assai più spessa, 

E Sun le fere più mordati e proulc, 

Ilao la cura di lor larga rimessa 
In Brallcno, il guerrier d'altere e conte 
Virtù ripieno; e <|uattrn iosegue spiega 
Air aura io allo, ch’or le drizza, or piega. 

SCVl 

Quei d' Atolia Alibello bau per suo dure, 
Coi compagni, che sua tra '1 Tavo e l'Erua; 
£ di Maruia, e d' Angusta, rhe conduce 
La fronte iunauzi, die più 1’ onde scerna; 
Due imegoe porta sole, e quel, che luce 
Di ricdieua, eh* avanzi o^iit moderna. 
Dico Argaituru, meua quei, di' avea 
Tra le sue foci io mezzo Dona e Dea. 


CUI 

Amillan quei d' Argadia appresso mena. 
Ove pin verso Iheniia esce il Novanta, 
L'aalK’u pnimonturio, a cui l'arena 
Bagna il padre Ocean dal terzo canto ; 
Tre insegne ha sole, e quel, eh* al mondo ha 
Gloria sovra lutti altri, e purla il vanto (picua 
I)' esser io correr lancia ardilo e ibilto, 
Fuor solamente il chiaro Lancilolto ; 

XCTU 

Sei meoaiosegne.'c'l buon Malchino il grosso 
Quei di Muravia, e di Canori! ha seco. 
Là dove è il Flirto di salute, scosso 
D' ogui scoglio, che sia topr* acqua, o cieco; 
Ove non fu mai d' àncora rimosso 
Legno, per vrnlu oubiluso c bieco : 

Lì di Nessa, e di Nardo 1’ acqua beve, 

E di Liudurna poi Irauijuilla c leve. 


CIV 

Io dico di Norgalie il cavaliero, 

Che meua quei di Glasro c di Dunihlano, 
Pur lungo il Grauipiu, ov' ci circonda altero 
Lomundu, il lago, che gli assiede al piano, 
E di molte isuìclle lira l' impero, 

Colme dì genti, rhe non stanno io vano, 
Ma con quattro bandiere il forte dure 
Seguono, ove a gran gloria gli ruodure. 

acviii 

Quattro insegne ha di lonFinasso il bianco 
Ha quei dì (.atanesia, e di Storlanda, 

E di Traveroia, che si scorge al hauco 
L' Orcadi, ove più l'ali Burca spanda; 

Ivi l'esca domestica vien manco. 

Ma sol fere selvagge in luce uiauJa; 

Onde a furuìr la iiicnsa fa uicstiero, 

Clic sia *1 pupul più d' altro ardilo c fero. 


cv 

Taulasso vien dappoi della inoolagna, 
Cron quei di Gallovidia, eh’ liaii |a sesie 
Sopra il mar detto Hìn, eh* a Ioni» bagna 
Il promontorio Mute, che st vede 
SoUru yicin, che oell' Oceano stagna. 

Poi cacciato da quello, indietro rirde 
Presso all'isola Mona, e questa genie 
Hau sopra lor tre iusegue sulaiucnte. 

XCIX 

Com* et son senza par, che quasi ignudi, 
Al più gelato cici, lueuan la vita; 
Prendono i cibi Sanguinosi e erudì; 

La terra è il letto, cb'a posar gli invita; 
Nullo é, di* a Bacco s' affalichi, o sudi, 
Che la più seuiplicc acqua è più gradila. 
Di questi adunque suo quattro baudicre, 
E di dardo ciascun, c d* arco fere. 


CTI 

Il Imon re Lago poi, che d’aniti grave, 
L' uuicu suo figliuolo ha seco Eretto, 
C.onduce quei dell' Orradi, doud' ave 
Lo si’cttro in mali d' imperadure eletto; 
Deir Orcadi, ove il sul, se 1 verno aggrave, 
In lai hrevìssim* ore ha il di ristretto, 

Ch' a prua visto si ri|>on tra 1’ onde, 
Poscia all' estivo ciel poco s’ asconde. 

c 

Bandegamu, il fralcl di Maligaiile, 
Che dei padre onoralo il nome purla. 
Famoso tiiice e cavalteru erraute, 

Al pu|Hil di Rossia fo fida scorta; 

Ed a quel della Lotia, ch'ha d‘ avaole 
L* Ebridi, verso il sito, die coufurta 
I fiori e r erbe a Irar la fronte fuura, 
Là ver r aprii, cuu la sua tepid' ora. 


CVil 

Stanno a guisa di cerchio aggiunte insieme, 
Pur d'assai puro luar fra lor disliute, 

Ove più r aquilone iuloruu geme 
Al sen Deuralion, che P ha rinate : 
Pomoiiia è la maggior, rhe *1 mezzo preme 
Delle Ireiit’ una, ciie di gloria ha vinte; 
Benché famosa é pur Bure e Henolse, 

Che *u vèr la Calanesia più s' accolse. 

et 

Ivi tra boschi stao paludi e lagliì. 

Che Nrssa, e Nardo con Liudurna fanno ; 
Ha di pcsr.i e di cai'cic assai più vagló. 
Che di dare al terre» d’aratro affauiio. 
Cui iiullo è, che sementi, u che l’ impiaghi. 
Ch'ai culto naturai cuiileuti slaunu : 
Quattro insegne ha spiegale di costoro, 
Ch' bau pelli iulorno di selvaggio toro. 


CVIIl 

Era il niedrsmo {uiì signor di Tile, 

Ove più varia il di, perchè oun pare 
(tiamuiai tal volta, e poi cangiando stile, 
Molli coesi di luna aperto appare: 

Regge anco 1* Irta, cni nulla é sìmile 
Dì grandezza fra lor, eh' é senza pare. 

Ma più ver 1' occidente s* alluiiUtia, 

Uve ancora è dell' Ebridi sovrana. 


3 


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A V A R C H 1 U E 


SoD del tnrdrsmo poi Lrnì»sa r Sciita^ 
Molto a quelle virine, e Min tli»giaat« 

I)a li breve ronfin, Hie ti tliria 
l’na, e »e forte due, troppo conpmnte: 
Or il tu» vrrchìo re lo ttiiol iritiiia, 

Di fido e ver<» amor I' anime punte; 

E ben tedici iotegne lianim ipieeate. 

Le più vaglie di tutte e uieglio ariuale. 


Menù adunque Baven qnei, rhe li itanno 
Tra la Srhelda, e la Mota iu tu la foce, 
Ov' liati tempre temenza, e tpetto danno 
l)el furor di Neltuuo, rh* aitai nuore: 

Ne il Baiato valore, oiid’rtti vanno 
Superbi tra i viriiii, arpro e frrure, 
fili può .«ratupar, che ben lovente vede 
Di petei albergo la nativa tede: 


Poteia di qua dal mare, ove ti ilendc 
Della Galba il famuto e bel paete, 

Quaulo la terra Annorica comprende, 

E dal Britanno ten riceve ofleic. 

Dal loco, ove iiiperba Era gli rende 
Dell' onde il dritto, rhe 'ii Grbruua prete, 
Fin nella foce, ove ditceiide Olina, 

Cir al nioute di Michel dritta t incliiua ; 


Sei interne ha di cottor : Neitor dì Cave 
Ha quei ; più lunge poi di tal periglio, 
Ove rarra é di merci, e d' oro grave 
La rirra Anverta in popolar contiglio, 

Con le vaghe cvllà, che vicine ave. 
Guanto nel «angue tuo lalor vermiglio, 
Bruggia,e'l dotto Lovan, di a buoni imegna, 
De' quai tutti portò la tetta iniegna. 


Fbbiditce all' impero di Trillano, 

Del re Meliadutie il germe clcllo ; 

A cui del pupol tuo ripone in mano 
Lo teettrf) il re, che ti citiainava Ovetto: 
Dì f ui ‘1 padre onorato era germano, 

£ di tempo minor, ma più perfetto : 

£ con dodici ìntegne era venuto. 

Per dare ai campo al maggior uopo ajulo» 


Né mrn n'ha Liooel dell'altra parte, 
C.h'atqnanlo all'antiro, e roreideiite inchina. 
Ove >on le famose in molte carie. 

Tra gli Ambiaui, e la Samarobrina, 
Atrebati, cittadi intorno tparte, 

Ma loMlane all'odor della marina: 

Dopo costui seguitano i quattro figli 
Di quel, che ebbe dal del gli aurati gigli. 


Però che ’l di medetmo arrivai' era, 
Che’ntra' due primi fu l'amara lite l 
Bluuiberiste, e Blanor menano schiera 
Di genti, a quei per vicinanza unite 
Della famoia Neutlria, dove altera 
S' accompagna la Sena ad Anfitritc 
Con tommo onor, ma in tutto ciò ti sdegna 
Di lattar il terreno, ov'clia regna. 


Dico del re de’ Franchi Clodaveo, 

Il primier, che fra i tuoi conobbe ÌI vero 
Del mondo Salvator, che tcarco feo 
L’ uman Irgnaggiu del mortale impero: 
Quelli per vendicare il torto reo, 

Ch' a Lancilotto fra Clodatso altero, 

Gli mandò vulcuticr con quelle tebiere. 
Che più armate, e miglior potette avere. 


Di tante alme eillà fiorite e chiare. 

Sei iole iosrgnc han treo de' tnigliori. 
Che'] posteule Buan non vuol restare, 
Senza i tuoi, preda a' barbari furori. 
Gostanza, c I* altre poi più presso al mare. 
Ha il consiglio aitermato de' maggiori 
Dì mandar pochi, e bene ati in battaglia, 
E DUO pupui maggior, che poco vaglia. 


Childeberto il maggior di quelli é dote, 
Che'n mezzo pasce all' onorala Sena 
Lutezia la reai, d’ ogni altra luce, 

Lutezìa d'uro e di virtù ripiena; 

Lutezia, ov’ ogni beo piove e condocc 
L'alta celeste possa e la terreoa; 

Con tiiltu 'I pufHil poi, di' ella ha d* intorno 
A farle il tea d'uxni bellezza adorno. 


Coo 1' Amoral di Gallìa, e Pcrtevalle, 
Fu numero altreltaotu t'aecunipagua, 

D' abilatur delia spigusa Valle, 

Che la Iranqnilia Somma irriga e bagna, 
Con quei, che dalla fronte e dalle spalle 
Uroanu i coiti, e vesloo la campagna 
Verso i Calesi, r gli ultimi Monni, 

Che le Brittaunic' onde haii per cunfiui. 


Le genti di Suesson mena Clotaro, 
pur del gran Cloduveo figliuot tccondo; 
De' Remi ancora, ov'è’l terreno avaro 
D' alberi, ma di spighe assai fecondo ; 

1 Brllovaci poi, con gli altri a paro, 
Purgon le tpalle all' onoralo pondo: 
Clodamiro di quelli arma la schiera. 

Che bevuu 1 acqua, oude superba c l’Era. 


Baveno a Lanrilnllo assai congionto, 
Siccome Bloutberiste anco c Blaiioro, 

Non volle, nè quei due, mostrarti aggiunto 
All ira Mia, perché tlringea costoro 
La fé, eh' a Arturo diedero in quel punto, 
t/ir ebbero spruui e spada, e cinto d oro, 
r.ome molli altri ancor, con qnei legati, 
Che per cavalleria furo alorzali. 


Seco mandò la nobile Urlicnte 
La chiara gioventù, che'n lei fioriva; 

Con latti ptii delle tue selve immense, 
Abilatur Ira 1' una e I' altra riva 
La regia Blei, la vaga Ainbuosa, arcrnse 
I)' amor il verde lauro, e non d'oliva; 
.Seguono il duce lur, con tanta fede. 
Come alla giusta impresa >i richiede. 



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3 ? 


L AVARO II IDE 



rixm 

Tradnrico U quarto ha quei piò Inn^tr 
Tra la Ua^rlla airu&ì, e Ira la Moia; 

] LoUrrìn^hì, e fili altri, rhe «JÌ5|tiua{^ 
r.i>n la froute Vu»rpo in allo omhrota; 
Vormr, Argenlina e Spira, dove aj;sìuage 
L'altero Ben con la tua barin ondoia : 
Ciaacun tedici interne sole accolte. 

Che di pari oaorar|'li il padre volse. 

CXXX 

E tanto pin t'accendon, poi che tanno 
Che '1 Goto imperalur molli iu aita 
ila mandati a Clodasto, e pastai' hanno 
Per TAipi aperte, c per la via più IriU; 
Ond'etfi allor senza timore o danno 
Gir nun potean, che loro era impedita: 
Betta solo il cammiii sicuro in mare, 

Che nuovo, Inogo, e perigl?bso appare. 

cxxhr 

Venne con lor Sicambro, il dnre aniirn. 
Che i quattro f;iovÌneUi in finardia prende: 
Otiorìu ha leco il tuo perfetto amico, • 

Che del tanfue medesimo discende; 

Quelli passar per mezzo rinimico 
Lito ftcrman. rhe quanto può difende 
Quei di Clodasto, e senza tema, o danno, 

11 Hen, mal grado tuo, superat’banoo. 

cxxxt 

Ha la chiara virtù, eh' è scorta e chiave 
D* ogni serrato varco, gii provvide, 

Ch' ove r Arno va in mar, non mancò nave, 
Ma molte oe trovar sicure e fide; 

Vroli oe appresta, e fa ciaicuna grave 
D'una sua insegna, oUra i nocchieri e guide ; 
E*1 chiaro ciei, eh' a’ bei disegni aspira, 

0 TEuro, o )' Aquìlon di e notte spira. 

cxxr 

Però rhe di Francooia, che ti giace 
Lungo r Ircinia, atl’oiMle del Mogono, 
Sola al tao Cludovco figlia verace, 
Come ti conveni'a, parlili tono; 

Che de' tuoi più nemici ivi dì pace. 

Di venti chiare insegne ha fallo dono; 
Poi cou lor Ueroneo venne c Lotaro, 
Ch' agli Alemanni in guerra eomaudaro. 

CXXXII 

Così il Ltgiiro, il Gallo, mare Ttpano 

Trapassando veloci, e 1 Frelo ancora; 
Volgonti presso a Gade a destra mano. 
Con T anstro addietro, rhe lor presta 1' óra; 
Il Promontorio sacro di lontano 
Lassando, e '1 Nerio, e ’l Cantahro di foora, 
L' Aqnilania, e TArmorica riviera, 

Scesero al fine a Naote sopra T Era. 

cxxvi 

De'qnai sole otto iusrgne spiega a) vento, 
Sendo la gente lor ridotta a poco. 

Che *1 nntnero miglior allor fu spento. 

Che 1 franco Cloduveo, con ferro e foco. 
D'etti oppresse il furore r 1’ ardimento. 

Dì libertà tpogliaodogit, c di loro; 

Ha quei, cui perdonò, fede e valore 
Gli motlrar poscia tempre, e puro amore. 

cxxxm 

E già '1 terz' anno area rivolto il snie, 
Che sotto Arturo fea mirabii prnove i 
Lanriloito non v' era, onde si duole 
Ogni nobii gnerrter, eh' ivi si Iniove ; 
Staisi irato da parte, e veder vuole 
Il fin della battaglia, che ai muove; 

E i suoi, chc'n «liece indegne avea compresi, 
Tulli suo di diversi e stran paesi: 

cxxni 

Pretto ai quattro fratei del manco lato 
Ne veniva il cluaritsimo Boorte, 

D'un fratcl del re Bauo in Cave nato, 
Nè molto mcn di Laocilolto forte; 

Del paludoso Angiò, d’ arbori ornalo, 

K di Torti fruttifero ave scurir, 

r.oQ quanto abbracci d' ogiiinturno l'Era, 

£ d*olU> piene iuicgne adduce schiera. 

CXXXiV 

Di Germania, di Gallia e dì Bretagna 
I miglior cavalieri, e pien d'onore, 

Chi della bella Italia, e chi di Spagna, 
Dell' alte tue virtù corsi al remore ; 

Non ha invidia fra lor chi più guadagna, 
Ma chi mostra più ardire, e pìii valore; 
Molti ha di Gorre, e molli tuoi cugini 
Di fierri, e d' altri luoghi a lui vicini. 

CXXTIII 

Dopo colini teguia Fiorio il Toscano, 
Che nobilmeote sopra t' Arno nacque, 
Virino al chiaro moole Fìesolano, 

Ove perde Mugnone il nome e Tacque; 
Che giovinetto già •' oppose tn vano 
Al golìco furor, ma vinto giacque; 

Né potendo soffrir quel fero giugo. 

Si dispute a cangiar fortuna e luogo. 

cxxxv 

Ua sopra tulli i suoi, più iliusti furo 
Quei cjvalier, rhe liberali avea 
Delia dogliosa guardia, ove in oscuro 
Silo, Tempio ca»lcl chiusi tcnea. 

Poi quel fresco di forze e d* anni duro. 
Chiaro Lambego. il tutto corrrggea; 

E '1 segni sempre in ogni «ua fortuna. 
Che uudrito T avea fin dalla cuna. 

CXXIX 

E con tutti i miglior di sangue e d' opra. 
Nel paese onorato a Ini vicino. 

Intra '1 Tebro, e la Magra, ove '1 mar copra, 
£ la nevosa fronte d' Appennino, 

Con pregar tanto, c eoo promette adopra, 
Che gli conduce a mettersi in cammino 
Di dare al grande Arloro allo soccorso, 

Il cui nome rcal per tatto è corto. 

CXXXVI 

Non v' era anco il possente Galeallo, 
Che Lancilulto suo ami può lassare, 

E fatto ha conir* Arturo il cor di smallo, 
Per l'ingrato voler, che in esso appare; 

£ vieta, che non vadano alT assalto, 

Ch'ei sente contro Avarco apparecchiare. 
Le sne genti, rhe seco avea menate 
Dall' isole luoUoe Fortunale; 


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L AVARO n IDE 


rvxxvti 

Dì Cernr, e ii' AutoUa, drll'alire molte 
E*per»di, r«Ì '1 sui la fronte preme, 

E (Irli' ultime terre più rivolte 
Delfnerldeiite «u le piafi{:ie estreme, 
t^h'a laole altre ttolelle in seno arrolle, 
Che r Icam e I’ K|teo n* bau meno inaiente, 
Tra ’l Breltoa Cavo, e 'I Frelo Mapagliano, 
Là dove appari il ^ran TemistiUiio. 


cxxxvni 

Ma il popoloso nutnero, e ’nfinito, 

Che dal terreo naiio primiero vrnue, 

Poi che fa eoo Arinro in pace iiiiilu. 
Rimandò nel suo rr^nn, e m>I ritenne 
Venti insrpoe di tutte, ed ha seguito 
Mai sempre poscia, ovunque il rammio tenne, 
Lancilotti>, di cor sì atnìeu e fido 
Che di Pilade antico avaoxa il grido. 


(’^ti di questi due Ir genti sole 
Manravan tra color, eh' a guerra vanoo. 
Che io pace, or sotto roinltra, or sotto il sole, 
Or rtirrendo, or luttaodo a rerchin slanuo; 
Ma il mapnaottno Artur», un nuovo sole 
Mei gionin più serra del più bell’anno. 
Sopra un fero cursìcr d’altere membra 
(.Oli r Armi lucentissime risembra. 


Una candida insegna solamente 
Ha innanzi, ovunque sia, che in alto porta 
Caradowo Brrbassn, il re possente^ 

Alla qnal va d' inlorno, e (aee scoria 
Numero senza fìn di nnbil gente, 

In arme ardila, e nel imnsigliu accorta, 

K latti cavalieri, or questi furo 
I regi, e capilau, di’ aveva Arturo. 


Ma dimmi, o Musa, In chi *1 più perfetto 
Cavaliero, e destrier fu in tutta Toste? 
Dei destrier fu quel da Sicambro eletto 
Nell' aspre regioni all’Euro poste. 

Su Tonde d' ELro, aliar rh’ al giovinetto 
Giustino ìinprrator fiir T armi opposte 
Dai Tartari virin, eh' egli il soccorse, 

E cu’ Franchi, eh* avea. Palma gli porse. 


Ch'olire a moli' altri don gli la cortese 
Di questo nobilissimo destriero. 

Ch'ai par de’ venti al corso si distese. 



Ma il rampo tnlto io arme insieme aecotio 
Mostra eoi sno splendor, eh' arda il terreno, 
E ’l romore, e T andar del popol folto 
Tremar fa il loco, che! riceve in seno} 
Come là negli Arimi, ov' é sepolto 
Vivo Tifeo, tra ’l Sipilo e ’l Celeno, 

Ch* ad ogni aeeeso fulgor, che’l percuote, 
Di spaventoso suon la terra Kuole. 


cciv 

Corta è in Avarco la veloce fama, 

Ch’ Arturo io arme a lei rivolge il passo; 
Tosto il consiglio paventoso chiama 
Dei miglior duci e cavalicr, Clodasso. 

Chi le mura guardar sectiro brama. 

Fin che veggia il nemico afliitio e lasso ; 
f^hi vuole, uscendo pur, presso alle porte 
Porsi in loco, che sia vallato e forte. 


CXLVI 

Ma il chiaro Seguran, eh* a nullo cede 
Di valor, di prodezaa e d* ardimento, 
r.on orgoglioso dir già muove il piede 
Verso le porte, e T apre in un momento: 
Spinge ehi tardo va, muove ehi siede, 

A chi non mostra ardir mette spavento; 
Fa sonar d' ogn 'intorno altere trombe. 

Si che T aria e la terra ne rimbombe. 


CXLWt 

Veggionsi qninri e quindi arme e destrieri 
Con fretta rilrovare, e muover d'aste; 
Quei, che vili eran pria, divenir feri, 

St che d'ano il valor per molti baste: 

Ma i vecchi infermi, e gli altri male interi. 
Le madri pie, le verginelle caste 
S* atlerran supplicando ai sacri altari. 

Che gli difenda il di dai danni amari. 


cxLvm 

Nella parte d' Avarco alT Occidente, 
Che d’alquanto nell' austro sì rivolte, 
Lontau, come potrebbe arco possente 
La saetta avventar solo in dne volte. 
Giace un piano arenoso, ove sovente 
Inonda 1' Eneo, alle gran pioggie e folle. 
Che gli viene a man destra r sì distende 
Dove un eolie alla fronte assiso pende ; 


cxiix 

l] qnal detto dal vulgo è Sabbinniera, 
Perche tal la natura T ha mostralo : 

Ivi adunque adunar eiaseuna schiera 


Grande olir' a modo, e bel, forte e leggiero; 
Securo e lido in perigliose imprese, 

PrrcIT al freno era uttiile, all'arme fero: 
Tra i eavalier di tutti era sovrano 
Il possente c chiarissimo Tristano: 
cxuii 

Però rhe Lancilollo ir! non era, 

Ch' avanzava ciascun d’alto valore; 

Nè ’l suo cavai, di cui del sol la spera 
Non vide, o vedrà mai fi>rs« il migliirre ; 
Ma quello io ozio con T amica srliirra. 

Di crucciosi pensier nodrisce il core, 

E ’l buon enrsier sotto T albergo ombroso. 
Tra la paglia e tra ’l Geo preudea riposo. 


Fa il forte Seguran dal tnanro lato; 
Venne egli il primo, ed ha la gente fera, 
Che dalla fosca Ibernia avea menato, 

D’ UlloDÌa, di Moniooìa, e di Lagina, 

E di Coooaccta, cb' all'occaso inchina, 
et. 

Ha seco Bandnin, di Persia detto. 

Con Ideo ’l forte, antichi cavalieri; 

Vien Palamede poi. Tallero petto, 

Ch' avea di tutte T Ebridi ì guerrieri. 

Ed a lui degnamente dier soletto 
Di quaranta c Ire isole gli imperi : 

E non disdisse a Ini Tlla, e la luna. 

Che pur raro, o non mai cede a persona. 


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l’ avaro H IDE 



CU 

VifB GallIraDte poi «li Gtron 
T)i Gìroor il (Uirlr«r, il ma^rpìor «liir», 
f'itr giammai foMir, d* armr o di rofltiglio, 
K di vrra b«inlà divina hir«, 
r.li’ur pianprria, «e rua l'auralo giglio 
Non vcdrue Ì1 figli itol, di' oggi rundure, 
Srgiiran tuo nigin, ruutro alle squadre. 

Le qua! più che »c atcsso amava il padre. 


ctvm 

Diè Rossano, il selvaggio, dorè a* suoi, 
Che fu sempre fra lor dì sommo onore; 
L'altra, che eoi Danubio scende poi 
Tra '1 Savo, e ’l Sao, Pannonìa inferiore. 
Fortunato, e Grifon fer duci voi, 

Perdi' odiaste Tristan d'acceso corei 
Poi di quei tra 1' occaso e *1 mezzo giorno 
Gente infinita avea Cludasso intorno. 

CLir 

Fu il o«)bll gìovinrtio capitano 
T)i quei di Mona, l' iiola, cui bagna 
D* Ibcrnia il mar, ch'ai Ilio pru»»imano 
Qaaii cuQgiunla appar con la Bretagna: 
Poi di paeie e popolo lontano, 
r.h' altro cerchio rirnopre, allr* onda bagna. 
Venne Broooro il Nero eoa la »rhìera 
Di quei che ton tra *1 Reno e la Vìtera. 


CLIX 

Quei d' Aqnilanla in ent t* Oceano inonda 
Pirene, e '1 promontorio Cuciano, 

Ove Atnn'a, e Sigmen riversa l'onda, 

Non mollo l'un dall* altro di lontano, 
Mena Nabon, che nacque alla sua sponda, 
Del Visigoto sangue e dell'Alano, 

Che Rosiiinnda la bella era sua madre 
Ch' Alarico di lui fece esser padre. 

etiti 

DeirUafalia, c di Fri«ìa, ove io mar rade 
La torba Amaaia, e quei due primi insieme: 
Di quei, che luogo 1’ Albi ban le conirade, 
Che la >elva Semana adombra e preme, 
Tiiringiì, c Hiioii, e per più baue lirade 
Di Braosvir le fredde parli estreme, 

Mena le schiere il fero Dìnadaoo, 

Che di Bruooro il Nero era germano. 


cix 

Mrni'i la gente Terrigano il grande 
Del fertile Sanlonge e del Polliero, 

E dove a Burdigallia 1* acque spande 
L’ ampia Garona, con sembiante altero: 
GII altri, che son tra le pietrose lande 
Del terrea Limosino alpestre e fero, 

Di Caors, Perigatto, e i vicin loro, 

Ilio per duce il valente Palamoro, 

crrv 

1 Sassoni, che pur tra l*Albi e 1’ acque 
Del gelato Snevo han fred<b sede 
VoUer dure Farao, che tra Inr nacque, 

E di barbaro orgoglio a nessun cede; 

E cui la cortesia cosi dispiacque. 

Che virlude estimava il romper fede : 

Gli altri di Schletia sopra il fiume Odero 
Ebber per capitan 1’ ardilo Estero. 


Ct-XI 

Poi seguendo a levante i Pirenei, 

Dov' è la famosisiìma Tolosa, 

L'onorata Nerhona, che eou lei 
Contese no tempo, e ne divenne odiosa ; 
Ma piangea seco allora i tempi rei. 

Che 1* avean posta in servitù noiosa. 

De' Visigoti sotto il dnro impero, 

Che diè lor capitan T empio Agrogero. 

et» 

I feroei Boemi, eh' entr'al seno 
Della frondosa Errinla asrosi stanno, 

Della fontana il nobile Dnimeno, 

Per condoccrgli a guerra, eletto s'hanno: 
Quei di pomeria, a cui bagna il lerreoo 
L' Oeean dove a lui correndo vanno 
La Vistula, e F Orici, per rapo e dure 
Hanno Arvino il felloo, che gli conduce. 


CLXII 

Gli altri, che son su !' onde di Rnseena, 
Drir Orino, e di Latago assai più presso, 
Ov' al Gallico mar la torba arena 
Rodan col doppio corno avvolge in es«o, 
E *a ctii stagnando l'acqua, intorno piena 
Di trista inipression fa 1' aria spesso, 

Tal che Nrmauso, e Morapelicr ne piange, 
Che '1 frenalo Nctlnno ivi non frange. 

etn 

L'Assia, ch'ai monte Anobe in mcizo giare, 
E qna.<Ì sopra il Ren dritta si stende. 
Tutto il popol vicin, eh* a lei soggiace. 
Fa, che 1 Nero perduto in guardia prende. 
La Suevia avversaria d'ngni pare. 

Più verso TAlpì, ond' il Danubio scende 
Tra j Vindrliei, Rrzii, e 1* £no, c Lieo, 
Presero il duce Brouadasso antico. 


ctxin 

Ebber dare Galindo, e quella gente, 

Ch’ olir' all' Ostie del Rodano ha Provenia; 
D' Arli reai, cb' allora ebise, e sovente 
Sovr' ogni altro vicin somma eccellenza ; 
D'Acqua Seslia e Marsilia, eh* altamente 
Già manienea la greca riverenza. 

Tutta per capitano avea Margondo, 

Ch' a nessnn' altro in arme era secondo. 

ctni 

n Norico tcrren, eh' all* occidente 
Ha ronde d' Eoo, e dal settentrione 
Riga li Dannbio, e 'I cinge all' oriente 
Il C.ezio, eh* ha nevosa ogni slactooc, 

A Bnstariao il grande, la sna gente, 

Nel qual mollo si fida, io guardia pone: 
L' Austria, che stende il suo valloso piano 
Dall' latro e*l Narabone al giogo Albano, 


etxir 

Menava Graccdon della Vallea 
Quei, eh'a levante son tra ’l monte e '1 mare, 
Ov* ha il porlo Tolon, che te' potea 
Meglio i venti schivar, non avea pare, 
Ov'il Foro di Jiilio ancor piangea, 

Che pnre allor tante memorie chiare 
Fnro in lai tutte spente, e poco meno 
D’Antipoli faceva il iito ameoo. 


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CIST 

Quanto riloroj poi v«r»o Boot«« 

Che più luupe a Nrtluon rl>l>e la tede» 

Ovr ne] *ru de) Kotlano li puotc 
Veder Sorga e Diirenza, che l'auiede; 

E dove al fianco rapida percunte 
Litera, e di »è ileiia Ìl face erede; 

Qui Valenza gentil lasiaodo a tergo, 

£ là il «acro Avignoo, dì venti albergo. 

Clan 

Con quel, eh’ ad e>ii d'ogn* intorno giare 
Diede a* suoi rapo, e dure Matanai^o. 

Ciò che più all' Alpi gelide foggiare. 

Dell' Allobroge valli a) chiufo pano. 

Ore al faggio Granopuli non tare 
La Li«era, rhe viro dì lasio in fatto 
Fino alla nobii Vienna, Ita la sua irblera 
Donala a Maraboo della Riviera. 

CLvrii 

Con Sitmoodo da poi ino primo figlio, 
Vien Gunebaldo, il fero Borgognone, 

Che del fangiie fraterno era vermiglio 
Tre volle flato, e funne empia cagione 
Perfìdia, e crudeltade, e rio roufigiio 
Di torre a qnei le debile corone; 

E menar tutti quei, che'nlomo stanno 
Di Sona all' onde, che si dolce vanno. 

rLxnii 

D'altri popoli appretto, e d' altra parte, 
Della Borra Signor venia Vcrrallo, 
Menando quei, ch'ai mezzo giorno parte 
Dai Galli il Pireneo, dov' è più allo; 

E del Canlabro Creano Tonde iparte 
Ai Colli Bisrain dan fero asfalto, 

Con quei d'Auftria, a cut tra’ sa*st e Tacque 
L’opera paskiral piu d’altra piacque. 

ctxix 

Quei dell* aspra Galizia han Ferrandone 
11 Pover, ch'ebbe io rnan tutto il paese, 
Che da'Havanei monti t' interpone. 

Fin dove il fiume Linìa il corso stese. 

Ove ìl gran Promontorio al mar s' oppone, 
Che dal fin della terra il nome prese ; 

Gli altri, che d' indi van sopra il Duero, 
Mena Calarlo il picciolo, ma fero ; 

CLXX 

Con quei, che bevon di Pitarga 1 onde, 
Aiturga, e Borgo, e di Palenza appresso, 
E di Nazera ancor, che si natcunde 
De'monti alTombra,ondVl Navarro oppresso. 
Quei lungo il mare infin là, dove ahbonde 
Il Tago d'oro nell' arene impresto 
Con tutto T altro, ove Mundaga corre. 
Diede Lisbona in guardia ad EscUl»orre« 

CLXZi 

Quei, ch'abbraccia il Duero e Guadiana, 
Pio rontr’ ali' Orse alquanto, e T oriente, 
Ove ha Toleto, la città sovraoa, 

Che di multe giornate il mar non scale, 
Safaro conducea, pcr»ona estrana, 
D'altronde iisrilo. che d libera geute; 

Ma perch' era frale! di Palamede, 

Avevan somma iu lui speranza c fede. 


ri.xxi| 

Quei, che fon poscia in mi famovi Beli 
Onde il nome ebbe la provincia prima, 
Infin là, dove loro il passo vieti, 

Serra Morena con l’altera cima, 

Ov'è Ira i rolli erbosi, e i campi lieti 
Cordova, rhe più d'altra ivi si stima, 

E ]’ Ispaiì, eh* adorna T Oceano, 

Ueran|iò della porta han capitano. 

rt.xtm 

Poi qnei pin vrr«o il Frelo, e 1 mezzo giorno, 
Che si reggion vlrtn T antica Oadr, 

Ove cìnte da' monti d’ ogn’ intorno 
Può Granata veder Ir sur contrade; 

Cosi T altro parse assai più adorno 
Di fior, che riero di felici biade, 

Di Mitiga, di Marzia e Cartagena, 

Il forte Morastallo in guerra mena. 

CUtXiT 

Valenza, che nel seo della montagna 
Giare Idubeda, ed ha dall' occidente 
Il Godamoro, che ’l terrea le bagna, 

Come fa il Sema quel dell’ oriente ; 

E con le rive al Ilio s' areompagua. 
Ch'ali' onda Balearida conseute. 
j Degli abìLater suoi diè in mano il freno 
; per questa guerra al perfido Dmscheno. 

CZKXT 

Quei, che dell' acque del reale Ibem 
' Bevon nel primo fonte d' oud' egli esce, 

C.on qnei, rh' al mezzo rorsn. ove piu altero 
Con la Singa, e col Sicorì s’ accresce, 

Infin ch’ai mar privato del suo impero. 
Presso a Tortosa il doppio corno mesce ; 
Han per dorè il re Loto, e gli altri poi, 
C.h* bau più verso Pirene i campì anoi. 

I (XXXTl 

Dico l’antica e chiara Taragona 
Con quanto abbraccia il periglioso lido. 
Ove Tornata e vaga Barzalnna 
Ha il suo rìpien d' odor leggiadro nido, 

' lofio là, dove ancor la fama suona 

Del tempio di Ciprigna, alior più fido 
I Forse, ch’oggi ai norchirri ; e capitano 
I Han chiamato Bodcrco, il crudo Alano. 

I CLKXVII 

Uba vien poi, del gran Teodorico, 

Degli Ostrogoti il re. rhe in Roma allora 
' Teneva il seggio, sommo duce antico; 

£ di Geppidi slnol menava ancora; 

Nè’l menava quel re con eore amiro, 

Per trar Ctodasso dì miseria fnora. 

Quanto, perch' al re Franco Clodoveo, 
Benché cognato suo, grand' osiso aveo, 
cixxvm 

Appreuo il re desti Ertili Odoams, 

C.h' a Ravenna infelice Ìl giogo pose. 
Menava il popol suo superbo ed arro 
Contr' alT umane e le celesti rose; 

Che più d'nn nome, e più iT un tempio sacro 
Itìstrusse e spense già, non porr ascose: 

L' ultima fu r.hidino, il Marte detto, 

De' figliuoi di Clodasso il piu perfetto. 


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L AVARO H IDE 



CIJI9ÌX 

I e vAMatli >ero Ave», 

Che piu riri e feilrli erano al padre, 

Pui rlie 'i Tecclii» Clixlaitu non potrà 
Seguir, come già feu, 1' armate »qttadr«; 



E perché molta io Ini «peme tenea, 

E vedute n'aveva opre leggiadre, 

Uopo il buon Segiiran fc' lui primiero, 
Sovra 'I tommo de' cnoi famoso impero. 



ARGOMENTO 


Jl er tiesto di Gut‘eno e dì Clodino 
/ duo re liticanti in etti boa potto 
Opoi lor dijfvrema; e nel divino 
Ciudiiio in pria lor niuri hanno riposto: 
La ballasl\a ha dipoi fatai dettino, 

Chè un dardo vibra il reo /truichrn,na%eosto. 
Dal qual resta 6'ai*rn di sangiie tinto. 
Quando (.lodino a luì davoti vinto. 


P oi rh* ha totle d* intorno ogn* alto dure 
Le sae genti onlinate a schiera a schiera; 
Il vecriiio re dcirOrcadi, in cui luce 
I)eir arte inarzial la norma vrra^ 
Cumandato dal re, lutti conduce, 

Ove lassa a man dritta la riviera 
Del pirriul Euro io loco aperto e piano, 
Dalle piagge c da’ fossi assai luntauo. 

ti 

Ivi in dne parti eguai tntto divìde 
Il numero inruiito de’ guerrieri ; 

Questi a sinistra, e qncili a drstra asside, 
Astccoando tra lur larghi sentieri; 

Si che ben |H>ssa, chi gl) regga e guide, 
Menar per entro insegne e cavalieri) 

Le genti delia fronte spesse e strette, 

L' altre, che seguon poi, più rare mette. 

in 

Tra qnei dinanzi poti le piò lunghe aste, 
Nelle spaile, e oe' fianchi ancor ristesse; 
Ogni scodo nel mezzo, a fin che baste 
De* primi a sostener le forze oppresse ; 

!)' arcieri e frombator le sebicre vaste, 
Sciolte da tulli gli altri ba intorno messe; 
Poscia di cavalier distese 1’ ali 
In eisucun corno, 1' nne all’ altre egnali. 


IV 

Fu del sinistro duce il buon Tristano, 
Oaven dell'altro, e così vuole Arturo; 

Gli arrìer, eh' erano a piede a drstra mano, 
Guidò quel ginrao il buon re Pelinuro; 
Lionello, il nipote del re Bano, 

Menò i compagni, che dall' altra furo; 
Drila drstra i cavai menò Boorle, 
Maligaute dell' altra, il saggio e 'I forte. 

V 

Ne men di qacsii fuor d' Avareo venne 
Il fero Segnrano a guerra armalo; i 

Ma divìsi in Ire parli i suoi manteone, 

E ron nrdin men saldo in ogni lato. 

Sopra i pvirni a venir I* impero trone 
Faiameiie, il possente nominalo ; 

Degli altri Segoran a terza parte 
Cuutlureva Cioslia, chiamalo il Marte. 

V) 

Palamorn il valente in gnardia arra 
Di lutti ) ravalier le larghe torme: 
Verrallo della Kncra rnodurea 
De' pedestri Irggier le varie forme ; 

Or r nno e 1' altro rampo sì vedea 
Con ritenuto passo segnar I' orme, 
Apportansk» eiascuno a poro a poco. 

Al ano speranza, e tema all* altro loro, 
ni 

Di liarbaresrhe voci, e strao romorr, 
Ernpion l'aria, venendo quei d' Avarco; 
Come i gru peregrini, die 1* algore 
Temon del verno di tempeste carco, 

Allur eh' a ritrovar seggio migliore. 

Fan sopra il mare il periglioso varco, 

Cile delle lunghe file al gridar foco, 
Hisuona iatorno ogni propinquo loco. • 
vili 

Il contrario parca di quei d'ArInro, 

Che tacendo venian nel core inteso. 

In qnal guisa il ferir sia più siriiro, 

E posta r avversario esser piò offeso; 

Quale ì saggi villan, che '1 campo impuro, 
Ch* aggia di folte spine orrido peso, 
Vuglian purgar, rhe disegnando vanue 
Di schivarse all' oprar puntare e «bona. ■ 


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L AVARCHIDE 


5o 




»tn 

Narra al <bo Sefrurano c PalanrtU 
Cloiliao il lutlo« e ior ao^gia|CDe poi: 

S’ aTeslCf alti si|nior, talvolta fede 
Io qoel poco valore clic f;iace io ooi; 

O *c sperate mai qualche mercede 
Render al sommo amor, ch'io porlo a voi} 
Fate, che *1 padre mìo vo|;lia d' Avarco 
Sopra gli omeri miei por oggi il carco. 

XXX 

Con tutte r altre ville, c quel paese, 
di' egli ha mai guadagnalo sopra voi, 

E ntornarsen poscia ad ali stese, 

Olirà il Britanno mar, con tutti t suoi ; 
Ma se '] Cielo a Gaveo sarà cortese, 

£ le sue stelle irate contro a noi. 

Che gli darete Avarco, e quanto in mano 
Biteuete de' Franchi, c del re Sano. 

XXIV 

E 1 (ara veramente, se v* aggrada 
Di dimostrargli ben, quanto Gaveno 
Sìa più uobii, che forte, c la sua spada 
Quanto ila della mia pregiata meno ( 

E che per tal sicura e breve strada 
Potrà iu pace riporre il suo terreno. 
Senza mettere io riscliiu oggi altramente 
Cosi bella, onorata e chiara gente. 

XXXI 

Ma ciò male esser può, che quella parte, 
Ch'aggia il dritto e '1 valor per guida e duce. 
Come avem noi, può cammiuar scoi 'arte, 
Ch' ai desiato corso si couduce : 

Or tulli i vostri io pubblico e 'o disparte, 
Quasi allumali dalla eterna luce, 

Son di stessa senlenia, else vi patria 
Venir là tosto, e '1 tutto ivi si faccia. 

XXV 

De* due chiari guerrier quantDoqoe foise 
Lor la nuova richiesta acerba e dura. 
Queir alto sapplicar gli aniini mosse, 

£ di lui contentar prcndon la cura; 

E Dioadan, che '1 primo ivi trovosse, 
Manda» volando nelle regie mura. 

Che ciò narre a Clodasso, e 1 preghi appresso. 
Che per meglio ordinar venga egli stesso. 

XXXIl 

L* antico re di meraviglia pieno 
Si fece, udendo il subito consiglio ; 

Poi con core e con volto assai sereno 
Diue: Quando a Dio piace, che '1 mio figlio 
Purga le spalle solo, e spanda il seno 
Al comuo ]>eso, al pubblico periglio. 

Non andrò contro a luì, die ’ndarno adopra, 
Chi a' oppone al voler, che vico di sopra. 

XXVI 

Ritrova il vecchio re, che io allo autso. 
Con quei, che per età non vestoa maglia, 
E con le donne intorno, a mirar fiso 
Stava qocI che scgiiia della battaglia. 

Col eor tremante e 1* animo diviso 
D* ogni dolcexza, e come piuma, o paglia 
Dei venti preda, al lempeitusu giorno, 

Or alta, or basaa si raggira intorno ; 

XXXIII 

Poi volto agli scodier, comanda loro. 
Di tosto aver 1' usata sua letUca, 

Di fuor lucente di Cuiasimo uro. 

Cui gran fregio di gemme a torno intrica, 
Dentro scolpiti dì sotUl lavoro, 

Qnanti ha nel maggio Cor la terra aprica: 
In essa dai medesmi si fa porre, 

£ per compagno vuole il re Vagoirc, 

XXVII 

Così fanno i pensier, che tema c speoe 
Nella canuta mente cangia e muove; 
Ch'or per se la vittoria aperta tiene. 
Come se *1 prometlesser Marte e Giove ; 
Or si dipìnge aver novelle pene, 

Siaiili a molle già provale altrove; 

£ meaire questo c quello il sana e punge, 
Dinadan vede, che correndo giunge. 

XXXIV 

Sno germauo ed amico, a cui t'elade, 
Si come ancora a lui, la guerra vieta ; 
D'alto consiglio, e pieo di verilade, 

£ che rado smarrì la dritta meta : 

Poi ratti van per te più corte strade, 
Ove la gente sua dubbiosa e lieta 
L* allendea, per veder quale il fin sia 
Del desialo accurdO| ch^ era io via. 

xxnu 

Pccesi lutto pallido nel volto, 

Ch’ ugni sangue, eh’ avea, ricorse al core ; 
E se rallm lardava a parlar molto, 

Quasi radea di subito timore ; 

Ma lieto Diuadano, a Ini rivolto, 

Disse: Ollimc novelle, allo signore. 

Vi puri' io; che 'n voi sta, eh' un giorno solo 
Purghe il vostro terreo d' ogn* aspro duolo. 

XXXV 

Dall' altra parte, più impedito Iruova 
Gaveno, c più spinoso il suo senlicru: 

Nè poote argomentar si ben, che muova 
Arturo a cootenUre il suo pensiero. 

Che dicea quanto è impresa dura c nuova 
Il lutto espur, sotto r infido impero 
Di fortuna, in un sul, che in un muiucisto 
Sìa di mille e miU' anni il frutto spento. 

XXIX 

La gran lite, eh’ abbiam, riposta fia 
Quando non spiaccia a voi, nella virtiide 
Del buon vostro tìlodio, eh’ a guerra sia 
Con unni, ch'ha di poter le fune uude; 
Quest' è Gaveu, che la fortuna ria 
Vuol, ch’a suo danno s'afTalicbe e sude; 
£ se vinto sarà, promette Arturo, 

Lassare Avarco libero c sicuro. 

XXX vi 

Par ripensando meco, ch'assai pare 
Il valor sembra, ch'ha di voi ciascuuo ; 

£ che più accorto, e di più senno appare 
Gaveu dell'altro, e di furor digiuno: 

£ che da sangue c morte conservare 
Tanta c tal gente col periglio d'uno, 

£' pur cosa degnitsinia e richiesta, 

A chi d'alta corona urui la testa; 




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AVARCHIDE 


xnxni 

Quando af^li altri patri, contento tono 
Pi rìtncllcre in eni la lite nostra. 

Sperando io Qnel che dal eeleite trono 
Il verace cammino a'aervi mostra, 

Che non vorrà lassare in aUbandnno 
I) Itro di tatti noi nella man vostra: 

Parli adno^ne Tristan, parli il re Lapo, 

K quei, de cut consigli oggi a* appago. 

axxsm 

Allora il re dell' Orradi risponde: 
Famoso Arturo, Ì1 più sovente Di» 

Nel rur dei buon con la sua grazia infonde, 
Di risi che può ginvargli, alto desio; 

Del contrario volere opre, ch'abiKinde, 
r.iecn dell' intelletto il erodo e 'I rio, 
Quale è Clodaiso; e per dir vero il diro, 
Non per biasmare a voi ehi v' è nemico. 


Mosse il primiero il valoroso Arinro, 

E io alta voce al cìcl rivolto, disse t 
Padre il cui gran Figlinolo nnìco e puro. 
Avvolto in nmao vel, fra noi già visse, 

£ ritrasse nel riel dal centro oscuro, 
f'.hi le divine membra al legno adisse ; 

Te chiamo testìmon, per le prometto 
Dal mio Iato aenrar quanto a' é detto* 

XIV 

Che se da *I tuo voler, eh* oegi Caveno 
Sìa per man di Clodin, prigione o morto, 
Ch'abbandonalo il Gallico terreno, 

Ratto ricercherò 't Britanno porlo; 

£ che tutto il mio campo terrò a freno 
Si, che fatto non vegna oltraggio, o torto, 
Mentre che '1 ino Clodioo a guerra Ca, 

Ma ai, come on de' mici, sicuro sia* 


Tal eh' oltra ogni disegno nostro umano, 
Semln roccasion se stessa offerta, 

Dovria creder ciascun, che non sia 'n vano. 
Si breve strada a ai gran lite aperta, 

E rhe'l pio Redentore, il suo rrisliano 
PopuI, che '1 segue per la via piò certa, 

£ eh* a ragion romballe, io guardia prenda. 
Non quel, di' (>go’ahro,e la suainre oiTrnda. 


E a* io fallassi Ìo ciò, la tua pìetade, 
Che fu sempre infinita, cange filici 
£ di onda giustizia apra le strade, 
Facendo il mio poder negletto e vile ; 
E sotto forza altrui le mìe contrade 
Sten di barbare genti albergo umile; 

£ così iu basso raggia ogni lor gloria. 
Che uulla unqua di noi viva memoria. 


Poi rivolgendo gli occhi a qnel che puote 
Nel futuro veder colui eh' è saggio ; 
Nessuna tema l’alma mi percuote. 

Che mi mostre in Clodino esser vantaggio; 
Come ancor pare a voi, ma d'egual dote 
Fornito appare il nobile paraggiu; 

Facriait adunque, e s' aggia larga speme. 
Perché metzo è prigion colui die teme. 

xit 

Il medesmo affermò Tristan, dicendo : 
Quantunque aggia più d’on che ciò poiria 
Far, non men che Gavrn, pur non intendo 
Diroe il contrario, che già detto sia ; 

Poi svn colai, che vimilore attendo 
Quel, elle pili di fortuna amiro fìa ; 

Ma conir' a Srgiirano, o Palamede 
Yorrci più forte man, più fermo piede. 


Dall'altra parte un sacerdote all'ora, 
Che lunghissima avea barba e capelli, 
Detta sacrala gregge ha tratti fuura, 

Senza difetto alcun, dnr vaghi agnelli: 

L' un è semliiante alla più bianca aurora, 
I.' altro ha più della notte oscuri ì velli ; 
£ dure è più'] lerren di polve srarro. 

Gli pose inuanrì al veediio re d' Avarco t 

XI vili 

Che recatasi in man la spada antica, 
Che per memoria ancor non vuol lassare; 
Ove più folto lor la testa intrica, 

Risegò il pel, che fra le coma appare i 
K *1 fere intorno della schiera amica 
Ai cavalier più cari dijqsensare: 
ludi, lenendo al eie! te luci fìsse, 

In devoto sembiante così disse : 


Disse il medesmn il saggio Malìganic, 
Bonrte, e Liunello, cd altri molli: 

Nel campo, allor che (erme avea le piante, 
Già si vrggion cangiar pensieri e volli; 
HiconforUuo i viti il rur tremante, 
Pensando di periglio essere sciolti; 

1 piu forti hanno invidia, sdegno e dnolo, 
Che di tanti l' onor giaccia in nn solo. 


Giove, che de* mortali e degli Dei 
Padre, riascmia età verace appella ; 

Né senza te gli effetti buoni o rei, 

Può di lassù produrre alcuna stella t 
£ tu lucente Siul, che ragion sei 
Di cangiar le stagi oo di questa in quella; 
£ vnì notturni Dei, signor di Lete, 

Che i difetti fra noi punir solete : 


Già gli araldi reali in ogni parte 
Hanno a tutti silenzio im|iosto e pare; 

Già Fono e 1* altro re viene io disparte, 

£ di comune accordo a ciascun piare. 

Che Gavenu e Clodin, chiamalo il Marte, 
Debban fra hsr donar certo e verace 
Fine alla lor qneslioii, prima che *1 giorno 
Faccia all’ occaso suo fosco ritorno. 


Siate voi testlsnon, servale voi 
Quel ch’io prcuiietten'», che per voi giuro, 
t.lie s' uggì il mio Clodin, de* giorni suoi 
Vedrà in man di Gaveiio Ìl fìne oscuro, 
Ch* Avareo, e tolto quel, eh' è sotto a noi, 
E già fu del re Ban, turili d’Arliiro; 

E mentre il re d'Orcania in guerra Ca, 
Dagli altri miei guerrirr sccuro sìa. 


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53 


L AVARCHIDE 


K] 


u 


IVIII 

E s*io pii iDmlirù, Tfdrr po«s' io 


11 medeimo, rh'aU' nom, fanno al destriero 

- Preti» qtie»U città d‘ enne c dì foco; 


Cominciando dal piè fino alla fronte, 

La pia roniorte, ì Gpli* ÌI popol mio 


Se beo ferralo sia saldo c leggiero, 

Servi de*lor nemici iu chtu*o loco; 


Da non gravare al gir le voglie pronte ; 

Ed io fra loro in lunpo ciìiiof e rioy 


Se ’l fren dritto di lui tenga l' impero. 

Mi contarne di dopila, a poro a poco ; 


E non troppo s'abbasse, o troppo munte; 

Nè arditra a voi driaAar lamenti o prrphi, 


£ se ciò che ’l governa e che ’l sostiene, 

E s* io '1 (accAai pur, neuuo si piepbi. 


Armato sta di fuor, come conviene. 

Lll 


LIX 

Detto rosi, nella sagrala cola 


Se la testa è eoi petto d’arme ornala, 

AH* una e T altro agurllo il ferro mise; 


Quanto è ’l bisogno, e con ragione assisa t 

]l saogne in alto distillando vola 


Se la sella è beo posta, e ben serrala, 

Per le vene maggior, eh' erano indie ; 


Da non temer di seggio esser divìsa; 

E mentre la fral anima »' invola 


Se r una e 1’ altra staffa è ben locata, 

Dalle tremanti membra lo terra afEse, 


Tra ’l lungo e ’l corto, io assai forte guisa; 

Con r anfora, che tiene, aurata e tersa, 


E vau tutto guardando, come deve 

Puro ed annoso tìq sovr' cui versa* 


Chi ponga sopra aè fascio si greve. 

un 


LI 

Onde alcun fu, eh’ a rimirare ioteio, 


Poi dì scodo possente a tutte prove 

Divoto il del pregava Ira '1 suo core; 


11 petto al suo guerriero armò cia»cimo; 

Cosi veggia io di sìmil piaghe ofleso 


Gaveo d'uro v’avca 1' ucrcl di Giove, 

Rivenar con lo spirto il sangue fuore. 


In campo porporin, che volga al bruno: 

Chi primo avrà, runlra il di ver, disteso 


De' medesmi culor, eh' all' aura muove 

11 sacrilego braccio, e pien d' errore, 


La fronte annosa, c non conlenta d' uno 

Per diiturbar la gnerra, che in nn solo 


Secol dì vita il sempre verde pino, 

La pace apporla a cosi grande stuolo. 


Ombreggiava lo scudo di Clodino. 

uv 


LXI 

Poi che tolto ha compito il re CloJasio, 


Già presenta a Gaven la nobii asta 

1 BriUoiiì gnardaudo, c’ i suoi d' Avarco, 


11 magnanimo Arturo in tal parole: 

Dice: All' albergo mio rivolgo il passo. 


Bendi’ ad alma reai sena’ altro basta 

Poiché d' ogni dover mi sono scarco. 


La virtù sola, di' ella onora e cole, 

Ch’io non potrei soffrir vedermi, ahi lasso. 


Che si dee mantener candida e casta 

Già di taute miserie, e d’ anni carco, 


D* ogni difetto umau, <|Ual puro sole; 

In Si mortale impresa e ’n tal periglio. 


Pur dirò questo ancor, che vi suvvegna 

Senaa soccorso altrui, si caro figlio* 


D’ esser quale a tal opra si convegna ; 

LV 


LXM 

E chiamalo Vagorre* fan portarse 


E che in mille emill’anni la lorluna 

Nell’ ombrosa letlica, che gli attende; 


Non vi porria trovar cagìoo più chiara. 

E quanto più poleo ratto, disparse 


Del nome vostro alzar sopra la luna, 

Da quel loco fatai, che 1 cur gli olleude: 


£ d' ornare e giovar la patria cara; 

Or già si vede in messo apprcseutarse. 


E che per vostra mau, serena o bruna 

Chi del campo ordinar la cura prende, 


Fia la sorte di noi, dolce od amara t 

Che fn il buon Ualigante e Palamede, 


Non sia ingannata in voi la somma fede 

E ciascuno il vantaggio al suo provvede. 


D' uocD, che di lauto onor vi face crede. 

tvt 


LXIII 

Fanno io prima purgar di sterpo e sasso, 


Gite con fermo core alla batta;.lia, 

£ per tutto adeguar, l'eletto loco; 


Nè lo abbasse timor, né l’ alzi spenc ; 

Poi misurao lo spailo a passo a passo. 


£ dopo il primo incontro, se vi assaglia 

Dividendo il eoofio tra ’l molto c 1 poro, 


Con furioso passo a vele piene. 

Che non troppo al principio, o nel fin lasso 


Sostenetevi alquanto, e non vi caglia 

L’ ioconlro sìa, poi che già spento è '1 fuco, 


Del vano onor, che dai men saggi viene, 

Che più riscalde il corsj, ma io quel punto, 


Ma come stanco sia, pronto e leggiero 

Ch* al suo so suino vigor ciascuno è giunto* 


Vi dimostrate allora, e prode e fero. 

LVll 


LXIV 

Van r arme visitando in ogni lato, 


Hovete adunque, che ’l favor divino 

Se raddoppiata viene, ove s' allaccia ; 


Non v’ ablsauduiierà, per quel eh' iu spero. 

Se l'elmo è fermo assai, s'egli è fidato. 


Cosi diceva, e già nel suo vicino 

Se crolla in testa, o se la vista impaccia. 


Popolo esercitava il sommo impero 

Se la maglia è ben forte, e tien guardalo. 


Tristano e Seguran, si che '1 confino 

Ove piastra non sia sotto le braccia; 


Disegnato a guerrier, rimanga intero : 

Prcndon la spada appresso, e guardaq, come 


Tenendo ogo’ nomo a freu che innanzi gisse, 

Trovio sicure iu lei le guardie e ’l pome. 


Per cagione schivar di nuove risse. 


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l’ avarchide 




Fan che rla»eana parte * terra steaila 
Lo >rodo, o l’atta, per piu amico tegoo: 
Nè fra tatti è più alean, che ad altro intenda, 
Ch'a veder, rai di lor dimore il ref^no : 
Questi di speme par, che l’alma incenda, 
Quei mostra di timor non dnhbio se^o ; 
E Ira lor ra|;iooando io diversi atti. 

Chi condanna, c chi loda in gioali patti. 

uvi 

Poi che fo il campo voto d' ogn* intorno, 
Questo e quel cavaliero in meziu appare, 
Di sembianti colori e d'arme adorno. 
Come d* ambo il valor ti mostra pare : 

I possenti corsier, raspando intorno, 

E rimordendo il fren, non pon restare ; 

E i pennuti cimier, che in alto stanno, 
HJoaccìatido al nemico o morte o danno. 

txvit 

Tosto che 'I marziale alto romore 
Delle sonore trombe il segno diede; 

L* ono e r altro gurrrier con più furore. 
Che 1 folgore dal del, che t mouti liede, 
Va per mostrare il primo suo valore, 

Che nell' incontro della landa siede. 

Che fu colai, che io mille peui andaro 
I tronchi al cielo, e tardi riturnaro. 

* LXVIII 

Fu il colpo di dascnn sì acerbo e crudo. 
Che i dne cavalli in piè restano a pena; 
Gavcn rompe a Clodin l' aurato scudo. 

Con assai gran periglio, c molta pena, 

Che '1 saldo ferro, che '1 trovava ignudo, 
CJiiara vittoria, e d' ogni gloda piena 
Gli polea dar, t'on punto solo allora 
Fosse integra rimase l' asta ancora. 

I.ZIX 

Ma Clodin fere a lui la spalla destra, 
Ove eoi brartiii in alto era congiunta, 

K gli facea nell' arme alla finestra. 

Se ben dritta venia l'arnia punta; 

Ma la fortuna, al suo voler sinestra. 

La Ione in fuor, come fu al mezzo giunta; 
Ma il ferro ruppe, che (enea coperto, 

Ov’ il braccia! più in alto viene inserto. 

1 xs 

E per alquanto spazio, quella mano, 

Con la medesma parte, ebbe impedita; 

Ma r onor, eh' ogni infermo rende sano. 
Alla battaglia seguitar l'invitai 
Trae fuor la spada, e non la trasse in vano. 
Che quella di Clodin vede apparila 
Già eontr' a lui, che sopra l' elmo il fere, 

E r ornato cimier gli fa cadere. 

t-XSI 

E fu 'I colpo colai, che con la testa 
Al collo del drslrier tulio piegosse ; 
L'altro, che 'I vede a tale, ivi non resta. 
Ma raddoppia a gran forza le percosse. 
Spesse assai più, che grandine moleste V 
Al buon villan, che le sue spiclie ha scosse; 
Ma vinto dal fnror sovente falla, 

£ gli dà sa lo scudo, o su la spalla. 


Ma riprese le forze il buon Careno 
Con quanto ha più poter, vèr lui s'avventa : 
Drizzasi al loco, ove lo sondo ha meno, 

£ in ogni modo d’ impiagarlo lenta; 

£ d'una punta al fine il trova a pieno, 
Ove più l’alma area, die gisse, intenta; 
E se quel doppio acciaro era znen forte, 
Clodin poco lontana avea La morte. 

LXXIIt 

Por no '1 difese tanto, che la spada 
Tra le sinistre coste, che nel petto 
Son poste io allo, non facesse strada. 

Ha di piceioi perìglio e gran sospetto: 
Perehè Clodia pensando, ch'ella vada 
Più oltre assai di quel che fu T effetto. 

Non vuol perder più tempo, e pon da parte 
La ragion del ferir, lo schermo e 1' arte. 

LXJUT 

E qnat fero leoo, dal cacciatore. 

Che ferito si senta, olirà si getta, 

Non men, che della vita, o d’altro onore, 
Pien di caldo desio d'alta vendetta; 

£ senza accorgimento, a gran furore, 

La spada ad ambe man lenendo stretta, 

Di tre colpi il ferì, ma tutti in vano, 

E troncata alla fin gli usci ds mano. 

LXXT 

Nè per questo resisi, ma eoo le braena, 
Quanto più forte puù. nel mezzo il ferra ; 
E crollando e sentendosi procaccia 
Dal possente corsier cacciarlo a terra: 

Noo sa Gaven ciò che in quel punto farcia. 
Che con la spada far non gli puù guerra, 
H ai oppres«ato e ciato si rilmova, 

Ch arme, o senno adoprar poco gli giova. 

LtXVI 

L'aspra neeessiU pure il consiglia, 

C.he debba usare anrirei l'islessa forza, 

E nel modo mrdesmo a lui s’appiglia, 

E di trarlo di sella assai si sforza : 

L'uno e 1' altro di lor lassa la briglia, 

Si che puuno i destrieri a poggia ed orza 
Gir Come aggrada lor, ma sono intenti 
Coi piè fcrirse, e coi tenaci denti. 

LXXVTI 

Pur cercando le groppe rìsroltarse, 

Per ritentare alfin sorte novella, 

Vriiuer di troppo spazio a lontanane 
1 due buon cavalìrr, eh* erano in sella; 

Nè volendo osliuati abbandonane, 

Anzi con maggior possa io cjuesU e'n quella 
Parte, mentre ciascun sospinge e preme. 
Ristretti più che mai caddero insieme. 

LXXTItl 

E for sì accorti allor, che nessun piede 
Nelle staffe di lor sospeso resta; 

Nè con altro roreor la piaxgia fiede 
La querce antica, cui la scure infesta 
Del pastor riperroote, infin che vede 
Rovinar d' allo la frondosa testa, 

Onde il bosco rimbomba, e n’ha spavento 
Ogni vicino uccello ed ogni armento. 


5 ; 


L AVARCHIDE 


Kl 


r.xx(s 

Che i <loe liuoa cxvalier premon la terra, 
Senza vantaggio arrre in quello stato; 

Se non cbe’l dentro brareìo apprava e serra 
A «è sle«»0 Ctodio, che da quel lato 
Stampò ia rena e l' altro a nojva guerra, 
O fuue ii Kio sapere, o fosse il fatto, 
Avrà la mi|lior man di sopra sciolta, 

Che gli fa o«l cader ventura molla. 

t-XtXTI 

Or mentre che fra lor girando vanno, 

E migliore stagioo ria<cnno a«pelta, 
Drnschen, che s'assrdra con quei, che stanno 
Fuor d'ogni «chìera, che sia larda e stretta} 
Ma che sciolti e Icggter la guerra fanno 
Sfd di fromba, di dardo, o di saetta; 

Tra' quali ei fu il piò dotto e fu signore 
presso a Valenza, al fiume Goldamore, 

LXXZ 

E perchè gU la spada area gettato, 
Fin nel primo abbracciar, che l' impedia^ 
Va cercando, ore l'elmo era allacciato, 
$' ci potesse trovar di aciorio via ; 

E qnantunqne di guanto ri fosse armalo 
Sì, che la man non molto l'obbedia. 
Tanto va pur tentando a poro a poco, 
Che mettea T avversario in dubbio loco. 

i.vjrxvti 

Non perchè di Clodin pietà il movesse, 
0 lo scampare Ì inoi d’ aspra ventura; 

Ha <r inviilia compunto infido elesse 
Trar con l'arco Gaveno a morte oscura: 
Cosi tacitamente 1' orme impresse 
Per la gran calca, e quanto puole ha cura 
Di gire a quei d* Arturo ai coperto. 

Che '1 disegnalo colpo andasse certo. 

r.xxxi 

Ma Clodin qnantn può si scuote, e ennove 
1 pie, e le braccia, e l' insidiata fronte; 

E se mai l'ebbe al maggior uopo altrove, 
Ivi tulle sue fune aveva pronte 
Ma in lutto ciò di nulla mai rimuove 
Oaven, ebe sì faria lo scoglio o '1 monte ; 
Che gli slarria aliìn l'elmo, e con furore, 
A mal grado di luì, glìcl trasse foore. 

IXXXVIII 

Tosto eh* è ginnlo al loco disegnato, 
Che'l possa rimirar di dritta parte; 

La faretra prendea, eh* ei porta a lato, 
Fabbricata in un corno con moU* arte, 

D' un capro alpestre, in tra i gran gioghi nato 
Del Pìrenen, che l'Aragonia parte 
Del terren Gallo, e'n cava pietra assiso 
Con r (stessa sua man 1* aveva ucciso. 

txxxti 

Ha nel tirar, ch'ei fe' dal braccio sciolse 
Onde il premea, Clodin, che ’l tempo vede, 
E eoo leve destreiza indi si tolse, 

E in un momento pur si trovò io piede;* 
Poi eoo passo sollecito ricolie 
La spada di Gaven, che ’n terra siede : 

L' altro riiiirge anch' ci tristo e smarrito, 
Che m«uo il sao sperar vedea fallito. 

Lxxxrx 

Or quella adunque, di grandezza pare 
A quanto un nom le braccia stenderla ; 
Da Conun fatta rirrameole ornare. 

Come arnese più caro si potrìa, 

Loca a' suoi piedi, e fassi innanzi stare 
Gente, eh' a quei di là euopran la via 
Di poter lui vedere, e basso in terra 
L'un gtoocchio posando, la disserra: 

LXXXIII 

E tanto più, ebe la sua spada in mano 
Sceme ilell' avversario, che l' attende; 
Tosto il possente scudo, poiché in vano 
Nella pedestre pugna al collo pende. 
S'adatta in braccio, e stando a lui lontano 
L’elmo già di Clodin con man riprende 
Per le dorate fibbie, onde s'allaccia, 
Perch' officio dì spada almen gli faccia. 

ic 

E *1 più saldo, pungeute, e duro strale 
Tra molti, che vi son, traeva fuore, 
Pennuto in basso di fioisshn' ale, 

Onde più dritto è 1* ìmpeto e maggiore; 
Tniova poi 1' arco, die non ave eguale, 
Di fortezza infinita, e di valore. 

Che fuor che Palamede c Segurano, 

Ogni altro cavalicro il tende in vano. 

LXXXIV 

E s'invia verso Ini con largo passo. 
Stimando nel suo cor vantaggio avere ; 
Che tosto ha rotto il brando, o '1 braccio lasso 
Chi sopr’clmo beo fino e scudo fere: 

E spera anco nel sangue, che già iu basso 
Pur tra 1’ arme talor vedea cadere ; 

E non poca speraua anco gli presta 
Sceraergli a' colpi suoi nuda la lesta. 

xei 

Questo con salda mano al mezzo prende, 
Indi pon dello ilral la ferma cocca 
Su la rigida corda, e quella stende, 

Fin che cui ferro la sinistra tocca ; 

Poi, con la destra, ch'ai deilr' occhio pende 
Dopo aver ben mirato, a pieno scocca, 

E con tanto furore il corso prese, 

Cli* a mille il sibilar l' orecchie offese. 

txtxv 

elodia, che de) medesimo s* accorge, 

E si sente le forse assai mancare, 

Nè gran speranza alla vittoria porge 
Il brando, che non sa dove adoprare, 

Si beo coperto il suo nemico scorge 
D'arme, eh* è tutta intera, e senza pare; 
(tod'ci misura i colpi io tal maniera, 

Che la spada, eh' egli ha, dimori intera. 

XCM 

Il minacrianle strai volando gio 
Tra gente e gente, d'incontrar bramoso; 
Giunge dritto a Gaveno, a cut ferio 
La destra coscia, dove periglioso 
Non pure c il luco, ma mortale c rio, 

Tra mille nervi, e tn Ile vene ascoso: 

Ma l'arme, e prima il cìci gli furo aita, 
Ch'ei uoo perdesse subito la vita. 


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L AVARCHIDE 


Kl 


sari 


xcvu 

Però che’l fino irrìaro aisai toitennr. 


Cosi senza aspettar rieposta alcooa 

die non andaise H colpo addentro multo; 


Fa riportar Gaveno in miglior parte; 

Fere il voler divin, rhe '1 ferro tenne 


Ove d'intorno a lui ratto s’aduna 

Senlier pjtsaodo d‘ofrni danno iciuUo. 


Serbino c Pcllìran con la lor arte: 

Tolto lEfii il tanp;oe tutto l'arme venne, 


Taurino ancor, che'l corso delta lana, 

E di tal duglia in un numientu avvolto 


Con r altre stelle in cielo accolte e sparte. 

Fu il mitrro Gaveno, e tanto arerba. 


Ottimamente osserva, ivi sì truova ; 

Che QOQ reggendo Ì1 piè cadde »u l' erba* 


£ di quanto può in sè, ciaKun gli giova* 

SCIV 


xcvui 

Restò meraviglioso e sbigottito 


Serbin con dolce forza la saetta 

Clodin, clie’l ino nemico a questo vede: 


Tutta intera col ferro ba tratta fuore ; 

Poi beo tosto $ accorge, che fallito 


Guardala, e dì velcu la truova netta. 

Avea'l suo campo la prouirssa fede; 


Di che prima dubbioso aveva U core ; 

Getta la spada in terra, e ratio è gito 


Poi la coscia disarma, e spoglia in fretta, 

L4 dove r altro lamentando siede; 


Per veder beo la piaga, ove dimore ; 

E come quel eh' ha pur reale il core, 


Premela intorno, e poi col ferro tenta. 

Auai seco si dnol del suo dolore, 


£ di trovarne il foudo a' argomenta. 

xcv 


xax 

Dicendo: lo mi vi rendo prigioniero. 


Certo, che nessun nervo offeso avìa, 

die facciate di me quel eh' a voi piace. 


Nè infino all' osso il colpo è penetrato, 

Infin che sì ritmovì il certo e'I vero 


Disse lieto a Gaveo : Di morte ria 

Deir alto crudelissimo e fallace; 


Non solo oggi assicuro il vostro stato; 

£ s' io poi, come giudice e severo. 


Ma pria che ’I sole a mezzo giorno sia. 

Non fo quanto a giustiaia si conface; 


Sarete in guisa san, che vendicato 

A voi mi voto etcrnamenie servo. 


Di vostra stessa mano esser potrete 

Con meno onor clic fuggitivo cervo. 


Deir oltraggio ioumao, che sostenete. 

xcvi 


c 

Ancor volea seguir, se'l grande Artoro 


E mentre ancor dicea, già Pellicano 

Non venia ratto, e di dolor ripieno 


I preziosi unguenti ivi gli apporta ; 

Non dicea fero, e con sembiante oscuro : 


Stendegli intorno con salubre mano, 

Gitene pur con la vittoria in seno, 


£ la ferita acerba rìcouforla. 

Da scellerato cavalier impuro, 


Taurino, al cici mirando umile c piano, 

Culmo d'invidia, d'mliu e dì veleno, 


Con sacri detti ogni dolor ne porta; 

Di fede avverso, e dì bontà nemico, 


Indi io erboso, chiuso, e fresco loro 

Dì tradimenti, • d' ogni vUio amico. 


11 lasciar dalla turba lunge un poco. 


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L AVARCHIDE 




CANTO IV 




ARGOMENTO 

otta in fede $i dispone Arluro 
F.ntmr co'tuoi puerrier nrìla battaglia} 
Fa pur Clodasto al periplioso e duro 
Ballo dì Marte, e fa veder che vaglia, 
Palamede, con mano e cor securo. 
Semina ìt campo di nemica maglia g 
Tristano accorre, e fa strage altrettante. 
Con Palamede a fronte è Oossemante. 


I » 

n qii«sto (rmfH) (tiJi d* Arareo 1' o*te 
Tolte r arme la»iate area Hpreae, 

E nell'crdìn medesmo eran ripocle 
Le genti apparecchiate a onore offese; 
Gii l’ insegne, che far per terra poste, 
Hanno al cirl minaccianti l'ali stese; 

Già le trombe sonore in ogni parte 
Sreglian d' alto romor Bellona e Marte. 

n 

Perchè tosto Tristano e Naiiganle, 
Boorle e Lionello, e gli altri insieme 
Dicon, eh* è tempo ornai di gire arante 
Verso M nemico, che riein gli preme ; 

Ma il magnanimo Arturo, che le sante 
Di lassa leggi, c gli spergiari teme, 

Più che l'arme mortali, ordine diede, 

Gh' affrenasse ciascun la mano e *1 piede. 
Ili 

Poi riguardando al nel, dicea t Signore, 
Che redi aperto il tutto, e 1 tutto sai, 
Rirolgi sovra il popol peccatore 
L'aspra giustizia, e i meritati guai; 

E ’u quei, che sentì d' ugni colpa fuore, 
Drìzaa di toa pietà gli ardenti rai ; 

La ragion pia col tuo poter difendi, 

£ sciolto me d’ogni promessa rendi, 
ir 

Cosi detto, fe' alzar la bianca insegna, 

E chiamar d'ogni loco alla battaglia; 

H già sopra il desirìer lido s' ingegna 
Di mostrar nel lembiaote, che gli caglia 
Foco de’ suoi nemici, e che si legna 
Tal la rittoria in man, che non I' assagUa 
Alcun nuovo timore; e ‘n rotai dire 
Ai miglior ragionando appurla ardire. 


Valorosi mici duci e caralieri. 

Andiamo al sommo onor con lieto petto. 
Che ne promette Dio degli empi e feri 
Nustri avversari in questo giorno eletto; 
Perchè il mondo conosca, e ìn esso speri, 
f^he' non lasse impunito alcon difetto, 

Ma le cose mortali intenda c cori, 

E più deir altre tutte gli spergiuri. 

VI 

E ri sorregna poi, che quelli stessi 
Suo, che già tante rolte avem provati, 

£ tante rolte rotti, e 'a fuga messi, 

Che son tinte di lor le piagale e i prati ; 
Or tra sì gran trionfi, e cosi spessi, 

Che sempre con onor laran lodali. 

Quest' ultimo rerrà si degno e tale, 

Che la gloria di quei farà immortale. 

ni 

Poi quindi trapassando, ove srorgea 
Tra' piu bassi guerrieri alcun, eh' al rollo 
Si mostrasse temere, allo dicea: 

Enlriam, cari figliuoì, nel popol follo, 

Con sicuro pensar, che morte rea 
L' aggia all'estremo di per noi raccolto; 
Ma non convien lardar, che la Fortuna 
Conira i pigri alla fin la fronte imbruna. 

riti 

Nè dona il elei favore a quei die stanno 
Lenti a veder ciò che n' apporti 1* ora ; 

Ma solamente a quei eh* ardili ranno 
Con la man pronta, ore se stessa onora: 
Chi desia di schivar futuro danno, 

Al presente perìglio s'armi allora; 
Moviamo il passo, e con sicura speme, 
Che non taglia il colte! dell' nom, che teme. 

IX 

Seguitando oltra ancora, al loco arriva, 
Ove de' furti Néuslri avea la schiera 
Blomlierìsu, ed a quella ìanauii giva, 
Quasi feroce cane in vista altera: 

Tra gli estremi Blanor dietro segniva, 
Come pailor, che la sua gregge intera 
Va mantenendo, e punge io opra, o'n detto, 
Chi non servasse a pico 1' ordìn perfetto. 

X 

Contento nel ino cor, gioioso disse 
(Dolcemente chismandolo) il re Arturo: 
Chi non fa il gran saver dì Blomberisie, 
Della chiara vittoria andar sicuro, 

Tulle l’erranti faci, e l' altre fisse 
Serrando in voi, più ch'adamante duro, 
Quanto alberga lassù valore? ood' io 
Sprezzo eoo voi fortuna e'I «leslio rio. 


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XI 

Ed egli » Ini: Nel baon roler eh* io porlo, 
Qiuoto in ro>a mortai fra noi ti po«»a. 
Non è ’l vuilro «perar, sifiiure, a torto, 

Se rÌ!>poDde»*e a quel la breve posta; 

Sì ri promett'io ben, che prima morto 
Sarò p«)>lo aolterra in poca fuua. 

Che stanco di «ervirvi, c d'e«ser tale. 
Ch’alia vostra credenza io ven|a eguale. 

xit 

Rendenti grazie con sembiante umano, 

E 'o parlar dolce, e di sue lodi adorno; 
Poi si volge il buon re, dove Tristano 
Acconcia a guerra il suo liuistro corno, 

E più d'un cJiiaro duce e capitano, 

E più d'uQ cavalier letica d'iiitorou; 

Poi di guerrier pedestri si vedea 
La grande sclùcra, eh' alle spalle avea ; 

ziti 

Che folta nebbia sembra, ebe dal mare 
Di zefiro il soffiar sospìnga a (erra, 

Che d' atra pece oscuro fumo pare, 

Che rabbiosa tempesta in grembo serra ; 
Ond'ìl rozzo paslor tremante andare 
Cercando scampo alla vicina guerra 
Si vede, e rimenar le gregge seco, 

Quanto può rattss, al più tìcùio speco. 

ZIT 

Disse alior lieto il re : Germe onorato 
Del più famoso tronco, che mai fosse : 
Dico di quel, eh* a pien già mai lodalo 
Esser non può, del buon Meliadusse, 
Tanto v’ha spinto in alto Ì1 vostro fato, 
Con le natie virtù, che 'n voi produsse, 
Ch'uopo non sono a voi conforti o preghi, 
Perdi' a nobili imprese il cor si pieghi. 

XV 

Così piacesse a Dìo, ch’animo tale 
In qualch’ altro di noi spirasse ancora, 
Ch’assai più basse di speranza Tale 
Avrta Cludasso, e chi con lui dimora ; 

Ha con voi tutto solo, c nullo eguale. 
Pria che dell' Ocean sia 1’ umbra fuura, 
Aspetto io di veder condotto a porto 
11 viaggio, ioflu qui dal Cielo scorto. 

XVI 

Olirà passando poi, vicin rìtruova 
Il vecchio re dcll Urcadl tra* suoi, 

Che r ordiue intermesso ivi rinnuova, 

Cuo cerchio intorno di famosi croi ; 

Eretto il figlio, a cui d' insegnar giova 
Ciocché in guerra conviensì, e seco poi 
Palridu al cerchio d' oro, il brun Matauzo, 
Pieouro, Ualagraulc, c 1 pio Driauzu. 

XVII 

Posta ch'ha de' cavai la torma ìonarui, 
Comanda: gite ognor ristretti insieme; 

Nè |ier suo troppo ardire alcun s' avanzi 
D* un passo pur, se '1 mìu corruccio teme. 
Nè dall* orma primiera, uv' era dianzi. 

Mai torni Ìl piè, se beo la forza il preme; 
Che lo spavento, e '1 rifnggìr d'uo solo, 
Pece perder sovealc il grande stuolo. 


zvm 

I pedestri guerrier pose alle spalle 
De* cavalieri, e fece che i migliori 
Fosser nel ^mo, e nell' estremo calle, 

Nel mezzo i nuovi, e men feroci cori; 
Quasi fra due gran monti un* uinil valle, 
Ch'a viva forza par, ch'ivi dimori; 

Poi di saggi ricordi empirà le menti 
L* antico duce all' ordinale genti. 

XIX 

Stalo alquanto a mirar riavillo Arturo, 
Io lai parole ìl buon volere aprta : 

Posse oggi ìl corpo alle fatiche duro. 
Come rinvino cur pronto saria. 

Padre onorato mio, rh' io son sicuro, 

Che tulio il mondo ancor vi lemeria; 
Fosse in altrui la debile vecchiezza, 

E 'a voi la già borila giovinezza. 

XX 

Gli rispose il re Lago: Or fors' io tale, 
Qnal era, alior ch'appresso a Ualualto, 

La bella donna, rhe non ebbe eguale, 
Difesi solo al periglioso assalto 
Di cento ravalier, che del mortale 
Velo spogliali, ai gran Fattore in allo 
Quaranta ne mandai, venti resUro 
Feriti iu terra, e gli altri si saivaro. 

XXI 

Ma noi concede Dio, che Intto insieme 
Non vuol donare ad uno ; alior mi diede 
Gioventù senza senno, ed or mi preme 
Vecchiezza tal, ma che più lunge vede; 
Ond* io tengo, alio re, nell' alma speme. 
Poi che forza non ha la man, nè I piede, 
Che '1 nostro consigliar fia di tal peso, 

Che di molti il poter ne resti offeso. 

xxu 

Passa olirà Arturo, e vede assai lontano 
Maligante co' suoi di Vetta intorno, 

È seco Bandeganio il suo germano, 

Con quei della Russia, presso a Liiidoroo, 
Cir atlcndean la risposta da Tristano, 

Se dovean rimenar sotto al suo conio 
Le genti, come prima, e ancor uou era 
Lor tornata di ciò novella vera. 

xxtii 

Allora irato il re, dice : O signori, 
Tanto famosi nella vostra Gorre, 

E' questo il modo a guadagnar gli onori, 
Che vi fanuo a mìll' altri innanzi porre f 
Ch' or vi restiate ascosi tra i peggiori. 
Quando ogui vii guerriero innanzi corre? 
£ voi dovreste pur, s'io dritto estimi, 
Esser con l'arme iu mauo ornai fra' primi. 

xsiv 

Tutto sdegnoso Maligante allora, 
Rispose: £ come ìl c»r vi può soffrire, 

In cui tal senno e cortesia dimora, 

A tali a torto, e taJe oltraggio dire? 
Guardale poi, quando venula l'ora 
Fìa dal pubblico Kgno dì ferire; 

K se innanzi alle nostre orma si segna, 
Vengane pena io noi del (allo degna. 


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L A V ARCHIDE 




Q««ndo vide il fcran re rmi tnrhato 
Qael, che Unto oaurù, rìdendo dÌMc: 
Prendete in piveo et», figlio onorato 
Del miglior cavalier, che già mai viiMf 
E vi aovvegoa beo, che in ogni »Ulo 
Ho solo in voi le mie «peranxe 6f«e; 
Seguile pure, e '1 riel rivolga io gioia 
(^«eaU breve Ira noi paaaala noia. 

XXXII 

Che qoei d’atio valor, come voi dite, 
Perder Gave, Bcnicco, e i regni loro ; 

In esiglin menar le regie vile, 

E nell' alimi terrea sepolti forni 
Ma noi ron queste spade assai gradile 
Avem di palma e trionfale alloro 
Le lur crneri ornate, e molte terre 
Bacquistale di lor con molte guerre* 

XXVI 

Coti oltre pano, dove Boorte 
I cavalli ordinando intorno giva. 

Serio aveva Bavenn, e'I aaggio e Itirle 
Nctlore il *uo fratei, che lui «egnìva, 

Ch* a belgici ^uerrier fareano acorte, 

Non lunge air Baro an la destra rtvat 
I qnai parendo al re atarai in riposo, 
Comincia alto a chiamar tutto adegnoao r 

xxxni 

Ma il piu Bonrte riprendea Bareno, 
Dicendo: Or non più no, ch*a noi non lice 
Di contender col re, ma tntlo a pieno 
Ascoltando, obbedir ciò eh’ esso dice. 

Che suo sarà Tooor, se '1 Ciel sereno 
Gli darà della gticrra il fin felice 
C se *1 contrario fia, sna la vergogna: 
Però beo provveder per tutto agogna. 

xxvit 

Che lardate voi qui? perché non sete 
Con gli altri ornai tra le primiere squadre ? 
Boorte, r dico a voi, che ritenete 
Il nume sol dell'onorato padre. 

Clic di nuli' altro al mondo ebbe mai sete, 
Che d' esser primo all' opere leggiadre. 
Pronto, accorto svegliato, e sema lemi| 
Di valor colmo, e di vìrlude estrema. 

XXXIV 

Cosi dello, il deslrier pìn innanzi sprona 
E con cura maggior comanda intorno. 
Questo chiama c lusinga, c quello ininona 
Con alte voci, e gli minaccia scorno ; 

Or percuote il cavatilo, or la pcrsuiia 
Di qnet, che fanno all' obbedir soggiorno; 
Tal che diede in un pnnlo alla gran torma 
Di tulli ì eavalicr dovuta forma. 

XXVtM 

Noi vidi io già, ma tal per me s* udio 
Il mio re Pandragon di lui narrare, 
Quando egli uccise Habilaale il rio, 

Che volea la Bretagna soggiogare; 

Che presto a Cimelulto l' assalto. 

Scodo latto soletto in riva al mare, 

PI quegli avea cinquanta cavalieri. 

De' miglior dì Sassooia, e de’ piu feri ; 

XXXV 

Or, come suo! NcUtino, eh’ al soffiare 
Di zefiro, sospinto il lilo inonde. 

Che prima di lonlan si sceme il mare 
Montare al ciel con le sue lorbìd* onde \ 
Poi, come in bassa valle, ritornare. 
Drizzando ìl passo alle viciiie sponde; 
Ove in alto muggir, di spuma carco, 

Gli scogli iogoiubra, e I* artooso varco ; 

XXIX 

E*n fra gli altri Sarondo e Fitidasso, 
E di lutti sol un dimorò in vita, 

Che fa Mogarto, a cni Boorte, lasso 
D* nccider tanti, gli douò spedila 
La strada, e comandò, eh’ a ratio passo 
Andaste agli altri a dir, come seguita 
Fosse fra lor quella battaglia fera, 

Di cui sol letlinioa rimato n' era. 

XXX VI 

Cosi parcano allur le schiere folle, 

Che separale pria son poste insieme, 

Le quei con lento gir si son rivolle 
Verso il nemico suo, che già le preme : 
Poi che fnr più vicine in iiu raccolte 
Coa r arme e con 1* ardir le forze estreme. 
Con piu avvisalo cor, con menti nuove 
Sì coufortan fra loro all* alte prove. 

XXX 

Tal fa il vecchio Boorte re di Gave, 

A cui par, che 1 figlierai simìglie poco: 
Fe'd* Arturo Ìl parlar noioso e grave 
Al giovìn onorato il cor di foco ; 

Ma eugto scudo a Laocilotto, pavé 
Di non far, come quegli, e '1 prende in gioco: 
Ma il famoso Bavroo, al re rivolto, 

Cosi dieta, con acrossìtu volto : 

xxxvie 

Vrggonsi i duri avanti, e d’essi soli 
S' udian le voci esercitar T impero : 

CU altri guerrìer, qnai semplici figliuoli, 
A cui muttrinn i padri il buon scotien.*, 
Taciti van ; nell' un dei fermi poli 
Guarda la nolle il provvido oucchiero 
t^ou sì gran cura, come questi fanno 
Chi può loro apportar vittoria o daouo. 

xxxt 

Noo ne rìlico, signore, in questa parte, 
Il voler ucghilloso, o la villade; 

Ma per muoverci a guerra, con qocH' arte. 
Che si convicn, per raoimote strade; 

Nè cederemmo io arme al proprio Marte, 
Non eh* ad altro mortale, in altra elade ; 
E come l'opra par, eh’ aperto mostri, 

Vie miglior c* tegniam, che i padri nostri. 

XXX vm 

Veogon qnei di Clodasso, d'altra parte 
Con vie piu gran roiuor, che nell' aprite 
Non fa la greggia, che ’l paslor diparte 
Da’ nuovi agnei dentro al serrato ovile, 
Per trar piò largo il latte, ove in disparte 
Sente afnitta chiamar con prego uiuilc 
Il outriuienlo suo la dolce prole. 

Che iu voci spesse si lamenta e sluole. 


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AVARO H IDE 


XXXIX 

Eran 1« lin^soe poi varie e divrri'e, 

Come vari e divrr*i Iianno i parti : 

Di contrari rulur »on T armi a»prrte, 

£ di mitlr maniere, {(li altri ariie»i« 

£ beo pou quei il* Arturo anco vederta 
Di ttrane patrie, ina gran tempo apprcai 
Alla medesma friiuiaj io lor Tuianra 
Come «pesto addiviene natura avaoxa. 

XL 

Già quinci e quindi ai vedean volare 
Lo spavento e '1 timor con trrpid* ali, 

Or alti in aria a suo diporto stare, 

Or ne' cori avventar gelati strali; 

Posrla scacciati in altra parte andare. 
Dall'ira avversa, a mi non sono eguali; 
Dall'ira, ch'ai principio Iruto il passo 
Muove per up seolier, eh' è oscuro c basso 

XLI 

Indi Tali spiegamio a poco a poco 
Prende aperto eamniio, rh' al del sormoote; 
Pui fatta in vista di color di fuco 
Infio sovra le nubi alza la fronte; 

Questa adunque avvatiipando io ogni luco, 
Pacca del sangue altrui 1' anime pronte, 

£ nulla cura aver della sua sorte, 
Portando solo in cor desio dì zuorte, 

xui 

Or già il buon Maligante, e 'I pio Boorte, 
Questo a map destra, alla sinistra quello, 
A' più levi cavai facendo scorte, 

Muovon più presti, che rapace augello; 
Dietro lor la pedestre sua coorte 
Spinge il re Pelinoro e Lionello; 

Le quai di fromhalnr sono e d' arders, 
Tutu al corso prontissimi c leggieri. 

xuit 

n romor de* deslrìer, dell' arme il snono, 
De' guerrier il gridar, 1' orribil trombe, 
Sveglian sì grave c tempestoso tuono, 

Che ’l mar, I' aria, e la terra ne rìmbombe 
Per mi cadute io basso aquile sono, 

Non pur eoroici, o pavide colombe: 
Tremò intorno la valle, e d'Kuro i onde 
S'alzar crollando tra 1' erbose sponde. 

xtiv 

Mouer di qnd d’Avarco, al mnover loro 
Non men bramosi del mortale assalto, 

Con genti eguali, il furie Palamoro, 
Farabo, e Loto, che seguia Verrallu. 

Primi allo iocoutro a ritrovarsi foro 
1 ravalier, cb' adamantino smalto 
Quinei sembraro, e quindi elette incudi, 
Tanto strepito fer Palme e gli Kudi. 

XIT 

I tronriii delle lance hanno il sentiero 
In un momculo sol tutto ripirn»; 

Puossi steso veder più d* un destriero 
Lottar con morte, e mordere il terreno; 
Ivi oppresso riman quel cavaliero. 

Quel tutto estinto r quel di saogue pieno; 
Quel, che più ferma ancor sostien la vita, 
Quaotooque a piè, col buon voler a’ aita. 


De* pedestri, impiagato il petto o *1 fianco, 
Chi va col volto a terra, p chi riverso ; 
Chi vive anror, ma spento ha io tolto e stanco 
Il suo primo valor, di polve asperso; 

Chi lo scudo ha impedito, c '1 braceio manco 
Di più d' an colpo, rhe 'I passò traverso ; 
E chi si truova san, cangiando varco, 

Ora io questo, or in quello addriua 1' arco. 

XLVM 

Ma con seggio silenzio, a passo tardo, 
Vengoii r amiate, e le più gravi schiere, 
Col cor ben fermo, e con sotlil riguardo, 
Dei lor duci adempir tutto il volere : 

Intra due comi il candido stendardo 
Del Britannico re sì può vedere, 

Non tra i primi a ferir, ma io mezzo il calle. 
Che la froute di lor veggia, e le spalle. 

XLVIII 

Sopra un alto eorsicr, che di colore 
Ratsembra aH'om, e mille oscure ruote 
Della chiarezza adomhran le splendore, 
Come stil di pitlor più accorto piiote; 

£ in campo, che simiglia al nuovo allidre, 
Il ciel, che l'euro d'ogni nebbia scuote, 

11 suo scudo reai, ch'ai collo pende, 

Di tredici corone aurato splende. 

xu< 

Con mille intorno cavalier perfetti. 

Di cundor degni ogni onorala impresa, 
(•he tulli insieme in un drappello stretti, 
In ogui parte han presta la difesa, 

Le trombe ha presso, e gli altri suoni eletti 
A frenar 1* arme, o spiugerle all* olTesa. 
Trislan va insanii al suo sinistro corno. 
D'aurate sopravveste, d'ostro adorno. 

L 

E per gir, come gli altri, è sceso a piede, 
Non deir armi durissime ravvolto; 

Gravi por si, che se '1 bisogno vede, 

Che convrogs stornar chi in foga è volto. 
Onde possa talor chi non provvede 
Ratto in più d' una parte sotTrir mollo ; 
Montando esso a cavai, restino intere 
Centra ogni colpo, che la landa trrc. 

u 

In sette doppi poi di 6no acciaro 
Il gravissimo scodo al brarcio avea. 

Ove nel campo verde a lui sì caro 
Il doralo leooe allo sorgea ; 

Cosi seo già con le sue schiere a pero, 

Ma spesso l'occhio iolomo rivolgea : 

Due dardi ha soli io man, che tutta speoe 
Nella spada fatai secura licoc. 

Ili 

Del corno destro, ancor ebe d'anni pieno. 
Il saggio re dell'Orcadi ha la cura; 
Perrhe impiagato allor sendo Gaveno, 

Egli io vece di lai latto procara, 

£ 1 grerroso cor, eh eì porla in seno, 
Facea forza in qnei giorni alla natura; 
Che rat pìeciol cavallo è in ogni loro. 

Nè mai stanche ha le membra, o '1 parlar rueo. 


L’ AVARCHIDE 



un 

LX 

Or in’anti ninkt virìo di pochi pa»i\ 

Poiché tanto ristretti ton già insieme. 

Con più furor roniaoda il booo Tri»lAQO, 

Che delibaste ferir non han più forma; 

Che ii affretti il eammto, non «t, che lasu 

Fan, eh' essa schiera lenlamenle preme 

Arrìria dorè oprar ti dee la mano; 

Per gli spazi lassali indietro l'orma; 

Ma più che prima alquanto, c tiretti e batti 

L’altra, eli’ è più sicura, e che meo teme, 

Vadao con 1’ atte, che '1 nrmiro in vano 

Cou gli scudi ferrali annata tonila, 

Posta fra loro entrar d' alcuna torte. 

Succede al primo loco, in ti bell* arte. 

Ch« non Irnovi ferrate etter le porte* 

Che uon appar cangiata alcuna parte* 

uv 

txt 

Pan tolte rieonar le pia|(f(ìe e i colli 

Retlao maravislioti e tbignltiti 

Di quelli i colpi, die ferir primieri; 

Dei nuovi luccessor quei di nudatto ; 

Sospinge saldo ogn' uom, né par che crolli, 

E te, Come leoni in selva ardici, 

O muori il piè de’ fermi tuoi sentieri; 

Non correan tosto con veloce passo 

Ma già ti vrggioo far vermiglie e mulli 

Palamede e Faran, eh' eran seguili 

L'erbe del nuovo sangue de' guerrieri ; 

Dal crudo Fortunato c Bronadatso, 

E diverso gridar già 1* aria frange. 

Che con minacrie e forza gli han rivolti; 

Di chi minaccia altero, e di cUì piange. 

S’eran già, spaveotati, io fuga volli. 

tY 

tvii 

Non ton de* dod piò le voci iolete. 

Poiché fermati gii han, trapana avanti 

Cuti alto è il romor, che ingombra il cielo, 

Palamede e Farm, ma indlclro retta 

Qual rapido lurrenle, poi eh’ offe<e 

L'altra coppia di lor, che spinge ionaoti 

Febo nel tno montun del verno il gielo, 

Chi con timido cor lunge Carretta; 

Clic ricebittìmo donde iu basso scese, 

E gli riduce all’ ordin tutti quanti. 

Spogliando all' alpi il tuo canuto velo, 

Ch' aver tolean nella primiera letta. 

In cosi orribil tuono, e ’n tal fragore, 

£ sopra i morti, allor che io terra stanno. 

Che ti fuggon le gregge e ’l pio pastore. 

Nuova altra guerra, e perigliosa fanno. 

tvi 

LXUl 

Molti fon morti già, molti feriti, 

Vanii premendo ti, che ì forti tendi 

Che dagli altri calcali a terra stanno ; 

Toccan I' un 1’ altro, e 1' ano Tattro piede 

Ma dei miglior guerrieri, e più gradili, 

SoQ fra lor giunti, e dove sìcn più nudi, 

Sopra il campo d' Avarcu c ’i primo danno; 

Rimirando ciascun, di sotto fiede ; 

Perché fra gli altri giovinetti arditi 

Poi con aspre minacce, e delti cmdì 

Fo il lìgliuul del re Amioriro Unlanoo, 

Corre ogni dace ove il bisogno vede; 

E Cugio di Trislao, chiamalo Ovetto, 

Tal che chi per onore, c chi per forza, 

Che ’l misero Agciao feri nel petto. 

Di virtù dimostrar te stesso sforza. 

tvli 

IXIV 

E scampar noi poterò arme, eh* aTette, 

Mentre fa Palamede axli altri strada. 

Che tolta olirà pattò ratta fatale: 

Trovò in fra i primi il forte Aremedoote, 

La qual convenne ivi entro rimaneste. 

Che nacque in Boreberta, dove sì vada 

Nè fona, o ’ngeguo al ritirarla vale; 

La famosa Tamìgia presso al fonte: 

Cadde traveriu allor, come cadeste 

Pongli tu l'elmo la possente spada 

Arbor percusto da celeste tirale. 

Con tal furor, che gli parti la fronte 

Che di strepito ìl bosco empie, e la valle. 

Per mezzo a punto iu fino al collo, eomt 

Tal la piastra sonò sopra le spalle. 

Suole acuto eullcl matnro pome. 

tvm 

txv 

Bamerto, che tra i VeocU era nato 

Cadde col volto in giu fra Ferbe aleso, 

Sovra ogoi altro d' Ovetto amico e caro, 

E *1 risonsr dell’ arme alto i' odio ; 

Perchè del sno signor 1' allo onorato 

Vico poi Pedasso, al vendicare inteso 

Poste a chi fu lootan per vista chiaro, 

Del suo caro germano il caso rio. 

Si feec iosausi, e dal sinistro lato. 

Nè men che 1' altro si ritmova offeso, 

Ove lo tluol nemico era più raro. 

E mai soccetse il sno disegno pio. 

Prese Agelao nel piede, c d' indi trarlo, 

Perche mentre eh' eì lenta lui ferire, 

Quanto ci può più si sforna, e poUa farlo* 

Si vedo ogni percossa indarno gire. 

an 

LIVI 

Ma il fero dì Baviera Bnstarinot 

Ma Palamede a lui tolta nascoso 

Che pria n’ ebbe dolor, come or ver^gna; 

L'ioviUa spada nel medesmo loco, 

Poi cb' ba perduto un dolce sno viono, 

In eoi chiusi fra lor natura pose ' 

Che non resti a’ nemici almeno agogna ; 

Delia vita mortai gli spirti e *1 foco t 

Onde a qucl,cbe ticn l'oecbio e ’l capochino. 

Coti qual saao, a cui torrente rose 

Intento meno a quel che più bisogna. 

Della riva il sostegno a poco a poco, 

^ol ferro aguto ambe le tempie passa. 

Andò riverso a terra, inulil salma, 

£ sopra il primo ucciso morto il lassa. 

£ scolandogli i piè, si fuggi F alma* 


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uvil 

Dopo i (Ine pira d* erdire eirr PileotOy 
Lo tcudier di Trtileo, clic »rr(» meoa» 
Ovonqu' ci cada, e ’n lui ti fida taolo, 

Oie |(IÌ dà lovra o|[a' unm credrnaa pirnai 
Nato d' AlchiOf che di rìcheur il vanto, 
Di qninli k>o Ira KOITa e )a Vìllcoa, 
NrU'Annorico tcOf porta, e fiftliuolo 
Ebbe negli ultimi anni quetto tolo. 


txviv 

Non si prende di luì cura allrimenli 
11 forte PalamcUe, e iuoaoaì muove, 

Qaal libico leun, che i grassi annenli, 
Senza cani, o paslor. Ira i rulli truuve, 
Che lassa questi e <|uei di vita speuti. 

Con desiusu rur dì prede nuove, 

£ mentre pur un sol vivo ne resta, 

L’ empia fame a sbramar mai non s' arresta^ 

Lxriii 

Vira dritto a Palamede, ed allo il cblama: 
Bivollale, tigoor, ver noi la vitta. 

Che non tempre l' ìtteuo gloria e fama 
Sopra ciaK'un vitturioto acqoitta ; 

Ch' a qnel, cui la fortuna or pregia ed ama, 
la un punto poi riene odiosa e trìtta; 

E ben toTCute T iiutn piii lira in allo, 
Perchè poteia rovini a maggior tallo. 


LXXV 

Incontra poi Laerro, e*1 biondo Arete, 
Quel di Eburaro. e dì Limonia questo, 
(.li'eblscr di vendicar soverchia sete 
Del giovinetto il caso agro e funesti) ; 

Nè le mature spighe al rampo mìetr. 

Per la calda stagion, viilan più presto 
Che facesse ci, gellando dalle spalle 
Le teste d* ambe due sopra la valle. 

taix 

Coti parlando aneor, ver lui a' avventa, 
E con la spada il fianco gli percuote, 

£ quanto può, impiagarlo •' argomenta ; 
Ha le tpcranie van d* elTello vote, 

Che non io allea gniia in damo tenia 
Drbil ferro tagliar ben salda cote, 

Che faceti' el quell' arme, eh' è ai dura. 
Che furia converria sopra natura. 


LXXVI 

E perch* era di lor nel mezzo entralo. 
Sol due rulpi bastar, dritto c riveno; 

(hin gli rimi inloruo, dal medesmo lato 
Non cader tutte, ma in contrario verso; 

E ’I busto di ciascun, cosi troncalo. 

Si vide alquanto tu piè dì sangue asperso ; 
E poKÌa io basso gir, di torre in guisa, 
Dalla nemica man sotterra incisa. 

LXX 

Ma Palamede a quell* omero trova 
Con grave rt>lpu, che ’n tal furia scende, 
Cir arme doppia, ch'avesse, non gli giova. 
Nè lo scodo forlitaimu il difende, 
tihe fu pur fabbricato a tutta prova 
Là, dove all' Occidente il romn stende 
11 suo nalìo terrea, d'oUìma tempre, 

£ '1 re Meliadussc il portò sempre. 


LXXVIt 

Per questi, e quel di pria, ai gran timore 
Avea compresa dèi sinistro corno 
La parie destra, che '1 piò nobil core. 

Per la vita scampar, non cura scorno: 

E ciasmn si fuggiva, se il remore 
Non fusse andato già per molli a torno} 
Tanto che, come suol, con levi penne 
Di Tristano ali’ orecchie al fin pervenne. 

LXSl 

E dopo Ini Tristano, il ino figliuolo, 
lofio else Marco, il re di Cornovaglia, 

Gli donò quel, che fu nel mondo solo, 

E eh* al presente avea nella battaglia ; 

E die 1* altro a Filanto, ch’or di dnulo 
Mortai non lo scampò, per qoant’ ri vaglia, 
Pcreh' all* uopo maggior, lasso, gli falla 
Di ben Coprirlo alla sinistra spalla. 


Lxxrni 

Il quale assai luntan, dall* altra parie 
L'iberirn Eusioro ucciso avia. 

Che dell* indovinar sapea ben l'arte, 

Per cni conobbe già sua morte ria 
Nel gran Tulledu, c non mentir le carte; 
Perchè mentre l'insegna ivi segala 
Di Safaro, il fratcl di Palamede, 

Duce di quei, dove Casliglia ssodc. 

txxii 

La qual fa in modo oITcsa, eh* a gran pena 
SI poteo sostenere, la fin ch’anctira 
Un nuovo colpo, ma traverso, mena 
Nel luogo stesso, ove il percosse allora t 
Onde cadder rotando in su la rena 
Lo scudo e '1 braccio alla medesima ora ; 
Di ramo in guisa, che dal faggio atterra 
Pastore alpestre, onde la mandra serra. 


LXXIZ 

D famoso Tristan, dritto alla fronte. 
Di fona estrema con la spada il fere 
Sopra Telmo durissimo, eh' isn monte 
Avria potuto intero sostenere. 

Perchè le stelle, ne' suoi danni pronte. 
Gli avean fatto di Inoge antivedere, 

Ch' alla testa il minaccia il suo destino. 
Onde a tre doppi il fece saldo e fino. 

UUlll 

Non rollò a piede il misero Filanto, 
Ma qual candido fior, ebe in riva siede 
D* un verde prato, a cui passando a canto 
Con r im de’ comi suoi l' aratro fiede } 
Sopr'allo scodo, e sol sioiilro canto, 
Dieiro al sangue che versa il corpo cede ; 
£ poi che ’n terra ì piè tre volte accolse. 
Gli occhi d* oscura nebbia il etcì gli avroUe» 


• LXXX 

Ma ’! ael, che *1 vulca pnr, ritrovò possa, 
Ch* olirà ogni creder suo lutto il divise, 

£ là, dove il piò duro dell' altre ossa, 

Per guardia piò fedel natura mise, 

Fc’ trapassando ancor profonda lussa, 
lofio che sopra il collo il colpo assise; 
Onde tosto coovìen, che morto gisccia. 

Di cervella ripien T elmo « la faccia. 


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""^3 ^ l’ ayarchide ^ ^7^ 


LXXAt 

LXXXTItl 

poro lonUn Ha lui ferì Toonei 

E nel sinistro fianco a gran furore. 

Che oarrfae aneh’ei w>Tra l'aurato Ta^co; 

Mentre che in altra parte era rivolto, 

Pa*M>|li a amo il core, e morto il pone, 

Gli donò colpo tal, che venner faore 

Ove fe’ intorno MnpiiÌno»o lapo ; 

Faville assai, ma non gli norque molto; 

Tra quei poi Hell' i»tet«a regione, 

L' altro, rhe d' ira è colmo e di dolore, 

Eneo trovò dì vendicargli vago. 

Vna punta gli addrizza io mezzo il volto 

A cui intera tagliò la devira cotria, 

Sopra Tomo più curvo, che fa strada 

Che non curato allor muri d'augOKÌa. * 

lu tra gli ocelli all'odor, che ia alto vada; 

f-VXXtl 

LXXXIX 

Or mentre era più d' un per terra andato 

E'I trapassò dì dietro, ove natnra. 

E che innanzi al tuo gir ria*run fuggiva] 

Pria eh' altrove inviargli, i nervi accoglie: 

Venner me**i e rumor da più d’ un lato, 

Cadde morto riverso, e gli altri haa cara 

Ch' altra parte de'snot danno mlfriva ; 

Di Iriunfaiiti gir delle sue spoglie; 

E Drìanzo fede], poi rhe cercato 

Segue egli innanzi, e reca notte oscura 

L'ebbe astai tempo in van per quella riva, 

Ai chiari giorni, e fine all' alle voglie ^ 

Con voce stanca allìnr, e pira d’orrore. 

Di Calesio, ch'ornai sperava invano 

Gli direa di luolaii : Caro Signore, 

L' unica suora aver di Seguraao. 

txixm 

xc 

Se voi non loerorrele al popol noitro, 

La qual dovrà sposar, come tornato 

£ con veloce passo e tosto, io temo, 

Fnue in Ibemia al nido suo natale; 

Che ì di brevi di quello, e T onor vostro 

Ma non glial censenlia T avaro fato, 

Siene amai giunti al temiioare ettrrmo ; 

Perdi' un colpo Tristan piò che mortale 

Che Palamede, l‘ Incanutii mostro. 

Vibrando, spinse in quello isicsso lato, 

Ila fallo nn grande tluol di rifa Keno, 

Ove il cibo discende, e '1 spirto sale 

£ Ira i migliuri il misero Filanto, 

Per doppia strada, e 1 una e l'altra incìse. 

Che più che vendicalo è stato pianto. 

£ morto a terra palpitando il mise. 

LXXXIV 

xci 

Non mos*e mai pasior si ratto il piede 

Trovò poi Drr«o, e nel medeimo loco, 

Al latrar de* suoi cani, e dcirarmeoto 

£ nel modo mcdcsno anco il ferio. 

Al pietoso moggir, che virin vede 

Ma di queir altro por più basso un poco, 

Lapo aflamilo a divorarlo ioteuln ; , 

Ch al cominciar dri petto a ponto gio: 

Che’I pio Tristaii quando airorecchic il (lede, • 

Olelzio, biapo, (.romidn, Orsiloco, 

Che '1 suo Filanto sia del mondo spento: 

L on dopo r altro i primi due segoio, 

E come Tali avesse, in no sul punlu, 1 

Che nell isola istcssa insieme nati, 

Ove i suoi stanno afilitli, é quasi giunto. 1 

Di non si abbandonare cren giurati. 

I.XXXV 

xeii 

E per tnlto domanda, e terrà insieme, 

Ma chi contar potrebbe ad noo ad uno. 

Ove allor Palamede andato sia ; 

Quanti accise Ìo quell' ora il buon Trillano^ 

Perch' ha di vendicar srrnra speme 

Egli avea tutto gii vermiglio e bruno 

Del sno caro tendier la sorte ria t 

Fatto a se intorno l'arenoso piano; 

E rabbioso nel (in sospira e geme, ' 

Nnn piu, dovunque ei vada, truova alcuno, 

Fui eh* ha trovalo, che per altra via * | 

Ch'attender osi l'onorala mano; 

Era gii» a snrrorrer quella parte | 

In qnal parte rivolga, o V occhio, o 1 piede, 

Mal condulla per luì, donde si parte. | 

Fuggir la plebe paventosa vede; 

txxxvt 

XCitl 

Nè men bramoso aneh' ei di riirovarse. 

Io guisa di levrier, che 'n gioco prenda 

Come altra volta gìè tee» alla prova; 

Di lalor perseguir la greggia umile, 

Ma da poi che Tristan le stelle scarse 

Ch'or quella torma fa, che n basso scendaf 

Vede al ssio core, • che ’l eerrar non giova ; 

Cercando scampo al sno sicuro ovile ; 

Lassa il fero disdegno riversarse 

L'altra, munlando aì rolli, Ìl corso stenda 

Conte a chi n ha men colpa; e quanti Imora,’*' ^ 

' Tra t usate erbe, paurosa e vile; 

Tanti senza la viU abbatte in terra. 

E quando ess» lontan •' addrizza altrove, 

Nè ti vide giammai più crudo in guerra. 

Si volgono a mirar ver cui si muove. 

tXXXTlI 

xctv 

Di tatti Teutran viene il primiero, 

Ha il fero Palamede in altra parte, 

In Ha, una delle Ebridi nativo, 

Chiamando I duci suoi, non meno adopra; 

Sopra la qnal reggea del fren l' impero, 

Riduce tosto in un le genti iparte, 

D'ogni giustizia, e di pietade schivo: 

E con minacce le rispitigc all’opra; 

Or qui r indusse il rio peccato e fero, 

Poi lutto impresso del furor di Marte, 

Della vita inonesta ad esser privo, 

Ai primi vincilor si mette sopra. 

Perchè non conoscendo il buon Tristano, 

Destando sol si orribile battaglia. 

Mosse iaver lui la dispietaU mano. 

Che non vai contr'a Ini piastra nè maglia. 


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L AV ARC HIDE 



Toconlra il primo il nobtl Connetr, 

Ch’ rbbe il n»Ul dell* Era in lu la foce: 
la cui dì vero onor troppo alla arie, 
Giovando all’ imtnorlaic al corpo miorc; 
Pcrrliè di molto ardir tal f'Ioria miete, 
Ctraoror ne viene io noi chiara la voce t 
Ma forni ftli anni neil* età più acerba, 

E di pia^a mortai cadde tu l'erba. 

xcvf 

Ch* una pania pii vicn, dove a* appiglia 
Nella pula alla all' ultimo palalo 
La più carnota parte, eh* attolliplia 
L' etea, e le fa il cammio più leve e prato; 
Fotcia il prode ilinoo tra le due cìplia, 
Iniìn nella memoria ha Lrapattain, 

Con loro appretto Acatlore ed Aranco, 
Qortto al vrolrc pcrcutto, c quello al fianco. 

xeni 

Già M fuppia ciatriin, come tt vede 
Di (torni far la popolota tchiera, 

Quaudo il rapace uccello alcun ne fiede, 
Privo d' etca mipiior, vicino a aera; 

]l grido pur del forte Palamede 
Più tpavrnlo apportava che Mepera 
Od Alelio non fan con 1* atpre voci, 

A chi lorde ba le mao di colpe atroci. 

xcviii 

Ma in questa à torvennto Gottemante, 
Il core ardilo, che di quelli è duce 
Di Sommertelo, e te pii oppone avante, 
Con molli capitan, che teco adduce; 

£ *0 minaccioto orribile tembiante, 
Mutlraudo allo lo tendo, in coi riluce 
Hitrliiata in un la porpora c 1' arpento, 
nallumava il valor, cb' ci truova tpcnlo, 

xcix 

Dicendo: O cavalier, non vi tovvicnc 
Quei die voi fuile, c quei che Tur cutloro? 
£ quante erbe in più lochi, e quante arene 
Già diptnpetle voi del tanpuc loro? 

Se voi tarcle quei, eh* riter conviene. 

Gii troverete ancor, quai tempre furo; 
Ch’or non più, che t* avetteru altre volle, 
Hanno in purfiro fin le membra avvolte; 
c 

Nè taplian men ch'allor le nostre tpadc. 
Pur eh aver ditponiam pii itetti cori: 
nilroviam di virtù I' antiche strade. 

Coi medeunì detir de' primi onori ; 


Non contenliam della pattata etade 
Otenrare or le palme e i verdi allori; 

Ma d* addoppiargli c ritchiararpli tale. 

Che non gli noccia mai colpo mortale. 

CI 

In coiai detti qnetlo e quel rarroglie. 
Che tema altro sperar ratta fuggia ; 

Già del primo timor gli animi trioglic, 

E nel cammio latriato pii rinvia ; 

Già di caldo detire empie le voplie 
Di vendicar ria*cun la torte ria. 

Chi del compapno tuo, dii del pcrmano, 
Chi dell' onta, eli avea d* ctter luotaDo. 

ni 

£d cuo innanii a lutti l'apprctenta 
Con la schiera ordinala, e ben rittrrtU : 

E va con grande ardire, ove t* avventa 
f.ontro a chi trova io pulsa dì sartia 
L* Ebrido altero, e eoo la sptda il teola 
Sopra la destra spalla, e beo che eletta 
Fosse la piastra e pruua, noi difese. 

Che 'n fin quasi tu I otto il colpo teete, 

ou 

Dicendo: Or senta il forte Palamede, 
Come il sno Goisrmantc rorc ardito 
Opra in puerra la mano, e non il piede. 
Quale il pipo! pepaior da lui fuggito; 
L’altro col ferro tol rispotU diede, 

Che 'n tu la rroole io allo l'ha ferito. 

Di forza tal. che te veniva a pieno, 

Gli convertiva in notte il di sereno. 

nv 

Ha il fero colpo per traverso lato 
Venne sfuggemln, e nello scudo il colse, 
Ond' ei raci»na in ic medesmo irato: 

Or ringraziale il Cict, che rosi rulsc, 

Che beo ri die più che benipuo il Fato, 
Poi ch* air iinphic dì morte oppi vi tolse ; 
Ma Gottemanlc col primiero ardire 
Di raìuacciar noa retta e di ferire. 


E stala orribil la battaglia fora, 

Perché prode è ciascuno e valuruso; 

Ma de' puerrier lo sluol, che giugne allora 
AH* impresa onorala, vieit ouiuso ; 

Tal che per viva forza all* islctt ora, 

Si truova l'un dall' altro essere ascoso; 
Nè putendo, ove aveaa le voglie intente, 
Spiegaa le lor vsrlu aovr altra gente. 


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ARGOMENTO 

Srpur ia fera pu^na, in cui fan pruoee 
CAinrìssime, sluprnde. Eretto e Lapo t 
A Brunoro ed a' jr«ot. tempre con naort 
Biseotie dan tarmentOf e fer presago : 
Itomi però cadeun ; ma a hr ti muovt 
Boarie $nt>iito di tatrorli vagoi 
tiiungr, e di tongue empie d intorno iieampo. 
7'oi che I prodi guerrter trovano tcampo. 


M » io qaclli pirlCf ove le piccioroadt 
Per •eotiero Jrenoto l'Kuro «pingey 
Non più cii’ altrove il tuo furore atcuode 
Marte, o cou tueoo ardur la tpaila ttrioge; 
Aulì le verdi pria Gorìte tpunde 
D'altro fero culor ba|iaa e dipiuge; 

£ tulio inluriiu all’ iiilelice fotta 
Ha ttaiupalo il Icrreu di taogue e d* oua. 

n 

Ivi il buon re dell Orcadi tenea 
La vece di Gaveo. meotre é ferito; 

£ con triiuo e cun arte ti niovea, 

Non però lai, che uiro ti motiri ardilo ; 
Ma il valore e 1 eoutiglio correggea 
{Si beo tra lur, che nullo era impedito; 
Ed avea già run 1' atte sue primiere 
Upprette di tiinur l'avverte schiere. 

Ili 

De' quai fu cooduttor Bruaoro il NerO| 
Perù che il re Cludiuo era luutaoo; 

Seco esliinaudu io uuLiI cavaliero 
<’l ira di rur rouiuiuio c villano 
Si lotto ripigliar l' ingiutlu impero, 

K con ogni ragìun muover la mauo 
Sopra la genie pia. eh' a torlo offesa, 

Pur crcdca, che dal Liei fotte difesa. 

JT 

Coti r un corno e I' altro il proprio duce 
Avea cangialo, c uuo cou men virlude 
Di lur ciateuno all' opra ti couducc, 

Nè Ui quei uien valor nel petto chiude: 
Ben che d anni iucguali, lu ambe luce 
Gloria teinbiaiitc, perché in mille crude 
Battaglie ti trovar contrari e ntienie, 

In CUI tcnou muttraro c forse ettrcnie. 


Or nttchiali fra lor da ciateon lato. 
Non ti diicerne alcun, che muova il piede; 
Ma sta qual torre o tatto alto piantalo, 
Che d'aperti eooCn termine siede; 

Poi col braccio e col ferro imanguinato 
Conira il fero vicin spinger ti vede; 

E tenaa cura aver della tua torte, 

Solo inteso restar nell' altrui morte. 

VI 

E fra molli miglior più d'altro appare 
II figliuul del re Lago, il forte Eretto, 
Tutto pica di desio d allo montare 
In brevittimì giorni al Gu perfetto 
Di somma gloria, e n dietro a té lassare 
Gli alimi canoli onor, lui giovinetto; 

Coti dove teeroea più gran periglio, 

Dì più innauii pawar prendea coutiglio. 

VII 

Né a ti oobil disegno fa nemica 
Nel primo iocomioriar fortuna infida, 

C'.hé con sommo valor ratto t'intrica 
Tra i piu folli nemici, ed ella il guida 
Ove Boealion danno e fatica 
Dava ai Britanni, e loro appella c sGda, 
Dicendo: Ove ton or quei latito ardili, 
Clic mioaccian ti spetto i nostri liti f 

TUl 

E quando ton lonlan, trmbran Itoui, 

Poi pecorelle vili, ove noi temo ? 

£ t' al calcar le nostre regioni 
llanou opralo in cammin la vela e *1 remo, 
Al tornar Ga mesiìer piu ebe di sprtmi, 
Per chi non fosse pur di vita scemo ; 

] quai pochi taraiioo, inGii clic basta 
Questa mauo a portar la spada e 1' aita. 

» 

IX 

E mentre dice pur, sopra gli viene 
II valuruto Eretto e dritto pose 
Il ferro entro la hocea, di' ancor tiene 
Parlando aperta, e tutto io essa ascose; 
Coti tema altro dir, qual ti cuuvieue, 

Al folle ragìuuar tilenaio pose; 

Cadde egli a terra, come sciolta salma, 

£ mordendo il terrea ti fuggi T alma. 

X 

Olirà varcando poi trova Meriilo, 

In Frisia nato, e nel medetmo loco, 

Che del nimpagno tuo doglioso e tristo 
Per desio di vemletla ha il cor di foco} 
Ma il feru giovinetto, al nuovo acquisto 
Yùlto il pensiero, il passo altrena im poco. 
Fin eh* ei s' appretta, e poi vèr lui ti getta. 
Come d' arco miglior leve taelU» 


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XI 

B pria eh* X lai ferir pretto il vedette, 
Il colpo gli addrizzò* dove le coite 
Soo nel mezzo del petto aggiunle e tpetie, 
Delle parti migliori io guardia putte : 

£ pattò levemcnte olirà per ette, 

Nelle iptoe del dorto a quelle oppotle ; 
Coti la man, percutte quelle a pena, 
Latciù r atta cader «opra la rena. 

XII 

£d ei tatto incnrvatn, e rivertando 
Per la borea doglioto 1* etra e '1 vino, 
Andò eoi volto in già di vita in bando, 

£ diè l’ultimo Bue al tuo dettino. 

Trovò dopo roilui, che van rerrando, 

Se tara il ferro lor del tuo più finn, 
Attillo, Pulipele, Ablero, Elaio, 

Ai quali ad ono ad an la morte ha dato, 

XIII 

Tolti nati in Utfalia io mezzo Tonde 
Di Yiiurgo e d* Amatio, a cui del Keno 
La detira foce di non molto aiconde 
L* acque, ch'airOrrao ripone in leno. 

« ? iie olirà Eretto, e qual I* aride fronde. 
Poiché il calore estivo già vien meno, 

Nel tardo autonno d'aquilone al (iato 
Caggion, nudo lattando il tronco amato ( 

XIV 

Tal da* colpi di lui cader ti vede 
Gente infìnila poi dì tangiie otenra ; 

E ’n guisa fa, ch’ornai ciascun r<d piede, 
Non con la man la vita a' asteenra : 

Già tutto il corno a lui tolelln cede, 

Chi per forza d’altrui, chi per paura, 
Perchè t pochi e miglior di tema tcìolli 
Sua via portati dal fuggir de* molli. 

XV 

Ma il feroce Brunoro, e Dinadano, 

Il too caro fratello, han lutlu udito 
Il gran dauno de’tuoi, molto lonlano 
Da Marigarto il grande, che ferito 
Vicino al braccio nella destra mano 
Non potendo altro far, volando è gito; 

E grida in allo tuon : Drizzate il passo, 
Ore il pupol vi cliiatua afflitto c lasso. 

XVI 

E lenza olirà più dir, ratti gli mena. 
Ove d' un tol temea la folta schiera; 

Air apparir de’quaì tutta ripiena 
Tornò di gioia, e di speranza altera; 

Non altrimenti, 'allor che rasserena 
Il ciel, dopo r algente, orrida, e fera 
Del no verno ttagino, tornali gli augelli 
Sopra i rami a cautar gaietti e toelli. 

XVII 

Colai li teerter tutti rivetlire 
Lo sroarrìto vigore, alla mercede 
liendendo a Dio, ehe non volea tolTrire, 
Che lungo foste il danno, che gli diede ; 
Or già ricinto il dispogliato ardire, 
('•iascuii verso i nemici toma il piede ; 

K col favor de' duo gran duci insieme, 
Ove indietro fuggiva, inuaoii preme. 


XVIII 

Area Brunoro Ìl Nero in quella parte, 
Onde allor sì movea, l'asta troncata; 

Però dal suo sciidier, ch'era in disparte, 
Lo scudo ha tolto, dove in argentala 
Sede sorge il leon, ehe io estrani arte 
Di rosso e brnn la veste avea cangiata; 
■Poi tratta fuor la tua pesante ipada, 

Ficea col tao valore agli altri strada. 

XIX 

In compagnia non solo ha Dinadano, 

Ma Nabrno il fellone ed Agrogero, 

Che fu chiamata il crudo, e Terrigano 
Il grande insieme, e Gracednno il fero ; 

E perchè da qnel loco iva lontano 
Di qnei, che dimorar, lattò 1* impero 
A Margundo, Gaiindo, c Giincbaldo, 

Che ’l Icucttcr composto, unito e saldo. 
x< 

Ma come air arrivar dei can piò fidi 
Suol T orecchie levar lupo rapace, 

Cli'avea trovala in solitari lidi 
La greggia stanca, ehe nelT ombra giace ; 
Che la fama al predar vuoi, che t'affidi, 

E '1 cuntrarìo dì lei temenza face ; 

E mentre è io dubbio ancor, tal forza ha sopra, 
Che del botcu convien t' asconda c cuopra: 

XXI 

Coti nel torvenir di gnerrier tali 
Fe'il valoroso Eretto, che ti duole, 
Ch'aggian tarpate a lai vittoria Tali, 

E desia di seguir, come pria tuole ; 

Ha r arme di custnr, eh' han pochi eguali, 
Già lo sforzano a far quel, che men vuole; 
Onde i colpi schifando accolto e basso, 

Si ripose fra* suoi con lento passo. 

XXII 

£ qnanto pnole Ìl meglio ivi conforta 
Ciascuno a non temer 1’ atra tempesta, 

Ch' una mbìta nube loro apporla. 

Che quanto ha più furor, più tosto resta; 
E per ben lor fermar salda la porla, 
Baddoppia insieme alta primiera lesta 
Quanti scudi ha qnel lato, e curvi a terra 
Vuol, chesustengan sol, non muuvan guerra. 

XVIti 

Ma qnel, rimessa in an la miglior parte. 
Mossi d'alto disio di vendicarse, 

Veuian con tal ardir, che'l proprio Marte 
Quasi avrta conir* a lor le forze scarse; 

E ben ch'ivi rilrovio con molla arte 
Ai diseicni animosi contrastane. 

Non perdon la speranza, anzi T impresa 
Yao seguitando più, eh' i più difesa. 

XXIV 

Son le due schiere già si giunte rasieme, 
Che *1 braccio eoa la mau resta impedito; 
Nessun ritira il pasao, e ciascun preme. 
Senza avanzarsi il termioe d* un dito ; 
Ciascun gli altri minaccia, e nessun teme, 
Nè del suo percnstor cura il ferito; 

E non gli scudi por, ma dansi in allo 
Le celale c Ì citnier l’ istesso assalto. 


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L ÀVARGHIDE 




XXV 

Ma il feroce Bmnoro, ehc noa vede 
I)* otteoer la ritloria alcoaa via, 

Mentre il »ao Dinadaao a quei provvede, 
Con pochi dei mif^iinr quelo «' invia 
In quella parte, eh’ alla delira liedc. 

Ove la minor fsente e la più ria 
Stava di quei tT Aiioro, che 1* eletta 
Air inaegna d’ Eretto era rìitretta. 

XXXII 

Ha di pregio maggior destre il prese, 
Che di Crcuto allor 1' orme teguìo. 

Fin ehe, in van sospirando il tuo paese. 
Per le man dì Nabon miser morto; 

In Cioero e in Atsco, non men si stese 
Per quel ferro medetmo il dettin rio. 

Che gli fc’ d* un sol parto uscire intìcme, 
£ d’ una isteasa morte ivi gli preme. 

XXVI 

Cremo il Seneiciai Milelto trova, 

Che preiago di riù, d' intorno chiama t 
Il pj«»o in ver di me mrreodo innova, 
Chi la vita lalvar cerca e la fama t 
('.he la ichiera, eh’ or viene altera e nuova. 
Il noiiro aanpiie e la notte' onta brama 
E «c non provvefipiam con «ommo ardire, 
Porria forie adempir lo mio delire» 

xxxni 

Uccise Graccdono il bel Dolopo, 

Che della vaga Alarla era figliuulo. 

Di Crcnso sorella, eh' assai dopo 
Il partir venne del Britanno ttiiulo; 

Nè le ricchezze, nè la forma ad uopo. 

Nè V rttcr di tal madre uscito solo. 

Lasso ! gli faro, allor che 1' empia spada 
Se gU fece nei cor mortale strada. 

XXVII 

Colt diceva, e poi eh* Iniieme ha poito 
Ì.O ilMoI, rhe dì Cormibia arra menalo { 
Prr dar baldanza a' inoi, (|uanln può lotto, 
D' atialir cerra il gran netniro armalo, 
li qual è nel ttto cor f^rnm e ditpoito, 
Che '1 panar indi non gli lia vietalo t 
K con impeto lai fra lor perrnule, 

Che la valle al romor U fronte tcnole. 

XXXIV 

Di quella tlesta man cadde Lampeto, 
Nato in Arforda al promontorio Uvallo, 
Che fu nndrìto io luogo ermo c segreto, 
Da chi lemea la pena del suo fallo ; 
Perchè Fileda del famoso Cleto, 

Che del tno padre Ivano era vassallo. 

Il partorì nel bosco, e ’n guardia diede 
D’ un paslor vecchio alla sincera fede* 

XXVIII 

Ha non cede per qncito Ìl bnon Creato, 
Che ili tendo tien tallio, e ’l ferro tpinge, 
Che in altra parte, e in altri tempi era otu, 
Ove il terreo di taogue ti dipinge; 

Ma poi che *1 ino tperar toma dehiio, 
Brunoro irato contro a lui t’accinge, 

E con la tpada urlio tendo il fere, 

(^he non potè più intero rimanere* 

XXXV 

poi palesato il ver, dopo il perdono, 

Fu deli* amante suo la donna sposa: 

Ma quanto era per lui più largo dono 
D' incognito abitar la selva ombrosa ! 

Ch' or non saria dal fero Gracctiono, 

In troppo acerba età, qnal fresca rosa, 

Ch’ ancor non apra il scn, disteso al piano 
Dalla marmorea testa si lontano* 

xvrx 

Che qnanlnnqne il fm fotte 1* acciaro. 
Che pochi altri o* avea tiioilì ad etto } 
Tutte r ottime tempre noi talvaro, 

Che ’l tinittro «no lato ha io terra |meito ; 
Crciito gli rriidcu colpo più amaro, 

Che di vibrante punta il colte, presto 
lìrlla gola io quel loco che tutliene 
E' otto, rhe dalla tpalia al petto viene* 

XXXVI 

Ma Tcrrigano il grande Orone accise, 
Lo scudier valoroso di Mandrino, 

Che al più basto del ventre il ferro mite, 
£ tremando il gettò col rapo chino ; 

La froole io fino al ciglio poi divise 
A Calrnor, rhe fu di Bretlnlino, 

Dell* isola vicina a Bangaria, 

Ove r arte piratica il nutria. 

XXX 

E pa««A alquanto dentro, ma il periglio 
Fu del danno in quel punto attaì maggiore, 
Che tr bene tornò '1 ferro vermìglio, 

Non gli tolse però spirto, o vigore; 

Ha in questo mezzo rivolgendo il ciglio 
('.rento, uve tcntia più gran romore, 

Nabun vede, Agrogero, e Oraccdono, 

Che quasi tre leon fra’ cervi tono. 

XXXTIl 

Ed Agrogero il crudo presso a loro 
Non men bagna il terren di nuovo sangue, 
Ch' avea reciso al misero Bauuro 
Tutto il destro ginocchio, c fatto esangue; 
Questi del re Gaven t' ampio tesoro 
In guardia aveva, ed or povero iaiigne. 
Senza sepolcro sopra, o pompa intorno, 
Lontan di Coulurbia, soo nido adorno. 

XXXI 

Degli Ofcuri gnerriert accitì han tanti, 
Che la terra di lor parca coperta; 

D' altri poi duci e cavatirri erranti, 
teudirri, o mgin di fama aperta, 
Morto è Lamete, che in destrezza, quanti 
Ebbe mai la Coroubia ai mrtu esperta, 
Viorea già tulli, e viucerebbr anctU’a, 

Se dallu stadio tuo non usria fuora. 

xxxviu 

Uccise appresso Clizio e Palidarco, 

D' Etsesia questo, e di Mildesia qnetlo; 
Percosse l'iin, dove ctMigiungoii 1' arco 
Le ciglia iusieme, e trapassò il cervello; 
Deir altro al manco lato orribtl varco 
Fece, dove più il cor si addrizza in elio. 
Or (|uandu tai cader la gente vede, 
Tutta allo scampo suo rivolge il piede. 


u 


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l’ avarchide 

XXXIX 

Qoai fEÌOTiQe«Ì Imn, che in lacci arrolla, 
0 io mcxio ai rarcialor, la madre morta 
Srorftoo dogliosi, ond’ o^oi ipeme è tuUa, 
Ch'aver aoleaa, della Gdata ^x>rta ; 
Ch'ove la »eUa è più apiooia e folla, 

E dove è più la «trada oroLroia e torta, 
Fu|i|lon per ritrovar ae pon, Talberco, 

Né per lemenaa mai |;uardano a tergo ; 

XLTI 

E ai congiunge a qnei, che indietro sta mio 
Che tra gli ordia più larghi 1* han raccolto. 
Poi tutti insieme unilamcale vanno 
Ove il fero avversario era più folte; 

E nuova altra battaglia insieme fanno, 
Ore non apparta vantaggio molto. 

Tra' primi colpi loro, in fin che venne. 
Chi gli altrui mise in foga, e* suoi aoalcanc* 

XL 

Tal ti vedeva allor rafllitta schiera. 

Che di Ui cavalier si seole priva: 
Seguoola, quanto pon con vista altera, 

I quattro Lnon guerrier lungo la riva ; 
Perché non possa mai tornare inlcra 
Nell* ordia primo, che dispetto giva; 

Ma poi che luape assai loustrap le spalle, 
Si rilirao fra* suoi per altro calle» 

XLVtl 

Venne il gran Marabon della Hvscra, 
Con l'aspra gente, rhc tra l' Alpi giace, 
Onde icendeodo rapida Lisera 
L* Allobrugo terrea fecondo face ; 
Margondo ha in compiagaia con pari sohiern 
Di quei, che stanno, uve riposo e pace 
Il Rudao porge al soo veloce piede, 

E '1 mar di Gallia con due corna fietie. 

XU 

E dove OtnadaDo, e *l forte Eretto 
Han di pari fra ior palme e cipressi, 
Drittansi al fianco, in un drappello stretto. 
Ove i Britaaiii scudi erao piu spessi; 

I quai guardando a quei, eh* aveanu a pelto, 
<^(iesli avvitar de* lor compagni isteui ; 

Che chi ha nella vista, o lancia, o spada, 
Non può teeruer tt heu, chi venga, o vada. 

XLvni 

Non può il valor degli Orcadi dorare 
Contro a numero tal, che nnovo è giiinlo; 
Ma in questa al vecchio re le nuove amare 
L'orecchic insieme, e ’i cure hanno compuato; 
Ond' egli ordii) lassando, che restare 
Debba in tuo loco Ivan, l'istesso punto. 
Appellando ì miglior con ratto corto, 
Deir amato figliaol viene in aoccortoi. 

XUI 

Trovami adunque d'ogn' iotoroo cinti. 
Che con quei quattro pui tono al^ri molti, 
Che da'lur duci fur tatti sospinti, 

Pria che la torte tua contraria volli, 
Perché maravìgliaudo hanno dipinti 
Di temenza e di diiol già tutti i volti; 

Ma il gioviu valoroso nulla teme. 

Anzi eoo più furor minaccia c freme. 

XLIX 

Di erti r ardente amor, V onor del regno 
Dì tal fuco avvampò 1' annoso petto. 

Che dì vecchiezza fuor non mostrò segno; 
Ma come foste ancor d' età perfetto, 

Le membra ha pronte, c di vaghezza pregno 
Di tosto perveuir dove era Eretto; 

Così veture va, che gli altri a pena 
Han di lui seguitar si sciolta lena. 

XUII 

Dicendo; Or ch'egli è *1 tempo, vi tovvegga, 
Onorati compagni e fratei cari, 

Della virtù, che anticamente regna 
Ne* maggior nostri supra gli altri chiarì; 

E che teguìle or qui 1* altera insegna 
Del gran re Lago rut non visse pari 
Oggi in consiglio, e già in opre leggiadre, 
£ eh* è non men dì voi che di me padre ; 

L 

Leva quanto alto può lo erodo aurato 
Con le vermiglie leste del Dragone : 
di' a' suoi, che dì lontan 1' aggian micato. 
Sìa di fermo sperar dritta cagione: 

Or come fu tra' tuoi lieto arrivalo, 
Comiqriò con dolcitiimo termooe : 

Non temete, figliuoì, ch’ora i con voi. 
Chi tempre viocilor coaduste i tnoi. 

xtiv 

E che là sotto il futro e freddo ciclo 
Dell* Orcadi il lerren nostro natio 
Non si teme di morte il crudo gelo, 

Ma di pigra viltà refTeito rio: 

Non s* onora chi Ìq pace cangiò il pelo, 
Ma chi con l'arme in znao giovìn zuon'o ; 
Folle errore è il salvar la vita in sorte, 
Che li sìa grave poi piò eh' altra morte* 

u 

Né vi spaventi no, te gli toimici 
Soo più numero astai, che voi non tele ; 
(*he tempre i pochi e buon too più (eiid, 
Come per prova ancor tosto vedrete ; 
Abbatte n» tol falcoo multe cornici, 

Vu leon mille gregge mansuete; 

Nè questo il primo di sarà, che Ì molti 
Ho già solo, o con pochi io rutta volli. 

XLV 

Con fai parole il giovinetto ardito 
Di tosleocre i tnui pregando adopra, 

E non in vau, che da' migliori udito 
Il suo chiaro voler fu messo in opra; 
Ma il popolo inimico, eh* è infiuìto. 

Al breve stoni, eh' avea, venuto è sopra, 
Tal eh' è forzato Eretto a poco a poco, 
heuza fronte voltar, cedere il luco. 

I.II 

Tenete pore in man forte la spada, 

£ *D petto di virtù smallato il core. 

Che in timi! casi, alla medeima strada 
Va la dolce salute, e'I chiaro onore; 

Che più perde la vita, dii più bada 
A voler lei scampar con suo ditnorc ; 

E per propria difesa il ciel ne diede 
La mano e 1' arme, c non la fuga e *1 piede, 
f 


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Coafortaiido così, tjoto diro p«sia« 
Che'l prode Eretto io furao perìglio troov«i 
Perchè parte é ferita, e parte lassa 
La gente tua, che ’o vita si rìtruovas 
Or vedendo il figliuol roogiunta e batta 
Al tocrorto venir la ichìera nnova, 

E 1 pio vecchio, c magnanimo parente. 
Gran doleeaaa e dolor nell' alma tenie. 


Ua il giovin miterel, come t* accorge, 
In che stato dubbioso il padre sia; 

Non più dogliosa appar, te *1 figlio teorge 
Dentro all' onde cader, la madre pia, 

Che qual può lagrimaodo aiuto porge, 

E rliiaaiando ctatcuo, che truova in via ; 
Tale er'egll io quel punto, e in alte grida 
Tatti appella color, cui più t'affida, 


E dicer O sommo onor de* canati antri, 
O dolcissimo padre, e qual mia torte 
Rea vi conduce or qui tra tanti affanni, 
lo rischio, a mia cagion, d' amara murter 
Troppo m* era il soffrir gli avuti danni) 
Sovra i cari compagni e fide scorte. 

Sema che t* aggiungeste quel, per cui 
Uillc vita darci, salvando lui. 


Dicendo t Ora è, signor, quel tempo eletto, 
Nel qual 6a guadagnar perder la vita. 

Per salute di quel, dentro al cui petto 
Ripose il Ciel la sua virtude unitai 
Nè possa esser già maì saputo o dello, 
Che fra si altera gente c si gradila 
Fosse ucciso deir Orcadi il re Lago, 
Senza ampiissìmo far di sangue ou lago. 


Deh! fomatc, signor, poi che v* è stato 
Amico il Ciclo in tale aita danne ; 

Ch* altra forca bisogna in questo stato. 

Più integri difensori, e più salde arme. 
Rispose il vecchio re con volto irato: 
Dunque vuoi tu, figliuolo, oggi privarme 
Dì quel, eh' io bramo più, eh' è d’ esser lero, 
Per cui dolce m' è solo il mondo cicco ì 


E *n tai chiare parole oìtra ti mise, 
E ben segnilo fo dagli altri suoi ; 
Ippologu, Difrono, Anero ocrise. 

Tutti Borgoiidi, e Sìcofaiido poi. 

Tal che la stretta schiera si divise. 

La porta aprendo a* valorosi eroi ( 

Cosi spingendo co* compagni appresso 
Trovò il famoso re da molti oppresso. 


Lassami pur venir, che poche notti 
Ha in sua furia di me Fortuna fera, 

E i giorni a tanto onor fin qui condotti. 
Qual mai chiuder porria più degna sera? 
Esser Isen potino a le troncali e rutti 
Mille disegni, ch’hai l'ctade intera t 
A me il sepolcro sol puole esser tolto. 
Che non fa dai migliori in pregio molto. 


E *0 tra* primi Nabone ed Agrngrro, 
Quasi drl tutto all’ ultimo suo punto 
L* avean condotto; e bene avea meslicru, 
Che'l soccorso di Ini fosse ivi giinilo; 

Ma quando ndi vicino il gritlo altero 
Del carissimo figlio, fu compunto 
Di tal dolcezza, che ripreso ardire, 
Ilicominciò di subito a ferire, 


Coti detto va iananai c viciu truova 
L* Allobrogo Alciloo, di cui la testa 
Percuote si, nh' a lei salvar non giova 
Ferro ben saldo, che partila resta; 

Poi vago d' acquistar vittoria nuova. 
Segue olirà a suo poter, nè mai s'arresta, 
Fio che traova Agaitrofo e Peonide, 

£ de* duoì questo impiaga, e quello ticcide. 


Dicendo: Or vegg* io ben, che dai leoni 
Non Qscirnn giammai damme aè cersre ; 

Nè bisogna al buon cor verga nè sproni. 
Perchè '1 dritto srnticr d'onore otserve. 
Non van con tal romor folgori e tuoni 
Per l'aria errando alle stagion proterve, 
Che'l prode Eretto per la schiera avversa. 
Che lotto il suo poter nel padre versa. 


Perch’al primo passò la destra tempsa, 
E tutta r altra poi 1' agula spada ; 

Ma la Fortuna sua men dura ed empia 
Ebbe il secondo poi, che vuol, che vada 
11 Colpo iodaruo, e non del lutto adempia 
L' incominciala pria mortale strada , 

Cb* entrò nel petto, e non andò si addentro, 
Che polcaae toccar dell’ alma il centro. 


Dona nn colpo a Nabon, che più vicino, 
E con forza più grave il vecchio offende; 
Ma fu d' ottima tempra, e troppo fino 
Il ferro, che la testa gli difende ; 

Pur del grave suo peso, a capo chino, 

Totli smarriti t sensi, si distende; 

Poscia in verso Agmgrro il brando mosse, 
£ *1 destro braccio iu alto gli percosse, ; 


Tale all* alto valor, ché 'n core avea. 
L'invittissimo vecchio allarga Ì1 freno. 
Che quello stesso allora esser credea, 
Ch'ai verde tempo, e di vigor ripieno; 
£ tanto ultra varcò, che uuii polca 
Ritrarsi indietro, ch'a'oemiri e su seno. 
Nè sbigollilu vico per questo o stanco, 
più che fosse ancor sicuro e franco. 


Per cui gli fe* cader la spada a terra: 
Così impedito t* uuo e Tallro duce, 
Trìonfatur della pietosa guerra 
In secato sentiero il padre adduce ; 

Ma io questo mezzo si rislriuge e serra 
Gran gente, che di nuovo riconduce 
Brunoro il Nero, c'I forte Graredum*, 
Cou altri cavalier, che'iilornu son«>. 


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L’AVARCHIDE 

tlTìl 

E redemlo toHiar V unico alnolo, 
Rilorna indietro il fiiovtn valoroso, 

Com* aquila Ulor, che stenda il volo 
Verso U suo nido in alti monti ascoso. 

Là dove ai cari (if’li io aspro duolo 
Ha vedato il serpente esser noioso; 

Così fece e^li, e poi miaacria e pre^a 
Sì, che rordin aostien, chc'ndietro piega. 


zxxtv 

Viene in si gran furor, che come egli era. 
Senza gran compagnia, ratto si mosse, 

E per entro passò la stretta schiera. 

Non curando dì lei piaghe, o percosse ; 

£ giunge a forza, ove a battaglia (era 
Tniova i buon cavalicr, che Parme rosse 
Avean fatte a più d’nn dì quei, che stanno 
A cerchio intorno, c con men gnardia vanno. 

txtni 

Ha spinge io gnisa tal la gente nnova, 
Che poco altrui virtù può quivi oprare, 
Che la schiera percossa non sì muova 
Per viva forza indietro a ritornare ; 
Tanto che *n breve Eretto si ritruova, 
Che pnr vuole ostinato contrastare, 

In mezzo quasi sol degli inimici, 

E tra le avverse insegne viocilrid. 


LXXV 

Come ba scorto del vecchio il pio figliuolo 
Il subito arrivar la nobil alma. 

Quasi che per lassare, aperse il volo. 

Di lei spogliala la terrestre salma t 
E se pria la bramò per P onor solo. 

Or per doppia ragion ricerca palma; 

Ei volea molle cose indarno dire. 

Ma gli contese il duol la bocca aprire. 

LXtX 

Patride al cerchio d‘oro, c Hatagrante 
Eran con lui rimasi, c'I suo Plenoro; 

Di tulli quanti qtiri, eh* aveva avante, 

E che mal grado lor disgiunti foro: 

Or già, come leon per fame errante, 

Con aUissirae grida vira Brunoro, 

E qnai quattro cinghiai nei lacci avvinti, 
Scontra i guerrieri alla difesa accinti. 


LKXTl 

Por con discreto avviso in mezzo il melte 
Ove più mostra il l»co esser sicuro: 

Poi rivolle tra lor le spalle e strette, 
Fanno intorno di lui difesa e moro ; 

Ma non mollo così P impresa stette, 

Che ’l gran popui, che virn noioso c duro. 
Apporta sopra lor sì grave incarco. 

Clic da doe parli già s' ha fatto il varco. 

tsx 

E contea Eretto sol muove la mano, 

£ di punta mortai lo scudo roglie; 

Ha r altro il porge innanzi, e *1 tien lontano, 
E tutto indietro, quanto può, s'accuglie: 
Passò il colpo tutt* olirà, ma fu in vano, 

E non ben di leggieri indi si scioglie, 

Che per tirar, eh’ ei fesse allor la spada, 
Di riaverla mai non trovò strada. 


LXXVIl 

Già si Imova Patride sulla testa 
In tal guisa percosso da Brunuro, 

Che come morto alla campagna resta ; 
Il medesrao avvenuto era a Plenoro ; 

A cui la gente d' ogni parte infesta. 
D’intorno sta, come mastini ai lom } 
E mille colpi asprissimi gli han dato. 
Tal eh' anch' ci senza sensi è riversato. 

LXU 

Onde irato Bnuaoro in dubbio resta, 

S* ci debba ivi lassar la bda aita; 

Ha il giovinetto ardito pria la lesta, 

E la spalla dipoi gli avra ferita; 

Pur r una e T altra fu p«sco molesta. 

Nè la forza, o la vista gli ha impedita ; 
Che sì salde eran i' arme, ed ei sì oppresso. 
Che ’l colpo ne sccndca frale e duncsso. 


txxvtn 

Riman sol Halagranle, c *1 padre e ’l figUo 
Il coi sommo valor pur non s’ arrende ; 
Avea 1 famoso re fallo vermìglio 
Tutto il lerren, dove la spada stende : 
Imnnio il Provenzal passò dal ciglio 
Tutta la fronte, onde lo spirto rende. 
Dicendo: Appressa pur, turba negletta. 
Che non mi anciderai senza vendetta. 

LXXIl 

Tirò Brunoro, e quale iinpiagatn orso, 
Toma a ferirlo miridiale e crudo, 

E Gaiindo e Margoiidu è seco accorso; 
E gli rendean del vel lo spirto nudo, 
Se, tcome leopardi, al suo soccorso 
Patride e Malagrantc non venia 
Col famoso Plenoro in compagnia. 


txxix 

Con cosini poscia, del medesmo nido. 
Uccise Arpalione e Perifete ; 

Ma sempre a lui congiunto il figliool lido, 
Come fieno il villan, la gente miele. 

Pur ai grande è lo stool, che corre al grido. 
Come i cani al leon, eh' è nella rete. 

Che la forza e ’l valckre in van s' adopra, 
S’ altra aita maggior non viene all' opra. 

tzxm 

Non si porria peour l’alto valore, 

Che mostraroo quei quattro in tale stalo; 
Ma chi vorrà narrar 1' aspro dolore 
Del magnaniino re, poi ch'ha tornato 
11 volto indietro al njarzial rumore, 

Nè il suo caro figtiuol si scorge a lato; . 
Ma il sente e vede, che da lui ben Innge 
Ridoto è inturuo da chi 1 batte c punge. 


LZXZ 

Ha il famoso Boorte, che non lunge 
Co’ suoi levi cavai ferendo giva, 

Come a lui messaggicr volaodo giunge 
Di quanto in dauno loro ivi seguiva, 
Con sollecito core il deilricr punge. 
Dot' è dell' Baro 1' arenosa riva; 

K seguilo da' suoi, quanto piò puote. 
Per traverso i nemici a^pro percnote. 


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l’ avarchide 

*■ 

tnxt 

msviit 

Qn«l r ntÌT* lUfìon Ulora avviene. 

Li non ad on ad un, ma a tchìera a schiera. 

Quando il più caldo dì le piappe feode, 

Stende totli all' arena, e molli nccide, 

Che d'atre aobl ioghirlaodato viene 

Nulla parte di lor rimane intera. 

L'Anatro, che aorra il mar l'aH distende; 

Ch’ove insieme gli scema, gli divide; 

£ scorando le luci al del serene, 

InGn che Marebon della Riviera, 

Cerer, Bacco, Pomona, • Palla offende 

Che par rhe ori valor troppo •' alTSile, 

Con prandine Mssosa, orrida, e eroda, 

Con gli Attobrogi snoi ristretto Iniove, 

Che le piante o la terra ha fatta i|;onda. 

Che spiegate l’ insegne incontra muove. 

Laani 

LUXIX 

Tal sopra i noi nemici allnr Boarie 

Tosto chc'l vide tal l'accorto dnre, 

Il valore e '1 fnrore tu no distese ; 

Cangia a' consigli snoi novelle forme. 

A qnesi» aspro minaccia, a quel dh morie, 

Che '1 fren tanto ritien, che si conduce 

L' nno empiè di timore, e 1' altro uffese ; 

Uarabon per ferire all* ullim' orme ; 

Poi rotte avendo le primiere ptirie. 

Apreii poi nel mezzo, e i suoi riduce 

Intento solo a «quello il srnlier prese. 

Egualmente divisi in doppie (orme; 

Ove il re Lapn, e 1' onorato liplio 

E nel lor de«lm, e lor sinistro lato 

Giunti crao ambo all' allimo periglio. 

Dietro agli ssrdio primieri è ratto entrato. 

Lixaiii 

xe 

Perchè quel sen/a scado, c tenia spada, 

Cosi 1* aste schivando delle fronti, 

Che gli si ruppe in ntan, si vede, e lasso; 

Con sua più sienrtà percnote i fianchi. 

Il forte Eretto ha l'elmo su la strada, 

In prestezza colai, di' ancor che pronti. 

£ del destro braccial si trouva casso : 

Voltar non ponsi, ove la forza manriii ; 

Pur con 1' altro a guardar la fronte bada. 

Posria entrato fra lor, confusi monti 

£ cui brando, eh* ha intero, Cuopre il basso; 

D'arme e di gente fa, che vinti e stanchi, 

Il terzo è poco men che sbigottito. 

£ calcali son tutti dallo intoppo 

Chc'l sinistro ginocchio area ferito. 

Feroce de’corsier, che pesaa troppo. 

LXXXIV 

xet 

Come al tempo novei dopo la pioggia. 

Ua con sommo valor sirnra strada 

Che da iCefìr sospìnta inondi e bagne ; 

Ai suoi mostra il magnanimo Boorle; 

Che veder ponti in disusata foggia 

Sempre ha in danno d' alcun la grave spada 

L' erbe abbattute, e i 6or per le campagne; 

Di sangue aspersa, e di color di morte; 

l,he Itnl poi chiaro e bel, che io alto poggia, 

Tosto eh' fi può trovar chi incontra vada, 

Porli dolce conforto a chi d lagne ; 

Gli mostra aperte le tartaree porle ; 

K di sì bel ristoro il mondo adórni. 

£ di sluol popolare fscrist ha tanti. 

<^he quanto era il dolor, la gioia tomi ; 

Che del credere uraan vanno più innanti. 

txxxr 

XCII 

Taì fur da prima, e lai sì fero appreuo 

Poi tra* duci Aretaone e Pldila, 

I gnerrier di fioorte all' apparire; 

Del Koitan nati alla sinistra riva, 

Per timor più d' alimi, die di se stesso, 

Dentro la nobil Vienna, in cui gradita 

Cile nessun cura il proprio suo morire: 

Di Roma è ancor la gran memoria viva: 

Or poi che 'n fra le schiere oitra t' è messo. 

Fo quella offriu di mortai ferita. 

Con r urto del cavallo, e col ferire, 

Ove al collo congiunto in allo arriva 

Si larga e bella piazza intorno face. 

Della spina dei dorso il nodo primo. 

Ch'ci può l'arme ricor, ebe 'a terra giace. 

£ traverso il tagliò dal sommo all'imo: 

txixri 

xeni 

Aipon sopra i destrier, eh' area de'sooì, 

L’altro nrl destro lato fu percosso, 

11 vrcrhio re dell Orcadi, e *1 bgiinolo. 

Ove Tornerò al braccio si cuntirne; 

Fatride al cerchio d'oro, e gli altri du«i, 

£ tutto interamente tagliò l'osso, 

Che fur feriti dal crudele stuolo, 

Che più largo e sottil di dietro viene: 

Che pos«an dare ai loro ordine; e poi 

Isaodro ancor, che da pietà commosso, 

Quei sicuri lassando prende il volo 

Di vendicarli avea fallare spene 

luvcr firunoro il Nero e Terricano, 

Con la testa in due parti compagnia 

Che * 1 ) luogo eran dì là poco ioutauo. 

Fece ai cari ctigio per l'atra via. 

f.xxxni 

xerv 

£ messosi tra loro, ambo gli atterra. 

Melanzso poi che la nevosa valle 

L'un colla groppa, e l'altro eoo la testa. 

Drir aspro Tarantasìo patria avea. 

Del suo nobil cursicr, che in aspra guerra, 

Cito la testa tronr^ta dalle spalle 

Or col piede, or col morso altrui molesta: 

Diè fine acerba alla sua vita rea, 

Poi nei popol vicin ratto ti serra, 

Che quanto ivi contien l'alpestre calle. 

Che 'n nuova tema, e sbigullilo resta; 

Di giogo iosopporUbile prrmea ; 

1 Cir ove pria sì credea vittoria avere. 

Nè vi poteva alcun go«Ìer sicuro 

1 1 due duci miglior vide cadere. 

La famìglia nè i ben, iiè il patrio muro. 


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9 ' 


Adr«ito poi, dtl qual mai piti felice 
f^OQ vide alcun la rapida L̻craf 
Che ipota area la rafia Berenice, 

Che fu dell' alma lua la vita iulerit 
Per le man di Boorte, I* infelice 
Innanzi al mezzo dì fu giunto a sera, 

Ch* alla gola Ìl percoue, ed eì morendo 
11 tuo lontano amor, chiamò piangendo, 
acri 

Ha il raloroto Lago, eh*é dìaciolto 
Dal numero infìnìlo, ch'area intorno; 
Sopra 'I cara! montalo, e ’n tè raccolto, 
Alla guerra iotermesta fa ritorno, 

Dicendo agli altri con allegro rollo: 

Or gimo a rendicar 1’ avuto (corno, 

Che ben provvide il ciel fidale icorte, 

Poi che qua fpuiac il nobile Boorte. 

acvu 

Coi! col figlio Eretto, e gli altri iniiene, 
Ove la gente avversa è più ristretta, 

Con impelo crndel la punge e preme, 

E sottosopra attraversata getta; 

Quel morto è in tutto, e quel languendo geme, 
Quel d'uscir della calca io vao i* aiTretta, 
£ quel, che più scampar crrdea la vita, 
Più dagli ilesù amici 1* ha impedita, 
xcviii 

Pur fra quei, che fnggir, resta Piroeo, 
Che ’n sul lago Lemanno avea la sede. 

In cui gli abilator del fcrtil loco 
Avran, più che io alimi, speranza e fede; 
E quello Dio fra lor, ch’ha in guardia il foco, 
Il sommo sacerdozio gli concede; 

Ma questa volta, ìnvan da Ini pregato, 
Non potè in suo (avor vincere il fato; 


Ma il braccio contro a quel sì forte allora, 
Verso il giovine ardito or parve frale, 
Perch* ove più il ginocchio spinge in foora, 
Percole iuvao, eh' a trapassar non vale; 

£ l'altro a lai nella medesim'ora 
Sovra il collo drizzò colpo mortale, 

Che 'n basso gli gettò la fronte d'alto, 

£ fc'in terra rotando amaro salto, 
etn 

Patride al cerchio d’ or 1’ empio Proete 
Con la gola impiagala morto stese. 

Coi di torlo regnare iogìnsla tele 
Indusse a tal, che *1 proprio frale offese ; 
Nè il SCO della pia madre Filemele, 

Nè r aspro lagrimar, lasso, il difese : 

Dopo il qnal fu tiranno ingiuslo ed agro 
Luogo il Rodan del popolo Vcragre. 

CtT 

Plenoro, eh' abbiUolo era por dianzi, 

E ch'ha d' offender qnei dritta ragione; 
Come gli altri a cavai si mette innanzi 
Là, dove incontra il misero Ezione, 

Ch'a* dolci versi e placidi romanzi, 

Piu eh' all’ opre di Marte, studio pone ; 
Ma segala Gracedoo della Vallea, 

Che di lui spesso adir diletto arca. 

CT 

Tra lauri, aranci, e mirti era nodrilo 
De' colli Provenzai, ehc'nconlra stanno 
Al mai sempre a' nocchter securo lito, 

Che le Slecade incerchio all' onde fanno; 
Or qai l'empio deslin l'ha fatto ardito 
Di gir contro a Plenoro a suo gran danno; 
Perchè, mentre eh'ei pensa ove ferire, 
Può il cor sentir di greve punta aprire. 


Che mentre al vecchio re con l’asta intende, 
Disegnando a ferir quello e'I destriero, 
Nel forte scudo di traverso il prende, 

E sfuggendo ha fallitu il suo pensiero; 

Ha il re spronando avanti io basso scende 
Un colpo, che '1 trovò dritto al cimiero, 
Ove sopra la incude avea Vulcano, 

Ch' un doralo surtel sottieoe iu mano. 


Pianier le Mnse aUor, ma non poterò 
Col dolce lagrimar disdire al Fato: 
Matagrante anco spinge il suo destriero. 
Ove scorge Scamaodro a lui vullalo ; 
Dona un colpo alla spalla, e tutto iulens 
Il braccio della spada gli ha troncalo: 
Cadde ìl meschino, e piange entro al suo seno 
Che lassò mal di Sorga il lito ameno. 


Quello abbatte lootan, poscia divisa 
La celata, ch'avea di doppio acciaro, 

Là fabbricala in maeslrevol guise. 

Ove il Rodan riprende il corso chiaro. 
Da' servi del suo Dio, eh’ all' opra arriae; 
Ma non per tutto ciò fé' gran riparo. 
Perch'olirà ancor la già sacrala lesta 
In due parti disgiunta iu essa resta. 


Or poi che vendicato In maggior parie 
Ha gli oltraggi sofferti da' nemici, 
L'antico re dell' Orcadi si parte, 

£ torna ove aspettato è dagli amici. 

Che sbigottiti ancor sono in disparte, 
Seni' ordine tener, lassi e 'ofetici, 

Come greggia in tra lupi, che lontani 
Aver senta da lei pastori e cani. 


Ucciso Eretto avea Bellorofoote, 

Che così a’ appellò cosini, che nacque 
Nelle fredde radici del gran monte, 

Che a Lisera dà ber le gelide acque ; 
Perché là intoruo al ano nevoso fonte, 
Vinto per le sue man», e morto giacqtse 
Un mostro rio di vista orrenda e fera. 
Che fu simil tenuto alla chimera. 


Ha qnando vider lui lieto apparire. 
Come sceso dal eiel gli vanno intoruo ; 
Ivi ciascuu narrando vuole aprire 
Il riccrnto danno, e ’l sommo scorno ; 

Di vendìcarse ogni nom mostra desire, 
Pria che nell' Ocean s' attnffe il gioroo ; 
Poi sopra la Fortuna, o in altrui pone. 
Di quanto avvenne, lor, I’ aspra cagione. 


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L AVARCHIDE 




cn 

n Tiloroso re cifrano esrolu 
E come il merlo chiede, or bieimà or loda; 
Scoia r alimi fallire, c 'd meglio il rolla, 
EtalU il forte oprar, che 'I liaoa ne goda; 
Poi la geote, che fu diigiuaU e iciolla. 
Alle iatermeue achiere io oo raAnoda; 

Coli ridoni alla roedcima via, 

Coa Ui parole alla balUglia ìbtU: 
ex 

Maraviglia boq lia, a* awiea talora, 

Che ì piu forlì guerrier ai veggiao violi. 
Che DUO aetopre la graaia in boi dimora 
Del ciel, cb'a bcoe oprar oe lieoc accioli; 


Lo ipiat aovente I tool piò rari ancora 
Con avversa forlona ha in basso spìoti,' 
Per ammooirgli e rendergli piò accorti, 
Cb* al sommo del soo beo gli ha poscia scorti, 
rxi 

Bendiam por grazie a Idi, che ne dimoitra 
L'errore, ove il più saggio più s* inlrica, 
Che non è la viUoria io forza oostra, 

E ’ndarno senza lui T uom s’ affatica ; 

Ben sempre gli è nelle terrene chiostra. 
L'onorala virtù, sovrana, amicai 
CuB la fpial dunque, e con la sua speranfa. 
Seguitiamo il rammìo, eh* ornai n' avanza. 



CANTO VI 



ARGOMENTO 

iVcfue ìa pu^na onror, «' il fiar Boorte 
Vrcide a miiU a milU quei tF Ai-arco: 
A'è Oruscheno tntute avrien che npporte 
Ferrndolo col suo destrinim* arco; 
Ch'egli d' m ntraao a suoi gli arreca morfr, 
iC di rito A’erraltó fa pur scorro; 
Trappassa ancora il biondo sposo Urlino: 
Ma piagne poscia il suo fatai dettino. 


Ta lai parole aU'ordin suo primiero 
Bicondotlo riascno, muove i battaglia: 
Ma io altra parie vincitore altero 
Rompe aflìoalo ferro, e salda maglia 
Il famoso Boorte, e già 1‘ impero 
Di lutti ha in mano, ove t nemici assaglìa. 
Che di lui sol 1’ aspetto c sol la voce. 
Più che '1 ferire altrui, spaventa c nuoce. 

Il 

]| grave srado d'ermellini adorno. 

Con tre purpuree bande, che gli cìnge, 
Adoprava il meslesmo quali Ìl giorno, 

Che di Medusa il capo si dipioge, 

Che per fuggir da lui la gente intorno, 
L'un r altro con timore urta e sospinge: 
Così Irioofator per tutto giva, 

E nessun piò dì rigOArdarlo ardiva. 


m 

n cimicr, ch'isna fiamma sosUoga, 

Che di vivo piropo avea colore. 

La vaga stella, e lurida parca. 

Che davanti all' aurora spunta fuore. 

Nella secca slagion, che all' onde rea, 

N* apporta Febo al sno più grave ardore, 
Che vien più sfavitlaole c più soave. 
Ch'altea luce, che ia mar le chiome lave, 

IT 

Dopo n foggir di molti, alfia rìtruova. 
Ove per altra strada ai danni grevi 
PaUmoro ha condotto aita nuova, 

De' SUOI cavai, ch’ai corso avea più levi; 
Cosi la crudel gnerra si riaouova, 

E chi cadeva pria, par si rilevi, 

E Lsl rìpreeda ardire, e lai vigore. 

Che già’l vioto mioaeda il viocilores 

T 

Non tarha cìò'l magnanimo Boorte, 
Anzi più lieto assai nel cor diviene. 

Che gli sembra onorato per vie torte. 

Chi per r alimi fuggir palma sotlieoe ; 

Or che seatc i nemici avere scorte 
Di maggior forze, c sii virtù ripiene. 
Spera, quelle abbattendo, dritta lode 
BìporUrne più chiara, e 'a se ae gode. 

VI 

E gli pare or trovarsi a guerra eguale, 
Cbe d' arme e di cavai sembiaule fosse ; 
Or qual rapace uccel, che stenda l'ale 
Alla preda affamato, il destricr moue { 
Batto Esclaborre tra i priemier l'assale, 

£ eoo r asta durissima percosse 

Lui, che la spada ha sol, ma il curò poco, 

Nè per colpo caogiò peasicro o loco. 


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L’ AVARCIIIDE 


TU 

Nè io «lira ^uiia all' orrida tempeila 
J)è in aspro *cosl>o UinucoUta nave, 
Ch'ci non ai rrotia pur, ma quella retta 
HiiUa e aommrraa, a ae niedcsma grave; 
Cotal la lancia vien poro moietta, 

A chi apuDla ogni forra e nulla pavé ; 

Ma ai ruppe ella io vano, e lui pattando, 
Boorte nel rimier ferì col Lraodo. 

XIT 

Or atterra i ravatU, or quella gente, 
Ch' ai suo sommo poter vuol contrastare ; 
Come talvolta il rapido torrente. 

Quando armato di piogge i' austro appare, 
Allor che '1 sol dupo la bruma algente 
Suol deir Alpi canale il pel cangiare, 
Ch'ei per doppio vigor leva la fronte. 
Scendendo andito e minaccioso U monte ; 

Ttll 

£ fu il colpo cotal, ch'ai greve peto 
Non ai può auttener dritto Etrlaborre, 

Che quanluoque non tia di piaga offeto, 
Coovieugli al auo Uetirier l' ine arco Iurte ; 
£ tosto cadde sul sentiero aleso, 

Qual d' alto in basso fulmioata torre; 
L'altro senza guardarlo a terra il lassa, 

£ aopra t suoi compagni innanzi passa. 

XT 

£ coi ponti sommersi a forza mena 
Qualunque arbore incontra, argine, o sasso, ' 

Biade, armenti, pastor, la mandra piena 
Degl' infelici agnei conduce in basso ; 

Pur giunto alfin sopra 1' antica arena. 

Ratto c vitlurioso allarga il passo ; 

E quanto ivi la valle e 1 pian si stende, 

Al suo impero nove! suggello rende. 

IX 

Olirà I monti Navarri ove a Paleosa 
Va irrigando U terreo Ltoia e Ditero, 
Kradmone area, rhc fu d'alta ereellenza, 
Io sacre leggi espor dritto e aevem; 

Tal eh' a luì fu con somma riverenza 
D'ogni lite eslricar dato l' impero; 

£ ’n supreme ricchezze dae figliuoli 
Locaatro e Geailco si trovò soli. 

xvr 

Simil a lui '1 magnanimo Boorte, 

Quel giurao par fra le nemiche schiere ; 
Qiietle a fuga rondiuna, c quelle a morte, 
Or col ferro, or cuo 1' arto abbatte e fere ; 
1 miglior duci, e le più altere scorte 
Non p<»Dno al greve caso provvedere. 

Che tate stringe ogn' nom timor di Ini, 
Ch'ei non sente se stesso, e meno alimi. 

X 

I qual semplici allor, le paterne orme, 
Come spesso addiviene, ebbero a sdrguu, 
£ di quei cavalìer seguir le torme, 

Ch* EsclaboTTe teoea sotto Ì1 ano regno ; 
Or luì vedendo, eh* abbattuto dorme, 

E piò di morto, che di vivo ha segno, 

Si divison Ira lor da riascon Iato, 
E'mprovisto U guerriero hanno scualratu. 

XVII 

E 'n van snnie minacce, e ì preghi in vano, 
E i ricordi d'nnur non han più loco; 

Non giova contro a lor mover la mano, 
Perch’ ogn* altro morir paventan poro; 
Ogni alto duce e eavaliero Ispano, 

Ch’ ivi erano i maggior, setnbran di foco 
Per lor privata e pubblica vergogna, 

£ di quei rilcuer ciascuno agogna. 

XI 

E ben seco pensar di pia vendetta 
Gloria portar sopra l'ofTeso dare; 

E '1 feri Gesileo dove più stretta 
La cintura alla destra si condure ; 

Lordato alia sinistra, ove d'eletta 
Tempra sopra le spalle il ferro loee : 

Ma gli fero ambe due sì lieve danno, 

Che 'a duol sovcrcliio c meraviglia slaiiuu. 

XVIII 

Ma come ogni fatica indarno spende. 

Chi vuol 1* omia serrar, eh’ a preso il curso; 
Che può qiirlla veder, eh' ha destra scende, 
Pt»i che nella sinistra avea soccorso: 

O rhe da tergo il leve passo stende, 

Allor che nella fronte è posto il morso; 
Poi eh' abbondata al fin cresce il furore. 
Ogni freno sprezzando esce di fuore ; 

Ha il ravalicr di Cave al più vicino 
Dentro al rovo del pellu addrizza il brando, 
E delle rhinse coste apre il cuiiBiio, 

E '1 può di vita e del destriero in bando; 
Gesileo, eh' alla destra era io cammino, 

£ *1 fratei d' aiutar giva cercando, 

Sopra la lesta di traverso fere, 

E non lungo al primiero il feo cadere. 

xix 

A quei duri Ìl medrsmo avvenoto era, 
Che'l timore aflrenare ebbero speme; 

M.s il friore Boorte or quella schiera, 
Orqiiest'altra, ch'ri truova, abbatte e preme; 
Or urlla fronte lor, rhe va primiera, 

Or con gli iiUimi andar <ì vede insieme; 
K sì altra talor passato ha il varco, 

Ch'ei non sì disceruea da qoei d* Avarco. 

xm 

Quei, rhe 'nlomo segoìiDo i buon cortieri, 
Ch'ivi de* lor Signor ivan disciolli. 

Porgono ai dolci amici ; e cavalieri 
Fan gii stanchi pedestri, eh’ erau molti; 
Sprona il prode Buurle, ove più feri 
Scorce in arme i nemieì, ove più folti, 

E gli umilia in tal sorte, e gli dirada, 
l.li’t>vuo«}uei muove il piè, truuva amjiiattrada. 

XX 

E gli tanto piegava «1 fero assalto. 

Che indirirn si foggia tolto quel corno, 

S' al gran bisogno subito Verralto 

Non venia con gli arrier, rh' aveva intorno ; 

E seco era il possente Mnrassallo 

('.un qari della Granala al mezzo gioroo; 

Dniscìieno c Loto, il dure d' Aragona, 

E Hoderco co' suoi dì Barzalona. 


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L AVARO rUDE 


Ali' apparir cle'quaì ripreadr arrltre 
Dt qiiri, rhr ci fiijzpan, la miftlior parie; 
Ivi altro nitrivi» modo han di ferire 
DI loiilan quelle feruti, r *ii |;im «parte; 
Pitro piiote il valore incuntra pire, 
r.h'han più che di lenn, di volpe Ì’arle| 
E |(ii piò d’ nn fatnoto cavaliero 
È ferito da lur, più d' nn deatrìcro. 


■os«e il fido Baven tutto pietoto, 

E di tema ripien del colpo rio, 

Tirò lo strai, che intorno sanguinoso 
Della placa stillante fuori nteio; 

BiHirle schivo ancur d* opni riposo, 
Hivolto al del diceva; O lame pio, 

Cli' accendi opti* altro, e fida scorta sei 
Dei migliori, abbagliaodo ì crudi e rei : 


Non però di Boorte la virtnde 
Per novello arddeate anco vico meno : 
Ma con più sJepno, e più fnror si chiude 
Deir aperte ali nel profondo seno; 

Nè pran ferro aCocato sopra ìncode 
Halle mai fabbro, allor eh* al suo terreno 
Vuol dare il pio cultor sementa nnova, 
r.h' al vecchio aratro il vomero rionuova ; 


Se* li fn a pradn mai l*a]la sperania. 
Che 'n te sol ebbi, e non altrove nnquanco, 
Venpami oppi da te forza e baldanza, 

Che la mia spada, o 1 cor non resti stanco, 
Fin che Drnschen, eh' ogni perfidia avanza, 
Per (questa mano ofTeso venpa manco, 

E ch'io dimostri al mondo, che mal vada. 
Chi non tepiie de’ tuoi la dritta strada. 


Com’ ei senza arrestar la prave spada 
Sempre menando a cerchio pii percuote ; 
Quel pon morto riverso so la strada, 
i^iid della mano, e quel del braccio scnolc) 
(^ueH'orta eoi destrirr, mentre ch’ei bada, 
Uve alcuno impiapar più dritto pnole ; 
Tal che sol di lunian fallaci e lenti 
Pofl commettere t colpi in aria ai veati. 


Colai dicea. nè par finite a pena 
Area le devotissime parole, 

C.he le membra leppier, salda la lena 
Trnova, e piò fermo il cor di quel che suole ; 
Già sente asciutta la percossa vena, 

Nè I* omcr l' impedisce, o *1 colpo duole; 
Sprona lieto il cavallo, e si rimette. 

Uve non cura ornai dardi o saette. 


Ma 11 rio Dnisehcno, che in Valenza nato 
Tra 'I fiume Goldamoro era, e la Sema, 
Poi rhe sente il sno popolo affannalo. 

Di morte in preda, e di soverchia tema, 
Quanto pnò ascoso si Uro dal lato, 

Ove Boorte allor la pente prema; 

Poi tende I' arco, e di possente strale 
Addriaia verso lui colpo mortale. 

XBT 

E nell* omero destro il prese a ponto 
Ove più la corazza in basso viene; 

Passa tulio oltra, e pii ha quel Iato ponto, 
Da cni con molti rami escon le vene; 
Lieto prida Dmseheoo: a morte è pìnulo, 
f'.hi dava ai nostri inevilabil pene; 

Non sia ehi tema piò, signor d’ Avarco, 
€h' alla nostra vittoria aperto è il varco. 


Che se pria tra* nemici ardito e forte 
Fu piò d' alcun, come mostrò 1* cffcllu. 

Or che pU sembra aver divine scorte. 

In tre doppi valor gli crebbe in petto; 

£ con piò gran desio dell* altrui morte. 
Entrò tra ì primi, ov*é lo staci piò stretto, 
Avendo sempre la crndcl ferita 
Piò nel cor, che nell' omero, scolpita, 
xxzti 

In guisa di leon, che levemenle 
Fn ferito al princìpio dal pastore, 

Che difendea la greggia e 'nmantencntc 
S* asct>se in parte di periglio fnore, 

Ch'ei dell'ira novella ha il core ardente, 
Né ritrovando quel, di'ppia il furore 
Sopra l'abbandonala e poverella. 

Che col morso, e col piè strazia c flagrila. 


Di tatti quei d’ Arturo oppi il mipltore 
Fia scarro per mia man dì vita ornai ; 
Hivestiam pare il solilo valore, 

Per tosto vendicar gli avuti gnai ; 

Or risorge per me 1' ispano onore, 
r.he piò che '1 chiaro sol dispseghe i rat, 
Ovnnqoe arco si tenda, o spada stringa, 

K quanto i* Oceano intorno cinga. 

XX vn 

Cosi dicea vantando Ì1 fero Ispano, 

Che Ini morto eredea, che rive ancora; 
Boorte io atto di timor lontann 
Chiama Baven, che presso a lui dimora; 
Or non vi pesi, o caro mio germano. 

Di trarnsi il ferro della spalla fuora, 

A ciò ch'io posea ì fatti, u i detti almeno 
Vendicar di mia man sopra Drusclieno. 


Tal è il chiaro Boorte tra i nemici, 
Ove uccise con molli il feru Ormeau, 

Che già fu numeralo un dei felici 
Signor, ch'avesse mai Valenza in seno, 
Htceo d'alti tesori, e piò d’amici, 

Che 1 facevsn gratissimo a Drusrheno ; 

Or per piaga, eh' al petto s'attraversa. 

Lo spirto e 'i sangue doloroso versa. 

xxxrv 

Perconlc appresso Ippenore, eh* adduce 
Sotto Loto ì cavai, ch'avea l' Ibero, 

E *t passò tulio dalla destra luce, 

Fin dove ha la memoria il seggio altero ; 
Lo scndier di Ituderco il nobii duce, 

Che sopra il Cataau reggeva imperi», 
Asiinoo detto, sopra I' erbe stese 
Ui uiorlal colpi», rhe nei collo scese. 


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1 

loi L AVARO H IDE ^ lo^ 

XU» 

RÌ«poadr j Ini Boorle: A qarl chf «*Abbi« 
Di me difillo il Clel, m'arqnetn in pare; 
Si »per*iu por eoo lui l'iniqua rabbia 
0|t|ci domar del popolo ra]»are, 

E 'nsan|;iiinar Ir ditpieUIr labbia 
Di Druarheno inCrdrl, vano e fallace; 

E *1 perno ritrovar beo tosto fune. 

Se dentro Avarco per timor non corse. 

IVI 

Ginogein al fin, rhe molti ravalieri. 

Che stretti roo Vernilo erano insieme, 

L* han cinto intorno, e d' aspri colpi e feri 
Ciasriino il Gallo doramrnte preme : 

Ed ei, come in Ira i deboli levrieri. 

Forte rigati, che i morsi lor non teme, 
Trapa«s(à dentro a fnrta, e Drn«chrn truova 
Rivolto a lui, poi che ’l fnggir non giova 

t 

Coti mentre direa, spronando gionpe 
H drappell' empio alta sua niurte inteso, 

E roQ dodici lance intorno il punite, 

L* un dopo r altro con orribii peso ; 

Cbi nello tendo, ehi nell’ elmo apgidtipr. 
Chi l'ha nel petto, chi nel fianco offeso: 
Ei, qnal robusta querria, rrsta in piede. 
Ne* primi colpi, che 1 paetor le diede ; 

LVil 

E d’ offenderlo tenta, ma la mann 
Trema di tanto dace ai grave aspetto, 
Dia in leeura parte e dì lontano 
Ferir, oairosa tra lo slnol negletto; 

Ma il feroce gnrrrirr noi coglie in vano, 
Che gli pose la spada in mezzo il petto, 
E tatto oltra il trapassa, e d* urto poi 
Gettò il cavallo, e lui stese fra tnoi, 

M 

Che ben crolla le frondi, « i rami srnotc, 
Ma il sostegon maggior «aldo dimora. 

Il famoso guerriero a cbi ’l percuote, 
Nella cuisa meiiesma parve allora: 
Chiamai Drtitchrno, *n mìuacriose note 
Gli dire: Or ti vedrà, sr'l Cielo ancora. 
Come già vi scampai dal forte strale. 

Or dalla lancia mia salvar vi vaie; 

tvin 

Dicendo: Or vedi ben qnanto oggi sìa 
La lancia, chr lo strai, di maggior peso 
(Fallace Impano) e gloria non li fia 
D’aver Boorte in tradigìone offeso. 

Indi verso la schiera il passo invia, 

(’h* ave il fugace arcier si mal difeso, 
Minacciando; Or drizzato il torlo altrui, 
Darò, chiari signor, risposta a vui. 

Lll 

O a* ordinato ha par, ch’oggi Boorte, 
Che tra ’l pia basto sluni ti ardito rienr. 
Debba in man di Druschen'giugnere a morte, 
E deir Euro arrossir le bianche arene, 
Sicché '1 tuo sctidu e 1' arme ne riporle 
Là, dote Licaon lo scettro tiene. 

Per appenderlo al tempio, a gran memoria 
Deir avuta di lui chiara viUoria. 

I.IX 

Verrallo il primo nel voltarsi occorse. 
Che coi Canlabri suoi vicino il serra; 

Cni la pesante spada all’ elmo pnrM^, 

E l'orualo cìmier gli manda a terra; 

Nè gli noeque olirà più, perch'ella scorse 
Torta più iu basso, c lo spallacrio afferra, 
Il qnal tutto fiaccato tanto scende, 

Ch' ove ha il braccio eonfin, l'omero offende. 

LOI 

Quando tenie Boorte, che Druscheiio 
Era in fra quelli, e Contro a lui ti vanta, 
Divien qual serpe, rhe del prato in seno 
Al ealdo tempo de'snoi fior t’ammanta; 
rh’ aitando il capo accoglie ogni veleno. 
Poi che fu pretta dall' incauta pianta 
Del pastor pio, che ’n quella parte piega. 
Mentre ai piccioli agneì nuova esca tega, 

r.x 

E gli fece di man la spada n«cire. 

Tal gli ha tutto impedito il destro lato; 
Sopra la testa ancor torna a ferire. 

Che di enndurlo a fine ha desliuato; 

Ma qneglì ha con dne man, per ricoprire 
11 colpo, che venia, lo scudo alzalo ; 

In cni l’aureo leon, che in ostro assiede. 
In due perii diviso a terra vede. 

ttr 

C con tre liogoe sibilando volge 
Tntta Tira ver Ini, che’l cor gli avvampa, 
E ’utomo al piè nemico si ravvolge, 

E ’l dispietato dente in esto stampa ; 

Tale il guerrier dagli altri ti disvolge, 

Né cara tien di dii ver lui s'arcampa; 
Ma tol cerca Druschen, lui segne solo, 

£ tol cootra di lui distende il volo. 

LXt 

E scampato gli ha bene acerba morte, 
K 'n«ingiato il «epolcro in altro lito, 
Che’l colpo micidiai fn di Ul sorte, 

Che ’n fili sopra 1' arcion 1’ aria partito ; 
La terza volta ancor l’aspro Boorte 
Il brando abbassa, e nel medesmo sito 
Ritornando più volte, ha ferma speme 
Di condurlo ìa tal guisa alt’ure estreme. 

LV 

L* altro, che teme, di scampar procaccia, 
E ù nasconde pur fra gente e gente ; 
Qual cervo tuoi, che perseguito in eacria. 
Si mischia e ’nvola ove i compagni sente ; 
Ma Boorte di lui non perde tracrìa, 

£ dove volga il piè tempre ha la mente, 
Qual bene appreso can, che la primiera 
Non vnol già mai lattar per altra fera. 

LXIt 

Come il saggio cnltor, che troncar vuole 
Inulti pianta, che le biade aduggr. 

Che nell'ìstesso luco addrizzar suole 
Mai sempre il ferro, e tutti gli altri fngge, 
Per render tosto al chiuso campo il sole. 
Che *1 suo noccnie gel riscalda e sugge; 
Cosi fece il huno Gallo, il coi pensiero 
Non fa mollo lontano allor dal vero. 


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l’ a V a R C H I D e 

Lini 


LXl 

Parche non giunta Mipr^ l'rlmit a pfna 


E che prrsfo di luì Clodinu avea. 

P'ii PtiUinu*! prrrot»», che Ycrrallo 


Ch* è fuor d' impcdimenln e dì periglio 

N* andò riveriu «u la tccra arma, 


Della spalla impiagala, e già leoea 

Come avello troncoo, che eafigia d' allo ; 


Di tornare alla guerra ivi consìglio; 

Smarrili ba i leoiì, c non può trar la lena, 


Brunoro irato allora, alludicea: 

Non perù morte ancor 1* ultimo aaaallo 


Or che alleodele, o generoso figlio 

Gli ha dato al tulio, ma Boorte il laua. 


DrI famoso e magnanimo Cludasso, 

Come >' «i fauc estinto, ed olirà passa} 


. Che lutto il popol suo ria violo e lasso ì 

XLIV 


LXll 

Poi che vepgioQ Verrallo quei U'Avarro 


E che ’olomo alle porte ornai d' Avarco 

(Un dei dori rna|C|(ior) condotto a tale, 


O che dentro dì lur pur sìa la guerra f 

Con la schiera di i^ucì, che suol con 1' arco 


Or non sapete voi, che d alma scacco 

Contro ai feri nemici esser fatale; 


Con Yerralto Droschen si giace a terra? 

Druschrno ancor, ch'assicurava il varrò 


E che Boorte dì vittorie carco. 

A lotti lur col suo famoso strale. 


Qual le gregge il leone, i nostri atterra ? 

Esser disteso sanguinoso a terra; 


Posti ha in fuga i cavalli, c i levi arcieri. 

Ciascun pieu di timor lassa la guerra : 


£ i pedestri più gravi miei guerrieri. 

LIV 


LXSM 

£ rifugge volando, ove le mura 


Non olTendon costor le mie contrade, 

Ha per sua soia speme e per difesa; 


Nr cercan posseder quel die contiene 

Nessun più deU'onnr, uè d'altro cura. 


Emso e Vìsrra, ove V algenti strade 

Clic di scampar dalla presente o/Tesa, 


Il Gennaoico mar bagnale tirue: 

E con si freddo ghiaccio ha la paura 


Cuntra il vostro terrea cioguo le spade. 

I)i ciascun l’alma streUameate impresa, 


Per vrtidk-ar le ricevatc pene 

Che Tuo l'altro in cammin preme c conquide. 


Dei vecebi padri lor, eh' ebber da voi. 

£ per morte fuggir Tua 1’ altro aacide. 


£ ì regni rarquistar, che fur de' suoi. 

LITI 


ixxm 

Non vai di capitan prego, o confòrto. 


E voi xloria d'Ibcruia, o Segorano, 

Nè altero minacciar, uè forza usare. 


Che restate a veder coi vostri inioroo? 

Ch'ivi non si disceme il dritto o ‘1 torlo, 


In fio eh' ogni soccorso venga io vano, 

Nè 1 maggior o'I minor, eh' ogni uomo è pare; 


Poi che fiaccato l'uno e 1’ altro corno 

Quel, che trnova cammin più ascoso e corto. 


Avrà de' unstri il pnpul Gallicaou, 

£ può gli altri fuggendo oltra varcare, 


£'l Brilaunico sluul con tanto scorno? 

E tenuto da lor la scorta e*l duce, 


Ove dorme il valor del sangue Bruno, 

Ch' al desiato fin gli riconduce. 


Che fu sempre onorato da ciascuno? 

LXVII 


LKXIV 

Siccome addivenir talvolta suole 


Non vi sovvieu, che la reale sposa 

Al combattuto legno presso al lito. 


Nell' assediate mura oggi si giace? 

Che sì vrggia affuscar di sopra il sole. 


E nella vostra man sola riposa 

E ’l mar cui cielo a gran tempesta unito, 


Le presenti arme, c la futura pace? 

Che '1 nocchiero avveduto in alto vuole 


La mia dimora in altra p«rle ascosa, 

ilivoltarse a cammin largo e spedito 


Nè Irate di costor 1' uogiiia rapace; 

Per gli scogli schifar, ma il vento sforza. 


L pur ruu tulio ciò veder potete, 

E ’l fa rompere a terra a viva forza; 


Quauto adopro per voi, che ’u posa sete. 

ixvm 


LXXV 

s In tal guisa miglior venia portato 


Né per voi mancherò, signor, giammai, 

Dal fnror popolare al proprio danno. 


Fin ch'io snsleuga in maii lo scudo e '1 brando; 

E Boorte col ferro insanguinalo 


Ha gli afffillì gucrrier non punoo ornai 

Va doppiando al prìmìcr novello affanno , 


Contrastare al furor, che va muolandu, 

E nel mezzo di lor ferendo entrato. 


Ch* è giunto a tal, clic maggior forza assai 

Ove più per timor congiunti vanno 


Convieoti opporgli, o di speranza in bando 

Tanti ha soipiuti alle TarUree strade, 


Porre i chiari disegni, e gli alti onori. 

Che del suo crudo oprar quasi ha pìclaJe* 


Le desiale palme, c i sacri alluri. 

LUX 


IXXVI 

Ma raccerto Brunoro, ch'ai fin vede 


Or non solTrite più, cb' nu ferro sol» 

D'assicurar più i suoi chiusa ogni via; 


Tulli i vostri miglior cuiidura a morir; 

E ’l soccorso cercar da Palamede 


E che si {tossa dir, eh' un taulo stuolo 

Con Tristano occupato io van saria; 


Fugga davanti al giovine Booitr; 

£ distratto sarà, se non provvede, 


E vi movete ornai. Signore, a voto 

Inverso Seguran tosto s’ invia. 


Con le vostre onorate e chiare scorte : 

E riiruoval, che ’n man la briglia tiene, 


Faccia il vostro valor nel mondo seguo. 

Per muover poscia, ove il bisogno viene: 


Che di regia beltà non foste indegno. 


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lOJ 


L AVARO HIDE 


Posse Taspro parlar l'invitto rore 
B' aiiiibe i due ravalirr, rh* erano indinne; 
Na tinto il volto in piovintl rotiore. 

Che 1 nome di rìlli più d’altro teme. 
Direa Clodìoo: Il debito r l' onore, 

Che integri ron*«rvare lio ferma »peme, 
H’ban qui tentilo, e '1 iarrn gìurameoto, 
Che di rompere al etel troppo pavento 

Lxxvm 

Perchè fuor di ragion tendo impiagato 
Gaven, eootro a cui aol la guerra avea, 

Di far torto alla fede avrei pmiato, 

5c inoaaai a qneato tempo amie cingea ; 
Or ch’io veggio gli amici in tale stalo, 

E coodolti da quelli a sorte rea, 

Fo voto al rie), che non per fare ofTeia, 
Ma per difender noi torno all' impresa. 

utxiz 

Cosi parlando, a Segnras rivolto, 

Segue : Oourato mio rognalo e caro, 

Io vi prego oggi, che tra ’l pnpol mollo, 
Che 'nlorno avete ai gradilo e rhiaro, 

D’ alcun buon cavalier più ardito c sciolto 
Non vi mostriate in tal bisiigno avaro 
A chi tanto v'onora, acciò cb‘Ìo vada 
Ai miei ripor nella ttnarrila strada. 


LXXXIV 

Or non vi splacria dunque avermi udito, 
E pensar poi di ine, a|nal sempre frtle; 

E rmi qnesto lirappel forte e spedito 
Con Clodin gite, ove le genti ha preste; 
lo vengo appresso, e nel medesmo lilo. 
Ove le schiere avverse avem moleste, 

Sarò ben tosto, e spero, allor che ’ii voi 
Fia maggior lo sperar, eh* or qui di noL 

LXXXT 

Con più qnetn parlar Brnnoro allora 
Disponde : E chi fìa mai. che ’n tal fortuna 
Non sia vinto dall'ira nnd' esca fiiora 
De' suoi primi pcnsier, che io core aduna? 
Tutto il mondo sa ben, se innanzi rh' ora, 
In cooosco il valur dell' arme Brema, 

E se già mille volte al paragone 
Ho posto Segnran col tao Girone. 

LXZXVT 

(Umì risposto, col reai Clodino 
Tra molti cavalier ratto s'invia. 

Ove Boorte al finme assai vicino 
Empia di sangue l’arenosa via; 

£ ch’ha incontrato il misero Erogino, 

Che *B sul vago corsiero ivi apparia 
Col ricco scado, e I' arme tutte aurate. 
Che dalla donna saa gli furon date. 


E ’a questo meuo, voi con greve passo 
Verrete a sostenerne, e dame aita, 

E *1 uenico Hdor sì frale e basso, 

Chela via di vittoria sia spedita: 

Il prode Seguran risponde : Lasso 
Mai non sarò fìa della propria vita. 

Di far quanto v* aggrada, e tu voler vostro 
Sìa d'avere t miglior del coroo nostro* 

txxxr 

E con Bmnoro poi dolce ragiona: 

Vi riograxio, Siguor, dei gran ricordi. 

Che srenilendo di mente amica e buona. 
Non troveranno in me gli orecchi sordi, 
CJic quei, di' ad un sol fin virtude sprona, 
Deveu gli animi sempre aver concordi, 

K soffrir pianamente le rampogue 

Di dii 'I suo ben, com' ci medesmo, agogne. 

LXXXII 

Or per darri ragion del min rnnsiglio, 
Dico, rhe sialo snn sempre tu disparte 
Con disegno di gir, dove il pericliu 
Si scorgesse maggior, rhe in altra parte. 
Col piè pronto, e la mano a far vermiglio, 
Ove più mi chiamassrr Palla e Marte, 

Che r ultimo sorrorso è quel, rhe spesso 
L’incanto vincitore ha in fuga messo. 


Cli’ nna (»g1Ìa sposò dì Morassallo, 

He delta Carlagenia e d’AIÌrante, 
Aodrofila appellata, di core aito, 

£ di prnsirr magnanimo c costante; 

E che ’l marito di porfireo smallo 
Teuea (isso neU' alma o d' adamante: 

La qua) giunto al partir l’ ultimo sole. 
Glie le donò piangendo in tai parole : 

LXXXVlIi 

S'io potessi piegar gli numtni e i Dei, 
K ’l deslin delle donne troppo avaro, 
Hralìssìma ai mondo mi terrei 
Sopra ogni lume in del più altero e chiaro ; 
Nè di grazia maggior gii prrgheret, 

Cile di voi seguitar, signor mio caro, 
Sierome ho semprein pace, ancora in guerra, 
E non vi abbauduoar viva e sotterra. 


E se ciò m' avvenisse, uopo non fora 
Di procacciar per voi più sicnr'arme; 

Cli’ io *1 vostro scudo e la lorica allora 
Cnnlr'ogni olTesa alimi penserei Tarme; 
Sperando, o che Giunone, o s' altra onora 
Casio amor maritai, dovessr aitarme, 

K con voi manlrner per sommo esrmpio 
Di chi più aggrade al suo famoso tempio. 


lo icorgra da man destra Palamede 
Da Trislsii risospinlo alcuna volta, 

Che lassar ronvenia la prima sette, 

E 'osieme rannodar la schiera srlolta. 

Clic mi fea dubbio star : ma rhi non vede 
Se non la parte sua, che ’n gnardia lia tolta, 
Non pnò beo giudicar, come colui, 
l.he sceme il suo bisogno e quel d’allnu. 


Ma poi rh’essrr non paò, vipiarcia almeno 
Di queste arme portar, rh hanno il mio nome; 
E dai perigli riguardar non meuo, 

Che si soglian le dolci amate some: 

E quatur crollerete all' aure in seno 
Sopra il ciinier queste durate chiome, 

Che riciiverser già (lasse) la lesta, 

Ch'or di loro, e dì voi vedova resta; 


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SCI 

Vi rikOTreo^a con quanta doglia 

Liinge hao da lor la misera nutrica, 
Trmeodo lol dì non wulìrie spoglia 
Della nemica trliiera viiititrire ; 

Ma segua pur di lur quanto 'I rìrl vogliai 
Pur che torniate vui lieto e felice. 

Da potermi narrare a parte a parte 

I gran pregi e gli unur del vostro Marie. 

SOI 

Così direa la pallida consorte. 

Di doloroso umur bagnando il sullo; 

Ma il vago gius'iuetlu ìn dura sorte 
Dal prezioso doti fu inioruo avvolto; 

Poi ch'or contro alla spada di Buorle 
E dal fero desìi» soletto accolto ; 

E gli fa io ver di lui muovere assalto. 
Per pietà di Druscheoo e di Vrrrallo. 

xeni 

£ con tutto il poter sovr'euo sprona 
Con la lancia, eh' avea pesante e dura; 

£ 'n mezzo al doppio scudo il ferro dona 
Si, che ì suoi più yicìo n'ebber paura; 

Ma il franco cavalicr con la prrsona 
Non si vede crollare, e tanto il cura. 
Quanto il robusto piu di borea il fiato, 
Che già il decimo lustro avea contato. 

aciT 

Poi rb* ba Tatta Iroucata, il lassù in prima 
Senza impedirlo pur, prender la spada; 
lodi il fere allamcule su la rima, 

Ov'c'l dono amoroso, ebe gli aggrada; 

E la chioma di lei, ebe troppo stima. 
Intricala convien, eh' a terra vada, 

Ma la fronte non fu dal colpo oQesa, 

Cbe dall’ oUima tempra era difesa. 

xcv 

Poi cbe B* è accorto 1* amoroso Ispano 
Del prezioso e caro suo cimiero, 

£ che in mezzo alla polve era lontano 
L'almo splendor del suo terreno Ibero; 
Qual tigre acerba lungo il lito Ircanu 
Priva de Ggli suoi, diveooc fero; 

Spronò verso Bourte il suo cavallo. 
Gridando in alto suooo : O crudo Gallo, 

xcvi 

Già non ti vanterai d' ufTeto avere 

II più onorato crìn, cbe fosse mai, 

Che la luce viorca dell' altre spere, 

£ dello ittcsso sol gli ardenti rai ; 

11 quale alla sua donna mantenere, 
E'nlero riportar certo giurai, 

£ 'I farò veramente, o di' oggi il ciclo 
Sciorrà Ì1 mio Spirto dai terrestre velo; 

xeni 

E dicendo così, fere alla lesta 
Pendente alquanto dal sinistro lato, 
Ch'orribiI suoo dentro all' orecchie desia 
Del pio Boorte, ma uon 1' ba impiagatu; 


Poi di nuovo il percuote, e non b' arresta. 
In 5n che '1 terzo colpo è raddoppialo. 

Sul braccio questo, e quel sopra la spalla; 
Pur di fargli assai danno in tutto falla, 

xmii 

Ma r invino gurrrier, da poi che vede 
Chi fuor del creder suo troppo 1* offende ; 
Qual sopra lepre timida, che siede 
Nell'erboso suo nido, aquila scende, 

A lui s' avventa, e dispietato il fiede 
Col ferro micidial, die sotto il prende, 
Ove il ventre allo stomaco s' aggiunge, 

E quanto ivi trovò trapassa c punge, 
xcit 

L* infelici armi ailur dri regio sangue 
Pur di fuori oscurate, e dentro piene; 

E '1 giiivin miseret, pallido, esangue 
Sopra il furie corsier non sì sostiene; 

E mentre (vssi ancor morendo langiie, 
Della sposa fedcl sì risovvienr, 

E coi vigor, cbe io quello stato ponte, 

Si rivolge a Boorte in queste note : 

c 

Alio signor, che cosi amico Ì1 eielo 
Al gran vostro valore e largo aveste. 

Se mai vi svegliò al cor pietoso zelo. 
Pregar divnlo di persone meste; 

O se mai vi scaldar sotto un bel velo 
D' onorata cniuorte fiamme oneste ; 
Consolate al posar di questa salma 
D* una promessa almen la misera alma ; 

cr 

E quella fia di far dì terra arcorre 
Le bionde chiome, eh’ IO nel mondo adoro, 
E mero iusiemr in chiuso albergo porre. 
Coperto, com’ io son, dell' arme d’ oro ; 

E 'I tolto appresso nelle mani esporre 
Di Morassalto al corno di Brunoro, 

Che mi deggia mandare alla mia dea, 
Siccome al dipartir prvmctso area, 

cti 

Il pio Boorte, che in plii amaro pianto, 
Che l'altro non diceva, intento ascolta. 
Risponde: Or potesi' io con nuovo incanto 
Render coti la vita, eh* io v' ho lolla, 

£ felice tornarvi e Urlo, quanto 
Giammai d* esser bramaste alcuna volta. 
Siccome adempierò vostro desio, 

E di ciò tcilimon o' appello Dio. 

CUI 

Ringrazìnl con la vista e col sembiante, 
Che la parola scìor più non poteo. 

Cosi condusse il già felice anianie 
In eiirrma sventura il deilin reo: 

La biooda chioma, eh' a' suoi piedi iaoante 
Negletta si giacca, ripreoder feu 
Boarie, poi condor col cavaliero 
Dentro al suo padiglione, e 'I auu destriero. 


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L AVARCIIIDE 





CAINTO vn 



ARGOMENTO 


^Mnima i $uoi Clodin^ ma con Boarie 
A fronte non rìmon; tanta è la forzoy 
Tanto è il valor dt lui che spinf^e a morte 
Molti eampionf e il buon Hossano sforza: 
Ma Separano o* «aoi piu lieta sorte 
Beca col braccio invitto, e in loro ammorza 
La tema sì, cbe V inimico stuolo 
b'ugge ricolmo di ipopcnto e duolo. 


^Tià col fero Clodin gìoafceA Bronoro 
Coi (ruerrier, che menò di Sef^arano ; 

E diriie le parti hanno in fra loro 
Per rì»pinger fra* suoi chi aia loalaaO| 

E dare a((U alTamaii alto risloru; 

Qtiel muove a dettra, e queato all'altra maao; 
Poi ciascim quanto può '1 prcfcare adopra^ 
Per rideccrU ioNCinc alla prima opra. 


Dair altro Iato ancor Branoro il Nero, 
Quanti sparai ritmova, io uu raceo|tlÌe{ 
Non prejta omil, ma gli minarria altero, 

E a tai Dote auperbe i delti acioglic: 

Non aia chi speri dall' ariipliu fero 
Scampar di morte le terrene spofLlir, 

Con fiippir quinci il ferro de* nemici, 

Che '1 troverà più agulo fra gli amici. 

n 

Che qaetla amata man, ch'or voi vedete, 
Mossa io vostra Minte e ’o vostro onore, 
In vostro danno e scorno sealirele 
Purgar eoi Mogoe il pubblico disnore t 
Qnaoto più adunqne gran cagione avete 
l)i tosto rivoltar T arme e '1 valore 
Contro al duro avversario, che vi preme. 
In cui di doppio bea ai ausira speme f 

vn 

Se voi guardate ben, non è, eh* on solo, 
Quel, che lutti vi scaccia, e vi spaventa; 
Non perchè valga più, che 'I largo stuolo, 
Ma perchè truova in voi la viriti spenta; 
Che s* ancor si ralinma all'alto volo 
Del suo furor, che sopra noi s'avventa, 
(braverà l' ali tal, ctie verrà in basso. 
Come dal visco aogello avvinto e laaao. 


ti 

Diceva lor Clodia: Fratelli amati, 

Per cui già tante palme riportai, 

Or non volete ancora estere ornati 
Di vittoria maggior, rhe foste mai? 

£ ritornarven carchi ed onorali 
Di spoglie ostili, e nun d'ontosi guai? 

Nè smarrire il valur, per quel eh' è stalo, 
Mealrc il vostro Clodin non v' era a lato f 
ni 

E poi che ritornalo intero e forte. 

La Dio somma mcircde, ora è con voi. 

Se penster cangerem, caogerem aorte, 

E r amica Fortuna fia con noi ; 

Apriara de' nostri cor le chiuse porte 
A virtù ioteaa c i due seguaci suoi, 

Lo sperare e ‘1 soffrir, eh' han forza ìuaieme 
Di portar sopra il ciel, chi '1 centro preme» 

IV 

Quaatoaoi più? eli 'olirà ogni noitra iaaegna, 
Avrem di Segiiran l'alto socroriu, 

Cun r aspra gente, che in Ibernia regno, 
Ch'ai Britanno furor weilcrà il morso; 
Or pria, cari fratei, chr questa vegua, 
Drixziam verso ì nemid ratto il corso, 

E che morte non sien, 1' opra dimoatre, 
Sen ben «iormon lalur, le virtù nostre* 


TISI 

Così dicendo lor, gli rìsospioge 
Nrir ordin primo, e 'n dietro ricondnre; 

L' altra parte anco a guerra si raccinge, 
Seguitando Clo<tÌn ano primo duce; 

E di sangue novel si ridipinge 
L'arenoso sentiero, e 'I ciel rilnce * 

D'altro splendor di ferro, or che '1 rilornu 
> icioo appar del foggitìvo corno. 

IX 

Il cui tosto arrivar da prima diede 
Maraviglia e temenza a* vincitori ; 

E '1 popol voleiiticr raffrena il piede. 
Attendendo il voler de' suoi maggiori; 

Ma il famoso Boorle, che ciò vede. 

Con ardeali parole accende i cori, 
Diccado; Or ginnto è 'I tempo in coi dì tutto 
U lungo affaticar s'accolga il frutto* 

X 

Perchè Ìl fnggir di quei privi n* avin 
D' ampie spoglie onorate e di vendetta ; 

Or nostra buona, e lor fortena ria 
Ne torna la mercè, ch'era inlerdcUat 
Movìam pur ratti, e sì rìtrovin, pria 
f^h' un' altra volta in fnga ai rimrlU 
La vilipesa e mal guidata achìera, 

K di lei riporliam vittoria intera. 


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l’ avaro II IDE 


1 



11 » 



XI 

Nè {«Ilice pensiero Ìl cor v'ìnpombrc, 
Ch’ur tiro J’ «Uro poter, che dianzi fura; 
Ma •' all«>r come nebbie, or firn rom' umbre, 
Che ’l pattalo timor cretee il futuro ; 

Opoi dubbia ciascun dall'alma «pnmbrc, 
Che pii moilre il cammin più alpcsiru e duro 
Dell'altro iufino ad or, tna fermo creda. 
Che quanto o||i veggiam iia uutira preda. 

XII 

Come ha detto coti, latta Baveno, 

Che nell' ordine iitato gli rilegua; 

Poi «prona avanti, ove d'orgoglio pieno 
Tntuva Clodin con la primiera insegna; 
Tutto il ennotee, e regger non può il freno 
Air ardente detto, che in etto regna 
Di ritrovarle in pruova contro a lui 
Per la coofonne età, eh' è in anibedui. 

XIII 

E l'appella da Innge: O re famoto. 
Dell' altrui povertà ti riero e altero, 

Se voi liete d'unor tanto bramoso 
Come tì vede ogn'uom, di torlo impero; 
Vfligeie or verto me quel ferro odioso, 

Ch' c tal contro ai plii «ili ardito e fero; 
£ per prova veggiam, te tia meo forte, 

Di quel die fu Gaven, con voi Bourlc. 

XI» 

Gli nipote Clodin: Nuli* altro bramo. 
Clic con voi ritrovarmi oggi a battaglia. 
In cui tpero ottener di palma il ramo, 

Se non bene incanUta avrete maglia; 

£ perché più il dover che l'util amo, 
K'noo vo', che vantaggio alcun mi vaglia, 
Quella laneia, eh’ ho in nian, latto da parte, 
£ '1 medetno farei, te fotte Marte. 

X» 

In tai parole I' nn ver I' altro «prona, 
Pien d'ardente detio dì giuria vera; 
Clodin fa il primo, eh' al neintro dona 
Sopra la fronte, e d' atterrarlo tpera ; 

Ma l’altro alia lo teudo, e in etto tuona 
La spada indarno, e pur rimate intera, 

Se ben pìegottc alquanto; oud' et turbato 
Biasmava nel tao cor le ttclle e 'I fato. 

XVI 

Ma di Cave il gnerrier con altra putta, 
Abbassando la man, nell'elmo il prende, 
la cui fece cadendo ampia la fotta, 

Nè perù ioGno al capo il beando tceude ; 
Ma i' intonò tì forte la percossa, 

C.he la briglia abbandona, c 'I braccio stende; 
£ uria in terra poro spazio scorso. 

Se non aven de' suoi tosto toccorto. 

XVII 

Ha Rossan e Grilbn dell' alto passo. 
Ch'aliar da Segaran compagui prese, 
Sostegno fur, eh' et non cadesse iu batto, 
E Filarle a Boorte ìl corso stese. 

Qual di fromba Ulor rotondo tatto ; 

K con la lancia all’ omrro T offese 
Nel destro lato, e '1 colpo fu più duni. 
Che regger non porria colonna o muro. 


XVIII 

Pnr sopra il suo cavai fermo sì tenne, 
Se ben nella sinistra torse alquanto; 

Ma poi eh’ all' esser sno dritto rivenne, 

Si volge «I feritor, che torua iolanlo, 
Dicrndn : Atprn gnerrirr, se non hai penne 
D'aquila, o di falcon lìa breve ìl vanto. 
Che potrà per tua lingua essere inteso 
D'aver contro a ragion Boorte offeso. 

XIX 

Fui con tutto il poter drizza una punta, 
Che scoperto il trovò nel lato manco; 

£ dividendo il mr di dietro spunta 
Nell'otto più vicin del destro Banco. 
All'estrema ora tna l'anima giunta. 

Lassò ìl terrestre vel pallido e bianco; 
Onde freddo ennvìrn, che a terra vada ; 

£ dell' arme al rumor sonò la strada. 

XX 

Indi il leve drstrier ratto ritorna 
Al drappel, che t'.lodin gli asconde e chiade. 
Gridando: O schiera di colori ailoroa. 
Assai più che d'onore c di virUide, 

Che fa il vostro gran dure c che soggiorna, 
Ch’ io mi rrrdea, che foste eterna incusle 
Cunlra i colpi dì noi gurrrier negletti f 
Or ai fa scudo a me de' vuslri petti, 

XXf 

Come piccsol fanctui di madre soglia 
Contro all' ape, a cui il mel furato avea ; 
Ma poi che m' è per voi tolta la spoglia. 
Della qual già vestilo mi tenea; 

Il ilanno sopra voi forte, c la doglia 
Purria versarne la fortuna rea, 

Per far palese, come stolto adnprc, 

Chi per altrui coprir tè stesso tcuoprc. 

XXtl 

E ’n aoetla t* avventò sopra Roasano, 
Che deir alla Paonooia avea le schiere, 

Il Selvaggio appellato, pcrch* è strano 
Di rotlumi, di volto e di maniere; 

Ma il rore ardito, e pronta avea la mano. 
Quanto buon eavalier potesse avere; 

Or vedendo il nemico, eh' a lui spinge. 
Spiegando il suo valor U spada stringe ; 


XXIII 

£ stadia nrl ferir d' esser primiero; 

Cuti motto il cavai veloce e lieve, 
Percuote iu vista mìnaecinto e fero 
Il l>rn ferrato scodo e saldo e greve ; 

£ ben che, essendo tal, rettatsc intero. 
Quanto avesse già mai danno riceve. 
Boorte ili se di maraviglia avvolto 
La virtù del Panuunìo appreaaa molto: 

XXIV 

E gli dice : Signor, d* oscure spoglie 
Ha di chiaro valor vi sento ornalo; 

Coti spesso veggiam dì sozze faglie. 

Il frutto provenir dolce e pregiato, 

(-he ’l sembiante di faur non dà, nè toglie 
Il buono o '1 reo, che n han le stelle dato; 
£ se nel giudicare oggi non fallo, 
Devrebbe esser Clodin dì voi vaztailo. 


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L AVARCHIDE 


Ma it drillo par, rlte voi drlibiate ancora, 
Di me, rum' io dì voi, scnltr la pruuva i 
£ roti dello, alla medciitn'ora 
£uu gran colpo la fruole gli rilruova, 
Sirthé '1 veder turbato gli dimora ; 

Ma la tempra dell' elmo intanto giova, 

Che non restò ferito, e 'mmaniruente 
Sì riscliiararu iti lui gli occhi e la luenle. 

XXVI 

£ 'ncomìacìò : Signor, troppo ho lentilo 
Aneli' io «]iicl che pulrte, c non inr 'ii peulu ; 
Che '1 trovar voi di forar assai fornito, 
Accresce in tue il desire e l'ardimento; 
Dqiiiuii pure il ciclo in questo filo, 

Con voi morte, o vittoria a suo laleoLu ; 
Che quetla unica fia, queir altra chiara, 
Da non aver di lei vita più cara. 

XXVJI 

In tai voci ritorna alla battaglia, 

£ 4' una punta il Gallo ripercuote, 

Non n^llo scado più, che quanto vaglia 
Per le cote passale intender puole; 

Ha in quelle ascose parli, che la maglia 
Difende sol, d'ugn' altro ferro vote. 

Di sotto al destro braccio, onde Bourte 
In rischio esser polca d'acerba morte, 

XXVIII 

Se non che ammaestralo, e dotto aU'arlc 
L' ha con riguardo accorto preveduta ; 

£ rivoltosi alquanto in altra parte. 

Nel bene armalo petto gli è caduta : 
Dnulti il Pannonio allor del crudo Marte, 
£ U' esser più de' snui i^uasi refula, 
Dicendo: Or se così mi toi gii allori, 

Che puss'io più sperar dc'louì tesori f 

XXIX 

E mentre che *o suo cor disfoga l' ira, 
Il cavalier di Gave il brando pone 
Sopra il suo scudo, c mezzo in basso il tira, 
E d' accrescer dolor gli dà cagione; 
Rossan, di' al vcndicarse sul rimira, 

£ eh' usa più il furor che la ragione, 
t'.ou si gran colpi I' avversario assale, 

Che truova al sno desio la spada frale. 

XXX 

Perrh'or mentre il bracciale indarno offeude, 
Or deir elmo famoso il ferro invitto, 
lo due parti troncata a terra scende, 
Lassando il suo signor nudo ed ainiUu; 

Jl cortese Boorle il tempo prende 
Di mostrar, di amò sol 1' onore e *1 dritto; 
E dal sciidicr Toante a luì vicino 
Si fece uu brando dar sicuro e fino > 


Ch'ove la Calidunia al mare Scolo 
Le telvaggie sue chiome in alto spande, 
Guadagnò, allor di' ei fc' di spirto voto 
Con tal virtù Cher»Ìdanianlc il grande; 
(di' ivi arrivato di terreno iguoto 
Si fra de' prigionier crude vivande. 

E quello appresso in ogni parte avta, 
l’er usare ai bisugno, a avveuia. 


Or questo all' avversario sno Rossauo, 
Che ’u tale stalo ancor fuggir non vuole. 
Con allegro sembiante ha posto io mano, 
E '1 cooforla da poi cun tai parole: 

La fortuna al vaiur, eh' é a lei sovrano 

10 ogni opra mortai contrastar suole; 

E per seguir con voi l'usala strada, 

V' ha troncata cosi la furie spada. 

XXXIII 

Ha non Ha della vostra prggìor molto 
Questa, di cui vi fu cortese dono; 

E perché il vostro onor non vi sia t>itu, 
A nuova altra battaglia presto sono; 

11 selvaggi» Pauuouiu in lieto volto 
Rispuude: 11 brand» mio vie più che buuuu 
Mi fe' intero acquistar sovente palma, 

E troncandosi poi, più dolce salma, 

xxxiv 

Send'ei ragion, ch'or mi sia fallo amico 
Il maggior cavalier, die lancia porte ; 

Nè rosa oscura, ovver novella diro, 

Cir a tulio il mondo ornai chiaro è Boorle; 
Ricevo il don, ma non come nemico. 
Cercherò mai per lui la vostra morte: 

Ma da qui inuauzi quello, e chi '1 so;>lirae 
Sarà in vostra salute, e'u vostro bcnc.j 

XXXV 

Ch* io non vorrei però, che voi credeste, 
Vedendo, cotn'ìo To negletto c vile, 

Che lutto eguale il cor fosse alle veste. 
Ben che meu del dever chiaro e gentile; 
O che 'olrà le Pauooniehe foreste 
Mai non surgcise olir' all’ usato stile 
Per Gso riguardar vista possente 
Della vera virtù la fiamma ardente. 

XXXVI 

E se non vi fusse altra, è pur la mia. 
Che la somma, di'é in voi, chiara discerne; 
A cui, supplico il del, che largo dìa 
Tutto il favor delle sue luci eterne: 

Eli io per ogni sorte, u buuna o ria. 
Delle forze di fuor, dell' altre ìuterue, 
Qiiaiitiiiique oiilta tia, per quel eh' ci merla, 
Vi fu con lutto il cor divola olIcrU. 

• XXXVil 

Ma iu questo ragionar, vicin ss vede 
Con le spiegale squadre Segurano, 
t'.he cuu arte e con seniso a' suoi provvede. 
Che con vantaggio poi iniiuvan la manti ; 
£i con pochi gucrrier, con leuto piede, 
Innauzi agli altri va poco lontano, 

(.un I arme luceulissima, che splende, 
Qual Pebo suol, eh a mezzo giorno ascende. 
XXX viti 

Mostrasi in alto ancor P aerato scudo, 
Che *1 bel raggio solar saetta intorno, 

Ov’ é il nero Dragun, che iu atto crudo 
Par minacce a* nriuici oltraggio c scuruu; 
Così 'I cimiero, uve Nettuno igmidu 
Col suo trideute ìn man ss mostra adoruo, 
Però eh' avea del suo lerreuo Iberno 
Sullo a lai deità posto il governo. 


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XX^IX 

mollo a Ini l«>ntan Bronnro il Nero 
r.o'yiioi rìmefsi io un il pas»n tnitove} 
Ma pili eh’ appiiinti arrivano al lentierO} 

In riti Boorle fra Triirepie prove; 

Drila polvr, cU’ alaava, o«nirar fero 
Nel >iiu M*|{EÌo (rrrd'io) Saturno e Giove, 
Ctraifin raiJrnilo, di montare slanra, 

Tolto il pupo! Britanno e 'I Gallo imbiaoca. 

XI 

Sirrnme «itol orila a»<elata retale, 
Quando Itelo il viUan di arloplter brama 
Dalle pnnprnli ipislie, e paglie aurate 
11 bmin »eme gentil, rbe lierer ama, 

Che eoo le spoglie pria rotte e squarriate 
1/ avventa in allo, e 'Aelìro poi ehiania, 
Ch* civonque e»se volando intorno spinge, 
D’ oscurato color tutto dipìnge] 

XLI 

Tali erano a mirar l’arme e i destrieri 
Di quei, di' ad incontrargli erano intesi, 

1/ ornate sopravveste, i bei cimieri, 
t gli tendi lucenti e gli altri arnesi. 

Per cangiante vaghezza in prima alteri, 

!>' un medcMn» cvslore eran compresi; 

Nè r un 1' altro scurgea, come se ’l velo 
Notturno, e senza luna avesse il cielo. 

xt.ti 

Già nel venir di qnei son fatti avante 
Il nobìl re dell' Orradi e ’l figliuolo, 
Patrnle al cerehio d* oro, e Matagrante, 

E Plenoro. e Urìauzo, c I forte stuolo 
Di più d* un duce e ravaliero errante, 

Il (piai desio d'onor eoiiJure solo 
A seguitar deirOrcadi 1' insegne. 

Non avaro pensier, die in esso regne. 

XIJII 

Le schiere di ipavrulo pria ripiene 
Hai) tornale col dir liete e sicure; 

11 «'otnaiidalo luco ugn'iinm ritiene. 

Come chi d'obbedir, tion d' altro cure; 

Nè nien che gli altri di minute arene 
Ean l'aria intorno e le campagne oscure; 
Ur giunti ove il magnanimo Boorle 
Fea di largo tesor ricca la morte, 

XMV * 

li valoroso vecchio alqnanlo sprona 
Il cavai verso ini, poscia gli dice: 

O del regno di Gave alta corona, 

K di quante mai fur la vincitrice; 

Tra r antiche memorie indarno suona 
Queir onorala celerà, e felice 
Del buon Tìdide, d’ Ettore e d’ Addile, 
Che presso al foco vostro eran faville. 

XLV 

Ben po«s* io dir la vostra rnvilla nano 
Della rovina mia fido sostegno, 

Cir abbattuto c sracrialo ha di lontano, 

Chi già sovra de' miei teneva il regno; 
Erro che '1 bello oprar non cadrà in vano, 
Ch'or più, ch'io fossi mai, bramoso vegno 
D’ assalire i nemici, e le mie schiere 
òariaii più che Icuui oggi a vedere. 


Disse Ronrie a lui tntto rìdente; 

O famoso mio padre, te ciò fìa, 

Trop]>u ad uopo sarà, sì larga gente, 

Per far pniova di noi, veggio per via; 
Questi è ’l gran Sreuran, cui veramente, 
(ihi noi pregiasse assai, torlo (aria, 

Ma pur poi, eh* è mortai, vergogna fora. 
Più che gli altri, e che sé stimarlo ancora. 

XLTII 

I Coti far si ennvien, lieto risponde 

Il saggio re, che nel medesmo errore 
Pflò cader riiom,rhe in troppo ardire abliuode, 
E chi luverdiio ancor crede al timore: 
Sommo senno e virivde il Ciclo infonde 
In Srgnrario il Bruno, c gran valore, 
Nativo net suo seme iovilto ed alto, 

Quale in Eltor, Girone c Galealto: 

xt.vtlt 

{ Ch* illaslrissimi furo, e senza pare, 

I £ di cui lutto il mondo avea spavento; 

I Pure ove alcun di lor polca trovare*, 

D' esser ro' suoi nemici avea talento; 
Perchè le spoglie e le villorie rare 
Non s' han di loro di virtude spento; 

Nè mi fu '1 qiiinlu Ctel si avaro allora, 
Che lodato non fusii aucb* io talora. 

XLIX 

E s' io non trmea lor giovine e furie, 
Che troncar mi poteano i miglior anui; 
Ora a che per costui curar di morte, 

Ch' è sola il purto de' canuti affanni? 

E poi r alla presenza di Bourte, 

Che loilu m' ha da perigliosi dauoi, 

Beo mi può assicurar iu stato incerto, 

E trionfo di lui prometter certo. 

L 

Ha perchè riposato alta battaglia 
Vien frescamente, e noi lassi rilmova, 

(ih' all estremo calur, tra piastra c maglia, 
Aveiu fatta di noi si lunga pruova; 

È il mìo consiglio, se di lui vi caglia, 

Ch' ornai quinci nessun più il passo muova; 
Ma sui s'attenda, e cerchi so«tenere 
Il primiero furur di queste sciiicre. 

LI 

Cosi (ermo fra loro, i cavalieri 
Sì disteser per l' ali d* ogni lato, 

Ove il re Prlinoru con gli arcieri 
Quasi al medesmo punto era arrivato, 

Cti’ a molli duci avevano, e gaerrieri 
CundotUi con gii strai P estremo fato ; 

Or sentendo il bisogno, l' altra impresa 
Lassando, a' corno suo torna in difesa. 

Lll 

E ’nsieme esso, il re Lago, e 'I pio figlioolu. 
Il famoso Boorle, e gli altri poi 
Van tatti intumo all' ordinato stuolo, 

£ ciascun quanto può conforta i suoi; 

Ma il valoroso vefxrhio è qiirl, che solo 
bupra gli altri si sente, e dice: Or noi, 
Siam qui, cari fìgliuoi, per mostrar rhiaro, 
Che non a torto aviam nome si raro. 


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L AVARO II IDE 




LUI 

S«lc «nlichi ica^rrìeri, e noa v' è atro»), 
Che ì gran valor conviene al gran periglio; 
Fale a priiova fra voi, rii! piti hrairm^o 
Muova il suo ferro, e cuu più allegro ciglio ; 
Certi, che 1’ uom fugace e paventoso. 
Sempre «iel sangue suo torna vermiglio; 

Il Iurte scampa, e eoo supremo onore 
Vive intra gli altri, e poi farauiu muore» 

tiv 

Fermi II passo ciasrnno, e solo intenda 
A non muover giammai di loco il piede ; 
E se pili non potrà tanto il difenda. 

Ch'ai 6u morto di Ini rimanga sede; 

Sé stesso a virtù sproni, e gli altri incenda, 
('.he vinti dal timor vieta si vede, 

(^on dir, ehi cinge il ferro, cinga insieme 
D' alle lodi acquistar desire e speme. 

tv 

Con lai voci arrestò l' invitto corno, 
Ristretto in un con maestrevoi arte; 

In guisa che talor nel fosco giorno, 
(Quando inchinando Ìl sol da noi ss perle, 
Folta nebbia veggiam, eh' assiede intorno 
I)ì monte alpestre alla più altera parte, 
Allor che Borea, ed Austro, ed Buru giace 
Csi'saoì Compagni in riposala pace. 

Lvl 

Già vien con largo passo Segurano, 

E 'n superba sembianza •' appreseuta. 
Dicendo: Or tragga fuor 1' ardita mano, 
('.hi quest' arme, eh' io porlo, non pavi-iita; 
Indi lina asta nodosa di lontano 
Vibrando io aria Ira* nemici avventa; 

Né corse in van, ch'aggiunse Licoiurde, 
Che 'u meuo alla Coroubia avea la sede; 

LVII 

£ del nobii Creiiso era nipote. 

Ricevuto Ira' suoi con soiiiiiio nuore; 

E nell' estremo al ventre gli peri'uole 
Il mortai ferro, e I trapassò di fiiore : 
Cade inverso la piaga, e mentre scuote 
Le braccia intorno, e i piè, laugoeiidu muore; 
Ma pietosi di lui Lieo e Driante 
Con voler del buon re si faDuu avanle. 

LVIII 

Eran questi fratei del sangue usciti 
Del famoso c grand' Orrado Feloru, 

Che poi regnando ue' Britauui liti 
Fu possente tra tor dì terre e d'uro. 
Padre di Perileo, che Ira ì graditi 
Giierrier, che a Pandragon più amici furo, 
Era il primiero, e questi cari e soli 
Della bella Ippudamia ebbe ligliuolt; 

LIX 

t quai oodrì nel gemino valore 
Del ferro illustre, e delle dotte carte; 

Nè srerner sì polca, dii eoo più amore 
Gli ricevesse in seno Apollo o .Marte, 

Che per l* uno e per 1* altro in sommo onore 
Eran salili altrove e 'n aurlta parte, 

E di più d* UDO alloro s' eran cìnti 
Dì cavalicr, di' aveano uccisi o vinti. 


tx 

Or quai duo tigrì giovìni rk' usali 
Sien con la madre lor gregge assalire, 
(ìhe già d'esse più volte insanguinati. 
Sema la scorta poi prendono ardire, 
Contra i più grossi armeuti, e meglio armali 
Di pastori e di can, snletli gire, 

('.he da quei, più di lor sagaci e forti, 
Sica col troppo voler battuti e morti ; 
r.xi 

Tale allor questi due con Segurano 
Ebber di pari ardir siinil fortuna, 

Ch* ad ambo tusieme la spiclaU mano 
La vita e ‘I glorilo in un momento imbrima; 
Di questo getta 11 rapo a Ini lontano, 

E queir altro perrnole, ove s' adnna 
1/ ultima rosta al suo sinistro lato, 

E presso ai pio fratello è riversalo. 

LXII 

Pianse il vecchio pietose», quando scorse 
La valorosa coppia a m<irle giuola; 

E ch'alia gìovin voglia non occorse, 

Di paterno stolor 1' anima ha punta, 

E quasi al veudicargii irato corse: 

Ma in questo mezzo streltameotr aggiunta 
K l'avversaria già con U sua gente. 

Tal di' ad opra maggUir piega la mente. 

LVliS 

E rivolgendo il guardo in ogni loco. 
Pur i suoi nel bisogno riconforta, 

Che nessun per timor mollo nè poco 
Al furor dei nemici apra la porla ; 

Ma il fero Srgoraii, di' ardente foco 
Negli occhi, nella mano, e nei cor porta, 
.Siipra i primieri, uve col ferro aggiunge. 
Quanti puute incoiilrar jsercuule c punge. 

LXIV 

Trnova, che 'nsiciuc Amintorc e Dinca 
A quei, che indietro son, sì fanno scudo; 

I quai scampando altrui da sorte rea. 
Hanno in sé ricouvcrso il ferro crudo; 
Perdi' all' un col poter, di' estremo avea. 
Passò la spada, come fusse ignudo, 

Per entro ìl petto alla incurvala valle, 
Glie nascosa io tra lor formau te spalle, 
c 

LXV 

Dinca fere alla fronte, dove appare 
Assisa in mezzo la piti larga vena; 

E ’l fé' col vollu in allo riversare, 

E di sangue irrigò la pressa arcua: 

.Segue olirà, ove più insieme riserrare 
Vede la folla sciiiera, e sta ripiena 
I)' ostinato voler di morie certa, 

Pria che lassargli mai la strada aperta. 

LXVI 

Ivi con più furor s'accampa allora, 

E liitli i suoi miglior d' intoruo arcuglie ; 
Qual rapido torrente, a cui talora 

II semplice Cultore il corso toglie, 

E per altro camoiin, dd vecchio fuora 
Spinger il vuol, contrario alle sue voglie; 
Cb'ove intoppo maggior traverso trnova, 
Taolu più d' espngoarlo usa ogni prnova. 


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T*I I‘a»prr» S«piiran quanta ha virtndr, 
Qiuot* ha lorxa e valor n»Tr’efM »pirpa ; 
Mi *1 Britanno JrapprI, via più dir iiintdr, 
Sta laido ai colpi, « non li torre o piega; 
Dure non ha, che non i' alTanoi e lude, 

K ‘I valoroio re conforta e prega ; 

E dove alnin de* iiioi veggia ire a terra. 
Con nuovi altri gnerrier loslien la guerra. 

r.vviii 

Nè il famoio Bnnrte indarno liede, 
r.he pronto ha in oeni parte il patio e'I cìglio, 
E nelKnopo maggior dt«re»o a piede, 
Tolto ivi arrorrr al pubblico periglio ; 

Air apparir del qnal tnlto li vede 
H rampo piu rhr pria fariì vermiglio, 

Che spinge innanzi, e eon rinvìlla «pada, 
Ove ita Segtiran, prende la strada. 

IXIX 

Il qual, come virin venir lo irorge, 

Il chiama, e dire: O niiiero Roorle, 

Qual contrario pianeta ogci vi icorge 
Nel fiorir vo«tr« a coli acerba morte ? 

Alla pietà di voi nel cor mi lorgc, 

Né ni dolgo anco meii della mia sorte, 
Ch' all* ncridrr mì iforzi tin giierrìcr tale, 
E rh'ajnai sempre alle mie luci eguale. 

IX* 

Ben udiste già dir, ch’io gìnvinrilo 
Fui del re vostro padre intero amiro: 
Mrntr‘ io giva formando il rozzo petto 
Col Ilio valore, e col gran lennn antico; 
I)' ugni contento luo prendea diletto, 

E quanti in odio avra, mi fn nemico; 

Nè mai iiegio figlinolo amò più il padre. 
Ch’io fei luì letnpre e I’ opre me leggiadre. 

txxt 

E *n que<to iileim loco mì trovai 
Seco con rarmc io man contro a Ciodas«o, 
I.à dove il popol ino colmo di guai 
Itcndci più volte, e la! medesmo lasso; 
lofio che in altra parie me n'andai 
Verso il Castel del periglìuio pano, 

Che mi sforzò 1' onore e I dever mio, 

£ ’olaoto iJ miscrel del mondo nicio. 


Dopo il qual vi rimembre il sommo amore, 
Ch'a voi, come a figìiool, portai mai tempre ; 
Or le il Ciel, rivulgetido i giorni e I' ore. 
Dell' esser nostro poi raogìite ha tempre; 
Non avrà forza mai, che questo core 
(Se 'I composto mortai non sì distemprc) 
Non Ita pure il medeimo in ogni sorte 
Verso il nome onoralo di Boorlc. 

IX XIII 

Ma poi che sposo son di Claudiana, 

E di Clodisso ino genero fido; 

Non ftia liimata a torlo opra villana. 

Se di (jiiella, e di lui difendo il lido; 

E se gli l'altra età poro lontana 
Vide A varco de’ vostri antico nido, 

Giove riguardi a rio, che 'I nostro Marte 
Volge la vista ina per altra parte. 


ixxrv 

Ben mi dorrei, mi sforzasse tale, 

Che foste per mia man di vita in bando; 

E però vi riprego, che 'I fatale 

Corso v'adduca in altro loro errando; 

E sopra il nnovo popol, che n* assale. 
Possa la mia virtù mostrar eoi brando; 

Nè mi vegnan vittorie, onde le spoglie, 
Più larghe, che gli onor, m' apportin doglie. 

txxv 

Ma V ardito Boorle in atto altero. 

Poi rh' ha qnelo ascoltalo, gli ri<ponde: 

Se ’I Ciel vorrà (che 'I tulio sceme intero, 
E lenza il mi voler non crolla fronde) 
Che mi tolga del mondo il braccio fero 
Di Scgnran, cni tal valore infonde: 
li mio foggine altrove indarno fora. 

Che scampar non porria, nè indugiar I* ora. 

txxvt 

Il medesmn avverria, signor, «li voi. 

Se ‘I fin per questa man lassù v'è dito; 
Però fia ben tentarlo, c 'I vrilrera poi, 

Che r unm conosce sol quel eh' è già italo; 
I.' antico e chiaro amor, ch’ora è fra noi, 
Anco dopo il morir non cange stalo; 
Perchè non debbe odiar I* anima forte. 

Chi col ferro d'onor la .spinse a morie. 

i.x*vti 

Così detto, rtpten d'alto delire 
Di gloria rivestir con gnerrier tale. 

Drizza alla lesta II brando, ma ferire 
Altro non pnò, che del lerpeiiir l'ale; 

Ch’ alto levo lo scndo a ricovrire 
11 colpo, che scendeva egro e mortale, 

L' aceorto Segnran, che non diiprezzi 
Quella giovine età nell' arme avvezza. 

Lxxvm 

Non vien perqneilo men l'altera rpeme, 
Ch* al valorn«o Gallo il petto avvampa. 
Che in diversi altri modi il punge e preme, 
E l'arme inionio perrnteiido stampa; 
L'altro, eh’ offender lui nell'alma teme, 
Solo a difender sé le forze accampa, 

E li cuupre or col brando, or con lo scudo, 
Infin che ’i vide poi di pietà nudo. 

txxiz 

Però che sopra il hrarrio il ferro iceie 
(Ch'ei non poteo schivar) con tanta possa, 
Che la man tnlla, e *1 destro tato offese, 

E dentro gl' intronò la carne e I* osta : 

L ira di Marte allor ratta s* arrese 
Nell’aspro Iberno, e la pietade ha icona, 
Dicendo' Poi che in voi non vai Timore, 
Valga di Seguran l'odio e ’l furore. 

LXXX 

E qual levriera pia, che talor soglia 
Co' tuoi stelli figliiioi moniersi a gioco, 
Ch' ancor che i denti lor te apportin doglia, 
Se moderata vien, la soffra un poco; 

Poi se passa il dever, cangia la voglia, 

E 'I gran materno amor non ha più loro; 
Che disslegnoii al fin lor corre sopra, 

E l'unghia e ’I morso a gastigargli adopra; 



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L A V A R C II 1 n E 



T^le avvirn di Rnorte a Seenraiio« 

Chf ’n dis«lfcno»o pa««.o a lui •’ avventa ; 
L'invitta spaila, la femee mano 
In batto <pinj(e al vemlirare intenta ; 
Of»ai ferro, of'ni teurfo era ivi mvann, 
Per far riparo alta tua vita tpenla ; 

Ma il (tinvinello inetlo in leve «alto 
Seeur ti fe’dal pcrigUotu attallo. 

txxKvni 

Nè si saria, com’ or, con tanto ardire. 
Di sì gran ravalier mc««o al pareggio; 

Il qual pensando in alio di ferire. 

Già dalla esperienza è fallo saggio, 

Ch' ei ve«le indarno il colpi rinseire, 

E nel nemico tuo tiilto il vantaggio ; 
Che la spaila gli pun sopra il cimiero, 
E in due parli il ripose sul sentiero. 

LtKXII 

On«r il gran colpo con ilannnio tehemn 
Sopra r arena scorte a lui vìrtna ; 

Dietro al coi grave peto il fero Iberno 
Le sollevate membra stese inchina: 

Con più romor, eh’ al lempestoto verno 
Non fa di eerro antico alla mina, 
f.he ’l rapido torrente intorno *%elte, 

E del torbido corso preda frlte. 

txxxix 

Vien ilopn qnestn il nobile Efìmone, 
Che nato d'alta stirpe in Hangaria 
Mezza soggetta avea la regione, 

CIte *n verso Breslolina apre la via; 

E 'nenntrn al gran furor folle s'oppone 
Del possente giierrier, eh’ a morte ria 
Di gir volando gli mostrò la strada. 
Trapassalo nel ventre con la spada. 

t.VXXMI 

Il cortese B«»orle ratto aeeorre, 

E peiitj ogn'uom, che per ferirlo vada, 
Quando veggion pirinto, rhe'l soccorre, * 

E tieii Inoge al suo mal l'agiila spada: 

In questo mezzo d' ogni inlomo corre 
Gente, ehe’ntra lor due chiude la strada; 

E giti le srhiere son sì strette in ano, 

Che ’l suo loco a guardar toma ciasenno. 

xc 

Giva segnendo anenr, sicché in poc’ ora 
Derisi avea taul’ Orradi e Britanni, 
i ('.he oessun più d* avanti gli dimora, 

1 Ammaestralo in se dagli altrai danni ; 

Già più d' un dure di speranza è fnora 
Di rimedio trovar degli altri a^anni : 

E più eh' alla vittoria, o alla viriiile. 
Volge ogni suo pensiero alla salate. 

I.XXXIV 

Ma il forte Srgiiran, qual rapìd’ orso. 
Che d’alto artvnr pomoso cadde a terra, 
Cile con tutto il poter d' nnghia e di mono 
Delle piante più basse i rami atterra; 

Tal egli abbandonalo all' ira il morso, 
Seodoicii tolto in lui, muove aspra guerra 
In quei, che primi incontra, e d’essi fare 
Quel, che di cervi suol tigre rapace. 

xei 

Era gito Bnorle io altro loco 
(^niro al fero Clodìnn, e ‘1 re Rrnnoro, 
Ote arreso trovò si ardente foro, 

Ch'ei nnn può per altrui lassar costoro; 
Ma il bnt'ii re Lago, poi che stanco r rnco 
E de’ Mici richiamar, che in fuga ftiru. 
Come altra volta già, si spinge arante 
Con passo e cuor di caraliero errante. 

I.XXXV 

Trovasi presso il misero Balanle, 

('.he di Mambrino il saggio era cugino; 
Passogli il petto, e con la fronte innante 
Giacque al suo percussor tristo vicino; 
Ippasn poscia le gli oppose arante, 

Cli' ebbe al compagno pio pare il destino; 
('.he come in grado egnal vissero insieme, 
Una morte medetma anco gii preme. 

XCi| 

Ma il pietoso Cgliuol, che viein vide, 

E molli altri suoi duci appresso chiama, 
Malanzn il Bruno, e ’l raro «no Patride, 
Che nnn men di se stesso apprezza ed ama; 
Matagraiile, Plenoro, e 1' altre fide 
Srurle più amirlie, e d' onorala fama; 

Le qnat senza tardar gli vanno ìnlurno. 
Come semiti levrieri in caccia ai corno. 

LXTXVt 

Ma ferito fu questi, Ove la gola 
Aggiuogehdosi al petto è cava alqnanlo; 
La vita appresto rriidriinenle invola 
A Stichìo, Micisteo, Caso, e CIrantts 
Delta progenie Uvallia, che già sola 
Tra i più ciliari Pembrnrhi a\eva il vanto 
D’ aver domala la famosa Arfnnia, 

Che col nobii Icgnaggio mal a’ accorda. 

xcm 

Quando il gran Seguran vicina scorge 
A* suoi danni venir 1' eletta lurma ; : 

(Quanta piu pnole, al rnr baldanza porge, I 

Si che vieti al suo piè di cangiar orma ; 
Sveglia ogni forza, e con Ir spalle insorge, 

E nel saldo ferir se stesso informa : 

Conferma ben nel bracrio il grave snido, 

E nella destra mano il brando crudo; 

Lsxxvrt 

Ritmova, olirà a cosfnr, I' altero Alito, 
Parente di Scrisino e Prliirano, 

Del seme altero dì Merlino uscito, 

Ma dell' arte di lor mollo lontano; 

In cui se, come i suoi, fosse nutrito, 

Avria previsto allor. che ’n Segnrano 
Fu riposto il suo fine, onsie potea 
Forse altrove indugiar la sorte rea. 

xeiT 

In guisa di cinghiai, che ’ntorno cinto 
Tra cani e cacciator del bosco fnorr. 

Si veggia in loco aperto esser sospinto. 
Ove al suo srampo ha sol l'amie e'I furore; 
Che ’l dente mostra alla ballaglia arcuilo, 
Ineurva il dorso, e ’n minaceio«o oirore 
Drizza 1' ispide sete, r.vspa e freme, 
nel sno detperare ha solo speme. 


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123 


J 
1 . 


L AVARCniDE 



xcr 

Sopra n primo, chr vien, ic iterro «prona 
L* irato Ibrmo, e »rf»r 1' a»pra »«rlc 
Nrl pio Driaoao, a cui tal colpo dona 
Sopra I' elmo beo fin, che ’l pme a morte 
Poi con «aperbe voci allo raf^iona : 

Veniva ionanzì di voi chi fia più forte, 
Perche potsa lenlir, *e quetU spada 
llea ^rave in loi, che nel compagno vada» 
xcvi 

Ha r altra ichiera ioiietne va ristrelLa, 
Che coti gli ammaestra il vrerhio saggio, 
Dicendo: Chi desia di far vendetta. 

Noi deve refutar qaand'ha vantaggio; 

S’io fossi ancor di quella eli perfetta. 

Che fn degli anni miei V aprile e 'i maggio, 
Andrei certo più tosto igotido e solo, 
Ch'or con tali arme, c con ti largo sloulo. 

xeni 

Ha il meglio è d’ obbedire alla natura, 
E quali ella oe dà, le forze usare; 

E tanto più colui, che sol procura 
La salute ei beo pubblico servare: 

Però senza tenere or d' altro cura. 

Che di questo crudel quindi levare, 
Andiam cougiontì indeme, perché iiivauo 
Sarebbe un sol di noi eoo Segurano. 

xcvui 

Ch* ancor che' sia di me più giuvìn tanto, 
Ch'io non ftissi giammai seco a battaglia, 
Senio da tutto il mondo dargli Ìl vanto 
Sovr'ognI cavalier che vesta maglia; 

E benché ceda a Lancilotlo alquanto, 

Al p«>ssenle Trislao forse s' agguaftliat 
E r un scudo lontano, e 1' altro irato, 
Deviam bea riguardare al nostro sialo. 

xax 

Così dicendo, angusto rerchiu faooo, 
Che ben doppiato Qa da ciascun lato. 

Al feroce guerrier, che mortai dauuo 
A' Halagrante d' ima punta lia dato. 

Che gli ha passato il cor, ma gli altri rhantio 
Col sovente ferir tutto iolonat». 

Si che gli sembra ìl mondo gire ialorao, 
Di color varii, e di facclle adorno, 

c 

Onde sferzalo al fio ritira il passo, 

E poi eoo dignità fra' suoi ti resta, 

Di sdegno più, che dì fatica lasso, 

O che d'aspre percosse della testa; 

E quando è in se d' ogni speranza casto 
Di passare olirà il vallo, che I' arresta. 
Rivolta in altra parte, e in altra siracù 
L' aspro furor della mortale spada. 

CI 

Sìmile a quel poiseole altero fiume, 

A cui l'arte e '1 valor d'umani ingegni. 
Ove il corso drizzare avea costume, 
Chidser con gravi sassi e duri legni; 

Né sia di forza tal, eh* apra e consume 
Di sotto, o intorno i validi sostegni: 

Che per altro sentiero abbatte c svelle 
Quanto incontra, e 'I romor vola alle stelle. 


cti 

Torna alla sua tìnitlra là, dov'era 
Creoso, Ivano, e '1 nobile Mambrino, 

Nella parte, a cui stende la riviera 
Il tuo lido arenoso più vicino ; 

Ch' a battaglia ivi perigliosa e fera 
Soo con Bninoro il Nero, c con Clodiun ; 
Ma così van di par, eh' essi non sanno. 

Chi piu s'aggia di lor vittoria o danno, 
au 

Ha nel primo apparir di Segurano 
La volubll Fortuna il dubbio solve: 

Ch' a pena giuuto ancor, la cruda mano 
Ha gettalo riverso tra la polve 
Il furte Atlorìun, cugin d' Ivauo ; 

Il qual, mentre che l'alma si dissolve. 
Chiede al suo vel terrestre sepoltura. 

Per non restar di cani empia pastura, 

av 

E luogo ebbe il pregar, ma non sì tosto, 
Ch' allora è in altro alTar ciascuno ìiilesn; 
Perché non lunge a lui prr terra ha posto 
Il gioviu Meueslen da morte offeso. 

Ch'ai possente farnre indarno opposto 
Sperò di Sostener più grave peso. 

Che Dun fu '1 suo valore, e se u' accorse. 
Quando ìl colpo mortale al ventre scorse, 
cv 

Dopo costoro uccìse in un momento 
Sfeleo, Cionio, Hicipso, e Licurone, 

Che lutti aveati suggelli e reggimento. 

Ove uri mar Sabriua si ripoue ; 

Passa olirà il crudo, e tra '1 fugace armento 
Sembra afTainalu c rabido leone, 

Che d'altra preda pria spagliato fosse 
Da pastorale schiera, che '1 percosse, 
evi 

Crenso il Senesciallo, e '1 prode Ivano, 
Coi miglior cavalier, eh' aggiauo appresso. 
Ben ristretti fra lor, drizzati ia manu, 

Ove il popol vicin piu vicuc oppresso ; 

Ma quanto oprano io ciò, rilorua vano, 
Che lo stuol paventoso in fuga messo 
Avea chiuso il cammino, e ’n tutta forza 
Di fermare ivi il piè ciascuno sforza, 
cvii 

Surge Hambriuo il saggio d'altra parte, 
Che meo l'aspra tempesta avea sentita; 
Sveglia chiamando ìl buon popol di Marte, 
E 'n lai conforti alla difesa invita; 

Ora è '1 tempo a mostrar, se I' antic' arte 
Del militare studio è in noi fallita. 

Che fu già sì pregiala in Baogaria, 

Che di tutta Bretagna in vanto avia; 

cvm 

O se siamo i medesmì, che più volte 
Al Betico furor ponemmo ìl freno ; 

Che già con mille navi insieme accolte 
N' avean privati del natio terreno; 

Oode tante poi fur tra fiamme avvolte, 
Quando del sangue lor, c'cinpicmniu il seuo; 
O quelli stessi, eh' al vicino Iberno 
Aviam fallo sovente e danno e seberno. 


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L AV ARCHIDE 




Qaeiti, di cui teoiclc il gnardo tolo, 
SrjR lutti di color» di eh' io rapiuoo» 

Nati e nodrili dal medetmo polo, 

Nè dal riri più di quelli tian proprio dono { 
Ora al primo valor lì spirghe il volo, 

£ rlarrr»clii di lui 1‘ aotico tuooo, 

E irptiilr il mio piè, che vì ruoducc 
Alla vera dì gloria «terna luce. 

ex 

Coll direa Mambrino, e moilra loro. 
Per più ìofiammare i cor, I' alirro tendo, 
Cihc dì peno colore c d' oilro e d' oro 
Digito appar, d' opoi animale ìpnudo: 

E iauaodo Oiooel col re Brmiuro, 

$* invia co* snui, dove l' Iberno crudo 
Opra in danno d Ivano c di Creitio 
Olire a quel che iMQvrgna al luorlal om« 

exi 

E lui con grande ardir primiero assale, 
E eli dà in meMo al capo aspra prrrotsa, 
CJie beo r offese assai, ma non fu tale, 
Clic iiiipiagarr, u impedir dì nulla il possa; 


L* altra sua compagnia formata in ale 
Da sinistra e da destra iniirme è mossa, 
E eoo r aste e coi braodì gii stan sopra, 
£ di metterlo a terra ogni uomo adopra. 

cxti 

Ma quel rìgido scoglio è sempre io piede, 
Né paventa il furor di questo mare; 

Pria di lutti Mambrìo ori braccio Cede, 

E gli fere la spada abbandonare; 

Poi fra gli altri guerrier, che 'oturoo vede, 
Tra fugaci colombe aquila appare. 

Che ehi in fronte ferito, e chi nel naoro 
Tra *1 fuggire e *1 morir venolo è inaucu, 

CXIII 

Or poi che s* è veduta quella spemr, 
Che piu gli sustenea, ratiere in vano; 

E che quanto egli inrttiiira abbatte e preme 
L’allo valnr del fero Segiirano, 

Ciascun si forte ornai la morte teme, 

Che sprexzalo ogni duce e rapilaoo, 
Sirudeodo il corso per l’ angusta valle, 

Al nemico vicìn vultan le spalle. 



ARGOMENTO 

aicofiUe I fugf^itivi il prode Arturo 
A* S'irò contro ài ntfoi*o o Scfiurono ; 
Torna quindi per amèo il l'ìncee duro f 
Ma dal campo il secando va lontano^ 
t'Aé l,loda*sn lo appella entro del muro 
Ove al A’umc sacrifica, nè ìnt'onu; 

La tposa abbraccia, e con Clodino poi 
7urnu ri//a pugna a tostcnere i suou 


3i tosto rnmr awien eli* al grande Arloro 
Le soitecile orecchie riperrnola 
Del re Lago e de* suoi lo stalo oscuro, 

E l'aspra fuga di speranaa vùla; 

Fa che 'I re Caradosso il biaoru e puro 
Bel vesaillu reale al vento setiula; 

E le sonore Irunilsr in quella parte 
Sveglia dal nido suo l’ invitto MarlCi 


n 

B de* suoi cavalier 1* ornate iqiusire. 
Che nell' aperto campo avea distese, 

Vien tutte rivedendo, e qnal pio padre 
Lor rinfresca d’ onor le voglie accese. 
Dicendo: Or vico dell' opere leggiadre 
(Alle qnai sempre aviam 1' anime ìnlesc) 
La slagioQ convenevole, da poi 
Ch' ogni estremo rimedio è posto in noL 

ui 

Ben potete veder, eh* or sola giace 
La salute comune alla man vostra: 

Che se Ila del valor, eh' a lei conface. 

La viUoria e la gloria i» tulio è nostra; 
Ora a quel sommo onore, e beo verace. 
Che la grazia di Dio o' alluma c musira, 
Andiam con lieto cor, seguìam 1' insegna, 
Che '1 celeste senlier con l'orme segna, 

IT 

Cosi detto a ciascun, posato e tardo. 
Ben fra loro agguagliato si passo niuove, 
lulln cb' all’ avvrnlar di lancia, o dardo 
Viene, ove Seguran (a falle pruove; 

Indi come cervìer. Icone o pardo, 

Clic la preda affamato in selva trssove. 

La polve iusino al sul destando in allo, 
Sprona il corso veloce al fero assalto. 


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L A V A R C H 1 D E 




» 

Il romnr dr’ dettrirr, JcM' an»p il ìuuqo, 
NpH’oKrum tenlirr rhr ntJi» appare, 
Srmbra ail’antuiino il tempfktu^o liiono, 
(thè sopra il futru cirl ai sente andare, 
Spaventando culor che carchi sono 
Dì proster erudì, e d'atre colpe amare; 
Po'^ria in ardente folgur »Ì converte. 

Che le gelate nubi ha inloruu aperte ; 


xtt 

Le quali ad aspettar sedette a piede 
C obbligarti un tal re di tanto nome, 
Che d'alto allur sopra la fronte il fìede, 
E di sangue gli empiè 1* eboo e le chiome ; 
E liella sua virtù venne a mercede 
Lo srarrar Taliua dì terrestri some 
Per la più ritiara mau, che fosse altura 
Dal mar d'iberia a’ liti dell'aurora. 

VI 

E ma mortai frapnr girando scende, 
Ov' han l’ombra magp;inr gli eccelsi numti, 
Ch’ or Ossa, or Pelio, or Apeonìno uITcnde, 
Ove d’Arno, e di Tebro esron le fiati ; 
Or r alte Uirrì, or col furore iiireode 
De* aacri tempii le fainore fronti ; 

Or degli arbor più antichi abbatte e doma 
U piè, le braccia, c la cangiata chiama. 


XIII 

Il nobile e famoso Childeberlo, 

L* allo crede primier di Clodovco, 
Quantunque gìuviaello e poro esperto, 
Diede aipra morte all' infelice Argeu; 

Che nacque ove pili moitra il fianco aperto 
Ver la Cinlabria il salto Pìreneo; 

Che sposò di Verrallo la sorella 
Nell' età sua ciascun fiutila e bella. 

VII 

Con aembiante furor, dì notte avvolta 
A ferir vien quest' animosa schiera, 
niempiendo d' orror quel, che ravvolta, 
Ma più di lei schivar (laiio) iiou spera; 
Cviuoge ove Scguran con sente folta 
L'kttendeva nrguglioio, e *n vista fera ; 

E a'h^d'aste e di scudi fatto schermo, 
Quanto può, contro a lor sicuro e fermo. 


XIV 

E *1 privaro in quel dì le stelle infide 
Dell'alma e delia fiamma ond' egli ardca; 
Che dalla destra spalla gli divide 
Il braccio, che la spada sustenea ; 

Cadde il miser, chiamando le sue fide 
Genti in aita, che ben liinge area ; 

E lo spirto, che breve in lui dimora, 

Dal premer de' cavai fu tratto fiora. 

vili 

Ma non ha il mondo forai, che sostegni 
Di tante lance, e lai l'estrema possa; 

Tal eh* in un punto sol la regia iusesua 
Fa di mille guerrier la terra rossa. 

Che nessun resta in piè U, dove segna 
D’esso colpo primier l'aspra percossa; 

Nè sol quei, ch'ivi fiir, ma molti poi 
Dal medesitiiu urtar cadder fra' suoi. 


XV 

Cldtario uscito dal niedesrao Frauco 
A Helaiiippo il rio la vita toglie. 

Nato io Pomeria, ove le bagna il fianco 
Con l'onda Ortelo, che le nevi accoglie; 
Questi del padre suo canuto e bianco 
Beiidco sanguigne le sacrale soglie; 
Perché il frate), che di lontana sede 
Dovei tosto tornar, non fesse crede. 

IS 

Passando oltra i destrieri, e mille ancora 
Premendo van sotto il ferralo corno ; 
Quasi simili a quei che traggou fuori 
Della spoglia il frumento al caldo giumo, 
Quando il vìilan cui fren saldo dimora 
Del loro in mezzo, c fa gìrarse intoruo 
Di giunieulì e di buoi 1' cietle toriue. 

Che r arido tuo vel Irìlin con 1' uruic. 


XVI 

Or per qoeH' empio cor, eh' a fabbrirarc 
Il pensiero infcruaic era stai' oso, 

Da giustissima spada ullrapassare 
Fc' io fiuo al dorso il gioviue famoso ; 

Nè Cliidamiru il frale vuol mostrare 
D' esser nianru de' diioi d'uuur Lramusu ; 
Come it quarto con lui Teudorìro 
D esser mcn di virtù, che gli aliti, amico. 

X 

Botta la lancia poi, ti reca in matio 
Ogni buon cavaiier la grave spada, 

E con quel^ da proso e da lontano, 

Ove spinga il cavai, •' apre la strada; 

Tal che più d' un guerrier, che sia sovrano, 
f^ovien per opra tur, eh' a morte vada, 
Oltre alla turba abbietta ed iitCnila, 

Che Ira gli urli e '1 furor lassa la vita. 


xvu 

E rosi questi due congiunti in uno, 
Non luiige mollo all' onorato Arturo, 

Che qual padre provvede, che ciascuno 
S<a di lor ben guidato e Leu sicura, 
Truovano insieme Ifito, c (^roiuiu il Bruco, 
Frateì Burgundi, e non di sangue oscuro; 
Ma cugin di Cintilda, che già feo 
Questi quattro figliuui dì Cludoveo. 

XI 

Decise il gran re Ariaro Ciiiofonte, 
Congiunto amalo di Brunoro il Nero, 
Nato in Usfaiia alla gelata fronte, 

Ove al Cimbrico mar volge Viscro, 

Di sangue tlliislre, e di ricchezze conte 
Sopra molli vicio teneva impero. 
Saggio nel cousigliar, nell' oprar forte, 
E 1' onore c '1 valor gli erano scorte. 


xvui 

Ma le parli seguìan di Guoebaldo, 
Che di lei il padre Cliiipericu uccìse ; 
Nè il legame fraterno iulero e saldo 
Al desio di reguar teruiìuc mise, 

Or «questo unico par sicuro, e baldo 
Oli incontrali nemici sì divise : 
Clodatuiru percosse in fronte Ifito, 

K ‘nljo sovra la gola c il colpo gito. 


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l’ avarchide 

XIX 

Ferito é Cromio nel ftÌBÌitro Iato 
Dal Laon Teotlorim, e posto a terra; 
Indi triiova A|;raveno il forte AcatO) 

Che tra* suoi pochi pari aveva in gnerrt) 
Nel aatHs reg;iin intorno circondato 
(Come invitta eilU moraplta serra) 

Dalla frondosa Errinia, e poco meno 
Era io Praga oaorato, che Dmmeao. 


XXVI 

Dopo coslor Bralleno ed Amìllano, 
Taurino, Ì frali, e Ueliasso il Bello, 

11 Brnn quel senza gioia, ed Uriano, 

Con l’altro invitto e nubile drappello, 
Nei suoi nemirì insangoiiiù la roano, 

£ fece ‘sopra tur largo flagello ; 

Nè l’un mai più dell'altro apparta lasso, 
£ d'una riga egual moveaoo il pasto. 

XX 

Gli trapassò la gola nel traverso, 

E di lei l'aipra (ì«(iila divide; 

L’ardilo Gar|;antin, Dolone il Perso 
Della patria roedesma, seco nccìde, 

Che di sangue infinito il petto asperso, 
Jliasmando il ciel, eh'a quella sorte il faide, 
Rolando fio, come in sospesa piaffia 
Suole il secco troocon, che spinto caggia. 


XXVII 

Come dopo 1* aprii si pon vedere 
Gli aecorti mtelilor per gli ampi prati, 
Diparlirse fra loro in larghe schiere, 

E *n drittissimo 61 gire agguagliati; 

Poi nell' ordin medesmo l^ar radere 

Gli aridi 6en per terra riversati 

Con 1* adnnrhc sue falci ; e ’o colai forma 

D' Arturo ivi apparsa l'egregia torma. 

XXI 

II cavatier famoso di (Vorgalle, 

Che tra* miglior guerrieri il mondo slima, 
Che quelli arra della Lomnnda valle. 

Che *1 Grampio adombra con l’altera cima, 
Net petto fere, e *1 passa olirà le spalle, 
Oftlesle, che lien la gloria prima 
Nel puisente liitlare, e fu il più chiaro 
Del terreo, che contien Rodano c Varo. 


XXVIII 

Ma il fero Seguran però non manca 
DI mostrar la vìrtnde, ond'è ripieno; 
Sosticn la gente spaventosa e stanca, 

K raccende il valor, ch’ha speoln in seno; 
Or nella destra parte, or nella manca 
S' avventa, come il folgore o ’l baleno; 
Or tra i nemici in mezzo si vedea. 

Or dietro a tutti i suoi, che gli spingea. 

XXII 

Ma non gli valse allor enntra la spada 
Del nobile e forlisiimo Britanno, 

4-h* abbattuto convirn, eh* a bas«n vada, 
Avendo de* murtai t'ultimo danno; 
Segue codini per la medesma strada 
L' Iberno Cebriun con meno affjnuu. 
Perché nel cor da Ganesmnro asgiunto, 
Senza duglia sentir muore io un punto. 


XXIX 

Quale invitto nncchicr, che da tempesta 
Perigliosa sospreso esser si vede; 

Ch'or en| fischio, or Col grido mai non resta, 
E nel suo cominciar tosto provvede ; 
Ch'allenta e lira or qnclla curda, or questa, 
Com* or drilU>, o traverso il vento fiede ; 
£ scrondu il furor, che il legno assale. 
Cresce, o tarpa di lui le candide ale; 

XVII 

Malcliino il Grosso, ch’ai giganti sembra, 
Incontrò di Sa«<<onia Polemune, 

Che smisurata forza anch'egli assembra, 
Piu il' altro assai di quella regione. 

Per tutto ciò con le possenti membra 
D' uii colpo nei cimiero a terra il pone; 
E sonò nel rader 1* armala spoglia, 

Come d'eccelso pin rovina soglia. 


XXX 

Ma poi ctiel suo senlier sente, che sforza 
D'uua sol parie l’ Austro, o l'Aquilone; 
Con bassissime vele, alla sua forza, 

Tutto roiiiilu in se, la prora oppone; 
Volge il timon routrario, e stringe l'orza, 
£ di non traviar la cura pone; 

Che se '1 cainmiu, che intende, gli sìa tolto 
D'avanzar per alb>r, noi perda molto; 

XXIV 

Fece il medesmo il nobile Gerflello 
A Reso il Provcnzal ferito al fianco; 
Polibu poi con larga piaga al pellu 
Resta abbaitolo da Finasso il bianco; 
Landune il destro tra t miglior pcrfello, 
Il cui sommo valor non fu mai stanco, 
Con la punta mortai del fero brando 
Pose il miicr CiflTco di vita in bando. 


XXXI 

Tale il gran Seguran, poi ch'ai furore. 
Che improvviso Ksrveorte, è ìn piè rimaso; 
Rinforza il tutto pui dentro e di fuorc, 
Che fKsssan contrastare ad ogni caso. 

Con r aste i suoi guerricr di più valore. 
Che di Connacia avea verso 1' «wcaso, 

Pun nella fruuir, e di ior duce feo 
11 soo più chiaro amico il forte Alceo. 

X9V 

Non resta indietro il saggio Talamnro 
Con la doppia virtù, ch'ha Ìii guerra e'n pace, 
Ch* oecise Ileo, come il ciigiii Manduco 
Spento il miser Cmm di spirto face; 

E per man del ricchissimo Arganoru 
Urll« lesta privalo Emonio giare; 
iJ>Mrl, che nato Ira* Goti Orientali, 

Pochi al fero suo cor trovava egnali. 


xxxtl 

Quei dell’ Ullonia pose alla man destra 
Sotto il signor di Persa Handuioo ; 

Gli altri, ch'ha dì Laginta alla sioestra, 
Ove il fiume dell' Euro avea vicino; 
Questi alla guerra intrepido ammaestra 
Mogarlo il Biondo, col fralel Sabrino; 
Quei di Momonia strade alle sue spalle, 

E du«‘ì han Terrigauo e Horialle. 


u 


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.33 L’ A V A l\ C H I D E 


Xf.TII 

IIV 

E di Hi> rapnnaiidn a r.litnm^F, 

Qni si tacque il re antico; e ’t fero Iberno, 

Che del sun toiniim tempio è «arerdote, 

Mie stima Ì1 tuo poter suvr’ogni fato. 

K le ro«e foliirr aperte vnie. 

Gli amorosi rioirdi prende a scherno. 

Come noi le pa«.«alr, e le più onte, 

E risponde in seniion d' ira infiammato : 

Dopo al(|(tanlo mirar d* un* alla arde 

Or non sapete voi, che ’l proprio infermi, 

Jn fallai vnri pretaglie Tali trunle 

Cim quanti ha mostri, e furie in ogni lato. 

Ogni rapare iierrl, guardò nel foco. 

Non detleriaoo io me tanta paura. 

di’ è l'elnneato »on, pur in qoel luro: 

Che di fona, qual sia, letie&si cura. 

xr.riM 

LT 

Indi a me ritornando in lietn Tolto, 

Nè sete voi ’l priniirr, nò Clitomede, 

Mi ditte t Alto mio re, secnro «pero, 

Che di lui m'ha narrate aspre novelle; 

Che 'd «angue e morte C arrertario arvullo 

Perche la Fata, che nel lago assiede. 

Todo vedrete, e vinrilore intero 

Mriilrr il nnlria prr le stagion novelle, 

Segiiran fia, *e di quantunque tolto 

Sovente mi narrò, eh' aperto vede. 

Avrà di preda al tuo nemiro fero, 

Per quanto al uascrr suo muslrìn le stelle, 

La qninla parte almen promette in volo 

E per quel che Uorlin gli stilea dire, 

Al Dotlro altero Dio, piano e devoto. 

eia io per la spada sua dovei morire. 

XLie 

I.VI 

E non latte pa««ar l'ora fugare. 

£ mentre m* accogliea con qnelln affetlo, 

Mentre che Lanrillntlo <ta lontano ; 

Che far si po««a un più leale amiro, 

Il qual ff con Arliir<» avrà mai pare, 

(gunite fiate m' ha piangriido detto, 

figni nokiru «prrar tarehbe vano; 

Che ti dolca dri fato empio nemico. 

Che morte arerba, n gran perìglio giace 

Cagioo, che per suo figlio avesse eletto, 

III <|uella eroda man prr Segiirano; 

t.hi sormontamlo il veiu onore antico, 

Ma te vorrà di lui tchivar la «pada. 

Farebbe il nome rteruo esser di lei, 

Sicuritiima avrà tuli 'altra ttrada. 

Ma la ita recUerebIse ai giorni miei ? 

L 

LTIt 

Soggiunte poi, che vi mntiglia ancora, 

E così spesso al mio rnspelto poi 

Cli’a tiiigular battaglia oggi rhiamate, 

Miiainando lui, che faitciiillo era ancora, 

Fra ciatron ravalirr, di’ ivi dimora, 

Giurare il fé* sovra Ì parruti suoi. 

Il miglior di valore e dì bnntate ; 

E prr la deità, clic pìù s'adora, 

C.ert4i rhe tovra ogn' uoiii quaggiù v* onora 

Di non cinger mai spada rimiro a noi, 

Il fero Marte, rhe voi tolo amate, 

Per qiialiinqtie cagìuii portasse l’ora: 

Per riti sarete a somma gloria indotto, 

Quei eli’ eì sempre servò, ette in nc»i parlCj 

8e •ctdvate il furor di Laiieilultu. 

Ov.'io non aia cu' suoi da me si parte. 

LI 

Lvm 

Nè ciò sembri viltà, eh* avvenir poute, 

Che mille volte e piu, quauiPagein iidilo 

Che sovente in alcon minor virliide 

Drile pruve, di' ei fa, l’ altero grido. 

Sia dal girar delle superne rmtle, 

lirainusu di veder se «ia mrolìtu. 

OiiJ* ogni bene e mal qiiaggtti si chiude, 

Ilo eaagialu cercandolo arme e i̫lo ; 

(ruardala si, ch’ogni sua f.iraa sruutc 

Ma dopo ai priuti etilpi, ov' ha sealiio 

A qoal Iruori maguìore, e 'ndarnu sode 

Dcirocculto mio gir F abito iuiido. 

Ogni altra al cunlrastar, rh'alfìn rnoviene 

llipnn la spada allur, volge il destriero, 

Yiiirilrice esser lei, che '1 Ciel suslieae. 

L sdegnoso da me torce il sentiero. 

ut 

LIX 

Non ci deve onorar per saggio o forte, 

Oad’ Imi sempre portala, e porlo doglia, 

Cliì spera il suo valor torre alle stelle \ 

idie da lui vilipeso esser mi sembra, 

E chi four di ragion dispreiza morte. 

E rcrlu smi di riportarue spoglia. 

Via più eh’ ardilo e buon, crudo s'appelle; 

Se d' adamaute ancora aves»e uirinltra : 

(>cda il mortale alla mortai sua sorte. 

Minacele pure il Ciri, dica che voglia 

Nè «tenda le sue voglie empie e rubelte 

Tutto il concilio, eh' a predir s'assembra, 

Oltra r ordin lassù, ma prr la strada, 

Che LanriluUo solo in guerra chiamo. 

Che gli è rausLra miglior, coolcntu vada. 

E con suiuitio desio sol csao bramo. 

Lm 

X.X 

S'egli è dato dal Ctcl, che Segnrano, 

Ed a voi chiaro suocero r siguore. 

Il cui chiaro valor Fumano erreda, 

Dolce padre onorato e re sovrano, 

Aggia iutrepido eore, invitta mano 

Avrò per obbedir con sommo amore 

Si, rhe d ogui giierrier riporli preda; 

lu ogui Italo il cor presto e la mano; 

Ma la tua sorte al tiglio del re Bauo 

Ma che mai di coitili tema il lururc. 

<Ben che di men virtù) la palma ceda; 

Il vostro affaticar del tutto « vano: 

Soffrir coovieusì, e riograaiarlo appresso, 

Che piu caro il morir per lui mi fia, 

Che ’l poterla tchivar oe ha coocesso* 

(.h* allungar gli auni mici per questa via* 


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Sia «lei lerreslre quanto al Fato aggrada, 
Che gli può poro tur, arnd' *i mortale j 
Pur che lo ipirto mio per dritta itrada 
Addrixac tempre al Ciri candide I ale; 

Nè ai po«aa mai dir, che qiietia apada 
(A cui di aomtno uour, non d' altro cale) 
Se ben fuaae converta in ghiaccio e'n vetro, 
Per temenaa d’altrui toroaaae indietro» 

LUI 

Di fare al qnìoto ciel solenne volo 
D'ogni spoglia donar la miglior parte, 
Consrnt'io col pensier piano e devoto, 

Nè fien le mie promesse al vento sparte; 
Che d'orgoglio è riplen, di senno voto 
L' armato cavalier, che sprczai Marte; 

£ che d' esse adempir eonleoto fai. 

Voi quinci lestimon ne appella e lui. 

LZIII 

D' esser io poscia a sìngular battaglia 
Con quel duce miglior, che segua Arturo, 
Se *1 provocargli c ['invitar mi vaglia, 
D’obbedir Clilomedc andrò sicuro ; 

Benché pochi vi sicn, di cui mi raglia, 

Se i medrsmi son qai, eh' altrove furo; 

Se noo forse Tristan, che pure è certo 
Ardito cavalier, prode ed esperto. 

tXIT 

Or questa sia la fin del parlar nostro. 
Ripunendo nel ciel ciò eh’ etser deve, 

Ch' io mrn vada volando al rampo vostro, 
A coi di ritornar promisi in breve { 

Vìvete lieto or voi, nè augurio, o nostro, 
0 falso antiveder di spirto leve 
Vi faccia noo sperar vita e vittoria, 

Lnnga pace tranquilla, e somma gloria. 

tir 

Il buon vecchio reai, ch* intento ascolta 
Del gran genero suo 1' alle parole. 

Ha di doppio timor l’anima avvolta, 

E del suo troppo ardir seco si duole ; 

Non riipoude altro a lui, ma gli occhi volta 
Piangendo al ciclo, e dice: O vivo sole, 

Se r umana virtù ti fu mai cara, 

Difendi questa in lui più d'altra chiara. 

LXVI 

E le mostra il cammio dritto e verace. 
Che la conduca al fin de’ bei desiri ; 

Opra col too poter, rhe nulla face 
Dì sguardo miridial lassù la mìrt^ 

E ’l disegnar quaggiù tomi fallace 
Di ehi più ai danni suoi spietato aspiri; 

E lai deir ali sne sostieni il volo, 

Ch* al sacrato arbor tuo pervegoa solo. 

txvii 

Poich* ebbe così detto, a lui si volse, 

E con tsl ragionar lieto l’abbraccia: 

Chi crederi, che l’uomo, io ttiì raccolse 
Tanta bnnlade il ciel, già mai gli ipacria? 
E di cui tanto onor la vita avvolse. 
Consenta in morte, che negletto giaccia? 
Che *1 passato valor pietà non muova, 

£ di cosi sperar mi piace e giova. 


Lxvin 

Gite or con boonn agurio, e ri sorvegna, 
Che non sempre è lodato il troppo ardire ; 
Ma solamente iu loco, ove convrgua 
Gli aspri nemiri abbattere o morire; 

Poi sopr’ ogni altro cbì comanda e regna. 
Non si tasse portar dal van desire 
D' acquistar poca giurìa io gran periglio. 
Ma via più che la mano use il consiglio. 
LXIX 

Qui al fin ti tacque, e dal suo sen discìolto 
Il gran genero poi da se diparte : 
ludi a (Jodin con lagriroovo volto 
Dire: Ftgliuul, però che il senno e Parte, 
Che distingnon 1' uum saggio dallo stolto, 
E eh' hall del bene oprar la miglior parte, 
Sno dell'uso e del tempo il parto chiaro; 
Truovaou io giovin cur l’albergo raro. 

LXX 

Vi ricordo e vi prego per questi anni 
Coti debili ornai, canuti e bianchi. 

Che ’n dolor luiiglii, c ’n travagiinti affanni 
Son di piangere i suoi pur troppo stauebi. 
Che dall' odio mortai de' rei Britanni, 

£ dall* aspro furor de' guerrier franchi 
Con accorto riguardo, e con misura. 
Quanto importa 1’ ouor, v* aggìalc cura. 

LXII 

E di quei cavalier seguiate l'orrne, 

I qiiai sirn più di voi ueti' arme esperti; 
Nè r ardue giuviail I' animo informe 

1)' impossibili a lui ricercar merli ; 

Nè vi muovali di quei le vulgar torme. 
Che del vero valor vivuuo incerti, 

E non san, che l'ardir di scotio trarrò. 

Di vergogna, e di morte è il proprio varco. 

LXXII 

Già cerca Seguran dall’alma sposa 
In breve ragionar congedo avere; 

Quando lei sente afQilla e lagrimosa 
Tra le sue braccia misera cadere, 

£ 'n sembiante apparir qiial bianca ru^a. 
Poi clie 'l raggio del aol la scalda e fere. 
Cbe’l leggiadro splendore, und' era adurua 
In pallidu color laoguendo turila. 

LXXIti 

Dopo alquanto vagar, poi ch'ai tuo loco 

II travialo spirto era turuato. 

Le due languide luci alzale un poco 
Nel volto affisa del consorte amalo; 

PoKia in greve totpir ripivn di foro 
Dicea tutta tremante: lo quale stalo 
Sol mi rechi il timor dei danai nostri. 

Bea pulcle ur veder cou gli occhi vostri. 

ixxtv 

Però prego piangendo, o Signor mio, 

Di mirar tfoi peiisier qual esso fura, 

Se mi ferisse il c«»r qualph’atpn» e rio 
Caso di voi, moie u' avvien talora. 

Ma pria quei grati molor, quei sommo Dio, 
('he per padre cuinno ciascuno adora. 

Del suo terrestre vel queit'alma spoglie, 
Che rtveslirU, oimè, di simil doglie. 



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LXXV 

Mi te m* amastr' mai, romc tovrair, 

Ch' io mf I cretlra^i pur, tlr«io mostriate t 
E di mcrto lirun Timore anlrnle. 

Che 'afiimmi di Gianon te voglie naie ; 
Aliar che 'o meuo atti Remica fteole, 
latra spade ponpeati e risiile aste 
Sprooerele ti rorsier, vi riaowrgna 
Del nùo pregare unii, a' io ne ioa degna* 

uxn 

C dite io voi nedraroo : Claodianif 
Clie*n si aogntcioae pene oggi laariati 
Se per temenza imnusìaata e vana 
Se le oicurir cosi del soie i rii. 

Che faria miscrella, se lontana 
D* ogni conforto, e tra infioìti guai 
Si trovasse al più rio del corso amano, 
Scoia la teoria aver di Segurano ? 

Lxnvti 

Che non è sposo sul, ma padre e frate, 
£ mille dolci nomi aggituilt intirme; 

L’ orate ornai calca all' aliime giornate 
L* onorato Clndas«o, e morie il preme ; 
De' suoi Unti geiman di utila etate 
Solamente io Clodiii cliinde ogni speme. 
Giovine iocauto, e l>en che d'allo core, 
Non forte a sostener si gran furore* 

LXXVIII 

E rhi sarà il suo scampo, pni rhe'n seno 
Fia de' Franchi c Britanni il nudo Avarco, 
Che OOD la prenda allor Tempio Gaveno 
Da lei per mia cagion d’ ingiurie carco ; 

£ sfoghi tutto in lei T aspro veleno, 

Del qual, mentre vivrà, non fia mai scarto, 
E Ira te selve sue mattina e sera 
Oprando l'ago c *1 (il la tenga a schiera f 

txxix 

EH misero Cgliuol, eh* al terso mese 
PorT io. del nostro amor gradilo pegno. 
Cerchi a nascer lonlan T altrui parse, 

Prr restar servo fra i oemirì indegno} 

£ dell' alle rovine in noi discese, 

£ delle lor vittorie eterno segno? 

E dir possa il più vìi con fero ciglio: 
Quei sou di Segurao la sposa, e '1 figlio ? 

txxx 

Non sempre troverà cortese aflello. 

Come già in Lanrilullo in altri tempi, 

Che al padre la rendeo, contro al disdetto 
Di quei, che la volcano, avari ed empì { 
Ma trovandola ancor, se ’l patrio tetto. 

Se le pubbliHie mura, e i sacri tempi 
Sana destrutli, e tolti ancitì i sui. 

Ove la tornerebbe, e 'n man di cui? 

LZXXI 

Deb consorte onorato, aprite alquanto 
Alla preghiera nmil T orecchie e*l corr, 

E tempre in voi T umor del nostro pianto 
Qualche favilla al mariiale ardore ; 

vogliate spregiar del sacro e santo 
Vale, le voci pie scarebe d'errore, 

Perché vcdnlo arem per prove antiche, 
Che le stelle al predir seaipr* ebbe amiche* 


LTXMI 

Ridoeete qni presso i goerrier vostri, 
Ch*a quest’ alma città gnardin le mura, 
Ove d’ Euro c d’Oron gli ondosi rhiustri 
Men la parte di lor rendbn sicura; 

InCn rbe'l ciel con miglior segni mostri 
Della vostra virtù tener più cura. 

Che non sempre ha lassù le voglie egnali. 
Ch’or minaccioso, or pio volge aì mortali* 

I.XXtlll 

R *n questo tempo tutte ai santi allan 
Sarrifìri porgendo, e doni e preghi, 

Con meste voci, e con sospiri amari 
Sdpplieherem, rhe'n voi la vista pieghi; 

E le notti felici, e i giorni chiarì 
Per le nostre vittorie amico spieghi; 

E doni a voi girlanda in questa riva 
Di trionfante iatsro, a qui d' uliva* 

MXXtv 

E se avrrm le battaglie a noi vicine, 
Potrò il vostro valor vedere aimrno; 

E roDlar meco T anime mcscliioe. 

Che ilrl fero Pliitnn porrete in seno ; 
rrrgsodo allor, che le virtù divine 
AI rotirn troppo ardir reggano il freno; 
Ne Tuslioaio cur vi porte in loco, 
di' ogni sforzo al tornar poi fusse poco* 

tfXXV 

E non sempre udirò fra doglia e tema 
Di mcsssggier fallare le parole. 

Che 'I ver rome gli aggrada accresce c scem a, 
E sempre oltra il dover s'allegra e duole; 
E *t min misero cor, ch'or arde, or trema. 
Più sovente il peggior eroder ne vuole ; 

In questo luco almen gli occhi vedranno 
Il iur proprio contento, • '1 proprio danno. 

LXXXVt 

Poi tolti i nostri duci e cavalieri, 

Che si vedran de' suoi le luci sopra, 

Si mostreranno in arme assai più ferì, 

Ch' ove T alimi viltà s’asconda e copra ; 
Perù che in nom, che bassi aggia s pensieri, 
La vergogna e ’l punir più «T aitivi adupra; 
E tal qui con Tristan si farà ardilo, 

Che là dal suo scudìer saria (isggite. 
r.xxxvii 

Qni si tacque piangendo, e Segorano, 
Nel cui feroce enr dolce pietadc 
Pur de^lo avea T nmil sembiante umano, 

K le lagrime pie di tal bellade. 

Risponde: Il contrastare iu tolto è vano 
Al voler di lassù, né Irnova strade 
Secure il piè mortai, che *1 meni dove 
Non si Ucnda il poter del sommo Giove* 
tx XX vili 

Sicché 'ndaroo oprerem, se fia por vero 
Quanto n'ha ragionalo i'dilomede ; 

Ma non vola lant'allo umaii pensiero, 

Né la vista dell' uom si addentro vede; 
Però, ch'aggia meutito, affermo, e spero 
Dì lui veder di tallo il danno erede, 

('•he per voi lusingare a me predice, 

£ me più clT ancor mai cou voi (elice. 


LKXXIX 

Or dulriiMina *po»», « »* p*ò cxra» 

Cht le «edcene lati, t qoeiU vite, 

O l'eltre coie mai piti emic* e rare 
Hi può in aorte venire, o pi«i predile; 
Spopliele il ror di que»ie doglie ^ere, 

Cli’ a temer troppo, e leprimer v' invile | 

E *1 rivejtite ornai di quelle tpene, 

Ch* elio epirto rcal di voi conviene. 

• »c 

Che chi nate i di ianpa« «>«• «Itero 
Il pcntier femoiinìl de te divida 
Di quanto posta mai tolto al tuo impero 
Eecar fortuna inttaiiile ed infide ; 

Sicché r animo retti invitto e’nlero, 

Difeto dal valor, che 'o Ini t’annida; 

E morte o tervitù che da tei regna, 

Non oicure il candor, che io etto regna. 

xci 

B ehi tutto ai pcntler ti pone avanti 
Ciò che pnole avvenir nell’ alle imprese. 

Di te il morir, de' tuoi più cari i pianti, 

E de’ nemici poi le crude oOeie ; 

Degno non è ira cavalieri erranti 
Vettir di Marte 1* onoralo arnese: 

Ha dì ripeto inerme, e d’ozio vtgo 
Tra le fcramine usar la rocca e 1' ago. 
xai 

Convieni! all' alto cor, da poi che tcorga. 
Che non tenia ragion tegne una ttrada. 
Per quantunque ella teenda, o in alto sorga, 
Col comincialo patto inuanli vada, 

Solo al 6n detiioatu gli occhi porga. 

Che mal ti può avanzar chi altrove bada. 
Sia lontan d’ogni tema, e'i meglio attenda. 
Poi quanto ha ’l ciel ditpotto in grado prenda, 
xaii 

Ben vi gior’io, caritiima contorte, 

Per le fiamme d' amor, di' io porlo io core, 
Che men grave mi fia ritleata morte. 

Che il lassarvi ioolana io tal dolore; 

E che per uoo recarvi a peggior torte 
(Por ch'io non squarci il marziale onore) 
Guarderò dalle insidie questa vita, 

Ch'io prezzo sol, perch’è da voi gradita. 

xav 

Ma di qui rimeoar le genti indietro 
Impotsibll saria leuz’oola avere. 

Che più frali assai son, che ghiaccio o vetro 
Per chi rercliì cangiar le assise schiere: 
Che ingombrate talor da incerto e tetro 
Timor, non le può a fren poi ritenere 
Dure nè cavaliero, e meno ancora. 

Se ’i passo ritirar convegna allora. 

xcv 

Ma battivi, che ’l loco, ove noi temo, 
Ifon men,che‘atorooaquì,ne dia vantaggio; 
E se ’l ciel nou ne sia nemico estremo. 
Dello avvertano oinaii tema non aggio; 
Vivete lieta pur, che poi di' avremo 
Vendicalo di noi 1' antico oltraggio, 

Fia dolce il rimembrar dri tempo rio ; 

E te'l contrario avvieti, sia potio in Dio* 


I 

xevf 

nirolttt appreuo alla famosa Albina, 
L’alma suocera tua, rosi dieea ; 

Ovunque inteuda la virtù divina 
Dì eoodurmi o Fortuna o dolce, n rea ; 
Madre onorata, con la mente inchina 
Vi prego nmìl, che la mia sposa e dea, 

Che di voi nacque, su tanta cara aggiate, 
Che non sìa ensda io se la ina pielate, 
xrvii 

Qui ti tace, e 1' abbraccia, e l’ asta presa, 
Che ’n terra al suo venire avea confitta, 
Rivolge il passo alla lassala impresa, 

Ove ancor rallendea la schiera invitta. 
Della vecchia infelice, che compresa 
Dal primiero languir rimane afQilta, 

Al soverchio, ch’area, s’aggìugne il duolo, 
Quando vede U partir del soo figliuolo ( 
j xcviii 

Il partir di Clodìn. che già segoia 
Del caro Segnran gli alteri passi, 

Il qual rappclta seuntulala e pia, 

Dicrudo: Or fate aimeo, che gli occhi lassi 
Pussan di voi saziarsi alquanto, pria 
Che ritorniate ove crudele stassi, 

Di voi, di lutti noi bramando morte, 

Il fero inesorabile Boorte. 

xax 

Nè pots'io beo saper, die ’n Dio sol giace. 
Latta, s’ io debba mai rìvederv* auro, 

O s' ancor aggia meco tregua o pare 
Il rtcl, di' ai danni miei nou veggio stanco. 
Che 'n dodici Gglìuoi breve e fallare 
Piacer mi diè, poi che venuta è manci» 

Già la parte maggior di latti, ed io 

10 vita resto aucur per dauuu mio. 

e 

Fu nel passare il mar dì Lancìlolto 
Che in tormeoto di me nel mouilo è nato, 
In un punto medetniu a fio condotto 
Ercole il forte, e '1 caro mio Dentato ; 
Poscia, allor che Grifuo fugato e rollo 
Fu pretto all' Era al tuo sinistro lato, 
Lassò il verde terrea di rosso tinto 
Per r itlessa sua man decimo e quiuto. 

CI 

Ch’ or volge il testo sole, allor di' area 
Di nuovo aurato pel fiorito il volto 
L'uno e 1' altro di lur, sicché parca 
Nel più cortese aprii germe ben culto; 

L’ alle* anno appresiu per Fortuna rea 

11 mìo dulce Seltimiu nii fu toUu 
Dall'arme di Baven rrodcle e fera 
Sopra il Ilio fatai dell'empia Cera. 

eli 

Nonio non mollo poi da Lionello, 

Del raaladetto teme aneli' ei di Gave, 

Pur qui vicimi al tuo paterno ostello 
Restò impiagato da percossa grave 
Nrtr osso dotta frunte, di' al cervello 
Fa di sopra, c di luor coverchìo c ditave ; 
B senza il gran valor di Palamede 
Gli dimorava in mau tra I' altre prede. 


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L’ avaro II IDE 

riti 

Ma difrio da lui» dì polve e lanette 
T<e (liovinctte rlii«ime e ’l volto pieno» 

Mi fu portalo» oimè, pallido eian(;ae, 

(>b* ornai poco di apirto aveva in »eoo { 
Poi, qual venni|tlto fior» che rollo langae» 
Fra queste braccia misere viro meno; 

£ mi tenn* io rrtidel» che ’n quella vista 
Non andai ìooanzi a lui dogliosa e trista. 

CVll 

Perù» dolce figlìuol, per gli ultim*anni, 
Ch' a squarciare Ìl mio vel lon presti ornai; 
Per quelli antichi già sofferti affanni» 

Che del peso di voi gravosa andai, 

.11 stmniain oprar, gii ascosi inganni 
Che i Britannìri, e i Franchi ai nostri guai 
TesioQ la notte e '1 dì» saggio schivale» 

Nè vi dia troppo ardir la verde elate. 

ov 

Ma SOI] rimata ancor» per quel eh* Ìo temo 
E già vidi per prova, a peggior sorte; 
Però che acerbo allor di vita acemu 
Il poverello Albio fere Roorle ; 

Che perch' ri fu dì tutti il parto estremo, 
Troppo il cielo arciitai della sua morte ; 

E perrli* oltre al voler del pio marito 
Del raedriroo mio latte era nutrito. 

cvni 

Con tal parole al fin gli occhi e la fronte 
D'amarissime lagrime gli loooda. 

Come suol sotto spero ombrosa fonie» 

Che larga stille dall' erbosa sponda; 
L'afTjnnato Clodia con le più pronte 
Parole, ciTal dolor la lingua infonda» 
Dice: Ornai son finite, o dolce madre, 
L'ore del vostri ben rapaci e ladre. 

CY 

Così Tanica figlia Claudiana, 

E cinque altri di voi mi rrslan aoli. 

Che mi parca d'ogu' altra esser sovrana 
In numero c beltà di tai figliuoli ; 

K ciTio sia di Umor venuta insana 
Che'l mio fero detlio voi non m'invuli» 
Mi riprenda rolci, che se ne Iruova 
Selle volte, com’io» già stala io prova. 

ctt 

Sperate pur, che dopo oscura pioggia 
Si suoi vago e seren vedere il cielo» 

Che non serva ad ognur T uaala foggia. 
Come non sempre è caldo, o sempre è giclo; 
tira il nume d* A varco iibislre poggia. 

Cui gran tempo oscurò gravoso velo ; 

E chi vive dei vostri in gloria e’n pace 
Vedrete, e *n sommo onor chi morto giace. 

rvi 

Io non veggio arrivar mai messaggiero 
Inviato dal campo in questa parie, 
f.b'io non senta aggiarriar Talma e *1 pensiero, 
K 1 cure sbigoltirsc, e battrr parici 
Che ini par sempre udir» che '1 drslin fero. 
Congiuralo al mio mal r>*n T empio Marte» 
Per aggiongenni ognor lunnetili a duglie» 

^ 01 » che priiuicr portai, dei muudu spoglie. 

ex 

E vi prometto poi per quello amore. 

Che ’nverso madre tal conviene a figlio, 
Cile i veraci ricordi in meuo il core 
Mi itaran sempre, e '1 vostro pio consiglio: 
Qui baciando la man con dritto onore» 

£ mostrando ver lei pietoso il ciglio» 
Allrrsc poscia alla sorella pia, 

Dietro al suo Seguran ratto a’ invia. 




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ARGOMENTO 

Chiama Athinn t Claudiana te matrone 
A porger voti a Palla, e incenti e vati. 
Onde protegga nella ria temone 
E padri, e sposi, e fratelli, e nepoti, 
Clodasto pure invoca protezione 
Dal Dio delle, battaglie, e con devoti 
Senti al tuo tempio con le spoglie ascende 
Piate da luì, e in voto ivi le appende. 


I * . 

MJ alle donne reali ib(f;utlite» 
r.4ia fili occhi ver*o quei rotano io piede; 
Coai Ian|(nide, afliilte, c acnioriir, 

Che ptn lieta di lor morie ai vrde^ 

Simili a mote immagini, acnipile 
Proso a marmorea tomba io fredda acdei 
Sul del pio lacrimare i larghi rivi 
Mutlran, che ì acoai por rimatcr vivi* 

li 

Poi che piò non poteo seguir la vista 
Dei due gran cavalieri i prtinli passi, 
Comincia Atbiua dolurusa e Irisla, 

Da muovere a pietà le selve e i sassi : 
Aimo lucente sol, ae mercè acquista 
Il «Uvolo pregar di spirli tassi. 

Spiega in noi ai felici ì raggi adorni. 

Che la coppia, ch‘ ur va, lieta riturui, 

m 

Indi volge il parlare a Claudiana : 
Tempo è di visitar, rara figliuola. 

Il tempio sacro della Dea sovrana, 
r.hr di saggeixa e d' arme ha Ìl pregio sola. 
Che nacque senza madre (e nun è vaua 
L' antica fama, che nel mondo vola) 

Della fronte santissima dì Giove, 

Che r eterno c '1 mortai conlenipra e muove. 

iv 

La qual mille fiate ha preso in grado 
L'nmil preghirre mie nei |>atsali anni; 

E srriir m' ha mostrato, e piano il guado, 
Prr mi molti schivai perigli e danni; 
Sirrh'ìo porto credenza, che in lai grado. 
Infra tante paure e Unii alTafini, 

Non debba abbandonar chi a lei rirorrc, 

£ che suol tutta tu lei sua speme porre. 


Ma pereh* al cor divolo ai conviene 
Adornare i pensier di qualche offerta; 
Cerchcrem pria l'albergo, che contiene 
La donnesca rìecrhezia altrui coverta , 
ludi trarrem ciò che più in cor ne rime, 
Che più possa spiegar la voglia aperta. 
Che d* onorarla avemo, e con qualrh’opra 
Aprire il buon voler, ebe questo adoprn. 

TI 

E per meglio adempir nostro desio, 
Fareni tnlle appellar T altre matrone, 

Che di sangue più illustre, e di cor pio 
Aggian di noi seguir dritta ragione, 

Con quelle, che 'I timore, e 'I tempo rio 
N* han poi condotte d'altra regione, 

Non nodrite in A varco, c eh' han seguito 
Chi 'I parente, chi '1 figlio, e chi 'i marito 

TU 

Ma innanzi che ciò farie, è ben richiesto 
Scoprire il tutto al mio reale sposo, 

Ch' ogni principio ha il fine agro e funesto, 
S' a chi dee comandar venisse ascoso. 

Cosi vanno a Clodasso, a cui molesto 
Non fu ìl lue disegnar giusto e pietoso, 
Direndo: E dopo voi verso il mìo Marte 
Farò il medetmo anch' io dall altra parte. 

vili 

Però che in ogni tempo e in ogni loro 
Si devono onorar lassò gli Dei, 

Nè il lor sommo poder recarse in gioco, 
Come suvrole fan gli stolli c i rei, 

Che stimap, che '1 temergli o nulla, o poco. 
Sia grandezza di cor, che chiuda io lei 
Proprio verace ardire, e gran valore, 

E '1 conoscer d‘ altrui lo sciocco errore. 

IX 

Gitene avanti pur, ehe poco appresto 
Seguirò ’l vostro andar nel prtspriu effetto. 
Poi fece a se venir, che gli cran presso. 

Il frdcl Anfioiie e Pnlidctto, 

Tra i tuoi piii cari araldi, e di cui spesso 
Avrà sentito 1' amoroso affetto; 

Poi dice al primo: Andrete alla riltadc 
la quante ivi saran case e contrade, 

X 

C direte a eìasenn di sangue rhiaro, 
Che r età fanriutlcsca aggia varcata, 

Cli' a gran pubblico ben, prr quanto ha caro 
Di far rosa per me giuruiida e grata. 

In abito sembiante al tempo amaro, 

E *11 vista di dolore arrmnpagnata, 

Dov* io gli atlcndcró nella mia sede, 

Con sollecito passo addrizze il piede. 


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Ch'io intendo vUiUr del sacro Bfarte 
Il gran tempio divia eoo loro iiuìemet 
£ delle palme mìe donargli parte. 

Onde il crudo BriUono c '1 Gallo geme, 
Pregando], eh' ei risregli i cori e 1' arte, 
£ rantiro valor del primo seme 
Nei nostri duri illustri, e meni a morte 
U possente Tristano e'I rio Boorle. 


Ove dentro apparta la regia soglia, 

Di ricchissinie logge, e d' atrii adorna, 
Non meo tacenti, rh'al buon tempo soglia 
Sorgere in tauro il sol quando s' aggiorna; 
Le superbe cuiunoe furo spoglia 
Drl bel paese assiso in tra le corna 
Del gran Ilodan famoso e dì Garona, 

Ove al Galliru mar sedea Nerbona : 


A Poiidetto poi comanda : Andrete 
Alle caste matrone d' ogn' ioiomo, 

E per nome d' Albina lor direte, 

Che vengan ralle al soo reai soggiorno. 
Dispogliando da sé le vesti liete, 

E dell'anritn vel l'abito adorno. 

Per gir di Palla alla virg*uea soglia, 
else rivolga in dolaor la nostra doglia. 


Ch'aller cb'ella coi snoi nel sangue avvolta, 
Della vita, e dei beo unda rimase 
Per la man Visigota, e 'o ceaer volta. 
Come r empio furor le persuase ; 

Quella più integra parte indi raccolta 
Di pietre alle ad ornar le regie case, 
Uaudù a Clodasso il giovine Odorìco, 

Che fu sempre dei suoi perfetto amico. 


Cosi dello Clodasso, ivi si accinge 
L*nno e l'altro di tur tacilo all* opra ; 

1 più pigri e i loulai) mouve e sospinge, 
E per tutto adempir l'ingegno adopra; 
Ma la turba devota si dipinge 
l'ale iu cor lo sperar, clic vien di aopra, 
fdie muove senxa spron veloce il corso, 
Ove credea trovar pace e soccorso. 


Eran d* egregio sUI nel maro stese 
Del fero Slilicon le glorie auticiie. 

Che per patria ebbe il Vandalo paese, 

£ le stelle al principio troppo amiche ; 
Del gran seme del qual Clodasso scese, 
Ma dcolro a regioni assai più apriche 
Di quelle, onde i suoi fur, però ch'ei nacque, 
Ove Linia e Onero insalan 1' acque. 


La dolorosa Albina e Qaudiaoa 
Cou voler del gran re mnovono il passo, 
Sospirando fra lor la sorte lunana, 

E I viaggio mortai gravoso e lasso; 

E che la cuadision regia e sovrana 
Non è sempre miglior, elte ’l viver basso ; 
E *11 lai folcili pensicr con pochi a tergo 
Si riUnovan cundollc al proprio albergo. 


Lì Teodosio il grande si vedea, 

Che del nome Human reggendo impero, 
Agli estremi suoi giorni Ìo man pooca 
Di Stilicon sotto 1‘ arbitrio iulero 
11 figlio Onorio, a mi lassato avea 
Dei liti OtcidcQlai lo scettro altero, 

Il qual poi giovinetto 1' obbedio. 

Qoal maestro onoralo c padre piu. 


£ montale di Ini 1' altere scale, 

I suoi rìcrbi te»or Iruova ciascuna ; 

E quel, che sia più degno, e che più vale, 
Per disceriicr poi meglio, insieme aduna-, 
£ l'esprrtc diioxclle iu opra tale 
Soli rhianidte ai consiglio ad uoa ad una. 
Che ili sua donnesca c semplice ragione 
In ineaxo pon la propria opinione. 


Sì eh' a sposar contento sì conduce 
La figlia Buchera, nè di lei si sdegna; 
Ma d' appellar lei sola scorta c luce 
De' segreti peiisier 1' ha fatta degna. 
Iodi il suocero ino rellure e duce 
Si vede andar d'ugni romaua invegua 
Cuaira il Gotico pupui, che iafinìLu 
Ingombrava d'Italia il uobil lito, 


Ma inUulo d' ogn' iolorno sì vedea 
Delle douur apparir I' egregia schiera. 
Delle qnai tutte accoglier cura avea 
La vecchia Orusunda cun la vaga Aldcra 
Dentro al ricco paiatto, ove spléodea 
Di mille statue d'or la corte altera; 

£ '■ veggi ricchi poi di sete e d* ostri 
Le {accano aaseder per gli ampi chiostri, 


Sotto il furor del crudo Radagaso, 

Che fu il primo tra' suoi di tanto ardire; 
Nè di fame timor, nè d' altro cavo, 

Nè TAipt, o r Apeuniu p«ilè bnpedire, 
Cb* ei mm venisse uve in più altero vaso 
Vede il piccini Mugnou Tonda sua gire. 
Tra i niuulì Fiesulani, uve a Fiorenxa 
Guastò il nido gentil la ria sciueuxa. 


Dicendo poscia in bel pregar soave, 

£ cuu dolci parole e pellegrine, 

Clic non venisse lor nuiuso e grave 
D'alquanto ivi aspellar T alle regine; 

Ma la più gioviu turba, che sempre ave 
Bramoso il cor di viste peregrine, 

Sciulla d' ogn' altra cura andava iutornu, 
Higuardaudo il più bel del loco adorno. 


Tra T aquile romane Dldioo e Saro, 
Degli Unni duce quel, dei Goti questo, 
Si vedea tratto da disegno avaro 
Cuulra i meileinii suoi venir molesto t 
Ivi lian serrato T avversario amaro 
In luogo a' sussi disegni agro c funesto, 
Dentro aspre vaili, iu Ira sassose strade, 
Ore tuu tulli i suoi misero cade. 


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^ l’ avaro H IDE 

XXV 

C/Oa 1* abito dacalc Slìiicone 
Sf>riinar »i worpt^, c roiifurtar le ichlwe, 
Ch'or al rorno ainùlro l‘ arme oppone. 
Or nel de*lro, ehe vien, perruoie e fere ; 
In fin ebe inleramenle a ba»«o pone 
Le mloaceìanli |tolirhe bandiere, 

E che (alili di tur vede per terra, 

Che tenaa dubbio aver vinta è la gnerra. 

XXXII 

E senza cura aver del nome pio, 

D' esser sumero suo, uè deita figlia, 

Poi ch’appellato fu nemico e rio. 

Con qnci, eh' amava in prima a meraviglia, 
Euchero Ìl figliuolo, arrunsenlio 
Di far del sangue suo l'erba vermiglia; 
Ma il discreto piltor ncll'a»pra sorte 
Tutta colma d’ onor ritrasse morte. 

XXVI 

Il aiiter Radafcato ivi apparta, 

Che la vette reai da aè tpofcltala, 

Sruza compaftoi aver ratto fuiipiia 
Per deierta rampapna alimi relata ; 

Ma il fa inrootrar la «ua fortuna ria 
Grnte, che di quei Inofibi anmiarslrata 
Sovra il pìo^o dell’Alpe aiceto il prende, 
E 'n man di Stiiìcon legalo il rende, 

xxxm 

Poc' oltra si vedea soletto andare 
Per monti alpestri il fido Marialle ; 

K ’i pirciulo Iraronto via portare 
D' Euchero figliuul sopra le spalle 
Per r ombre ascoso, e le giornale ciliare 
Fuggir temeudu, c 1’ abitalo calle, 

Tanto cb' al fin, come a frdrl amico, 

11 pose in man del gotico Alarico. 

XKVII 

11 qaal aenza pietà la regia testa 
Del suo butto rrudel fere privare : 

E r altro popol iuo, che ’o vita resta. 
Per preuo a servitù perpetua dare; 
Poc' ultra ii vedrà odo meno infesta 
Altra gotira insegna radonibrarc 
Deir infelice Italia il seno aprico. 

Clic ’a fortuna miglior segue Alarico. 

XXXIV 

Che con paterno amore in guardia Ìl prese, 
E ‘1 tenne infioo al di, ch'abbatte c doma 
Quasi al lerz'anno in si crudeli olTese 
li seggio altero della nobil Roma, 

Indi adornato di reale arnese, 

E di ricchi tesor con larga soma, 

Seroro ii manda nel paese Ispano, 

Ove regnava il Vandalo Marano. 

XXVIII 

Al quale è SlilicoD, non men eh' allorai 
Con la medeuna gente a fronte gito. 

Ma più langa slagiuu con lui dimora. 

Or quel colle ingombrando, or questo lito, 
Che ieiiza 1' arme usar prulonga 1* ora, 
Con più torto pensier, che forse ardito \ 
Fui nel Co gli dà pjce e gli concede 
D' Aquilania il lerrcu per propria sede. 

XXXV 

II qnal di Slilicon sendo cogino, 

Avea col suo favor tatto acquistato 
Degli alti Pirenei l'aspro cooGoo, 

E io scettro tenea di ciascun iato; 

Che quanto alla Garona era vicino 
Dall Aquilano Oreao circondato 
In Gallia pusiedeva; c nella Spagna 
Ciò die il Canlabro mare c Liuia bagna. 

XXIX 

Nè molli giorni poi, che senza cura 
Vide il Goto foror restarsi io pace, 

Nel silenzio maggior di notte 0 !>cnra, 

Che Ira '1 sonno e tra’l vio sepolto giace, 
<jnel, cir all* aperto sol gli fea paura, 
Tenta di far; ma ii suo pensier fallace. 
Mal cunsegiiilo al Cn, dannoso e voto 
Fu per l'alto valor del fero Goto: 

xvxvi 

Li si vede il fanciuJ cosi nodrilo, 
Come Uscito di lui con somma cura, 

Fui di t.lodia sua figlia esser marito, 

E d acquistargli un regno assai procura : 
Tanto che dei Santuai il fertil Lito 
Con iosiilie e con forza ai Galli fura; 

Di cui fatto Iracunsu eterno erede. 

Dell amata sua Clodia un figlio vede t 

XXX 

Che io si ostinato ardir gli batte il fianco, 
Che le insidie scoperte in fuga volge; 

Nè potè Stilieoo lo stuolo stanco 
Ritener più rhe fredda tema involge; 

Cosi 1 suo disegnar venuto manco. 

Nei caiDtnino, onde venne, li rivolge; 

E vinto dal foror con ratto piede 
La palma c 'i loco al gran nemico cede. 

XVXVII 

E *n memoria di lei Clodio 1* appella, 
Ha il Vandalo vulgar volse iu Cludasio ; 
Che poi crescendo per Peti novella, 
Scguio degli avi ii glorioso passo; 

Li giovinetto ancor sopra la sella 
D'iiu feroce corsiero, or alto or basso 
Si vedea rivoltarlo, or sciolto ìl mor>u 
A'soui caldi desir, muoverlo a corso. 

XXXI 

Poscia adnnata ancor novella aita, 

D' altra guerra mortai si pone io pruova, 
Ch'assai men della prima ai Ciel gradila. 
Più eh’ ancor rutto e vinto si rilruova; 

La cui calamità, poi eh* ebbe udita, 

Ultr' ugni creder suo dannosa e nuova, 

L* imperatore Onorio giuviucUo, 

Ch' ci gli sia disleali prende sospetto. 

xxaVMt 

Poc* oltra andar poiché P età fioria, 

Tra infiniti guerrier di ferro cìnto 
più inverso i Celti, e quanti traeva io via, 
Ha roQ pace acquistato, o io guerra vieto; 
Nè ii gir vittorioso gli desvia, 

Nè l'ha fallo più tardo, o 'odiclro spinto 
Ceraota, Scura, Lindro, Vienna, c Cera, 
Che non meni il suo stool vicino all' Era. 


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XTin 

Ove potria inmoirò (<rore ioloppo 
Del famoto B>»orte e del re Bano, 

Che '1 «HO correr veloce sUoro e zoppo, 
E 'i difef^o orf;opliow) renilro vaso, 

Ma perché il «uo potere era pur troppo, 
E t socrorto dì quei tnolUi lontano 
In tra mille battaglie »i vedrà, 

Cile *1 valore alla forza soppiacea. 

xtvs 

Lassando io man di Sergio, il qnalc allora 
La lor vece reggea di quella terra, 

Con gente assai, quanta al bisogno fura, 
Per sostenere tu pie la lunga guerra ; 
Parliti a pena, alla raedesim' ora, 

11 disleal la cliiave, onde si serra 
La porta del castel manda a Cliidaiso, 

E d'eatraoi co' suoi gli spiana il passo. 

xt 

Si «rorfcan fra infiniti cavalieri 
Soletti r arme oprar Bano e Boorte ; 

E «opra opn'n»o «mano ardili e feri 
Grande ichiera di lor menare a morte ; 
Ma M numero lovcrchiu de' ^nerrieri 
Gli «fonò di tornar dentro alle porte 
Del irrande Avarro, a mi d' intorno fanno 
Alle genti nemiche eatreiDO danno. 

XLVII 

Il qual per tormentar con nuovo affanno 
Da luiige i cavalier la mette io foco; 

E quei, mentre pensosi altrove vanno, 
Volgon la vista indietro, e d' allo loco 
Yeggion di tutto il lor 1' estremo danno: 
£ come più sperar niente, o poco 
Drbban nel uioiulo, e cua ristessa sorte, 
L'uno e l'altro di lor desia la morte. 

XLI 

Ma del continoo affanno, e drl diginoo 
Del lor pupol fedcl matti a pietade. 
Ambo il lattar, non nel lilenzio bruno. 
Che 'iitiiriio otctiri e cnopra le contrade; 
Ma nel di chiaro, e'n vitla di ciascnn» 
Per nirzz» il campo lor ai ferii strade ; 
Ove di «è lassar si largo segno, 

Che dì questa memoria era beo degno. 

XI. vili 

Né motto andò, che 'n solitari boschi, 

Senza conforto aver di cosa alcuna, 

Tra i pasturali alberghi, e n pensier foschi, 
Lanieulando dei ciein, e dì fortima ; 

I miseri gustar gli ultimi toschi 

Di quella fera, ch'cguaimrote imbruna 

La chiarrua mortale, e fur sepolti 

Da ruzzo mani, e’n bassa terra avvolti. i 

Ult 

Non Innge Ìndi apparii Benicco e Cave, 
L' nn dopo r altro poi, non men, ch'Avarco, 
Da lor difeso in luogo assedio e grave, 
Delle sletse miserie intorno carco; 

E ‘n guisa di leon, che nulla pavé. 

Che di cervi entri al dilettoso varco. 

Si vede or questo, or quel con morte, o doglia 
Degli nemici suoi portarne spoglia. 

XLIX 

Di lai pittore dollameote ornate 
Intorno riiucean le regie mura, 

In cui le gitivin donue ivi adunate. 
Mentre attendono ancor, ponevan cura. 
Ma la coppia reai mille fiate 
In guardo soUil cerca c procura. 

Coi consigli fra lor, che miglior tono, 
Di trovar per U dea diecvol douo. 

XLIlt 

Né di quegli invidioso asconder volse 
Al famoso pitlor la virtù loro ; 

Ma fa che tutta aperta ivi la sciolse 
In pregiati color distesa e in uro; 
Perchè tanto pìii in sé d'onore accolse, 
Quanto fur più le lodi di costoro: 

1 quai di nutrimeuti al Co privati, 
Ambe duoi dì lasciar furo sforzati. 

L 

Quell! scelsero al fin, che veramente 
A lor degni parcau d’ unnr divino; 
Trovò la madre candida e lucente 
Di chiarissime perle, e d' oro fino, 

La vesta, onde s' ornò primieramente. 
Quando parti dal vecchio padre Alluno, 
Che d' Olveruia fu re, da quel discesa. 
Che già resse del mondo il terzo peso. 

XLIV 

Ma innanzi al dipartir si largo rio 
1 Là intorno fan dell' iuiniico laiiguc, 

Ch’ ancor ne ’ngiuuca il lor terrea natio, 
E '1 vìnritor orila vittoria laoguc ; 
Vollan poscia il pensiero, e '1 passo pio 
Verso il popol dì Trìble, tutto esangue 
Per la tema, rh' avea, visto 1' esempio 
Del passalo per gli altri iniquo scempio. 

u 

Da quello Albin, che in Gallia imperadure 
Per le mao di Severo oppresso gianpie, 
Non per Fortuna men, che per valore, 
Ove il Rodano e Suua assembran 1' acque, 
Di cui '1 piedui figliuul fuggi ‘1 furore 
Dentro ai monti Genica!, ove alfin piacque 
Al ciel, che conosciuto olirà molli anni 
Fosse urualo da' suoi di regii panni, 

XLV 

E pereh* era già innaozì provveduto, 

E d' assai nodrimenlu era sicuro ; 

Poi Hi' han dentro e di fuor rieonoiciato 
Se sìa il fosso profuDdo, o saldo il muro; 
Consigliati a cercar novello aiuto 
Dal gran re Pandragon padre d‘ Arturo, 

E dal re Varamonte, dove bagna 
L'aspro Occan PArmurica Brclagoa ; 

ut 

Da mi di prole in prole il quinto venue 
Il suorer di (dodasso, a lei parente. 

Che fregialo d'unor lo scettro tenue 
Con giustizia e pietà fra quella gente; 

E la figlia, c '1 lUO genero mantenne 
In pié couira ogni assalto, che sovente 
K di dentro e di fuor gli sentia musso. 
Che del regno acquistalo non fu scusso. 


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L AVARCHIDE 


I 53 



titl 

La oniial laa f;onn4 «dtinqne 
Già dì tal padre don. la pia rrpina; 

La bella Claudiana dalTirtetre 
Sue man tulio ripien d'opra divina 
Elei»e un velo, io rui le «Ielle iropre»«e 
Erano, e*n meazo il »ol, rh'alto cammina, 
Riscaldando «treno al mezzo pioroo 
Del Ilio Friiieo Moolon 1' erboso corno. 

1.1 V 

Non mollo dietro a Ini l’alma sorella 
Con la fronte falcala in Tanro assiede; 

Dì Giove ha innanzi la beiiipna atella, 

Che *n tra pii umidi pesci ha duire «ede. 
Seco ha la 6pHa, che ridente e bella 
Di pie fìammr d' amor pii animi fìede; 

E l’alato eorrìer con la sua vrrpa 
Lieto dì tale onor fra loro alberga. 

I-V 

Nel fondo eitremo alla contraria parte 
Victn dove la terra ha mappior 1* ombra, 
Nel fripidn Scorpion ai vedrà Marte, 

Che con viata mortai nessuno ailinubra ; 
Quel, che divora i Rplt, era in disparte, 
Che r adeguante Libra di aè ingombra, 
E1 punto orientai nell' orizzonte 
Ila del Nemro leon la prima fronte. 

I.VT 

In lai p'uisa adornalo il riero velo 
Sì lucente apparla di cernine e d' oro. 

Che poco il vero aol. Ir stelle e 'I cielo 
Avanzavan d'onore tl bel lavoro; 

Che pia molti anni pria, eoo sommo zelo 
Di placar per tal modo il divin coro. 

Le mostrò lutto H «appio Clilumede, 

Che r infelice Su di tutto vede, 

tvit 

Dicendo a lei: Poi cti’uom morta! non può le 
A sua voglia temprar reteme stelle. 

Che rivoipnn lassù l' eterne rote, 

A rhi lìde eompapne, a chi rubrile ; 

Le pili amìebe virtù, eh* a noi son note, 
Qnant'è Ìl nostro poter, sien poste in elle 
Per la vergine vostra e reai mano. 
Pregando il elei, che non ■' adopre io vano. 

LTIII 

E 1 piomo poi di vostre nozze altere 
Sopra il letto reai per voi si stenda, 

Con voci umili e fervide prephiere, 

Che M rìel simile a qnesto il corso prenda ; 
E 'osieme accordi le sublimi spere 
Epiiali al vostro velo, onde discenda 
Tal favor sopra voi, sopra lo sposo, 
Ch'eterna sia dei due gloria e riposo. 

nx 

Di latto t'oLbedio la repia figlia, 

£ con bramosa man 1' addusse al fine. 

Di lui destando invidia e maraviglia 
Tra le proprie duiizelle e le vicine ; 

Poi nel dì nuzial, tutta vcrmiptia 

Nel volto ove splendean le bianche brine 

Di pudica vergogna e di desire, 

11 letto genial oc fe'covrire. 



tx 

Or questo prende allor, nè solo il volse 
Per placare e 'ovnear l' altera dea; 

Ma l'onoralo scudo seco accolse, 

Ch* alt' albergo virino alto penclea. 

Quel, che *1 suo Segitrano Ìo guerra tolse, 
Allor che '1 regno sao gli coniendea 
Il famoso d* Irlanda Lamoralto, 

Di coi fa viocitor nel fero assalto. 

LXt 

E fu il consiglio pur di Clitosnede, 

Ch' a lei disse : O regina, questa spoglia 
Fia carissima a Palla, come erede 
Di quanto armala mano acquistar soglia; 
E s' ai consigli miei darete fede, 

N' adornerete ancor la sacra «oglia; 

£ *1 merla beo, poi che col soo favore 
Acquistò '1 vostro sposo il largo onore. 

t.xri 

Perchè dicendo on giorno a Segnraao 
Suo padre illustre Galcallo il Bruno: 

Se sperate figliuot, sperate in vano 
Coronarvi per me di regno airnno, 

Che i}oo d' altrui, che dell' islessa mano, 
Aspettar po>sesiioa debbo eiasnino 
D' alto lepnaggio oictio, come voi, 

E come han sempre fatto i nostri e noi. 

LXIII 

Della famosa GaMia una gran parte 
Refiilò Febo, l'avo mio paterno; 

Che scettro aver, che da' suol primi parte, 
Non stimò dignità, ma indegno seheroo; 
Poi sette regni col favor di Marte 
Acquistò solo, e fe' il sno nome demo 
Tra r Orcadi, tra I* Ebridi, e'n Bretagna, 
E dove ìl Cimbro mar la Daunla bagna. 

txiv 

Ma dì latti ai più rari fu cortese, 

E l'noor si «erbò snio e la spada; 

Nè mio padre, e suo figlio, ad altro intese 
Ettore, che seguto l'isteasa strada; 

Il medesmo oggi fa Giron corle«e 
Vostro proprio german, qiunlunqiie* vada 
Di moli’ anni a voi innanzi, e pure è nato 
Del franco seme il suo matcrnu lato. 

tTV 

E di quello, e di noi tott* altra aita 
Schivando, e le ricchezze, irilorno solo 
Rivolge il passo, ove I' onor rinvila, 

Or dov' arde pìù il soie, or verso il polo; 
E per l'afllitla gente e sbigottita; 

Or abbaile quel regno, or questo stuolo, 
£ portando dì lauri antiche some. 

Cela qiiaulo altrui può l' invitto nome. 

I.XVI 

Or seguendo, figlìiiol, sì nobil orme, 
Fate, che d'esser voi vi risorvegna ; 

Né smarrite dì noi rautlehe forme 
D'oprar rosa dì quelle, e tl' onor degna: 
Fuggite dt'viilgar l'abbirlle torme, 

E la scuola de' più, che solo insegna 
11 posseder quaggiù terreno ed uro. 

Della gloria sprezzando il bel tesoro. 


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i33 


L A VARO II IDE 




LITtl 

T)a Ui fimi r«rce«o, « di 1*1 padre 
Il {ciovin Srpiran, rh* ardeva ìa prima 
D'aho dr»ir dell' opere irg|riadre, 

Brama di talli quei salire in rima; 

£ ranpinnte de* soni pici anlile squadre, 
£ le quali a virtù più intese slioia, 
r«n pneht le|;ni al più prelato verno 
Driua 1« prore lor nel lilo Iberno. 


LU1V 

Coti la bella donna ha posto in mano 
Della vergine Onorìa tua dimzella 
Qne«lo raniiido scudo, clic già tn vano 
Difese Lamorallo io su la sella; 

A Lamia diede il vel, dose in sovrano 
Lavor Febo Iacea con ogni stella; 

Poi tenendo alto il core, e gli orchi bassi, 
Della madre seguia gli antichi passi. 

ijcvm 

E Col favor di Fallade, che fcli era 
Sempre in n|rni consiglio amica e fida, 
Ruppe al primo arrivar possente actiicra, 
Che di farlo fu|i|(ir seco s'alRda, 

Essendo et tolto sol nella riviera 
Del Bnando disceso, ove s' annida 
Col mar, che lassa in ver Boote alquanto 
Il promontorio alpeslro di Novaolu. 


Laxv 

La qoale arra la gonna pretiosa. 

Che poro a lei davanti era portata 
Da Siaraia antira, rhe per madre ascosa 
Del sno tnedesmn Albino era già nata; 
Srendon nell' ampie logge, ove si posa 
Delle matrone p«>ì la schiera ornala. 

Che dentro Avarco avea più nobtl sede, 
Di chiara pudìciaia illnstre erede. 

t.TW 

Ove |cli altri suoi leieoi risospinti 
Fur dall' onde scendenti all' ora srsla; 
Nè poter seco in ptierra essere acrioti, 
Ned ei per latto ciò ferir l'arrrsta; 

Così questi primieri ed altri vini», 

In sne forse il terreo qnri |iiorau retta; 
L'altro poi Lamorallo, e nuova ((ente 
H viene a rincontrar, che i danni scale. 


txxvi 

Co») sen va 1* onesta compagnia 
Verso il tempio divin tacita c mesta ; 

Del sacro limitar le porte apria 
Silvia, l'alta vestale, in bianca vesta t 
Poi tutto il casto coro la seguia, 

Che 'n dolci note di laudar non resta 
La dea, rhe senta madre usci di Giove, 
Quella che 'nfoadc il senno, e l'arme nuove* 

Hfa il) questo la smarrita rompapiia 
Nello spuntar del giorno è posta in terra; 
La quale agginiita al gran valor di pria. 
Non avea diibluo alcun la nuova guerra; 
Ma Lamorallo il frro allo t'udìa 
Dir contro a Ini: Quanto vaneggia ed erra 
Chi si Rita d' alimi, che di sé stesso. 

Come la pmova poi gli mostra spesso ! 


LKXVII 

Iv), poi rhe condotte ai divi altari 
Fur la vecrliia regina, e 1' alma liglia. 
Presentando % bri don Incidi e rari, 
Mosser le donne, c ’J tempio a meraviglia ; 
Poscia in caldi lospir grevi ed amari, 
Tenendo C<se pur 1' umide cìglia 
’Neirimmagin divina in allo assisa. 

Disse Albina per tutte iu questa guisa : 

ISSI 

Se voi sete il possente cavallcro, 

Che vorreste parer eoo 1' arme in mano ; 
Sia posti la questiiin di questo impero 
Tra Lamorallo solo e Segitrano; 

Nè s’ ingombre Ì1 terren d' altro guerriero, 
Nè si facrian perir le genti invano; 
Quanti compagni alibiam restìn da parte, 
£ sol venga con noi Bellona e Marte. 


tXTTIll 

Sacrata Dea, eh' al gemino valore 
Snvr’ ogn* altro lassù l'impero stendi. 
Trai da lungo periglio, e dal timore 
Il tuo misero Avarro, e noi difeudi; 

K eoi Franco il Britannico forurc 
Dai tuo gran Seguran sepolto rendi, 

K dal Ino buon (.lodino e Palamede, 
Per quella, che 'o te aviam secura frde* 

LXXIl 

Il vnstm Seguran, eh* altro non brama, 
Patteggiando a battaglia si conduce, 

Ovr uccise il signor di altera fama, 
Ottimo ravaliern e sommo darei 
AMur risola tutta allegra il chiama 
Suo vero imperalor, soa chiara Iure; 

£ l’ha ron tale amor poscia ubbidito, 
Qual mai fosse altro re per altro litu. 


r.xxtx 

Qoi finito il pregar l’alta regina, 

L‘ alma figliuola sua, con l‘ altre iusiemc 
HafTermando Ìl suo dire, a terra inchina 
L'addolorata fninle, e |Mangr, c geme; 
Voli facendo a sua virtù divina, 

( he sciolto ogni timor, ch'allur le preme. 
Nuovi doni otrrrran larghi e devoti ; 

Ma giro i pregili lur d' elTello voti. 

Ll&lll 

£ l'arsrntato srudo, rh’esso avea. 

Coi purpureo leon, che qnitiri appare, 

Fia per memoria all* onorala Dea 
Drll*upre iMustri, c delle glorie rliiare 
Dell* allo Seguran, perché più rea 
Non gli voglia Kiammat Fortuna dare. 

Ma miglior tiiltii il*giomn, acriù che poi 
La possa incoronar dei pregi suoi. 


UVX 

Or già r antim re dall' allo aito. 

Onde veder polca rorribii gnerra. 
Tornato era all'albergo, e 'u parte gito. 
Che i più Cari suoi beni agli altri serra: 
Seco ha sol dnr scudter, Mastorc e ('.Ilio, 
Che sovra gli altri amò, rhe nella terra 
Già Vandalica nati, dai primi anni 
Gl) fur sempre compagni ai lunghi aitanot. 


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i55 


L AVARO H IDE 



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l’ avarciiide 



3tCV 

Pur dopo a«&ai parlar col re Vaparre, 

E con |i;li altri >aoi tre, die roo lui »udo, 
Dispone al Gn, che sia rapiuii di porre 
Air iiuiua|,in dì Marie >1 terso dono, 

E die d‘ essi il primier »Ì deliba torre 
Quel, elle diede il principio all' allo siioou 
Del tuo piovin valor, net primo porno, 
(«he 'a guerra uscisse mai dell* arme adorno. 

Cll 

Fur quelle d* E>caoor della Montagna 
Per offrir al gran Dìo i* ultime spoglie, 

Ch al Santonico lito, ove'l mar bagna, 

Di Ciodasso assalio le patrie soglie, 

Già nel tempo canuto, ove accompagna 
La mente il senso, e eh* alle membra toglie 
Il già stane» vigor, nun però lauto, 

Che del primiero ancor non resti alquanto. 

XO'I 

Fosse il secondo poi quel, rh' all* ctade 
Più perfetta gli venne, e fu il maggiore, 
Allor cli'ei non teniea di mille tpade,. 
Che intorno aveste il periglioso orrore; 
L* ultimo nnel, rh* all’ onorale strade 
Trovò r albergo, quando ìmbrunan Ture 
Verso il torbido urraso, ove il nuioto 
Già passalo cauimia chiede riposo. 

CHI 

Come avvenne al gran re, cui già vicina 
Co* gravosi suo* inrarcbi la vecchirxza 
Non fu tal sopra luì donna e rrgiua, 

('.he ‘1 dispogliasse ancor d* ogni fortezza, 
Oiiirei sospinge all* oUiina rovina 
11 giovine Esranor, ebe non Tapprczza; 

E con quel brando il pose morto a terra. 
Che mai più dopo il di uon strinse in guerra. 

XCVII 

Cosi prcoder comanda dì Tarlano 
L’ acquisiate da luì reali spoglie, 

Allor che il vecchio Vandalo Marano 
Giovioetio il nutria fra le sue soglie ; 
Venne costui dentro al terrea Impano 
Seguendo d Urico 1* altere voglie. 

Il fero Alan, eh* al regno suo Nuinido 
Volta giunger ancor d'Jberia il lido. 

c»v 

Del grave scudo suo, che candid* era, 
Un nero crocodillo il mezzo imbruna ; 
Chiudeva in sen la verde sua bandiera 
Sopra squarciale ruote la Fortuna; 
Dietro e davanti una celeste spera, 

Ove oscurare il sol farea la luua; 

Nelle spalle e nel petto avea Farnese 
In tra picciule stelle in giro accese. 

xcvm 

£ *1 di, che trasse a Gu la lunga guerra 
K privò gii African d* ugu’ altra speme, 
Stese morto Tarsan sopra la terra 
Di Ciodasso la man, che milla teme, 

Tal che *n lutto il paese, che si serra 
lo tra '1 Tago e *1 Dwero, c I' onde MlrMBe 
Del Lusilaiiio mar ne corse il uoine, 

E di lauro gli ornò le bionde diitime. 

cv 

Dopo questi tre don, di Gno acciaro, 

£ dì ferro uovei peso iiifindu, 

Che di quanto mai fu più illustre e chiaro 
Avea fallo veuir di piu d' un liUi, 
fiume al possente Marte amato e raro, 

E più eh argento ed or da lui gradito, 
Sopra possenti carri ordine diede, 

(die seguisser di lui 1* elette prede; 

XCIX 

Or tolse di costui la spoglia opima, 
Che 1 forte scudo avea di color perso, 
Nel cui piegato sen verso la cima 
Una falce spirndea d' argento terso; 
Sott’ essa eguale a lei ruvida liuia 
D' una dorala ìucude era al traverso, 
Che *1 seggio (ieii supr* arido terreno 
Di secca erba segata ioturiio pieno. 

CTI 

Con cinque alti corsier, ch* aveano il pelo 
Del vcllu del liuQ più oscuro alquanto, 
Nati e nodriti sotto al Tracio cielo, 

Che '1 valor marziale onorò lauto, 

E ch*avean di Slrimon bevuto il giein. 
Ove de* suoi fralrlli ha Borea il vanto: 
Poi che lutto è di)(posto esso s* invia 
Con r onorala e uubil compagnia. 

€ 

Fu *1 seconda suo don d’ Eliadcllo 
Re dei Nortumbri allor raniie e 1 insegna, 
Ch'ci vinse c spense al nubile ducilo, 
Ove'l fcrtil terreo Carona segna; 

(Quando il pupul miglior fatto rubellu, 

Per dovuta ragion di lode degna. 

S'armò ruiilra il Uusniuudo Visigoto 
Di picU iusicine, e di giustizia volo; 

etni 

Perrlm tutte già intorno eran ripiene 
D’antichi cavalier le altere soglie. 

Che ciascnn quanto può veloce viene 
Divoto in adempir te regìe voglie; 
Passa iuuanzi la turba, che sostiene 
(iou sollevata niaii le offerte spoglie; 
Dietro lor segue poi la lunga schiera 
Dell* dello drappcl, che vvuul'era. 

et 

Che Ciodasso di lui venne io aita, 

E deiraniillu stuul fu l’altro duce; 

Un grande scoglio avea di calamita, 

Che *1 ferro di hmUiio a se conduce, 

L' tusegiia alla sembianza colorita 
Del piu tranquillo mare, ove il sol Iure; 
D'oscura tempra, e d allegrezza ignudo 
Sjilcndea d ardente fulgore lo scudo. 

CTHI 

Dopo gli iilliniì lutti è il re Clodass», 
Tra 1 domestico slitol di ferro avvolto; 

£ *n vista di dolor muvrndu il passo, 
Hevereudu il farea P abito iueulto; 

Or torna, or va chi fa largare il passo 
Del riguardante popolo ivi accollo; 

Fui che giungnn del tempio alla gran porla. 
Il piè ferma ciascun, che t dooi apporta. 


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L AVARCIIIDE 




C1X 

C fnn 11 formi (l* 0 |:nr Ilio 

Si liividoA fra Inr, lasiindo »tri(la 
A rlù Inr dirifo virn, rii* r»»#r¥alo 
Tulio l'ordin prtmirro ivi rntro vada; 
Air arrivar drl r« di milra oroaio, 

E K).«lritrndo iu man la tarra spada. 

Con fa ptirpom tlula inrmo at piede 
Si fa iiicunlra Ì1 §rau Vale Cliluiucdc. 

CJC 

K ron altri onorati ficrrdoti 
In basto murmorare until I accolte ; 

E per nome di Marte i dooi « i voti, 

K *u vero ooor di lui lieto raccolse: 

Poi die locati Tur gli oerbi devoti 
In aembiarile pieloto al ciel riroUe, 
Tenendo al re topri la bianca letta 
La spada e 1 lembo della «aera vetta, 
ext 

Indi roti diceat Pottenle figlio 
Di Giove univrrtal, di Intio il padre, 
Com'ei eoi tuo valor pose in etiglio 
Di Pel io e d* O^ia le iiiperbe l<|iiadrej 
Coti d’ Euro e d' Oroit facciali vermiglio, 
1^1 favor tol dell* opre tue leg«Ìadre, 
li tuo caro Cludino e Segtiranu 
Dei ormici crodei i* erbotu piano. 

CXII 

Qui lacr|ne, e per la man poteia il coodnre 
Ov*è sopra 1' aitar l' iromigo altera, 

(mi da lampadi ardenti innanzi luce 
D'atro piceo color la fiamma fera; 


E di qnel re gii urrt»o, e di qnel duce 
Di tpogite ha intoruo taagoinuta icbìera; 
Elia io «embiante è tal, che »ol la villa 
Rende la mente altrui pavida e tritla. 

cxiti 

A quella il vecchio re tulio tremante 
Con le ginorebia incbine aito dlcii : 

O sommo Dìo, che di vittorie tante 
Ornasii qnrsla tnan mentre boria ; 

Or che debtl •’ arrende, le lue «ante 
Luci rivolgi alla Kortnoa ria, 

Clic sentendomi giunto all’ ore estreme, 
Con ogni tuo poter m'abbaata e preme, 
dir 

Drizza inverso di lei le Ine chiar'armr, 
Mostra, che contro a le niente puuie ; 

K voglia il tuo valor dritto talvarme 
Dal gravitiimo peso di sue rote ; 

E t* io posso per te mai liberarme, 

Nè le preghiere mie ritornin vote, 

Di lutto il mio lesor la quinta parte 
Prometto al tempio tuo, posteulc Marte. 
Ctv 

Non potè altro pìùdir, rhe'l pianto c'I duolo 
Gli coniete all' uscir la voce stanca ; 
Tacilo adunque col tuo amico stuolo, 

A cui tema e pirli la fronte imbianca, 
All’albergo tornando, incontra il volo 
Dell' aquila in cainmin dalla man manca ; 
K perchè il gran desio la mente appanna, 
Ch’ci venga in tuo favor tè stetsu inganna. 


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L A VAHCHIDE 






CANTO X 



ARGOMENTO 

In *ul campo al venir di Srgurano 
Si rinnova la pugna orriila e fera : 

Sfa poi chr il vincer gli tornava invano 
Sfida il più forte drlC avvena schiera: 
(ili li fa incontro il giovane Tristano, 

E combatte con lui fino nlht sera: 

A'è vincente^ nè vinto è del rivale. 

Quei gli dà il cinto, ed egli a lui il pugnale. 


T • 

Il f«ra Sr|;nrAn ron ratto pirite, 

Poi che Cui tuo Clodioo era arrivato, 
Ove't fataoso Artaro io lar|;he prede 
Ha roodutlo Brunon» ia batto italo ; 

Al bitogno, eh' avvien, lotto provvede, 
Rironforla e ritpin|(r in riaicnn lato 
Quei, eh' ri veda lufiftirtr, e 'n dolci modi 
A chi gli altri totlieo, dà larghe ludi. 

Il 

Il medetmo Clodin dì far non retta, 
Rivulgeodo il cavai per ogni parte ; 
Questi itmanzi riraecia, e qnelli arrctla, 

£ chr si (pieghi rgaal I' ordia roinpartc; 
Già ratterrna il cur la gente mesta, 

E le riveste il teu desio di Uirlr ; 

Già il parlilo valor tornato addoppia 
Al bramato arrivar di quetta coppia. 

m 

Nè piò dolce di qaella apparir luole 
Al già Usti Doerhier l'aara toave ; 

Lh han cui nodosi remi al caldo sole 
Lougamente ^ospinlo il legno grave ; 

Già della foga tua sì »ru«a c duule 
Questo e quei ravalirr, che l’onta pavé; 
Ogn* uum purga sé tinto, e gli altri imbrana 
Poi tutti ìutirnie al fio la ria Fortuna. 

IV 

Ha il chiaro Seguraa tatto consente, 
Ogni detto conferrna, e nullo atculia ; 
idie in altra parte rurrupata mmlr 
C<mlra i crudi nemici avea rivolta: 

Poi sprona il buon dntrirr, dove ia gente 
Vede piò io arme lariiU, e piu folta, 

K tolto giunge, or* il tuo fato reo 
Gli fa incontra vrnire Itiiauiico, 


('he Htfeo taCTo della bella Aretta 
Ebbe di fiomxna in tu P erbosa riva ; 

Feri Tasta al traversi della letta 
I.a dettra Iriupia, e delia vita il priva: 
Clodin, poi eh* ci parli, taldo ano resta, 
Ua vicio quanto può sempre veoiva ; 

K quasi a un tempo «lesso seco nrcide 
Trapassandogli il cur. Tallero Ifidc, 

VI 

Che dì Alastore il Biondo era figlinolo, 
Ove il Belgico tea la Scbelda bagna; 

£ Brumir, che dei due va dietro al volo. 
Di questa vita Aiidreuiuoe scompagna 
D' Elicle uscito, e eh' ebbe il uatiu suolo, 
Ove '1 Neusirto terreii vede Bretagna ; 

K 'I passo con la lancia, ove la gola 
Doua vidii gli spirti alla parola. 

vu 

Il gran Nero perduto ebe non luage 
Segue I ]>as*Ì di quei, Iruova Ippiuue, 

£ nella terza rotta a destra il punge, 

£ qual ramo abbatliilo a terra il (K>ur ; 
T.lT arrusava ‘I dctliu, ch'ivi il disgiunge 
Dalla tua chiara e nobil regione 
Drila rirea Lntezìa, ove la Seua 
D'aolicbi onori e di muslcrui è piena. 

vm 

Il Selvaggio Hostaij nel lato manm. 

Ove il loco riman d’ogoi otto ignudo, 

DrI possente Arclou trapassò ti fiauco, 

Che noi potè salvar T eletto scudo; 

Cadde ivi il mìterrl languido e bianco. 

Nè si mosse a pietà I tuo Fato crudo 
Della sposa infelice Arlenupea, 

Che 'atra ì Uorioi indarno T altcodca. 

IX 

Dopo cottili Grifon dell* .ilio Passo 
Iiironlro il grande Annorict» Falcete, 

Nato non liinge alT Era, dove in basto 
Al tuo padre Orean tragge la tele; 

£ iT nn colpo nel cor di vita casto 
Nel legno il pose del nocebier dì Lete ; 
Crfisi d’Avarro T abbattuta schiera 
Hiloma or piii die mai feroce e *ntera« 

X 

Ma non cede però dalT altra parto 
D' un passo indietro il glorioso Arturo, 

Che col medesmo ardir, con T ittrssa arte. 
Come al tuo inroraiuriar, retta sicuro. 
Sostenendo il f<>ror del nuovo Marte, 

Come d' nn pìccìul rio p«issente muro; 

C volge il tuo potere in ciascun loco, 

Ove scola il bisogno o inolio o pw'o. 


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XI 

Epli area pran ilrappfl »rn»pre d ioturao 
Dei pili famot) dar! c ravalirrit 
E diiciiillu dapli allri in opni rumo. 

Va ralraodo di fnor tutti ì •rntitri ; 

E dnndr vpppia ii«rir dannappìa o scorno. 
Ivi addrizxa >proiiandu i rolpi Ceri; 

E |KÙ che r lia ridutio al primo »tato, 
Toma il corto e la $pada in nuovo lato. 

XII 

Si che'l tORimn valor di Septirano. 
Qtiautunqoe nocria par, non troppo «forza; 
Nè d' Arturo e de' tuoi la proota mano 
Pu<*i molto rontra lui «leader la forza; 
L'ano e l’altro di lor sospinge in vano, 
Ch’ epnal è d' aioLediie la poggia e l'orza; 
£ ferendo dì par cia»cnna torma. 

Non <ì «rorge ivi piè, che cangi l’ orma. 

xm 

In patta che lalor cruccioto il mare 
Veder <i >aol nell'orrida «tagioue, 

Che di cotiirarie partì oda sufRare 
L’Ao«tro piovofo, e 'i frìgido Aquilooe, 

In mezzo ai due furor «aldo restare. 

Che quanto ha tolto l'un, I' altro ripone; 
Ma pien di «puma al tempestato a«»aUo 
Cun feroce moggir levarsc tu alto. 

XIV 

Ha poi che Segorao più d'ona volta 
D'uppre»«ar 1' avvertano indaruo teota, 

Di (.lodasse al parlar l'animo volta, 

£ del pio Clitumede «ì rammenta; 

£ dove ei veggia men la schiera folta, 

E più largo il cammia, ratto «'avventa, 

£ 'n voce altera, e di chiarezza piena, 
Traversando il destriero i tuoi raflrcna. 

XV 

Poi levata la man dì pare in segno, 
Ove Arturo vedrà, toma lo «guardo. 

Che già, per non ai far di liÌa«Rio degno. 
In fermar i gnerrler non fu piu lardo ; 
Indi comincia a lui : Se non ha iudegno 
Il novei mìo destre, onde lutt' ardo. 

Poi clt’ ali' intera guerra oggi la line 
Hostran negante le virtù divine; 

XVI 

Invittissimo Arturo, non vi spiaccia, 

Ch' un de' vostri migliori incuntru sproni 
A qnest' arme, eh' io porto, e priiuva faccia^ 
A cui Marte Ji noi vittoria doni ; 

E chi pia, che dei due vialo «oggiaccla 
Con morie, o con prigiou, non «i ragioni 
D'altro danno maggior, che d' esser detto 
Meu del suo vincitur gucrricr pcrfctlu. 

XVII 

E chi la palma avrà, 1' arme c lo «cado 
Solo all'albergo suo liete riporle; 

E che ‘I resto tra i tuoi ai turni ignudo. 
Perchè possan di lui pianger la morte; 
Che non ben ai cunvieii 1' animo crudo 
Cuntr' a chi giunse al Cn d' uiitaua sorte ! 
Ha il desio di vendetta, che ne preme, 
Aggia si (ermìue suo cui giorni iusicme. 


XVIlt 

Venga dnnqne chi vool fra tanti e tali 
Famosi ravatier d' invitto core, 

Citi di spiegare al del candide l'ali 
Delta vera vìrtude accende amore ; 

E ehi desia eon 1' opere mortali 
D* immortale acquistar fra i degni onore, 
Non sprezzo Ìl mio cliiainar, che raro è presta 
Cosi bella cagiun, cum'oggì è questa. 

XIX 

Quando ascolta il gran re Tallero invilo 
Con quei duri maggior, che ’nlomo avea, 
Del cavalicr, che non più il core ardilo, 
Chi poi pronta la mano aver sapea, 

Tacito resta, e sopra il verde lito, 

Senza altrove guardar, gli occhi tenea; 

Nè gli preme il pensìrr uuova paara, 

Ha di quel, che dee far, dubbiosa cara. 

XX 

£ mentre è in tale stato, e che dateuno 
Dei migUur cavalirr sua voglia attende, 
Surge Gaven dicendo: Se nessuno 
Di gir contro a costui T impresa prende. 
In, famoso mio re, sarò quell'ano, 

Che d intero servar la voglia intende 
L* onor de' vostri, e non ila indegna mano 
D' ammorzare il furor di Seguraoo. 

XXI 

C per questa cagiun forse la piaga, 

Ond' io fui punto allor d'ascosa parte, 
M'ha il figliuoi di Merlin con arte maga 
Salda io un punto, e con divine carte ; 
Per dne volle mostrar, che noti si smaga 
Il valor, che ministra il fero Marte; 

£ «'altro iiiiuvo «trai non venga ascoso. 
Farò il nume firiUnou oggi famoso. 

XXII 

Fui ch'ha così parlato, altero chiede, 
Che gli apporltfi la lauda, e già «'invia; 
Ma '1 saggio, accorto re, che T ode e '1 vede, 
In troppo alto corruccio ne salta; 

E gli dire: Ciigio, duv' oggi siede 
Quel già lodato senno, che solia 
Esser «i largo in voi, eh' al vostro oprare, 
£ vie piu al vostro dir, perduto appare? 
xxiit 

Non v'accorgete voi, semplice, come 
Gite al nostro disnor con vostra morte ? 
Non è Tornerò vostro a «ì gran sucnei 
Come «aria meslier, possente e forte; 

Altre armi ha rotte, altre Gerezze ha dome 
L'invitto Seguraoo, e d'altra «urte. 

Che le vostre non soo, sircume mostra 
Cun mille regìou la terra uostra. 

x«iv 

Forse sperale in van, che ’l crudo sdegno, 
Che v’arma contro a luì di Claudiana, 

Vi dovesse portar con Tira al «egno 
Dell' alia sua vìrtude a noi sovrana? 

Nuu lascia il bassu amor T animo pregno 
D'altro valor, che di lascivia umana; 

Nè scalda il suo vapor T illero loco, 

In cui del quinto cicl s* accende il foro» 


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XXT 

Por dovreste saper, rhe Lancilotlo, 

Che tanto piu di vnì nell' arme vale. 

Se mai teen a haltaplia è stato indotto, 
A(»ai gloria stimò Tessergli eguale: 
Ricercar ne ennrira guerrier piò dotto, 

E sostegno miglior d' un peso tale. 

Per ch'impero o tesoro tr nnbiilade 
Noa abbatte il furor di tali spade, 
axvi 

Al verare parlar tosto Oaveno 
Il volere e l’andar tacito acqueta, 

Colmo di sslegiio e di vergogna il seno, 
Che ’l disegnato onnr chi può gli vieta: 
Ma gii intorno al gran re preme il terreno 
Schiera di eavalier ehe'o vista lieta 
Chiede, e per sé ciaseun, d'aver T inearco 
Coatta ’l duce maggior di quei d' Avarco* 

XXTIt 

In tra i pròni a venir fu Pelìnnro, 
Bonrte appresso, e *1 raro suo fratello, 
Ch’avea d' ogni virtù largo tesoro, 

10 diro l'onorato Lionello, 

Baveno, il pio ciigin d’ambe due loro. 
Fiorio il Tosean, dei Gotici flagello, 
Nestor di Cave, e *1 saggio Maligante, 

E quel del core ardilo Gossemante* 

xxvm 

Fu r ultimo a venir pensoso e lento 
DI Lionese il nobile Tristano, 

Che quanto porta in cor più d’ardimento, 
Tanto più nei sembianti apparve amano, 
Dicendo: A chi vorri lieto consento. 

Che si vada a provar con Segurano; 

Ma quando manchi ogn'allm,s'al re aggrada, 
Venga ia rìschio eoa lui la nostra spada* 
xxut 

Quando sente il gran re la degna offerta 
Di tal nove guerrier, rhe’ntomn stanno, 
De' quii tutti ciasruo l' impresa nierta 
Senza mollo timor di scorno o danno; 
Nella mente reai dubbiosa e ’neerta 
L' abbondanza dei buoni apporta affanno ; 
Che ben sa, che d’ un sol si largo onore 
Dee di sdegno ingombrar degli altri il eorr* 

XXX 

E poi che t suoi pensier seco rivolse 
Sema risposta far tacito alquanto, 

Con lai dolci parole al fine sciolse 

11 buon voler sotto cortese manto ; 

Famosi cavalieri, a cui Dio volse 
D’infinite virtù donare il vanto. 

Ma sì pari io Ira voi, eh* ei sol porrìa. 
Per disceroere il più Irorar la via ; 

XXXI 

Per non fare a nessun di tanti offesa, 

£ perchè ’l giudicar sovente è torto ; 

Se la sentenza mai non vieo contesa 
Da chi veggìa di me più dritto e scorto : 
Direi, eh' a si onorala e dubbia impresa 
Fortuna sia, che ne rtmdura al porto; 

£ mischiando in chins'nma i nomi vostn, 
Chi deve esser dì voi, la aorte il mostri* 


xxxn 

E ’n rota! ginsa oprando, non ha loco 
Il rordoglio d'alrnn, rhe sia seberoilo; 

Ne può l’alma scaldar d'orgoglio il foco 
A chi più M sno valor senta gradilo; 

Né T intelletto uman, che vede poco. 

Dalla nebbia mortai viene impedito; 

Come in mepuò incontrar, qiiantun<|nea Inlli 
Mi Stringa eguale amor, secondo t frulli, 
xxxtn 

Quando ha il sno dirfinilo,i1boon re Lago, 
Ch’ai principio dell’opra era arrivalo, 
Risponde: Allo mìo re, siccome vago 
Degli onori e del beo del vostro stato, 
Dirò con umìlli, ch'io non m'appago 
Del moderato sili da voi lodato. 

DI porre in man di Dea cieca e fallare 
Quello, in cui tal onor per noi sì giace. 

xxxiv 

Or non direste voi di mente insana 
Chi fabbricar cercando nn regio tetto, 
Rimettesse al voler di sorte vana 
Qnel, che dell* opra sua f«»sse architetto? 
Nè si eleggesse alcun d'arie sovrana 
Tra i migliori appellato il più perfetto? 
Quanto è poi più da dir, dii in lei ripone 
Il pregio d'infinite, e tai corone? 

XXXV 

Affermo io sì, rhe i nove cavalieri 
Tengon d'alto valor si ben la rima. 

Che non porrian fallir d'essa 1 pensieri, 

E rendesse a qnal sta la voce prima ; 
Tutti saggi al consiglio, alT arme feri, 
Tutti «li sommo ardir ciasenno estima ; 

Pur nun si truovan mai fra noi mortali^ 
Come moslrao di fuor, le cose eguali, 
xxxvi 

Ma perchè a tanto re pesar dovria 
Un si grave giudizio in mezzo porre. 

Né gli saria sentenza utile o pia, 

Per donare ad un solo, a mohi torre; 

Ilo pensalo io mio cor quest* altra via, 
Ch'ogni ben ne dimostra, e non s* incorre 
Ove invidia col tempo, ira, o disdegno 
Possa aperto in altrui iteudere il regno* 
xxxvn 

Quest* è, che nell' arbitrio si ripose 
Dei duri e eavalier, rhe quinci semo, 

I quai con voci a tutti gli altri ascose 
Neir orecchie di voi sacro e supremo 
Moflriam colui, che T orme valorose 
Al lodato seotier d’ onore estremo 

Più degno di stampar dette U pensiero, 

£ secondo il dever parlarne il vero. 

XXX vm 

E così non potrà T avversa sorte 
Con TÌDgiiulo giudizio farne oltraggio, 

Né d' invidia o d' amor le luci torte 
Discovrire o covrir T altrui vantaggio} 
Quel si può veramente appellar forte, 

E senza dubbio aversi ardilo c saggio. 
Ch'ai pubblico stimar rotale appare, 

II qual rado o non mai si vede errare. 



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Coti diite il re La|cu, c *Ì urro Arluro 
In duirtiiime mite fli rt«(Kiadc : 

11 più lido nucrhiero, e *1 più Mfiiro, 

Che >• Ininve al varcar le niorUli oade. 
Solo è il rumicliii d'ojcni alTelto puro, 
Clic nell' antico aenno il ciclo iufonde; 

E taoto c più, »c in onlòl alma virne, 
Come al buon re dell* Orcadi a’ avviene. 


Or aeoza più indnpiar si mella in opra, 
Clic Don ^ravi al neuiiro U tardaiiaa ; 

O eh* ei fossa pensar, che in noi s'adopra 
Della palma arqnislar breve speranza. 
Perchè I sol pia iurliioa&le si riruopra, 

A cui poco eammin per o^pÌ avanza. 

Pria che *n guerra niuvlrarsi, u a pena giunto 
Il diparta del di I' ulliniu punto. 


Fatto adunque di Inr cerrliio onoratu. 
Che cingeva al sno reolrn il re sovrano, 
Si niovea riverente d' ogni lato. 

Chi d’ onor sia più in grado a mano a mano: 
Fu il primiero il re Cago, e ‘n non celato 
Suon, ma con allo dir, chiama Tristano i 
Né vi fu dopo lui del chiaro stuolo 
Chi nominasse altrui, che questo solo, 
xui 

Che non pure il valor, eh* era infinito, 
Assai più ch'ia alcun, rit'ivi si Iruore, 
Ma il modesto suo cor tanto gradito 
Ogni buon cavalier d' amarlo muove; 

Or gii d’alto rumore il vicin lito 
Si sente risonar lodando Giove, 

Che d'eleggersi un tale allumò ì cori, 

Che difendesse solo ì molli onori. 


E fu il grido colai, che in un momento 
Del fero Seguran venne all' orecchie, 

Che fuor sì dinoilrò lieto e contento. 

Che incontra tal guerrier se eli apparecchìe; 
Ha tale in ini la forza e 1’ ardimeuto 
Per mille prove ornai novette e vecchie 
Esser sapea, che non sicuro in tutto 
Si tenea della palma io mano il fratto, 

XLtV 

Gii deir Orcadi il re ron lieta farcia. 
Ove Arlnro allendea, Tristano addiire, 

Che qoasi un pio Ggliuol, dolce ]' abbraccia. 
Dicendo; Ecco dei nostri il sommo duce; 
Quanto ringrazio il elei, ch'oggi gli piaccia 
Di raceender per voi 1* antica luce 
Del gran nume Britanno e Gallo insieme, 
£ di quanti son qui d’ogn' altro sente ! 

xtv 

Non si porria pensar parola degna 
D' esser delta a TrìsUn per nuovo sprone ; 
Se non che, d' esser voi vi risovregna, 

E del gran vostro Arrouriro leisne ; 

E che di tal goerner I’ altera iusegna. 
Tutto il prrgin e l'onore in voi ripone. 
Come in più di lutti altri ardito e forte, 
Per propia elezione, e non per sorte. 


Qui nnìl suo parlar, qnando il re Lago 
Gli dice; Oprate pur, raro figliuolo, 
Cli’ogn'uom vi stimi desioso r vago 
DI seguir con la gloria il patrio volo, 
Come m* afferma il cor di voi pre'-agu, 

E ch’ai voi nominar m'iudiuse sul»; 

Nè ponete in obblio qual sempre fusse 
Il vostro gcnttor Sleltadusse ; 

Xt.TÌl 

Cui mille volte e mille io pniova ho' visto, 
In battaglia di molli e 'u siiiguUrc, 

E di cìasrana trar lodalo acc|uistu 
Di fregiate ghirlande e spoglie rare: 
Siccome, allur cb' ei fc* doglioso e tristo 
Sentir di norie le punture amare 
Al gigante crude! delta m<Mitagiia, 

Che ’n perpetuo timor tenea BrcUagna; 

XLVUI 

E quando egli scampò, eh* cr’ io presente, 
I dieci cavalier già prigionieri, 

Ch’eran di Fandragon la miglior gente, 
Presi cuntra il dover sopia i sentieri, 

Da Cordipietra, che sì ainaratnente 
Ne pianse al fin, con tutti i suoi guerrieri. 
Che fur quaranta, e tutto quello stuolo. 
Vietandomi il ferire, uccise solo. 


Or d' un tanto trunrun si chiaro genue 
Dovrà simile a quel produrer frutto ; 

Onde avem di veder speranze ferme 

I nostri in gioia, e gli avversari in lotto; 
K pria cir io senta queste membra iufenne, 
Come fur, ritornar cenere in tutto, 

Potrò pur mero dir, eh’ anco itou langue 
Degli aolicbì guerrieri il uubìl sangue. 

L 

Qui si tarqne abbrsrrìaodolo, e Tristano 
In sembianza uiuiiissima risponde; 

Grazie infiiiile al sommo Dio sovrano 
Rendo, che ’n voi di me tal speme tofoodc, 
Invillu Arluro; e’I prego poi, che 'n vauu 
Non la faccia cader, qual secca froodc ; 

Ma simile al desir, ch’io porlo io core, 

A questa armata uiau presti valore. 

it 

A voi, gran re dell' Orcadi, prometto, 
Ch'a tutto '1 mio poter del chiaro padre 
Seguirò rortue ognur, con caldo effello 
D'cgiial muslracmi all' opre sue leggiadre; 
Ma non si punte andar contro al disdrllo 
Di rhi ne invia le sortì o illustri od adre; 
Tal che fìa, c<>m*a lui più vegoa a grado, 
Lo smarrire u '1 trovar di quelle in guado. 

La 

Basta, che mentre avrò Tarme e la vita. 
In ricercare onor uoQ sarò lasso ; 

£ perdi' io scorgo alquanto scolorita 
Già la luce del sol, die scende in basso, 
Ne sforza il tempo, rJT ove altero invtU 

II fero Seguran, rivolga il pa<su. 

Senza timore aver di tal battaglia, 

Se't ciclo al buon voler le forze agguaglia. 


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L AVARGHI])E 



tm 

Mentre coti diceva^ uno trodiero 
Del m^itaaoiin* Arturui Alcaudru detto» 

Gli prcjrnla «m foi'liuitno curtiero, 

Tra mille, eh* ei ne patee, Ì1 più perfetto» 
Beo membruto a ra^l^or, alto e lcpKÌerO| 
D'animo invitto, • fero nciraipelto, 

Di ramlido colore, e lutto inloruo 
Di va^hiattme ruote il manto adorno. 



LI 

L'etperieoza poi, che’l tutto introna. 
Più die nell’ avvertano, era iu lui uiulU; 
E canKiatu avea *J cure, in cui piu regna 
Il voler giovinil, ch’ai furor volta; 

Nè tale era perù, che *u lei ti tpegiia 
De' verdi anni miglior la forza accolla; 
Ma del ccrciùu mortai premea quel punto 
Uve U telino « '1 vigur va icuicuic aggiuuio* 


MT 

Ginnto, ov'è il buon Triitano, a terra iretiile, 
Ed a lui reca in man 1* aurata brìglia: 
Ridente in vitta il ravalier la prcude. 
Tutto ripien di dulre meraviglia} 

E grasie al tuo gran re largite ne rende, 
C^un voce umile, ed iuchiuale eiglia ; 

Indi al montar non nielU «lafTa in opra, 
Ala d' un tallo leggier gli talu topra. 


LXI 

Fu d'ìofìnito anlir, come il moitrarO 
Le palme iiiauuterabtli e i trofei ] 
Or^oj'iiuiu il faceva il tangne chiaro, 
di' ci pcu6ava venir dai piimi Dei; 
Perché 1' unico Febo, non pur raro. 
Onde il touimu Gìron di»cete, e quei, 
Che fcr |M>i lui, peutavan della prole 
£*tec nati quaggiù del proprio tole. 


tv 

11 medettmo AIraudro gli preteota 
Il tuo icudo maggior di tette teorie, 

Di coti taldo acriar, eh' ei non paventa 
Otiinalo furor di umane forze; 

Ove il leone aurato t'argomenta 
Con ruDghie di mostrar, eh' abbatta c afone 
Ciaseun altro animai, che cou lui perde, 
Posto io aeggio reai di color verde. 


LXtl 

Era il gioria Tri»lan dall'altra parte 
Non pervenuto ancor nei cinque lustri, 
Sprtìuatu.dai detir, che 'nhmde Marte, i 
E dal volere eguar gli antichi iliutirt; 
Ben tutta cueotrea la forma e 1' arte, 
t^uai più deggian leguire ì duci induttrì 
Ha d' usarle sdegnava, e la viriude 
Sul ecli'iuvtlU apoda etter conchinde. 


LVf 

Il Gno elmo da poi ai duro e greve. 
Ch'era troppo a ciatrun, gli pone in fronte, 
Per la forza, e per 1* uto a lui ai leve. 

Che di meo non avea le membra pronte; 
Sopra r allo cimicr carco di neve 
D'argentato culur turgrva un monte, 

Nella cima del quale io più d' un loco 
Si vedean Gamme nteir d'ardente foco, 

LV11 

Porgeli i guanti, e 1* aita poi ai groua, 
Che nullo altro drirostc la ao»ticne, 

Fuor che aol Laocilollo, che dì pulsa 
Dei miglior cavalier la palma tiene} 
Prendela il buon Trittano, e poi che acotta 
L'ha in giro alquanto, per veder te bene 
Corrìipoade a ragion la rima al baaao, 
Rivolac al tuo gran re la viaU e 1 patto, 

Lvm 

Dicendo: Allo tigoor, col voler voalro 
Air impresa ouorata addrizzu il piede. 

In mi apero adeguar cui valor noatru 
Quella avuta di me ai larga fede; 

E l’altro uon potrò, 1* erbuao chioilro 
Fia del mio «angue ai famo«o erede, 

Cdie non potrà mai dir, che iiidcguo fiuto 
Il cure aJmca del buon Mcliadiuae, 

LIX 

Coti detto altamcote, al gran nemico, 
Culmo di bel deaio, la fmnte volge : 
Ciaacun, eh' è 'uturiio dello «tuolo amico. 
Tra aperinza e timor 1' animo involge; 
Qaal uom aia più, tra lor nell* anno aatico« 
E ch'ha veduto più, «eco rivolge 
Del fero Seguran, tacilo in aenu, 

Il aapcrc e '1 valore, ond* è ripieno. 


Lxm 

Ma r intrepida forza era iu lui tale, 

Che d'altrui Mirmontava ogn' altra cura} 
Tantu di' a Seguran per quella eguale 
Il poteva alimar, chi ben nmura; 

Macunir tempre a vvien, ch'or aceude, orzale 
la chi brama, or la apeme, or la paura; 
Il Brilannicu tiuol, die ’l vede accinto, 

Ur deir una, or dell'altra era dipinta i 

xuv 

E rignardaudo il etcì, dicea : Signore, 
Ch’ addrizzi con ragion tempre ogni tarlo, 
Hendiri il pia Tritiau con lieto uaore, 

E reati Seguran prigione o morto ; 

Se por di lui pietà ti atringa il cure. 

Non aia rou onta uu*lra e diteonfurlo; 

E 'I devoto pregar tanto ne vaglia. 

Che aia pari lur tra 1' a»pra battaglia, 

tXv 

£ con mcn di cotiur Toale d'Avarro 
Dì contrarie prcgliicre il del percuote; 
Pur d* assai men timor l' aoìoiu ha carco, 
Che sa quanto I* Ibrruo in guerra punte; 
Ma perché quel dell* arme è dubbia varco, 
Troppo auggelto alle volubìl ruote 
Della cicca Fortuna c ditleaie. 

Il timor delia apeiue aggrava l'ale, 

txvi 

E tanto più, che la rovina imporla 
Di tutto iusieme il perder Segurano ; 
Perrhc aula è di lor ioaleguo e «corta 
Il suo luuge vedere, e la «uà mano; 
Senza le quali ogni fidanza è morta, 

E lo scampo dì poi a’ aspetta io vano: 
Coaì '1 auverebia pubblico periglio 
Noi lassa rimirar con lieto ciglio. 


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L AVARCHIDE 


K 


17» 


tmTii 

Or già in nmo «Un spazio t'tppmrnla 
TritUn» dielra'dae rampi era lassato, 
f.h' a Marte sembra, ov'ha piò i’ alma intenta 
D* insanguinare il Lrarcio a gnerra armato { 
Indi al nmiro suo, che noi paventa, 
Appellando dicea: lleodié invitato 
Abbiate oggi il miglior, viene il più rio, 
Che sia fra tatti ì nostri, e sob quell' io. 

txnn ' 

Ma pnr, qnal’io ni sia, più danno assai, 
Che timor, Seguran, potrete farmi; 

E quantunque mai sempre vi pregiai 
Sovr* ogn' altro gtierricr, rhe ringa Tarmi; 
Mnn perù mai formalo vi stimai 
Oltra)’l «irso mortai dì saldi marmi, 

O d’altra tempra inusitata c nnova, 

£ mi fia gran piacer di farne prnova. 

f.XIX 

Or vi movete adunqne, nè sdegnale 
Vn giovìn ravalier tra t molli eletto, 
Ch'anro proslncer può la verde ctale, 
Purché non spiacela al Ciel, maturo effetto. 

Il furie Srgiiran, clTaltre fiate 
l/avea velluto altrove giovinetto, 

E del padre sapea Talla prodezza, 

Come il merito appar, mollo T apprezza, 

LZZ 

E risponde: Trislati, troppo m' aggrada, 
Contea nn tal cavalier di tal valore, 

K di tal nobiltà muover la spada, 

£ ’n nuovo risrliio por T antico onore t 
Però eh' aneli’ in per la medesroa strada, 
Degli anni giovinetti al primo fiore, 

Cui gran re vostro padre in pruova foi, 

£ qaal proprio Cgliuol partii da lui. 

*tzzt 

Debb'or dunque gradir, eh'avvrgna sorte, 
Ch'oggi a quella d'allor fra noi s'agguaglie; 
Ch'io non erre» di voi, nè d' altrui morte, 
Ma pregiato lodar delle battaglie j 
Or vrgniarao a vedrr, chi sia più forte. 

£ più salde le piastre aggia e le maglie ; 
£ se qui dee finir la gloria nostra, 

0 rivestirse ancor la spoglia vostra. 

fcXXII 

Così detto, il cavai pronto c leggiero 
Per lo spazio aequislarse indietro volta; 
Fa 'I medesmo Tristano: c del sentiero 
Poi che parte dicevole s* han tolta, 

Si volge l'uno e l’altro cavaliero, 

£ fermato lontano, intento ascolta, 

Infin chc 'ntra le orecchie gli rimbombe 
Desiato fremir di chiare trombe. 

Lxxm 

11 qual poi che Ire volte i colli c '1 cirlo 
Di spevctitoso grido avea percosso, 

L'uno c l’altro di lor con sommo zelo 
Di si chiara vittoria il corso ha mosso; 

£ fero al sol con polveroso velo 
De' bei raggi splendenti il lume srosso, 

£ la frontiosa fronte e T ampie spalle 
Muggir d' intorno alla famosa valle. 


LXXIV 

Al meno del cammia T incontro doro. 
Quanto fosse aulT altro, si rilrBova; 

E nessun' è, che più d' un saldo moro. 

Pur il piede o la staffa cange o muova; 

Il possente corsier, che donò Arturo 
Al sno caro Tristan, d' ottima pruova 
Ben parve allor, rhe non sì abbassa o piega. 
Ma dopo il greve urtar più il corso spiega. 

LXXT 

Ma (|ucl di Seguran, ch'ai fero intoppo 
Ila ’l vigore smarrito, il passo arresta ; 

E prrch' al suo poter fu T altro troppo, 
Nrir arenoso suol batte la testa; 

Ma *1 suo signor, rom' era avvinto e zoppi>, 
Coi freno e eoo gli spron tanto il molesta, 
Tanto il batte, Tafllìgge, punge e serra, 
Clic, mal grado di lui, l'alza da terra; 

Lxxrt 

£ gli grida : O famoso mio Podargo, 
Che di sì altere palme ho spesso cinto. 
Quando del sangne Ino prodigo e largo, 
Senza mai soggiacere, eri dìpiulo; 

Quale or Tassai mortifero letargo. 

Che fuor d'ogot uso too T ha io basso spinto. 
Se allor reggesti a più feroci mani. 

Che non porriano aver mille Tristani ? 

LXXTII 

£ con tal rampognare il torva in fuede. 
Più che mai pieu d'ardir, veloce e ftsrte ; 
BivolgcI poscia, ove il nemicu veste, 

Già pronto a ritentar novella sorte; 

Che poi die d’ Aqutlou famose prede. 
Rotte in mille tronconi, in giro attorie 
Le siile lance salirò al ciel volando. 

Fan l'aria lampeggiar col terso brando. 

Z.XXTUI 

£ spingendo i deslrier, T un T altro dona, 
Nel punto istesso, c nel medesmo loco. 
Sopra il forte elmo, eh' aggravato suona 
Dì faville ripien sii vìvo furo; 

£ per modo a ciascnn la testa intaona 
Dì stordimento egnal, che furo nn poco 
Senza noiarse in pace, c tosto poi 
Ritomaro i a«oi spirti ad ambe duoi. 

txxix 

E vergognosa in se la coppia sente. 

Più d' ogni creder suo, forte il nemico: 

Ma il fero Seguran troppo è doleule, 

Che '1 giovine valor regga all' antico, 

£ diceva io suo cor veracemente. 

Che questi il qninto Cielo eUie pni amico, 
Al primo nasrrr suo, che '1 chiaro patire, 
Che pur solo abbaltca le molle squadre. 

rjtxx 

E con questo pensier più mosso ad ira, 
£ di vittoria aver ron più desìo. 

Sopra il loco medesmo in allo lira 
Colpo, che Isen venia spietato e rio; 

Ma 'I pio Tristan, eh' al suo rader rimira. 
Col duralo lion si riroprio ; 

Sopra cui virn la spada di tal forza. 
Ch'offese dell' acciar la quarta scorza. 


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l’ avarciiide 






LXXXt 

Nè rimale al ano acudo il rftlo aaoo, 
Ch'aero l'altimr tre latte pie^aro; 

E «rati dratro al brarrio, e nella mano 
L' 4rnioriro ftnrrrier dolore amaro ; 

E dnbila in fra aè, ch'ai tovr* umano 
Podrr di Sepnran non lìa riparo, 

S'altra prrco»»a aoror simile attenda, 
Pria che lai ^avemente non offenda. 

rxxxmi 

E la spada e la man s* inchina a fona, 
r.he non può contrastar, sopra la coscia; 
E se non che 'J buon cor troppo si iforxa, 
La natura cedra forse alP angoscia; 

Ma il vivo spirto ogni dolore ammorsa. 
Che *1 corpo offenda ; e sì può creder pssscia. 
Che rilevalo il brando sì rìscrra 
Verso il crudo nemico a maggior guerra. 

fJCXXM 

E con fona maitpor, che mai battesse 
La siciliana ìnrnde aspro Cirlopo, 

L* elmo di nuovo al fero Ibrmo presse 
Sì, ch’averlo si buon fth venne ad uopo; 
Però rh'allor senta suo danno resse 
Al piò prave fnror, che prima o dopo 
Potesse sostenere, e mostrò in parte 
Quanto sia da pregiar l' ìncantat' arte. 

LXXXtX 

Il qnal rivolto a lui: Chiaro Tristano, 
Ben dovreste apparar, dicea, per priiova, 
Ch'ai maturo valor s'oppone in vano 
L'aneur giovine forza c Pela nuova; 

E quanto, e come alla possente mano 
La lunga esperienza in arme giova; 

£ non basta P ardir, se mio si mesce 
Col senno poi, che '1 suo migisssre neercece. 

Lxxxrii 

Che per ordio sacrato di Merliao, 

Col favor delle stelle, fabbricalo 
Fo dai più dotti spirti, e '1 ferro fino 
Nelle Slipie riviere era tempralo; 

Che mentre Srpiiran, raro vicino 
Della Faia del Lapo, in dolce stato 
Seco si ritrovò, qoest' elmo tale 
Fu di lei don, che mai noa ebbe eguale. 

se 

Non risponde Tristan, ma d* noa pnnla, 
Quanto più ulda può, tmova Io scudo, 
Ove il nero dragon la lingua spunta. 
Tinta di verde losco, e ’o vista crudo: 
Passai tati' olirà, c sopra '1 braccio giunta 
Trapassa il ferro, come fosse nndo, 

E dì sangue irrigò lotto Ìl sinestro, 

Noa men eh' ci prima a lui facesse il destro. 

t XXXIV 

Fu Io scampo dì lui dunque In qiicirora, 
Che ’o Un sopra la sella in due diviso 
Il fero busto dell’ Iberno fora, 

Ch' esser per altra man drveva anriso ; 
Hìman latto smarrilu, e cade fiiora 
Oell’alta sede il naturale avviso. 

Ma non luupa stagion, che Palma chiara 
Sforxò sé stessa dì vendetta avara. 

XC1 

Poi disse altero: £ Seguran rompremla. 
Quanto al ginvìn poter sia il seuoo frale, 
Per saldo coulraitar, cb' «i non P offenda, 
Ove più del saper la furza vale: 

Qual vipera mortai, che'l sole accenda, 
Quando del suo rammin più in allo sale, 
Si fece il cavalier, mcntr’ ode e sente, 
Noo più il braccio impiagane, ebe la rneote. 

I-XXXV 

B qual ondoso ramo, nsccndo foore 
Dal tronco estremo, e che ’i cammino ingombra, 
( he con ambe le mani il viature 
Torce in traverso, e ’l suo passaggio sgombra; 
Che poi eh' è rilassalo, in tal furore 
Al seggio torna, ove solca far ombra. 

Che cbi a dietro riman si ben pemsote. 

Che mal reggersi iu piè sovente puote; 

XCII “ 

£ con sì gran fnror muove il destriero, 
E ’q cosi sogusto giro P ha rivolto, 

(die ’nlricandusi i piè, sopra il sentiero 
Si tniova steso, e ’n fra P arene arvollo; 
E quantnnqne il cadere al gran garrriero 
Tutto il suo destro lato offese molto; 

Pur P industria e '1 valor sì beo raccoglie, 
Cbe del peso, cb* arca, tosto ss scioglie. 

f-XXXVI 

Tal lo spirto di lui si basso spinto 
Dai possente ferir sopra il cimirr«>, 

Più che fossa ancor mai d' orgoglio cinto, 
Disdegnando risorge ardito e fero; 

E ritruova Triilan, che t‘ era accìnto. 

Per rilrar della palma il frutto intero, 

Ad on colpo novcl, che se '1 giuogea. 

Nel Jiscguato fin posto P avea. 

XCItl 

Ritorna iu alto, e più che mai s' accinge, 
Richiamando il nemico a nuova guerra; 
Nè il cor tema gli agghiaccia, o '1 volto pìnge 
Di gir contra uu corsicr soletto in terra; 
Alza il percosso scudo, e ’I ferro stringe, 
E per la sua vcodclla il passo serra; 

Ma il pio Tristan, come levalo il vede, 
Con un salto leggicr si mise a piede, 

LXXXTII 

Ma il forte Seguran, nel destro braccio, 
Mrutre ch'alba la spada, il colpo stese; 

E *1 fioissiino acriar, <|ual vetro, o ghiaccio, 
Dal taglio mictdial poco il difese, 
CJir'nInnio sì schiantò, pur tanto impaccio 
Diede al furor, che molto non P offese ; 
(jaanluoqiie pur del sangue, eh' indi uscio, 
Sopra P arme apparisse un picciul rio. 

xerv 

Dicendo: Io non so ben, se ‘1 senno antico 
Hi dovesse insegnar torre ìl vantaggio: 

E se chi sia ciirlese al suo nemico 
K dai vostri dottor chiamalo saggio; 

Ma sia, che vuol, che per fidato amico 
Più Ponor sempre, che '1 profitto, avraggio. 
A cui P altro risponde: É ben si deve, 
Che quel vive immortale, e questo è breve; 


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L’ a V a R C H 1 1) e 


1 

*CT 

Non inlend* k>»Tri*Un, rlw»*I »tnno mo»lrc 
Altra via. die di ini, rh' i '1 «omino lime ; 

Ma che retpa col frrn le «oplie no«lrr. 

Che non pa»»lno il 6o, eh’ altrui conviene; 

E più al giovine eor. che imlarno giuotre 
Sovente eoatra il eielo, e che ai tiene 
Di aormonlar colai, «otto al mi regno 
Non pur 1* arme portar aarchbe de^o. 

Cll 

Ma gli Araldi reali, Ì1 saggio Amaso, 
Ch’ è tli sangue Hritanno, e *1 pronto Alloro, 
Ch« per GlorLisM» er' ivi, al duro ea«o 
Gli srrilri, ch'hanno in niao, geltao fra loro, 
Direnilo: Cavalier, giil nell'Occaso 
Ila ralluflatc il sol le chiome d'oro. 

Nè convieasi a giierrier por 1' arme tn'opra. 
Come il notturno vcl raria rictsopra. 

seri 

Qoal V* avrerria, »e ’l voitro eor eredease 
Potere or eoolr* a me gran tempo alare t 
Coat dicendo, si viein gli presse 
L* orme, ehc 1 poò cui brando ritrovare; 

E eoo fona colai poi 1' elmo oppresse, * 
In coi lotto il furor volea sfogare. 

Che tardando lo srado a ricoprirlo, 

Come U diaegno fu, Tenne a ferirlo. 

ali 

Ciairnan è cavalier d' alla vìrtode, 

L' uno e r altro è dal riel di pari amalo, 
E non vuol, che *1 valor, che ’n voi si chiude, 
Sia di sì nobili alme oggi prìraioi : 

Noi romandiam, ctt' alle percosse erode 
Sia posto ultimo Cn per ogni Iato, 

Con quel poter cli'avcm; cui chi disdice, 
Chiam^rse disleale in guerra lice. 

xerw 

Tal che, se la aiu tempra era men fina, 
Fora la guerra lor condotta a riva, 
Sqnarciollo al mezzo, ma non tanto inchina, 
Ch' ofiToa entro ne sìa la parte viva: 
Come al robusto pio la nere alpina 
Fa la cima avvallar di forca priva, 

Piegò la fronte il cavatirro allora, 

Ha la rileva poi senza dimora. 

av 

A quel grave parlare il pii ritiene, 

E ralTreaz ciasrun l’ira e la mano; 

Che M» quale ha dìtnor chi coulravviene 
Al pubblico vietar del re sovrano: 

Or tosto d'ambe due quete e serene 
Si fer te menti, e'n parlar dolce umano 
L'un l'altro loda, e cvio amica gloria 
Sopra il nemico suo pota la vittoria. 

xrvirt 

E col proprio furor, ch'orto impiagalo, 
Che addosso al carrialnr rabbioso vada. 

In fronte a Seguran, ristcsso lato, 

Ov'ei percosse lui, drizza la spada; 

Ma r altro, che '1 seolia d' ira infiammato, 
Ratto al greve calar r.hiudc la strada, 

L' aurato scudo suo levando io allo, 
Conir' a ehi romperia marmoreo smalto. 

cv 

Ha il chiaro Segoran legneodo poi, 
DÌeea:Tropp'og|i ho il cor lieto e contcalo. 
Onorato Trislan, sedendo in noi. 

Che pur uun sia scemato, non che spento 
L* onur paterno, che tutti altri eroi 
Si lasciò indietro, e eh' io col piede inleoio 
Segui qual duce c padre, e poi col core 
Gli fui sempre vicsn col sommo amore. 

xctx 

Ha lo apsclato colpo tal diteesc, 

Che per tnerzo il dragon proprio ha parlilo. 
Che 'n diverse maniere ad ali stese 
Ingombrs) il seno all' arenoso lito; 

K I braccio, che dt punta prima offese. 
Novellamente anr<ir restò terilo; 

Ma non lauto però, che le sue forze. 

La percossa, ch'avea, di nulla ammorze. 

evi 

Il qoal vogli per sempre, cbe ii stenda 
In voi, mentre vivrò, se'iioo vi spiare; 
Qnanlunque questa mano oggi difenda 
t^lui, che contro ai vostri guerra fare; 

Ma il cìci sa ben, con quanta doglia olTeuda 
Il grande Arlaro, e detto sia con pace 
D'ogn' altro re, che tutti solo eccede 
Di quanto al sul la pia sorella cede. 

c 

Noi caro Seguran, ma lieto gròla : 

Or sarò più Irggier senz’etso incarco, 

£ mi basta la spada amica c òda 
Al securo passar per ugni varco ; 

Cosi dicendo, il gran valor, ch’annida, 
Hen che mai d' adoprar si mostra parco; 
Ma quanto lasse ancor più ardito e fero 
Verso il suo pcrcussur calca il senliero. 

evu 

Ma seguir mi conviene, ove '1 destino 
H' ha mostralo '1 cammiuo e '1 troppo amore; 
A cui per contrastar, più che divino 
Valur convienue, e d'adamante il core; 

Or sia che può, die nella mente inchino 
Lui sempre, e tutti voi con soinioo onore, 
Pregandu il ciel, di' altra cagiun mi vegua 
Di far guerra per lui di lui piu degna. 

CI 

E '1 buon Trislan arU'arme si riterrà, 

E eoi cor alto alla toa gloria intende; 
Onde artica più che mai cruda la guerra, 
fiatai l’ira e roiior ciascuno incende; 
Questi il pussenle scudo avea per terra, 

Il rotto elmo di qnrl poco il difende; 

Così Unto agguagliata era la sorte. 
Ch'ugni uom forse di iur correva a morte. 

eviii 

£ perchè '1 mondo sappia, di' a battaglia 
Non ho per odio alcun fallo rìavilo, 

Ma bramaudu provar di quauto vaglia 
Il guerrier, di' è tra' vostri il più gradilo; 
Quoto aguto pugnai, che rompe c smaglia 
Qoal sia ferro piu duro in alruu lito, 

Vi prego, in nome mio, prendiate in dono, 
Cou uiemoria iiuiuortal, che vostro sono. 


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L AVARO n IDE 




Coi! delio, plìel pur|(e, eh' avea ialorno 
It rtcrhiwimo alUer|(o di fio oro, 

Di nibÌQ lotto, e dì uneraidì adorno, 

E d'altre pnnme ron lollll lavoro; 

Qoel temhra attorto della copia il corno, 
Qoctle i frotti, eh* avea, moatrao fra loro; 
In mi di lettre aurate arritlo appare: 

Tal abbondo il gnerrier dì virtù rare. 

ex 

Il oorteic Trillano allegro il prende, 

Il bel dono, e 'I ino cor lodando molto ; 
Poi la larga cioinra, onde gli penda 
La furtiaiinu ipada, a' ha dìiciollo. 

La qual, non men di quel, lolla riiplende 
Di lucente Inoro in eiaa avvolto; 

E quanto in atto può loare c piano. 

All* avvenario ano la pnae in mano, 

cai 

Direndo : E *n nome mio portando qneaia, 
Vi potrà aovvenir, che la acmenaa 
Del buon Meliaduiae avrete preala 
In ngni vnalra alliaaima occorreoaa. 

Non men eh* aveate Ini t ae ben non reala 
Della inGnila ma chiara eccellensa 
Miaima dramma in lei ; por, come aia, 

Di potervi onorar brama ogni via. 

cxii 

Coli detto, ai torna, ove aapellato 
Con aommo deaidrrìo era da tulli. 

Ma più dal grande Arinro, eh* abbraccialo 
L*ha dolcemente, c non con gli occhi aKiuUi, 


E dire in alta voce t O dì beato, 

Lhe dell* arbor gentil ai chiari fmlU, 

K di al gran virtù al raro moalru 
Producrili in onor del aecol noatro! 
esili 

t dnrt, i ravalirr, la plebe ignota, 

Come a cova ìmmortal, pdi alanao luloeno; 
Ivi a* accoglie ogni uom, lataando vola 
La piaaaa alar tra l*anu e l'altro corno: 
Ogni atto, ogni ano dello aicolta c noia, 
E come da Plulon faccia ritorno 
Il miran lutti, poi che dalla mann 
Scampalo il pon veder di Segnrano. 

exiT 

Nella tenda reai corleae il mena 
Arinro, ove il dì chiaro ai vedea ; 

Chiama Serhin, che gli aaldù la vena 
Dal aangne, che nel braccio diaccndea ; 
Indi alla inroia di vivaodr piena 
Il ano caro TriaUn, che duo volta. 

Sopra la ateaaa aua dorala aede 
Con dolce fona, e *n belle lodi aiaieile. 
csv 

C.crcan gli altri poi Inlli il proprio albergo, 
E ’l ftolTerto del di pattalo affanno 
Già rnn luave oblio laisao*i a tergo. 

Poi che l’oca giorooda guilat* hanuo^ 
Indi d* arida paglia al latto tergo, 

Quanto più dolce pon. ripoao fanno; 

Il medeimo addivien deulro io Avarcu 
Al popol d’ amte, e di «udore «carco. 




ARGOMENTO 

bianda od jdrtam propmta di pacr 
H re Ctodasso, e tergila anen domanda. 
Qunta è eoncesia, ijurlta a lui non pince 
K pii jiraldi con doni ne rimanda. 

Per noi'C di t ira di Marte tace^ 

E la pietà de' morti ni cuor comanda ; 

Uttenpon essi preci e sepoltura 

Tra il pianto de' parenti entro le mura. 


Oi>niei inni bìonJt rrin la bianri AiM’ora 
Surra il Oanftr ipìefraiido anniinzia il giorno, 
1) pio rrtlor dell' Orradì vien fiiura 
Dell’albergo viriu ron 1' arme iiitumoi 
£ rinlo di pensieri, ove dimora 
Del re Brilaniiu Ìl padiglione adorno 
Eniró soletto, c già il rilriiova in piede, 
Cir al bisogno roniime ivi provvede. 

it 

Nè eionto a pena fn, eh* ogni altro Dure, 
Ogni altro cavalier dì grande onore. 

Ch'era del suo splendor la maggior luce, 
Venne ron riverenza e sommo amore. 

Per saper in qual parte si rondure 
L’allu voler del ««mimo imperatore; 

1 qiiai posti a seder gli prega Arturo 
Clie'l Uebban consigliar del di fuliiro. 

Ili 

Il re I>ago il pninìer (come degno era) 
Già levatosi io piè, end dìrea: 
ler poteste veder la lunga e fera 
Guerra per ambe due tanto aspra e rea. 
Che nnn si porria dir, qual parie altera 
Render grazie ne possa a quella Dea, 

Che con Tali eangiaiili in allo giare, 

£ vola or quinci or quindi, ove le piare. 

IV 

Pcrrh'io la vidi aimrn mille Hate 
Or tra i nostri allegrarsi or Ira t nemici. 
Or tulli ruronar di palme aurate, 

Or ripor tra ì più miseri e ’nfclici ; 

Tanto che suro al nu si bene ornate 
Del sangue dì ciasrun queste pendiri, 

Che possiam dire rgiiat la nostra gloria, 

£ di iluol pareggiata la memttria. 


Pereh* io direi, che la pietà eb' avere 
Di ehi mtior con onor fra noi si dere. 

Ne sforzi a rìrerrar ria di potere 
Covrir quei, che perir, di Inmol leve: 

£ ’nsieme ristorar le vìve icbiere 
D' alcun dolce riposo, anror else breve \ 

E rbi percosso sia, eh'al(|aanio possa 
Con piu pace curar l' impiagai' ossa. 

rr 

Nè pu«> biatmo sentir d' anima vile 
Il t-erear da' nemici alrnna tregua, 

Ma di spirto pietoso e signorile 
11 bramar, che 'I soo dritto ai morti segua; 
Lo qnal ehi sprrxza, allo spietato stile 
Delle fere salvatirhe ■* adegua; 

E ehi per lai rirhiesta sprezzi noi, 

Giiarde pur se medeamo, e guarda i suoi, 

TU 

Si dirà ben, che ehi sì ardilo il core 
In guerra, e così pronta aggta la mano, 
Non possa esser mropreso da timorr. 
Ritrovandosi in paer, e dì lontano: 

Ma sia, che pnó, ehr H candido valore 
Non dee biasmo curar, chr rrnga vano; 
Bastigli, che *1 pensier lodalo e pio 
Egli stesso conosca, e ’l reggia Dio. 

vili 

E se per poca gloria, e cosi frale 
Sì lasseranno i nostri ai corvi preda : 

Non avrni da temer, ehr la mortale 
Crudeltà nostra in noi medesmi rieda ? 

La vrndrtta dri elei tarpate I' ale 

Non ha, più che si soglia, a quel eh* in creda; 

E 'nchitiarse ai nemici in si degù’ opra, 

K via più bello ouor, che star di sopra. 

iz 

Come ha 'I buon re fìntlo,nzn‘allm iniieme 
Del ronsigtio rral l’ istesso aflenna ; 

Ma la cura medesma ìl petto preme 
In Avarru la gente aniitta e'nfrrma; 
Ch'ivi turba inriiiila intorno geme 
Di giovinette donne c d'rtà ferma t 
r.he chi I padre, chi '1 figlio ave sinarrilo, 
Chi '1 fralrl cerca indarno, e chi 1 raarilo. 

X 

Tal rbc mosso a pietade Ìl re Clodasio, 
Adouatu ogni dure e ravaliero, 

Dìf-ea : Da poi eh' a sì dubbioso passo 
N'ha condotti. Signori, il deslin fero; 

Pria che '1 nostro cader vada piu basH*, 

E mentre ancora in noi T arbitrio intero 
Hitnan di piter dare all' aspro assedio 
Con men danmsso tiu pare e rimesitu ; 


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L AVARCHIDE 




mi 

Panni, che aot devìam »ol|:er ìa mente 
A mcUrme in rammia, che* tua più pìaou t 
Io cui non pera tal ìa mi^liur frale. 

Né aia aempre in perielio Srfnraiio ; 

Del qaal te privi armo amaraiucale. 

Preda vepnam degli iaimici in mano, 
Quantunque aomina ho pur aperania e fede 
Nel tupremo valor dì Palamede, 

XVItf 

Né vi do per timor 1’ olii consiglio, 
Che la soverchia età naviga in porlo; 
Ma per levara' ornai l'aspro pcripliu, 
Ch' io veggio sopra noi radere scurto. 
Or non pensale voi, che ’l sacro ciglio 
Del gran Giove lassù conosca il torlo, 
Cb* a voi stesso ed a lui di ciò seguio. 
Dispogliando del suo quel seme pio ì 

XII 

E d'altri molli poi, che foran degni 
Per le rare virtù di auuimo impero, 

£ di salvar, nou eh* no, o.ille altri regni, 
l‘.oo TaUna invitta, e col giudiaio intero s 
Ma qoello e*l oiio Cludìn ai chiari pegni 
Soli degli anni miei alaurhi, ch'io ouii apcru, 
r.h' altri potease mai arrvarinc iu vita, 

Se mi toglicaac il càci la loro aita. 

XIX 

Nè vi sovviene ancor, che lunge poco 
D* cito seggio reale, c di quest'ora, 

' Voi prunictleslc in sì famoso luco 

, A quel padre maggior, ciie più s'adora, 

Chìamaudu lestimou del sole il fucu, 

E l'umbra eterna, che la giù dimora: 
Che s' ei vincea Oavcii, queto c sicuro 
1 Lassaresle il paese in man d' Arturo ? 

XMI 

Or adunque li cerchi, amici e figli. 

Il aenlier pio onoralo e'I piu aicuro, 
tihe nou veggiarao (uimèl seiupre vermigli 
f)eirEuru i liti, e'I auu cammino impuro, 
E cir io non viva ugnur con lai perigli 
P'ra la notte anguvcioca, e '1 giorno oscuro; 
Ma sena* altro timor di nuovi affanui 
Poaaa al rogo portar qucali ullìnai anni. 

XX 

1 E che poi fu sturbala la battaglia, 

^ E ferito Gaveu con vostra feile f 

Cura' or pcu.ate voi, che piastra o maglia 
Regga cuiiira ragion, che in essa (lede f 
O di gnrrricr fallace Ìl brando vaglia, 

Che di tanta perfidia è fatto erede? 

E la colpa é di voi, s’ ei fu ferito, 

Pui che r iugiusto oprar non è punito. 

m«v 

Posto fine al suo dire, il re Vagorre, 
C'.he di grado c d' età quelli altri av«nra, 
r.oniinria il priitMi: Perche ùi Giove porre 

Per la Cede, ch‘ ho io Ini, ciò che m'occorre. 
Dirò con sicuriséima kaldaiiaa, 

Seuaa riguardo aver di chi poi forse 
Dica, clic '1 mio parlare il punse e morse. 

XAI 

E si chiedeise anrur. cunaigtierei 
Tregua per qualche dì, per che sì possa 
Dei morti in guerra agli infernali Dei 
Coi fuco consacrar le misere ossa; 

Che d’uii secol integro i giuruì rei, 

Pria che varcar la sventurata fossa. 

Non Irapasiiu vagando, e noi restati 
Appcllin con ragion crudeli c'iigraU. 

XT 

Panni, o sacralo re, che sì devria 
(Scora indugio interpor) proprio lu i|uest ora 
Mandare al re firitanno, e dir, che pria, 

4. he si mostri al balnon la uoua Aurora, 
Gli porrete il pacNC in sua balia 
Di là dal varco, dove larga irrora 
1 lieti campi 1' onorala Cera, 

In lio dove il suo curso arriva all' Era. 

XXII 

Qui si tacque Vagorre, e *1 fer Clodino, 
Che d' impedii lo avanti avea taleiilu; i 

Se iiun che Segiiraii, di' era vicino, 

Di lassarlo finire il feo cootcnl» ; 

Rispooile : Or prioia awegna, che 'J destino 
Mi turni in giro, come polve al vento. 

In tra TAIpi nevose, al tempo crudo, 
D'ogui amico, c di ben povero e nudo; 

»»» 

Perch'ei possa di quel (ckc pure è multo) 
Largamente rifar Beiiiccu c Cave, 

E con suo largo onor Irovarse sciolto 
Di ai dannosa guerra, e di ai grave; 
Perchè d' ugni trofeo di palme avvolto 
La prvGtievoI pace è più soave; 

£ Unto più, che spesso è '1 pi«i lontano, 
Chi la vittoria aver si pensa iu mano. 

XXItt 

Ch' io consenta già mai, eh' un re famoso 
Qual or Clodasso il vecchio uiiu parente, 

Il cui giovine oprar si glorioso 
Già dall' liutiru Gauge all' Ocridente 
Empiè d' allu rumor, dagli anni roso 
Si vrggia or tributario a quella gente: 
Della qual mille Bntnì e mille spoglie 
CìnguD dei Tempii suoi l' aurate soglie. 

xvu 

E di latto poi quel, che ritenete 
Che primiero agli scettri loggiacea 
De' Britanni, e dei Franchi, prumetlele, 

Che sarà sotto a ior, qual ei solca, 

* E'I soo dritto a ciaKun ue renderete, 

Come il re Bao, come Bourte feg : - j 

Né ve '1 tenete a vìi, che 1 vero saggio ' 

Per ragion mantener fogge il vautaggiu. 

XXIV 

Or se qui Lionel fosse e Boorle, 

E Lanrilolto anrur, Tauimu fero. 

Qual ne porrian bramar più dura sorte, 

0 dei disegni Ior Icrmin più altero? 

Che non ccrcan di noi 1' acerba morte, 

La qual lardi, o per tempo usa il suo impero, 
Ma di rundurue all' ultimo disnuce, 

Ch' è '1 verace morir d' un nobil core. 


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L AVARCIIIDE 


L 


• K< 


Se*Tole*»p pigliar per prAzia e «lono 
(Come avete parlalo) alrtina terra 
Slata dri primi inr, coiitrnlo »ono. 

Non prr Irma tli qaei» nr il* altra {rurrraj 
Ma prr non in6ammar nell'alto trono 
L'ira di chi le nnbi apre e riterrà, 

Poi che renza mia colpa un altro imparo 
Ila fallo il nottro eiercito ipergiuro. 

atri 

Allnr eh* ebbe fornito, Gonebaldo 
Che dei feri Borpondi il freii reppea, 

Del miser «aiipne aneur bapnato e caldo 
Dei Ire propri fratei, clic morti avca, 

Con furinta voce, altero e baldo 
In favor di Clodin coti direa : 

Scnriii il sol per me, prima eh' io taccia. 
Ove ai nostri nemici ti toppiaccia. 

xxvti 

Non fìa dello pia mai, che dove k> sta 
Si faceta a Clodoveo ti larpo onore, 

Che alcnn breve Irtbalo ti pii dìa. 

Come a vero d'altrui tovran Sipnore ; 
Perchè non mi rondaste a questa via 
Titnor d'Artoro, o d'altro duce amore; 
Ma l’odio tolt), onde non ton mai stanco, 
Che mi divora il cor isel teme Franco, 

XXVIII 

Non é questo terreo tolto il poremo 
Del Brilanniro re, rum* altri crede. 

Mal del rio Clodoveo, nemico eterno 
Delta nostra reai Borpooda tede. 

Che per sommo dì lei dannappio c scherno, 
E farti d'etta violento erede. 

Sposò Clotllda, qual leale amico. 

Del mio pcniian figliuola Chilperico; 

XXIX 

Ch'io pia con pii altri dne del mondo tolti, 
L* infedele Odrtiilo e Gundemaro, 

Che più lotto di lor la morte volti, 

Che de* fìpli e di noi I’ esilio amaro ; 

E dopo lor tutto il veleno accolti 
In costui sol d' ogni mia dopiia avaro, 

E eh* or per espnpnar le vostre mura 
Con quauti ave de' tuoi tempre procura: 

Xxx 

Come ri vede ben, te tra Ì nemict 
Di Ini quattro flelìuoi ciopon la spada. 

Non per vera pieli, eh’ ha degli amici. 

Ma per voi ditpopliar cercando tlrada; 

£ come alle native tue pendici 
Ritorni Arturo, allor come pii aggrada 
Farà dell' altro poi, che frali e lassi 
Sarete, e d' ogni forza ignudi e catti, 

XXXI 

E quantunque non lembrì, molto apporta 
Solo il semplice nome di sovrano ; 

Che poi mille capion sì fanno scorta 
Al tutto trarre alla rapare mano; 

D’ Arturo in tanto poi scemala, o moria 
La forza fia, eh’ aspetterete in vano; 

Ed ei, tempre creteendo, a poco a poco, 
Sopra voi, sopra me, stenderà il foco. 


xxxii 

Ma te pur vi parrà, che *1 tempo sferze 
E dei vostri il mancare, c del esci tema. 
Di sptNnbrar quindi le nemiche forze, 
Oiide'l popol vicia paventa e trema ; 

Sol del vostro tcrrcn l‘ ultime scorze 
Si deano offrir della provincia estrema, 
<x>mc or diise Clodiiso, e pria Vapurrc, 
Ha quel tìLol tovran per te riporre. 

XV Kilt 

Perchè tirpando in ver di fare offerta. 
Ai nemici lalor di cosa leve. 

Parria forse ingiustizia troppo aperta, 

E ne cadrebbe in noi la colpa greve; 

E la gente, rh'ognor di vita incerta 
Ha p« r esca la polve, e '1 sador lieve, 
Avria credenza al fio, eh’ alcun di voi 
Si prendeste a diletto i danni suui. 

XSXIV 

E te ciò rrfntar (sì cocn'io spero) 

Dalla superba gente oggi vedratse, 

Fia par nolo a ciatcun, clic '1 nottro impero 
Del dover dritto il termine non patte ; 

E dal Motor lassù, che leerne il vero, 
Perch' innalzi i migliori, e i pravi abbatte, 
Potrrni con più ragion chiedere aita 
Per questa affilila patria tbigoUila. 

XXXV 

La tregua ricercar per aleno giorno, 
Nod meno util sarà, che grata e pia ; 

K più toitn vergogna, e crudo scorno 
A chi pur la negasse, apporteria. 

Or quanti regi e duci erano intumo 
Di rosi altera e oobil compagnia, 

Approvar dei runsìgiì il proprio effetto. 
Che Clodioo e'I Borgondo avevan detto, 

xvxvi 

Colai fermo fra loro, il re Clodazso 
Ideo fece appellarte ed Anfione, 

Dicendo lor; Huvete ratto il passo 
Del Brilanuieo Arturo al padiglione. 

E gli dite in mìo nome, rh'iu ton latto 
(Come d’ esser anch'egli avria ragtone) 

Di veder notte e giorno in rotai sorte 
Di ti chiari guerrier i’ acerba morte, 

XXXVIl 

B per mostrare al ciclo, e 'I mondo tnrieme 
Che da me non starà d' imporne fine, 

Gli offro H largo termi, che Cera preme, 
Ove la rapid' Era ha per eoiifine, 

E d* iodi innanzi le tue rive estreme. 

In fio eh’ ad essa il suo viaggia iiirhiue. 
Che sarà multo più di quel, ch'io legno 
Di Boorte e di Ban del pircìal regno. 

XXXVIII 

Ma eoa tal condizion, eh* a me si serve 
Tutto il sapremo onor delle contrade, 

K le sue innunicrabili caterve 
Delle lor region Iroovìn le strade ; 

Poi perchè I' onor debito s* osserve 
Di seppellir ogn* tiom, che morto rade, 

E per che 'I disegnato onhii ne segna. 

Per almrn nove dì ri faccia Iregaa. 


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XYXtX 

Gii rano e Tallro Araldi it rìcìnf;e 
DrIU rrtta reai per quello rietia, 
i'.hr in celeste colore allo dipinfce 
Il pÌBo aaralo, rh'AqniluDC alleila; 

Patria 11 acettro in mano slnnfte, 

£ pronto al soo dovere il passo alTfrUa, 

£ d' Arturo all* alberato è toprapf^iontu, 
Che Tolca i sooi mandar quasi inqoel punto. 

XLVt 

Dall* emps'n Seguran nasce il diaepnn, 
C.lie voi mn tatti noi sempre ebbe a vile; 
Nè di più largo don vi stima degno. 

Che di breve terreno in nido umile ; 

Ha contro gli oratori il piu«to sdegno 
Vorrei versar in si spietato siile, 

Ch* ei restassero esempio in ogui loco 
A chi tal dignità prendesse in gioco. 

XL 

£d esposta al fran re tutta altamente 
L* ambasciala d' Avareo, m prand' onore 
Fiir rieevuli, e poi cnrlrtemenle 
Per alleoder risposta mesti fiiore. 

Lì domandalo il primo qnel rbe sente 
Di qneita olTrrta il suo discreto core, 

Fu il sappio re dell* Oreadi, che fisse 
Ambe nei ciel le loci, t cosi disse : 

XLVir 

Ha il famoso Tristao, rh*ndir non vuole 
Nel nsosiplio reai st lorde voci. 

Io dolce ragionar 1* aspre parole 
Chiiidra direndo : I cavalier feroci 
Esser drvrirn sotto l'aperto sole, 

Con r arme intorno, e contro ai falli alniei ; 
Non alfombra, in consiglio, e 'nverso quelli 
Disarmati, ionoeenti, e poverelli. 

XLI 

Dammi, Sipnor del cìel, praais, ch'io prenda 
I) verace senler ro( mio r«>n*iplio, 

Oede poi con onor per noi s* allemla 
Il desialo fin d'opnì pertpito; 

Or con fermo sperar, che in me s* arrenila 
Quel sacro spirto, rhe ereii il Ino fiplio. 
Dirò senza temer, eh* e* non mi piace 
Dopo guerra colai si indegna pace. 

XLVI1I 

Che colpa è di costor, se *1 re comanda, 
Ch* ei vi srenpano a far la vile offerta f 
£ che orgoglio è del re s* offerta mansla, 
Ch* a «ui, men che'l dover fi mostri aperta? 
Che vergogna è d* Arturo, che si spanda 
D' ambasciata colai la fama certa ? 

Ben snperbìa saria, fallo e dtsnore. 

Il non far oggi lor ricliieslo onore. 

XUi 

B che si possa dir ehe tanti regi, 

Tanti prati dori illustri e cavalieri, 

K ch'ornati Inr pii di tanti fKpi, 

Che sovra ogni altra età vadano altieri. 
Per si poca merrè, ch*opn*nf7m la spregi, 
Appiaau in tal sndor tanti gnerriert 
Già indarno alFalicali sì lunghi anni. 

Che tutta Ewopa omxi ne senta ì ^nni. 

XI.II 

Direi ben, sacro re, che in alenn miwlo 
(Sì come infino a qui dagli altri è detto) 
Non si debba accettar, ma sriorre il nodo, 
Che'l tessuto lacciuol nnn abbia effetto; 

K ehe si segua ognor confermo e lodo 
Taoln, ehe giunta sia nel fin pei^rlto 
Questa pia guerra, in cnì sii cerio spero 
Veder tutto ridurre al vostro impero. 

XLttt 

E se *1 Citi ne darà (rom* esser puole) 
fChe nessun vede aperto nel futuro) 

Le speranze, rh* avtam, d'effrlto vote, 

K '1 cammino al passar piò acerbo e doro; 
La colpa fia delle fallaci rote 
Della cicca Fortuna, c non d' Arturo, 
Cam* or sana, se di vergogna carco 
Per sì poco tcrren lasMsse Avareo t 

t 

Ha la tregua arcorslar neeessilade 
E giustissima legge ne cunsLrioge; 

Che ehi de* morti snoi non ha pieUde, 
A selvaggio leon limil si finge; 

E conviene onorar l'anliHie strade, 

I.à dove ogni mortai natara spioiec ; 

E di quei più, ehe solo in vostro onore 
S'hanno al mezoo del di troocalo l'orc. 

XMV 

Il qnal, s* è ver, che 1* inlclletlo umano 
Possa ai vali divia credenza dare, 

Secondo il prevciier di Pellicano, 

Debbc alle vostre man tosto tornare; 

Poi r aver nosco il nobile TristaiMi, 

Non ei fa d' Ogni onor tienri andare, 

Con voler ostinato in ogni sorte, 

D* esso, o di Usiti noi vesier la morte f 

ij 

Dopo TritiaB 1* accorto Halìgante, 
Lionello, c Baveno, e *1 pio Boorte, ' 

Ogni altro dare, e cavaliero errante 
Segue dei ano parlar l' istessa sorte : 
Arturo allor dai fido Gossemante 
Fa del suo padigliosi I* aurate psirle 
Agli Araldi d' Avareo ratte aprire, 

E rende la risposta su dolce dire: 

XIV 

Non area fatto fin, quando Gaveno, 

Al furor circo usato, rhe '1 trasporta, 
Inicrrompcodo il vecchio, allarga il freno 
Ed air ira soverchia apre la porta. 
Dicendo: E perrhè placido e sereno 
Si mostra il volto, a ehi ambasciala porta 
Simile a ciò eh* tn sento, Arturo invitto, 
t-hemacchiail vostro onor, la gloria e'I dritto? 

Lll 

Qnesti onorati frati, e fidi amici, 

Che piò rhe '1 proprio cor mi tengo cari, 
Ch'ai perigliosi tempi, e gl' infcliri 
Non mi fur mai di lor medesmi avari, 

E loutan le native sue pendici 
1 figliuoi, le runsorli in pianti amari 
Hall per me abbandonato, e per l'impresa, 
Che run tanta ragioo da noi fu presa; 


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i87 


L AVARO H IDE 


■ 88 


M' han lotli conii|(lialo intieme unllì, 
Ch’ io non (irhba aflimnar pare ai Uaasa» 
Nè per parte sì vii d'an|(ii»U liti, 

Un regno abbandonar, dragai altro paua, 
Tal elle ne ronverri raolidie IÌU 
Cmi la »pada innalaala, e Tatla baita 
Gìtidkar in fra nui, lircome Ca 
Il voler di laasù, eh' a ciò ne’avia. 


Li eoo treoiante man le miaerellr 
1 corpi ad nn ad un vao rivolgetida, 

Ove uemice fronti a lor rubelle 
Truovan Mtvcntc, e run lioinre orrendo 
Rivolgoo gli occhi alle più crude stelle, 
Gontr'agli spirti suoi preghi porgendo; 

Poi le piaghe, ch’avean rcnduo più fresche. 
Perché vcugauo ai caa più gradite esche. 


Ha per render ai mori! sepoitnra 
Ben la tregua farrm del nono giorno ; 
perchè non sol di noi, ma dritta cura 
E di chi lutti i cieli avvolge ioturno. 

Or secur d' essa nelle patrie mure 
Cimi’ è *1 vostro piacer fate ritorno. 
Riportando a Clodasso c Segurano, 

Come il promelter mio non fu mai vano. 


Ma di qoei, che dei lor per certi segni 
Posson bene afTermar, le gelid* onde 
Della polve e del sangue ai volli pregni 
Con mesto esaminar ciascun infonde ; 

Nè ritrovando! poi, gli accciì sdegni 
Cresco» coiilra il deitin, che gii nasconde, 
E spesso avvien, che io dolorose angosce. 
Mentre ricerca il suo, 1* altrui oonoKe. 


Cosi detto, comanda, eh' ambe duoi 
Aggiano un don di ricca vesta aurata. 
Giunti con tale onore ai signor suoi. 
Poi che fìnita fu l'alta ambaM'iala, 
Diceauo : Schiera di famosi Eroi 
Vedemmo, che dal eie! parva mandata 
Per riformar quaggiù la dritta legge. 
Simile al gran Hulor, che lassù regge. 


E con noie d' amor qiscU' altra chiama, 
E per trarlo di là le porge aita; 
ludi torna a cercar quel, ch’ella brama, 
r.on la dolce compagna insieme ouila; 
lo fui ch’auch'essa miscrella e grama 
Della sua incbicsia pia resti compila ; 

E 'n si fatto cercar quanto sia il giorno, 
Triste voci e sospir s'odono iuUsroo. 


Li coronata di stellanti luci 
Cinaia opposta al fratei pareva Arturo, 
Ove'l rhiarn splendor di tanti duci 
Quasi appresso di quel ti mostra oscuro; 
Gravi, dolci, ridenti avea le loci. 

Il parlar riposato accorto e puro, 

D' un* allcrczaa umil si ben commisto, 
Che d' ogni duro cor farebbe acquisto. 


Ne dell’ oste d' Arturo t cavalieri, 

I duci tutti, c t re con men pietade 
Cerran di riconoscer quei guerrieri 
Ch' han di sangue u valor più degnìtaiie. 
Che fian morti rimasi sui sentieri, 

Cinti d' onor tra 1‘ avversarie spade; 

Ma senxa lagrimar, cou quel dolore. 

Che pon virtù nel generoso amore. 


Benché il sommo lodar del saggio Ideo, 
E del roinpagnu sno, mostrasse il vero; 
Pur d'invMÌiusa doglia riempieo 
Di Clodasso, ch'odia, 1* animo fero; 

Ma con caro sembiante l'ascoudeo. 
Dicendo: Esser non dee, eh’ un lanlu in^ro, 
Così antico e si nobii non insegni 
Di ti gran maiestà costumi degni. 


Quei di preaao maggior fanno in disparte 
Con r insegne portare, e cou gli arnesi, 

E coi trofei. cJi* avean del fero Marie 
Acquistati lontano, o 'n quei paesi ; 
poi da' servi, o cugini, a parte a parte 
Erano in un coudoUi, e in allo appesi. 
Là, dove in sacro loco, e 'u somma cura 
Surgea per loro altera sepoltura; 


Or già fatta gridar per ogni parte 
Tu solenne romor la nuova tregua, 
li timor e '1 furor dell' impio Marie 
D'ogni cor posto in baodo si dilegua ; 

Ma si ripon nel luco, onde sì parte, 

Scuro dolor, che I' uno e 1’ altro adegua, 
Allo lamento, pianto, e discoiiforlo 
Del popol, che giacca tra '1 sangue morto. 


Pur di semplice sasso, che durasse 
Coutr'al tempo vorace qualche giorno; 

Io fiu che dopo alquanto ritrovasse 
Dentro al patrio terreo loco piu adurno ; 
Percliè r alla memoria nou restasse 
In altrui nido al peregrtuu scorno, 

Ma tra i suoi dìmoraudo uu dolce sprono 
Fosse lor di virtù lunga alagtouc. 


Esmn tosto d' Avarco in lunghe schiere 
Le feroreinellr afOitle, e ì vecchi lassi, 

E dove spenti pensan rivedere 

Gli smarriti figliuoli, volgono i passi ; 

E con più leve andar le pie tnogliere 
r.ercan gli sposi lor di vita cassi; 

Ma la parte maggior nel sangue avvolta 
Ila risnmagiii primirra io altra volta. 


Fecesi poi viein profonda fossa. 

Che larghissimo sparlo in giro avea, 

Ove condotte fiir Tiulìoite ossa, 

Che di vita spogliò la sorte rea, 

Dei privati guerricr, ch'ardire e possa, 
Più che seniiu o splendor, chiari (acca ; 
Che ricoperti al fin di sacra terra 
Fur memoria iuimorul dell' aspra guerra. 


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|8!) l’ avarchide 


IJKVIt 


LXXIV 

Perché d' nn montk'el Irvat* in §nÌM 


Poi fatto ivi di Inr «1 altero monte 

Fu dì pielrc fkiritsimr rtrinla. 


Che troppo a chi *1 vedea pietà commnove, 

r.lir non piil#A dal traipo c>»cr ronqni», 


Tutto il ptipol miglior con voglie pronte 

Nr »«nxa alla falira in bas*o fpinla{ 


Nella vicina selva il parto mnovc, 

DrI magitiur roll« in U rima a^d^a. 


E con ferro mortai 1' annosa fronte 

Cit'ovc rad« del »ol la Inre ««tinta 


(Sema temere alriin 1’ ira di Giove) 

Guarda aH'Orra*Ot « d‘Ori«nl« al varco 


Dell'antica ioa quercia a terra getta, 

Scorile non luage a lei «edere Avarro. 


Che noo rolea rarar pioggia o saetta. 

isnii 


LtXV 

Iti il divo ferman eoo 1* altro coro 


Chi dell'eccelso fraisino alle incide 

De* «noi chiari mioialri e «acerdoti, 


(Ond* ombra ti fae^a) 1* aperte braccia; 

Per ((li onorati «pirti di roitoro 


Chi *1 ghiandifero cerro al piè divide 

Porfun colali a Dìo preghi devoti: 


Dalle alinrte radici, c*n batto carcia. 

Noo rivolgere il guardo ai falli loro. 


Quel Tomo abbatte, che coi rami asside 

Che dei «anli preeeUi andaroo voti; 


Sopra ìl vìrin, che di rader minaccia; 

Noo gioftiiia opra in te, ma la pietade, 


Himbomba il botro, e le tne piagge otenre 

Che col tuo gran figlinol n'aprio le atrade* 


Per l'alto «non delle tagliaaU «ore. 

r.tix 


LXXVl 

Al qnal canto divin prcteoli furo. 


Cbt coi medetmi carri indietro apporla, 

In lembiantc lugubre e ’n ve«li nere, 


Ove rooitra il cammìn più aperto calle; 

Pico di celcite >pirlo Ìl «omrou Arturo, 


Cbi per più angotta «Irida attat più corta 

E de* tuoi cavalicr 1* ornale ichiere, 


Il depredato botro ha tu le «palle; 

Che 'n aiicnaio umili»«inio, c 'n rur poro 


Chi traendoi per terra agli altri teoria 

Aiutavan di quei l'alle preghiere; 


Facendo va per l’intricata valle, 

Poi dato ai tntlo fin, largo i* infonde 


Taotu che ‘n breve andar fornito il loco 

Il farooko terreo di «aerate onde. 


Fn nel bitogno pio del sacro foco. 

LXX 


txxvii 

Ma in diverta maniera J' altro lato 


Ove poi con dolio ordine locate 

Fan quei d' Avareo il lor funebre onore | 


Far le frondi, e i gran tronchi In doppi giri, 

Che poi che i cavalicr d’altero «tato 


D’attai tritìi lamenti accompagnate. 

bella torba piw bai«a han tratto foorc, 


In Ira pianti Hnrìttìmi e sospiri 

Dentro alle chin«c mora era portato 


D'anime mìterelle sconsolate. 

Ciascun da* «noi con lagrimoto uoore, 


Che ricordando indarno i suoi martiri, 

E coi più rari pegni in allo loco 


E bramando dì quei 1' afflitta torte, 

Nel sen rìpa«U a pcexioto foco; 


(aio voci di dolor chiamavan morte. 

txxt 


Lxvvm 

Le cnt ceneri appre««o in ricchi vati 


Ma già i raggi aicondea nell’ Oreidenle 

Di fino or fabbricati, o ter*o argento; 


Allora il »o), che la campagna imbruna; 

De«eriUì intorno gli aoimoii ra»t. 


Cosi dentro alle mura amaramente 

Onde In «pirla lur giaceva «pento; 


Nel tiin nido natal torna ciascuna. 

Molti d' eisi in Avarco eran rimati, 


LI sol riman della più ardila gente. 

Cli' ebber di lui vìrioo il reggimento, 


Chi al freddo corto dell'algente luna 

Che «opra alte piramiili locaro. 


Sia fida guardia alle infelici achiere 

Cuntamtfle da poi dal tempo avaro. 


Da' morti ingordi di rapaci fere. 

I.XXH 


txxix 

Gli altri, eh* ebber lonlan la patria tede, 


Gli altri all'albergo vanno, ove riposo 

Con lunga compagnia di fari arcete, 


Agli aflannati corpi intieroe danno, 

(km l'iovcgne acqitiitate, e con le prede 


Poi che fra l' esca e ’l vìn rimase ascoso 

Mandali furo al dolce «no paete, 


Di tulli altri, e di lor l'avuto danno; 

Nelle pie man di chi rhianiato crede. 


Il medesmu ficea col re famoso 

De' «uggetli, di' avra, lo «cettro prete; 


Ugni Gallico dnce, ogni Britanno, 

Con chiaro ambateiador, che ben mo»tra«ie 


Cli'ove manca il rimedio, nn nobii cure. 

Quanto il lur doro ceto al re gravame. 


Il luogo larocDlar tieoe a disoorc. 

ijcaiti 


LXXX 

Iodi lo «tool maggior di quei guerrieri. 


Poi che di nnovo Apollo all' Oriente 

Che tenia nome aver ciiojire il terreno, 


Saettava i bei raggi all* aria intorno, 

Tutto lontan da* pubblici tenlicri, 


Tutto d’ Avarco la dogliosa gente 

Ove piu de' line culli allarga il «eoo, 


Alt' intermesso oprar facci ritorno; 

Sopra poMcoti carri alti detlricri 


Ma tnnaoxì a tatti in vista riverente, 

Traggun ratti rntaiidu, in fio che pieno 


In nicuro, e Ingnbre abito adumu. 

Il veggiao d eoi, e ’o turno la campagna 


Tutto coperto il capo, a lento piede 

Di Unti, cbn o avea, vola ritnagna. 


Giva il gran sacerdote Clitomcdc. 


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L AVARO H IDE 



iija 


t.XXXI 

Nella forma medeima poi «epoia 
Tra mille ravalteri Ìl re Cloda^io» 

Che *1 Uel fregio real ilrpotlo avia, 

E rìpre*u colur doplioto e bai»u; 

Nè lunpe ivi ila lui ilietro venia, 

Palliiia il volto, e di dulreaza rafm>, 

Pur ron retti ueglrlle, e ’oriillo crine. 

La coppia illuftire delle pie re{(ioc. 

I.IXVU 

L'altro popui piò vii mitcliialo intirme 
Seox* ordine servar correva appretsu, 

E '1 gran danno de'suui Mttpira e fteme, 
(ion ramutcrilu in man d' atpro eÌpre»M»; 
Chi 'I frutto acerbi' pianile del tuo seme, 
Chi '1 »uu raro germao, rJii *1 padre itteaso, 
Rttnancudu privato in teneri anni 
Di chi lasso il nutria tra mille aflaoni. 

LXXXIIt 

Le femminelle al Gn d’otcìira torte 
Tra kIì ratremi aepiiian con piti pietade, 
Biasmaado ipes<u il ciel, uun pur la morte, 
E 'I crudo oprar di percf^rine spade. 

Chi del G|:lio si duui, die troppo (brle 
Il cor portava in uou matura clade; 

Chi lo sposo pianpea, eh* a pran peripli 
Non si doveva oppor pensando a' GgU. 

LxxaiT 

L* acerbe virgioelle, die rimase 
Son scnaa madre, e del parente prive, 
PianpoQ, di' al sostener 1' arOitte case 
Nulla verde speranza in esse vive: 

Quella accusa il vìcin, che persuase 
Al fratcl, die pudea 1' ombre native. 

Dì cercar giuvioeUo io poerra fama, 

E crudo c dìslcal pianpeudo il chiama. 

LJIEXV 

Tosto eh' è pianta ai destinalo loogo 
La gran pompa reale, e gli altri poi) 
hi ilìstesero in cerchio all' alto rogo. 

< Osservando i gran re gli ordini suoi) 

E <|iiei, eh' aitliclii di milizia al giogo 
Kitr per somma virtn coi primi croi 
Agguagliati in onur: poi l omil plebe 
Più luoge assiede io fra l' erbose glebe. 

I.1XXVI 

Le due donne reali in altra parte 
Dalle matrone nobili riciole, 

Dei ravalier sedevano in disparte. 

Di corlioa sotti! da quei distinte; 

Le minor di fortuna in basso sparle 
Sedean vicine di dolore avvinte. 

Cunte fu il tutto queto, in alla sede 
Saliti ‘1 gran sacerdote Cblomedc: 

I.XXXTII 

£ con grave mirar l' occhio rivolto, 

Ove il rogo surgea, 6so riguarda ; 

Indi agli ascollalur tornatu il volto, 

Ruppe il sitensio al fm con voce tarda : 

Se quel, ch'ha il sumrao bene io seno accolto, 
K con l'ordine suo spinge e ritarda 
D'ogni cosa il casnniin da lui segnato, 

Jl cui certo voler s'appella Fato; 


UUtXTIil 

Avesse a noi concessa qoesta viU, 

Come agli Angeli suoi, d' eterno corso ; 

E talor conscnlissc, che rapita 
Fosse di morte a alcun dal crudo morso; 
Quel, che men di tatti altri slabiiila 
La grazia avesse del divìo soccorso, 

Ben che ciò eh' al rìel piace sia ragione. 
Pur di alquanto deterse avrìa cagione. 
LlXXll 

Ma et qui ne rìpon con egnal sorte, 

Che dopo un breve andar si torni a lui. 
Quanto è iufelice error pianger la morte 
Di se medesmo misero, e d'altrui! 

E r ore misurar, se luughe o corte 
Sien dì se stesso, o dei ucmici sui! 

Se quai di paglie ardeuti le faville, 

Come si fugge un di, ne fuggoo mille ! 

ac 

Pcrrlic adunque dobbiam con largì piaali 
Di rostor richiamar gli andati passi, 

Ch' ur fra i giusti Minossi, c i Radamaali 
Tosto lutti sarau del mondo lassi F 
A cui lieti narrando i pregi e i vanti 
De' nemici, eh' han qui di vita cassi, 

E eh' alGn per la patria furo uccisi, 

Gli farao cilUdiu de' campi Elisi. 

xci 

Nnn ne debbe doler d* alcuno il Gne 
Ha il modo c 't suo sentiero, onde si parte, 
Rendendo grazie alle virtù divine, 

Cile gli han locati in si onorata parie t 
£ pregar poi, che noi medesmi inchina 
A iur con loda egiul l' invitto Marte, 

E nel nostro passar (com' io confìdo) 

Lieto c 'u pace rimanga il naliu nido. 

SOI 

Il qnal (come ch'a noi nel tempo arvegna) 
{Ch‘ io non so ben ridir qnal io vorrei) 
Veggio, eh' a farlo ampissimo disegna 

II roncilin inunorlal de' nostri Dei t 
E che patria sarà lodata e degna 
Dì molti antichi e nobii Semidei, 

Che di rami verran dell' arbor Franco, 

Poi che quel, che veggiam,sU secco c manco, 
scili 

11 qual certo illustrissimo poi Ga 
In Gn che gli ombrerà la tolta tede 
Nuovo Ironcun, che per rislcssa via 
Sarà degli aurei Gor famoso credei 
Alla cni gran scmciua c larga c pia 
Fia ciascuna virtù, che in aito siede, 

Di cui molli bei germini radici 

III questa terra avranno alme e felici. 

SCiV 

Ma via più di tutte altre, poi che ’l sole. 
Dieci secol rivolti, e dieci Instri, 

Di Francesco priniter reietta |NX>le 
Vedrà qui superar gli antichi illustri 
più di virtù, che di color non suole 
Air apparir del sul rosa i ligasirt; 
li cui nume reai Ga detto Enrico, 

D' ugni raro valor perfetto amtcu ; 


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L AVARCHIDE 




BCT 

Ch* alla «sa reaìiaùma sorella, 

Ch’arri più di virtò, che fiori Aprile, 

Di niirsU alma cilU pradiU e bella 
fie urà dono a tale allesaa amile, 

Perrbè Uula bontà fia pnsU in qnella 
Alma, più eh‘ altra mai, rhiara e gentile, 
di' a pena i^tuolo il ciel vede e rirnopre 
Degno premio saria di sì bell' opre. 

Cll 

£ però, cinti il eur di questa speme, 
Non rontrasliamo al ciel coi nostri pianti ; 
1 quai mal si convengono al gran seme 
(Quale il uostr'è) dei cavalieri erranti; 

£ chi troppo il morir del mondo teme, 

Dì generoso spirto non sì vanti ; 

Ma lassando deir arme il nobil nsi>. 

Spenda gli anni miglior tra l'ago e 1 fuso. 

acri 

Fia ’l chiariuimo nome Margherita, 
Ch’a lei si eonverrà più d'altra mal 
Candida c pura, e 'n qor»la liaisa vita 
Spiegherà più rlie’l sol luridi s ras; 

Del mondo schiva, e *n si bel nudo nnila 
Con r eterno Motor, che gli nman guai 
Nou potrau penetrar la divio* alma, 

Nè dì lor sentirà terrena aalaia. 

CJIt 

Voi miserrlle donue, se piangete, 

De’ sostegni miglior trovarvi prive; 

Gli occhi all' alle regine rivolgete. 

In cui somma pietà per tutte vive. 

Se del lor breve corso vi dolete, 
Ripeusale all' onor deiropre dive. 

Che iu lor riluce, e s' al comprar sia caro 
Per si poca itagion nome ai chiaro. 

XCVII 

Fia maiKlata quaggiù per vivo esempio 
De* suoi saoti tesar dal sommo Giove ; 
Sarà il pudico petto altero Tempio 
Delle tre caste graaie, c delle nove 
Sue dotte figlie, al cui parlare ogni empio 
Cor perderà le scellerate pruove, 
f'.li' ogni desir villaa, che i pravi ingombrai 
Si vedrà dileguar di quella all* ombra* 

CIV 

Gl* innocenti, Ggliuoi, che in teneri anni 
1 dolcissimi padri hanno perduti, 

Trauvan largo il guadagno tra lor danni, 
Srudune al partir d' un mille venali; 

Cll' Avarco intero, e i pubblici suoi scanni 
Abbondar si vedrao uci dolci aiuti; 

Né più largo tess>ro al figlinol, eh' ama, 
Può il buon padre lassar, che illustre fama. 

acriij 

Spiegherà le medesme amiche insegna 
Delta sua famosissima Minerva, 

Come sola di lei, non d' altra, degne 
Nella mortale età dura e proterva, 

Si che r aspra Medusa non si sdegae. 

Che la fronte fatale ad essa serva ; 

£ *1 serpe c ’l fosco augri, eh* Atene onora. 
Con voler della Dea fie» seco ognora. 

cv 

Dato fine al suo dire, iu terra scese 

II sacro Clilomede, c 'n basse noU 
Mormorando tra se tre fari prese 
Dal più vecchio degli altri sacerdote, 

£ ’n Ire parti del rugo il foco accese, 
Delle quai la primiera era a Boote ; 

III vista poi di riverenza piena 
Per tre volte baciò 1’ arida arena. 

acix 

R non senta eagton, perù che ad essa 
La divina icieiixa, ood' ella é madre, 
Come a dolce ina figlia, avrà couerssa, 
Con cortese approvar del soiiiinu padre; 
Da cui vrrran, come da Palla islcssa, 
Pcosier celesti, ed opere leggiadre, 
Senno, grazia, modestia, c carilade, 

£ «|uaale altre virtù sian belle e rade. 

evi 

Già il tenebroso fumo intorno ingombra 
E per torto camniin uell’ aria sale, 

Mrulrc anror di Pirs^M i legni adombra 
Vulcauu iu basso, ch'avvampar non vale; 
Già con fiamitia cresrrutc il nero sgombra, 
£ s* addi izza nel etcì con lucide ale, 

£ di faville ardenti ba larga preda 
Tra le froudi sonanti, eh' eì depreda. 

c 

Dentro all* altero petto umile il core, 
£ ripien di dolcezza avrà la sede, 

Che tutte abbrarrerà ron puro amore 
L' anime afOilte, che Fortuna Cede, 

Solo al vero valor porgendo onore, 

Non al rarco furor d'ingiuste prede; 

£ fia driita dei buon nella sua vita 
Stella, limoD, nocclùero, e calamita. 

CVil 

Quel tre volle accerchiò con larghi giri 
L' ìiirrme popular con ratto piede. 

Il cui SUOI! di lamenti c di sospiri 
Liupiea tutta del Ctrl la prima sede ; 
Ricordando cia»cuo gli aspri martiri, 

Onde al partir de' suoi rimane crede : 
Fauuo armati il medesimo i guerrieri, 

£ 1 duci, e i cavalicr sopra i corsieri. 

ri 

Or qual dunque di noi fortuna awegua 
Non può danno apportar, che a qnesta spuglia; 
Perchè piuma verrà non forse indegna 
Più d’ogn' altra talor, che scriver soglia; 
Ma quando futse pur, la farà degna 
Questa terrena Dea, che ’n carte icioglia 
Il nostro affaticar di lodi carco, 

Tal che mai non morrà 1* antico Avarco. 

eviti 

Chi getta sovra lor Telmo o lo scudo, 
CiT era d' aleno di lor lodata spoglia; 

Chi la spada u lo strai, eh' aguto e crudo 
D' aipra morte al vicin porlo la duglia ; 
Chi '1 suo piu taro arnese, perche ouJo 
Miser noli scenda alla Tai larea soglia ; 

III quoto mezzo 1' mliiiiU trombe 

Fau, che T aria, la teira, e 'I ciel rìuibombe. 


1 3 


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l’ a V a R C II I d e 




I incili tarenJoli ti'JopD* ìnltvno 
D* a»pri |M»rci kctuut tauri, C4Ì^a|itie, 

Tulle d' atro culure Ìl maulu adorno, 
Villime fanno all' infere cani|»afinci 
Alia pallida Dea, ch'ai tris!*» giorno 
Dal MIO icrreslre vcl T alma Mompaf;nr: 
Airiitpurdo riuloQ, che d'ora in ora 
Tulio quel lii’c niurUl, Jag|{iii divora. 

ex 

Toi che fiià anno iiaodii, r l’alu* foco 
r.oti«unialo il fcran rufco in Lauo cade, 
ràaM-tin urdendo nel mcdesiiio loco 
Inponihra tolte a cerchio le contrade: 
nalTrrnaia del cor la dui^lia un poto, 
furiale iulumu fur per varie »lrade. 

Per l'impero del re, vino c vivande, 

Il cui bramato t>di>r dulceaaa spande. 

cxi 

Ivi chi menta avea l’ ignuda terra. 

Poi che d' ugni altro arnrte era privalo: 
Chi 'i forte tendo ino dall' empia guerra 
Ilivitlgea UmIo io più gradilo stato} 

Chi te vicine pietre aggiunte serra, 

E più allo il snu seggio ha fabliricato; 
Altri larghe stendean coi pnipri velli 
Di lori e di luooloo le nuove pelli. 

cxu 

Ma il famoso Clodasso pur vicino 
Sott’ aureo padiglione al luco istesso, 

Ivi spandendo preiioso vino, 
t hiaraa il gran Giove, e gliallri Dei con esso ; 
Al gran llellor dell' infero ctinlìno 
Fece il iiiedrsam riverente appresMs; 

Poi de* gran cavalier la mensa piena 
Realissima feo funebre cena. 


UUII 

Nè 1* onorata Albina c Claodiana 
Le più nobil matrone hanno in dispregio} 
Ma eoo voce doldsaima ed «mana 
Lor rmtresaero al suo sembiante pregio; 
E ciasmna ebbe par, nulla sovrana, 

Delle pie donne ìl bel drappello egregio ; 
('.he ’n tal gniaa mischiata era ogni sede, 
Ch*ivi non apparta la fronte o*l piede. 

cxiv 

Or mentre si pascea di dolci note. 

Più che d'esca, o di vin, reietta schiera; 
Già nascondendo il sol l'aoralc rute, 

Con l'ali nmitle sue venia la sera; 

L' ultime voci allur triste e devote 
Disciuglirndo cissenn, che'nlorno tv' era, 
Disse: O turba onorala, al basso inferno 
Viva del tuo valor il grido eterno. 

cxv 

Cosi d'essi rlascno rilmeva Avarrn, 

E '1 passalo doh^ nel sonno avvolge; 

Il niedesino farea, quantunque carro 
D' alto itnul di pensier, che 'I cove involge, 
il grande Arturo, e come trnovc il varco 
Del disegnato fin seco rivolge; 

Così latto interrotto sì conduce 
Di sonno in sonno all' apparita loce > 

ex VI 

La quale, essendo ancor con l'altre impresa 
Nelle tregue funebri, inturno spende 
A rirercar, se intera ogni difesa 
Sta del suo rampo aoeura; e Fon riprende, 
1.0 scusa appresso, fioi che meglio ha intesa 
La sua ragione; e l'altro al cielo steudr 
Con alle lodi c pregi: e ‘n lai soggiortii 
Tra^iassar della tregua i dati giorni. 


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ABGOif EN TO 

mrntrC- tht im cami^lin ton raccoUt 
/ ffurrrirri d' ^varco, /4rlitro atsah 
La città sparrnlaln. /4ccorron fotti 
Atta difesa i prtnìi, r pupna rf*uote 
Arde fra tot; ma nrt mrrip^r tutti 
Soma ad Artur pii attori^ e tanta r fole 
K ta rotta cAr soffre^ che nrt campo 
Propria ritrosa misrrobit scampo. 


T » 

Il doralo balrott dell' Orirnle 
(poi rhr r eltima trrpaa a Rn vrnia) 

I.a «pota «ii Tilun vaga r riiirntr 
(ìun Ir ro&ale mani al mondo ipria; 

L' impigro Srgnrau ron poca grnir, 

Oii> piu cara e miglior «rrnpre il »«gtna, 
Air albergo reai del tuo C.IimJiuo, 

Pien U' alierò delio, rivolge il passo. 

Il 

Nè mollo dopo lui dei duci elelti 
I.’ altra tebiera onorala arriva insieme, 

K 'n pnbblieo coniiglio »on rislretli 
Sopra il tempo passato, e eli' or gli preme; 
1 i;or vari fra lor fan vari eliciti, 
r.he r un spera tovrrcliio, e Ì‘ altro lerae ; 
Chi Yorria miI guardar la patria terra, 

Chi di iinovo trillar più acerba guerra. 

ni 

Fu il primo a ragionare il re Vagorre, 
Qoal più antico e più degno, e così disse: 
Saggio è il ennsigliator. che sol ricorre 
A queir ultimo Gn, ebe in rur ai lìsse; 
Quel sul rimira, e tutto l'altro abburrc, 
Come al siiu proprio danno cunscntisac ; 

K chi farà in lai guisa, raro Ha, 

Che d* iiicuotrare il ver perda la via. 

rv 

Da poi che volle il riel, che di Clodaaso 
In Bretagna primicr fugato c rollo 
Fu l'oste allor nel periglioso passo 
Per la truppa virtù dì Lanciloito} 

Di qua poscia dal mar di vita casso 
Più d' un suo Ggliu essendo, a lai ridotto 
Fu M Dotiro stalo, che dì tanta guerra 
Ogni apcrania è chiosa in questa terra s 


La qnal mentre sta in pȏ si debbe avere 
Dell' auro rirovrsr strcita fede; 

Che non pnò Iiingamenle sostenere 
Il numero inRnilo io questa sede 
Arturo o Clodoveo, rh’han tante srhìrre 
Di sì varie naiioni, e 'già si vede 
Mancargli alcun, ch'io sovra tatti esalto, 
Come il gran Laneilotlo c Galeallo. 

TI 

Perchè passalo è già più che '1 scst'anno 
Ch' a queste invitte mura sono intorno; 
Tanto rhe stanchi ornai dal lungo afTanuo, 
E dei gran faticar la notte e ’l giorno, 

Si può sperar, che sema nostro danno 
Tosto nel lor terreo facrian ritorno. 

Che non più stìmeran, eh' al tempo addietro, 
1 tentali ripari esser dì vetro ; 

VII 

Pur rhe sensa provar novella sorte, 
Come a nostra rovina spesso avemo, 

Siano uniti i voler, chiose le porle, 

Fui con cura maggior ri guarderemo ; 

E spresaando il rouiur d'invitto e forte 
Che del proprio dever passi 1' estremo, 
Volgerrm sol la cura e la fatica 
A difender di noi U patria anliea. 

vili 

Or sema rirercar più gloria in vano, 

Ma seguendo del ver l’ itiessn Rite, 
Armiam solo al salvar la nostra mano 
Del sacro Avarto il nobile confioe ; 

E poi che 'I gran nemico Ra lontano 
Sovr’ altre region dei suoi vieine, 

Ove non sia dì noi si gran periglio, 

Ne potrà il trmpo dar nuovo consiglio. 

IV 

Qui sì larqne ii btioii vecchio, e sì ripose 
Nel suo seggio reale, onde levosse. 

Al fero SrgHran uuo si nascose, 

Che per lui ralTrenare il re si mosse; 

Pur con voce assai dolce gli rispose, 

E ijiianto orgoglio avea dell'alma scosse, 
Dicendo : Al saggio dir dei re Vagorre 
Non ai poù con ragion levar, iic porre. 

X 

Che senza dubbio avere, luterà apporta 
La salute d'ogn’iiom guardare Avarco, 

A cui basta il tener chiusa la porta, 

£ difender dì Ini l'augusto varco 
Con sollecito studio, e fida scorta, 

£ d' Ugo' altro desire andare (carco; 

E come al segno fa l'accorto arciem. 
Drizzar solo a quel fine ogni pensiero. 


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AVARO II IDE 



Mi qne»lo «1 re Vigorre *ì ron*Ìene, 
Che nrir ultimi etì ^ìì muove il piisOf 
Mi non a Sr^riD, che detto tiene 
Di ii*tirte in onore ogn' nom più Insto, 
E che in quelli sligioo eon gli lani viene, 
Ove il senno t' irrreice, e '1 vilor Usto 
Non è lUI trnipo incor, mi rrgnin I ure, 
In cui più J' ambe due riipleode il Gore. 


Poi noi «ìim liuti duci tntieme e tali. 
Tinti gran eirilier di nome alierò, 
r>h'i Ire volte più srliierc di mortili 
Non ndremrao d* un pié sciurre il tentiero: 
Non fi il nnmero tol le forze egoiH, * 
Non di briRiili palma arreca impero; 

Ma il ftrao senno, il valor, Tardire, e V arte. 
Di cui certo è fra noi più larga parte. 


Io non venni d' Avarro già in aita 
Con tanti cavalier dal regno Iberno; 

Né a r.laudiana mia sempre gradila 
Con bel laceio d' Amor mi cinsi eterno, 
Per menar poi nascoso oscura vita, 

E degli anticbi miei restare scbcrno ; 

I qoai, fossi spreuaodo, argini e muri, 
Sul della spada turo eran sicuri. 


Non sia dal vostro dir dunque oggi tolta, 
Sarratissimo re, la chiara strada 
A cosi gran virtù per voi raccotla 
D* iusangiiinar talor la chiara spada, 

E diradar di quei la schiera folla, 

A Cui il nostro morire e l’onta aggrada ; 
Ma n'aprite il rammin dì gire al cielo, 
Dell’albor cinti del tignor di Deio. 


Senti io primi di me *1 cenere spino 
De’ venti in preda al lempeslosu cielo, 

O da vii foco ruusnmato ed arso 
Da' miei stessi nemici il mortai veto; 
Che d' OQor ricercar mi faccia scarso 
D'altrui ricordo, o dì temenza gielo; 

E ch'io non sta tenuto da ciascuno 
Degno erede fri lur del singue Bruno. 


Dello ch'ebbe coti, t' assise e tacque 
L' invino Iheroo, c sarte Pilamoro, 

Ch'ai Santonico mar non lunge nacque, 
Possente di lerren d* impero, e d' oro. 

Di Closlasio parente, a eoi già spiacque 
Veder le nozze, che concesse foro 
Al fero Segnran dì ('.landiana, 

Cli’rra allor del suo cor doona c sovrana: 


E se 'I suocero mio con tulli voi 
Sol di guardar Avareo avea desirc, 

Nè votea per valor d' alcun de' suoi 
In aicnn tempo mai le porte aprire s 
A che ti lunge in via richiamar noi, 

E tanti cavalier di tanto ardire f 
Perch’ assai men valore, assai men gente 
A difendervi dentro era possente. 


E sposata I' avrebbe, se non fusse 
L* aspra necessità del vecchio padre, 

Che per lei sola Segorano indasie 
Di venirlo a servir con le sue squadre ; 
Or cosi acerbamente a luì perrusse 
Il cor r iovidia, che drli'o<lio i madre. 
Che contri ogni opra sua, contri ogni detto. 
Di nemico ad ognur mostrò 1' effetto. 


Ma per un si gran re non basta solo 
Il suo seggio sovran aver difeso, 

E tarpalo al nemico V ali e '1 volo. 

Che nel vostro terreno avea già preso ; 
Ma quel romor, rhe I' nno e I' altro polo 
Delle vostre vittorie avea compreso. 
Mantener vivo si, che faccia fede, 

Ch' all* estreme giornale anco non cede. 


Siirse donane, e poi disse t lo noo saprei 
Condannar, oeguran, qnel che voi dite ; 
Che'l valore e l’ardir dei sommi Dei 
Grazie son sovra tutte alle c gradile; 

E che sien fra i mortali i Semidei 
Qnei, eh’ ardore onorato all' arme invile, 
Disprezzandn del mondo ogni aspra sorte, 
Per la vita immortai comprar con morte; 


E chi ben peserà con dritta lance, 
Quanto glove il mostrare ardilo il core 
In assedio colai, non fole, o cìance 
Stimerà il nostro andar sovente fuore, 

E le piastre smagliare, e 'I romper lance, 
E 'I tenere i nemici in tal timore, 

Che con sicuro cor goder non ponao 
Il giorno il riposar, la notte il sonno. 


Ma dico ancor, eh' ove 11 bisogno sprona, 
Che si debba temprar 1’ arme e ‘I desio; 
Che divtn l' intelletto il ciel ne dona, 
Perché trrmer possiamo il dritto e *1 rio; 
Nè qoelU opra medesma è sempre buona, 
Nè per nsarla ogn' or l'ha fatta Dio; 

Ha il modo, la cagione, il tempo, e ’l loco 
Dan sede alla virtù tra 'I troppo e*Ì poro. 


Se voi restaste ognor dentro a quei fossi 
E vi mostraste sol sopra le mari ; 

Sarian d'ogni sospetto gli altri scosaì, 
Come i vostri ripien d* ogni paura ; 

Che sempre han da viltà gli spiriti mos4Ì 
(Chi con la pruova assai non gli astìru/a) 
Quri, che vengon novelli alla battaglia, 

Nè san V arme d' altrui quel, eh' ella vaglia. 


Se noi tiam per guardar la patria terra, 
E nuli' altro voler ne preme il core; 
Perche devìam con perigliosa guerra 
Cercare indi acquistar privalo onore T 
£ non aver de' ben, che ’n seo risrrra. 

La dovuta per noi enra e timore. 

Che non vengino in man de' nemici empi 
Le matrone, i figliuoli, e i sacri Tempi f 



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l’ avarciiide 

SET 

Se atimale voi »ol (tt come 4 certo) 
IHiiatritsiiiio e'tiTÌUo ctvaliero, 

Motti «tiri «neon* ed io di qaslehe imerlo 
Kiser crrdian oel pubblìro pcnaiero} 

Ma perchè roooicìam chiaro ed aperto. 
Ove del dritto oprar giace il lentirro, 
Conienti ci cliiamiam, eh* oggi d’ Avarco 
S«)lo ai firiUnoi «' aaoì ai chiugga il varco. 


XXXIl 

Non è semplice onor quel, che mi spinge 
A COSI spesso andar con l’arme fnore) 

Ma il devrr della guerra, che ne stringe 
A (renar dei nemici il gran furore t 
Che di sì fero ardir talor si cinge, 

Che scnxa essergli opposto altro valore 
Di quel, che pon mostrar le chinse spade, 
Mal secure tarien queste contrade. 

XSV1 

Poi, le *i tefnpo darè, volger la meote 
Io acqniilo novrl di aacro alloro, 

Forte non fien le mao più pigre e 
('.he dei grati Seguran, di Palamurn; 

Ma mentre or la pietoia e inferma gente 
Che da noi apera aol pare e naturo 
In guardia avem, aerrìamo ogn' altra cura 
Dentro a queate onorale c aaere mura. 


XtXIII 

E se molti ne son (come voi dite) 

De' nostri cavaiier condotti a morte. 

Non han già più di noi dure le vite 
Gli aspri avversari, eh' all' iitcssa sorte 
Larghe schiere di lur volando gite 
Son per man nostra alle tartaree porle) 
E mentre noi piangiamo i nostri danni. 
Non han cagion di riderne i Britanni, 

ixni 

E non ai faecia in van tante chiare alme 
Di tanti ahi gnerrier ooitri e lontani 
Lasiar per terra le terrene aabne 
D' impuntiimi corvi eira e di cani ; 

Nè col aangiie di lor 1* antiche palme 
Faccian qui rifiorir le votlre mani ; 

R per mofirarvi ardilo alla battaglia, 

Di perder ì miglior poco vi caglia. 


xxsiv 

Nè men gente di lor, nè meno illnslre 
È, da poi rh' io ci son, venula manco ^ 
Nè vide questa terra ima c palustre 
Più il isoslro ancor, che '1 tur valore stanco } 
E s’ ei, chi più d' ogn' altro il nome illustre 
TrarArmorico stuolo, e ’i popol Francis, 
Han Buorie e Tristau, eh' a nullo cede; 
E noi Bronoro il Nero c Palamede, 

xxvm 

Nè date raepiiion, ch'ea«endo liinge 
Dalla voiira reale Iberna sede, 

Mro rh* a noi più virin, tema vi punge 
Ui lor veder degli avversari prede, 

Ma ch'ai nostro desir lutto s’aggiunge 
(jucl che portale in acn, ne faccian fede 
Il lassare ogni gloria, e 'ntender solo, 

(^he non potsan sentir vergogna e duolo. 


XXXV 

Che dall' Ebridi al nido dell* Anrora 
De* suoi chiari trofei colmò le strade; 
Alla cui gran virtù fn dato allora, 
Come si vede ancor, cinger due spade; 
Or mentre tal gnerrier fra noi dimora. 
Chi vorrà contraddir, che le contrade 
Non fien scenre del famoso Avarco, 

E sia d* ogni timor Ctodaaso icarco 7 

XXIX 

Qnaodo udì questo il fero Segnrano, 
Che <r attenderne il fin disposto avia, 
Risponde: Adunque cor tanto inomano, 
Tanto pien di veleno al mondo fia, 

Che pensar debba sol, che per lontano. 
Che dal mio regno proprio A varco sia. 
Poi che venuto soo d’esso in aita. 

Hi possa esser mcn caro, che la vita? 


XXXVI 

Avem poi Marabon della riviera, 

Con Buslarino il grande e Terrigano, 

DrI Fortunato la persona frra, 

Il selvaggio Rossan col pio Fatano, 

E d'altri eguali a lor lodata schiera, 

Che non prexxa il Britanno, o*l Gallicano; 
Tal che a chi teme sol quel che si deve, 
11 nostro gocrreggiar non sxrà greve. 

XXX 

Non l'amor del terrcn, dov* io son nato, 
Piò che la data fè, trova io me loco, 

La qnal dee sol pregiar 1’ nomo onorato, 
£ tati' altro appo lei recarse in gioco } 

Or s' ogn' altro eh' Avarco sia aervato 
Scalda ardente desio, me fa di foco : 

R fico le membra mie trofeo di morte, 
Pria eh' so aoSri vederlo so altra sorte. 


XXXVII 

Così mentre fra lor con aspra lite 
L'un l'altro in duri morsi riprcndea; 
Già le schiere al prim' ordìn riunite 
Arturo inverso Avarco comliireat 
Tal che*n voci tremanti ed impedite 
Anfion pien di tema si vedea 
Arrivato gridar nel regio albergo, 

Che gli armati nemici erano a tergo. 

XXXI 

E •* io non fossi tal, che pnr il sono, 
Nuu ho dentro io Avarco il maggior pegno, 
Che ne possa dal cici ventre in dono, 

Ch’ avanxa ogni tesoro ogni altro regno f 
Potrei por quella cosa io abbandono, 

Ch* ataai più che 1 mio cor gradila tegno 7 
E per cercar, qual dite, gloria vana, 
Lassare in si gran rÌKbio Clandiana 7 


XXX Tilt 

AI cui tristo romor Talto consiglio 
Sema nullo aspettar tosto è disciollo; 

Nè alcun vi fu, eh' al subito periglio 
Di legato Ircmor non fosse avvolto. 

Solo il gran Seguran con chiaro ciglio, 

E più eh' avesse anrnr, con lieto volto 
Disse : Or perdiamo il tempo in nostre ciaoeo 
Mentre i feri avversari opran le lance. 


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IVKIX 

T* imxlri qui drniro arrorin r ««iccin 
Cia»rano al confortar 1 * 0 x 10 c la parr, 
Mrnir^ Arturo là fuori al ano vanla^fiio 
Quanto punir aq>iranHo «prona r lare, 
Lirlu d'aver sì >|ebiie parappto 
Della nn«tra virtù, eh* a lui Mi^piare t 
Non per forza minor, ma per la vuplia 
ri|;ra o^gi in noi, rh* ogni valore spoglia. 

«t. 

Così direndo ancor, ratto s' avventa, 

In giiiu di patine, eh'aU'oTnUra oscura 
Latrare il (ìdo ran non liinge tenia, 

4'lie delle grepce care aggia la cura t 
Trunva il miterti slnol, rbe si «gomenla. 
Voto d'ogni sperar, pien di paura, 

Di veerhierelli infermi e fetnminrlie. 

Che in divoio pregar guarJan le slcile. 

xti 

Poi rivolto ver lui grtdan : Signore, 

Or ne valga il valor, rhe 'o voi si serra, 
SS ehe ne «gimiipre Ìl periglioso orrore 
DeM‘a«pra, e lunga, e tangnioosa guerra. 
H!*pond‘ ri lieto lor; vestile il r<»r« 

Della dolrrrza, ch’ogni duolo atterra, 
Seeiiri ili vedere il mio ritoroii 
Di rirche palme de* nctnici adorno. 

ti.n 

Pregate pure il etri, rlie non si mmiri, 
Pili di quei che si soglia, a noi nemico. 
Né più roiurnla agli avversar» nostri 
Clt’ a noi Forinna il tao voltare amico ; 
Che tatto rendi ró d' ftruue i chiostri. 

Più che fottero ancor nel tempo aotieit, 
Lieti c felici: e di quel sangue molis 
Per molli anni a venir ferUli i colli. 

XMII 

Co^'i direa paitamio, c poscia chiama 
(Cile 'n cimtra gli venia) lirunoro ìl Nero, 
K dire : Or dove è or di tanta fama 
Degli altri eavalier lo stuolo altero? 

Già non deve aspettar chi l'onor brama. 
Ove l'uopo è magginr, d'altnti I impero, 
Ma presentarle lai, che dia cagione 
Più del morso adoprar, che dello sprone. 

ZI.V» 

E*n questa ivi arrivar vede Ctodino, 
Con Rossano e molli altri; e poi fra loro 
Minacrìante splendea di ferro Hno 
Con sembiante onoralo Palamuro; 

Il qual, tosto eh' a lui si f«' vicino. 

Grida: Erco Segnran, ch’io non dimoro 
(Quando il bisogno vico) qual pigro e vile. 
Ma dei miglior guevrier segno lo stile. 

XLT 

Nè fui veduto ancur tornare nn passo 
Cui miei levi cavai per tema alcuna; 

Nè mai di guerreggiar mi vide lasso 
Caldo raggio dì sol, oè algente Inoa; 

Se ben nel ronsigliare Ìl mio Clodassu 
Temo iu servìgio suo l'aspra Fortuna, 
t.k' ornai condotto Fave in grado tale, 
Ch'ugni picciul cader sana mortale. 


' nevi 

Rite il pio Seguran dicendo : Ascoso 
Non m' r I vostro valor. Signor mio caro; 
Or gite rnnaoii col drappcl faraoto 
Dei vostri eavalier d’unure avaro; 

E spuntate al oemiru l'orgoglioso 
Primo furore, e noi farem riparo 
All'altro ti, che si porria pentire 
(Com* altra volta ancor) di troppo ardire. 

I X(.sil 

Cosi parlando, giunse alla gran porta, 
Che va inverso i Uritauiii, e falla aprire ; 
Ivi i duci appellandis gli coiifsirta, 

Che tlimostrin quei di l' antico ardire; 
Manda appresso CliHlìn, poi che la scorta 
Vede di l'alamuru innaoai gire, 

E dietro a lui Yerrallo coi guerrieri, 
Ch'avcao l’arnie più levi fra gli arcieri. 

X2.VIÌI 

Nè da lui lunge ìl fero Palamesle 
Coi suoi tulli tlell' Ebridi era audato, 

Ver Ir radici, dove il culle assieile. 

Che 'I Come scorge al suo sinistro lato ; 

Ed ei col resto (poi ch'ogni allru vede 
Al dovuto caromìu bene inviato) 
f.ol numero maggior il pasto move, 

Ili più aniinusu cur, ch'aveste altrove. 

XLrx 

Già uon mollo lonlan da quelle porte 
11 fero Palainuru, e I suo Verralto, 
r.on Maligante aveanu, e con ilourte 
Principtu dato all' onoralo attallo ; 

E fu i ìocoolru lor Uni' agro e forte, 

Che di cavalli c d'arme il verde smallo 
Si vide ricovrirte, in quella guisa 
Che suol prato il villan dell' erba incisa. 

b 

E perchè a lutti i tuoi davanti giva 
Con lo sruds» alto il eavalier «li Gave, 

Fu dal buon l'aUtnoro, che veniva, 

Era conosciuto, che notizia o* ave ; 

Gli sprona iucoiitra, e fiirìoiu arriva, 

E di colpo il ferì dannoso « grave, 

Che ‘I fataosissiiuo elmo gli percosse 
Si, che fuor del suo loco quasi ìl mosse. 

Il 

Nè di men forra cr’ unpn al sostenerle. 
Che quella del giierrier, eh' ugo' altra passa; 
Ma il destriero avversario nua soITcrse 
Il furur di Booile, «inde «'abbassa 
Si, che convien che Palamor riverse 
Sopra il tcrreii cadendo, e dietro il lassa 
Tra ì cavai, che veitian, ai ch'e' polca 
Levemeute eondurse a morte rea; 

r.H 

Ma Calarte, che 'I segue, e Fcrraodoiie, 
Alla gente, che vìen col ferro in rcaU, 
D'amor carco ciascuu ratto a* oppone 
Si, che poco al varcar gli fu molcata; 
Poscia io nuovo cortier (osto il ripone. 
Perchè '1 vigor del suo tardo ai detU ; 

Poi lutti in un con 1' altra schiera ftrelU 
Sprooan con nuovo ardire alla vendetta. 


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L AVARCHIDE 




Mll 

Djir«llro Ilio anror ran Malìginle 
11 mrUfnnu Verralto fallo «vìa, 

('.h'era »opra un Jettrirm agli allrì aranl« 
Della trhiera d’arnrr, eh* a piè il aegaia } 
E l'uno e r allru ravaliero errante 
Di furia e di b«tntà «ì ben fiorii, 

£ ai pari in tra Inr, eh' wnili in»ieane 
L’ nn eTaltru il terren redrado preme i 

I.X 

Nè il re Lago e Gavni, che 'atomo vanno 
Ai fero Segiirann, e '1 re Bruiioro, 

Kaeean di tur nini saaguÌu<iso daouo, 

Che quelli, e che Clodin farriao de' loro ; 
Prrrbé in fronte a eìaseuu dì pari sLsiiuo 
L* aspro oprt'sso c 'i trionfale alloro ; 

E ruu furia si egnal T iiu T allru preme, 
Ch'ugn'uom sema timor si ciuge speme. 

M» 

E 1*1100 e l’allni nel mrdetmo ponto 
Sriollo dal ino rivallo r Ìii piè tornato ; 
E già col brando in man »' rra ragptiinln, 
Per provar la >u« aorte in «Uro alato; 

Se nuu rhe torlo d' ogni parte è giunto 
Lo ilnol, rhe gli aeguìa, tjMJnlnnqoe armalo 
In diversa maniera, ove si vede 
L*un tu' levi destrieri e l'altro a piede. 

LXI 

Or quanta il sol rotando in alto sale, 
Ch' ancor nou scalda il giovinetto giorno. 
Tenue sempre fra lor Io slato eguale 
Quella Dea, che cangiando gira allumo; 
Ma poi elTal mexiu di spiegando l'ale 
Fa ibvcrsn I Urrsii Febo rituruo. 

Prese la laocc io oiaou, ond' ella suole 
Librando audar quel che in futuro vuole; 

I.V 

Maqiiesto a quel, rhe sprona, aperto il seno 
Mostra, dell ordin ano furniando 1* ali ; 

E come olirà è |>assato, a sriullu freuo 
Driasa intorno di lui gli agiili strali; 

E di molli di <^aci bagna il Icrrenu, 

Pria rhe potersi ai culpi micidiali 
Volgersi iu giro stretto, c *ii breve tpaaio, 
Poi dei saetulur far luogo straaiu. 

IXII 

E le sorti d' Arturo c di Clodasso 
Nelle pendenti sedi riponea ; 
poscia aliandole par, cadere in Lasso 
Chi reggeva i Britanni si scorgea; 
L'altra volger in au Tallero passo, 

Che allur quella d'Avarcu sustcnea; 

Tal che seiilenaa die’, che iu essa guerra 
Quelli andassero al cici, questi sotterra. 

tvi 

Or già eoli Palamrde ii buon TrisUno, 
Con più grave battaglia si rilruova ; 

Piede a piede bau eoogiiinto, c mano a mano, 
£ snido a scudo, con mirabii priiova; 
Spinge forte ciascun, ma spiuge in vano, 
Clic nrssuo è di lor, che 'ndielro muova ; 
Ma spesso questo o quel d' agule spade, 

£ chi d' aste percosso, a terra cade. 

1.1111 

E eoo aperti segni dimostrasse. 

Che in iia mowenlo solo intorno il cielo 
S* empieo d' oscure nubi, e *n lui lurboue 
La froule chiara del signor dì Uelu; 

Tre volle sotto ì piè miigseodo scusse 
La terra in giro il suo froiiduso velo ; 

Tal di timore empicudo quei d' Arturo, 
Che ucssuii della morte iva securo. 

tni 

Nè prima è morto l’tin, ch'ai proprio loco 
Chi si troova vicin, Torma ristampa, 

£ *J terso e *1 quarto poi ; sì grave il foco 
Deirunore e dell' ira i cori avvampa; 
Ciascuno il ano morir si prende in gioco, 
£ par mosso a pietà dì chi ne scampa ; 

Nè si sente ivi voce di dolore, 

Ma d* altere minacce e di foroire. 

LXIV 

E *1 re medesmo il primo sbigolUtu 
(Seiiia inlciider di che) quasi fuggìa ; 
Tristan {rh' è lioppo a dir| sembra smarrito 
Nè del suo gran valor Iruova la via ; 
Boorle e Maliganle in altro Ilio 
Sommersi itau dalla temcnia ria; 

11 popui (ugge lutto, e non s'arresta. 
Come suole .Vlcioo T atra tempesta. 

tVIII 

Ma il famoso Tristan in quella parte, 
Come leoD famelico, s'avventa; 

A questo il braccio, a quel la fronte parte, 
E chi non può ferir, limge spaventa; 
Ovunque «i si rivolga spira Marte, 

£d ha già tanta genie intorno tpenla, 

Ch' a* suoi colpi mortali è fatta iiicude, 
Che 1 gir piu innanti a se medesmo chiude. 

LXV 

Solo il biiou re deli' Orcadi rìmaio 
Era senza fuggir tra quelle schiere ; 
Prrrbc Forali per suo maligno caso 
Cou lo strale il corsier gli fé* cadere, 
r.b'ove allarga la froule sopra il naso. 
Benché possa gran colpo susteuere, 

11 feri si, che morto cade a terra, 

E '1 suo verchiu signor sotto si serra : 

LIX 

Nè nirn dall’altra parte Palamede 
Sopra ì Franrlii e i Britanni era feroce. 
Che larghissime d' essi manda prede 
Al gran Nocrider della Tartarea foce; 
Nè di ardente valore al Gallo cede. 

Nè dì lui men tra gli avversari nuoce ; 
Ma sì beu opra anch’ei T altera spada, 
(/he di morii copria l' ìslcsia strada. 

r.vvi 

E restava li ancisu o prigioniero, 

Perchè di Segurau la schiera arriva; 

Ma il suo chiaro 0«H>rle in alto fera 
Chiama allanicnle sì, ch'ogn’uonio udivat 
Chi porla in petto cuor di cavaliere, 

E eli abbia di disuor T auìma schiva, 
Veglia a scampar dal!' avversarie squadre 
Del studio militar Tautico padic. 


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l’ avarchide 



LXYII 

LZZIV 

Tornale indietro, o cliiaro Haltganle, 

Nè con forza minor da lui riceve 

Ch* na ȓ onoralo re non f(inn|ta a morlet 

Aspro c duro ferir, ma nello scodo. 

Senza toerorso arrre, ajcli orchi tonante 

Cb' oltre avria trapassato, io modo è greve, 

0* un f:iierrter, come eoi, famoto e fortef 

Se r omero di quel trovavi ignudo. 

E che del oomc pio fo fcntpre amante, 

L*noo e l'altro cavai veloce e leve. 

E per ooel mantener «prezza opni aorte ; 

Qual saettalo lUral da braccio rrudo. 

Che pno dora arveoir ai come moitra 

Già scorso è innanzi, mentre vanno io alto 

la mille re^ion la gloria voalra. 

D'ambe Taste 1 Ironcon rotti all’ assalto. 

ijirtii 

tziv 

Così dieea Boorte, ma sorpreso 

Non poason ritentar battaglia nnova, 

0i ai o scoro timore era il buon dnee. 

Nè rivolger indietro i lor destrieri. 

Che senza il ano ricurdo avere inteso, 

Che ciasctino intricato sì ritniova 

Verso il vallo del rampo ai condurr | 

Tra i pedon, che scgusano, c ì cavalieri; 

Ood* ci soletto il ratto corso ha aleso 

\'a innanzi Segurao facendo pruova 

Nei aoo soccorso : c qoal amica loce, 

In Ira i miglior dell* Orcadi guerrieri, 

DaHe tenebre oscure ond' è sepolto. 

S* ei pnlesssc arrivar il buon re Lago, 

Con la presenza sol l’ ba lutto sciolto. 

Ma piò d' ooor, clic di aua morte vago ; 

ZZIZ 

LZXVI 

£ 'a dolce ragioaar direva : Tema 

Che sovra ogo* altra palma avria gradila 

Noo stringa ai gran rellor del freddo silOf 

Il poter lui menar secu in Avarco, 

Che la aeroiea forza Ìl vtoca o prema. 

Che gli parria d'aver la strada trita 

Ove Boorte suo ooo sia impedito] 

Per far Cludasso d'ogui affanno scarto; 

Ch'o r arrompagtierà nell* ora estrema, 

Ma la speranza sua venne fallila 

O il trarri scarto di salate al lilo, 

Dal fero LìuncI, che chiude il varco 

E *B lai parole del destriero scende. 

Al SDO correr veloce, e'ocoolra sprona. 

E con le braeda poi nel mezzo il prende: 

E col brando fatai 1' elmo gl' ioluona. 

LBZ 

LZXTIi 

E del morto cavai disotto il lira, 

Sì che forza gli fu fermare il pas-^o, 

B sopra no altro il poo, eh* ivi ha de* suoi; 

E risponder a luì, eh' ancor seguia; 

Nè beo fermo era ancor, quando rimira 

£ la secuuda rulla scende io basso 

Larga sclitera venir sopra ambe dnui; 

L'islesso colpo alla medesma via: 

Punsi dietro ìl gran vecchio, e si rigira 

£ del suo gran valor restato casso 

Verso i nemici, ed a lui dire » Voi 

Forte che il fero Iberno ne uria. 

Nobilissimo re, tomaie >1 passo, 

Se non che 1 raddoppiar eh’ ultimo veune, 

Dal passato cader percosso e lasso, 

Con lo scudo dal capo allo sostcnue. 

tZBI 

Lztvm 

Verso il campo de* nostri, e non vogliate 

Allor, come leoo, ch'ai loro c presso, 

la periglio maggior di nuovo eoirare. 

Onde spera sbramar la fame acerba. 

Che'l valor primo, e la presente date 

Che 'mfiediio dal can si volge ad ea*u, 

Vi pon giuria apportar, noo che scusare; 

E 'u lui la cruda voglia disacerba. 

E vedete in ver noi le stelle irate 

Che col inurso e coni 'unghia il tiene oppresso, 

Tome la virlè aoliea e mioarriaret 

Hivertalo aspramente sopra l’erba; 

Che a piò giovin di voi, di più vigore. 

Hivollo a Lionel l'omcr gli fere. 

Di divina temenza haa pieno il core; 

E '1 destro braccio a terra tea cadere, 

LXXll 

taxix 

Nè vogliate ai aeniici eterna gioia 

Se non era lì forte il fiuo acciaro. 

Dar con vostro gran danno, o vostra morte, 

Che la spalla io quel loco’ a guardia aveva. 

Ed a noi, qnanti armo, estrema onta, 

Ch'ali' andar molto addentro fe* riparo ; 

Pio eh' altra, ch* avvenir mai possa sorte; 

Ma eoo tanto furor la spada aggreva. 

Ma «il giovine sinol, che viva, o smiuia, 

Che per 1' aspro dulor, cb ci sente amaro, 

Par, ch'ai pubblico ben non molto imporle, 

Va in basso il braccio, e lardi si rileva, 

Lassate priiova far s'ogsì il tiri viiule 

Si cii'avea Segiiran comuda sorte 

Far, che questo ne sia V ultimo sole. 

Di poterlo condurre in breve a morte ; 

tXXIII 

zazz 

E *a lai modo pregando, rimontato. 

Ma il engìo ino Bsven, eh’ era vicino, 

(Che nuova asta e cavai gli diè Gaveno) 

(Come madre al figliuoli subito accorre; 

Ove sten Srgiirao s* è rivoltalo, 

E tal 1 altro feri, cb' a capo chino 

Che d'aver quei grao re di speme è pieno; 

Restar ìl fa senza lo spirto accorre; 

Con la landa rincontra, e 1 destro lato. 

Or Liuuc, bismandu il suo destino. 

Ove scodo ooo è percuote a pieno 

E ludandu ìl guerricr, che Usi soccorre. 

Si, che sentir polca che la percossa 

Già riprende vigore, e '1 braccio alzaodo 

Uscia da cavalicr di estrema possa. 

Può, come fesse osai, stringere il brando. 


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L ÀVARCHIDE 




UIXXI 

B T> inrer Sc|cnraa, che tveflìalo 
Dal colpOf eh' al dormir 1' ha prranaao, 
Contr’eui aprona dì fnrorc armalo, 

E di ver|(Opoa pìcn del darò eaao, 

Tal eh’ o di ac adcmpica T oltimo fato, 
O di lor vineiior aarìa rimaao« 

Se dal popoi auo proprio iri roodoUo 
Noo foaae il peaaàcr auo alato inlcrrolto} 


tixirtii 

Il nuai eolie alla cima della tcala, 

£ ‘b no virtù al rollo la diviac: 

CoM tra i due fuerricri in terra reala 
Chi aovra il ano potere olirà ai mite. 
Di aangiie e di cervei la aopravveila 
Tulta, e Telmo dipinto io Iriate gniae ; 
E con T arme tonando ani aentiero, 
l«aaaù voto di ae T alto eoraìvro* 


Mani 

Che ai ratta venta la achicra Iberna 
Dietro al duce magnior vìtlorioto. 

Che non par, che dagli altri i auoi diarerna, 
Fermando T occhio aol nel loco odittao ; 

10 guita d'Aquiloo quando piò verna. 

Poi che *1 mondo imbruni T Auatm ^iovoao. 
Che lui acaceiandu, e T adre nubi intorno, 
Rende in aapro aolEar la luce al giorno. 

tassili 

E coli qnclla urtando ini Iraaporla, 

E coi nemici iniieme innansì apiuge, 

Ov' altamente della gente morta 

11 trrreno arenoao ai dipinge; 

E neaaun più rilien, nettun conforta 

I Franchi aflliili, anzi ciaaeun a* accinge 
Spaventato dal cielo al ratto cono, 

RcIT aperto fuggir largando il mono. 

UXSIV 

Ma il famoao Boorte, che lontano 
Fu dai molli avveraarì ritenuto 
Dell' orme leguitar di Segurano 
E di dar al buon re più largo aiuto. 

Opra al fin ai con la poaaente mano, 

Ch' al loco, oode partitae, rivenuto, 

II Iruova ancor, che arila airetia calca 
11 penaier dall’ oprar molto diffalca. 

LISSV 

E quantunque Baveoo c Lionello, 

E molli altri gucrricr gli lieno a lato, 
Noi poaaun ben dal popolo rubellu 
i^ndur fra loro in piò licuro alato; 

Ma gli va interrompendo or questo or quello, 
Ch' or scampa, or cade, come apporta il fato, 
£ trrrala gli han ai ciaacnna via. 

Clic di scoria maggior meatierv avia. 

LXSXVI 

Cosi convien, che la seconda volta 
Gli aia lalule il cavalier dì Gave; 

Il quale aprendo ornai la gente folta 
Col brando mieidial, che gli era chiave. 
Diceva altero, ove T Iberno ascolta t 
Nuo potrà aovra noi rovina grave 
Cader, fauioM> re piò d* altro degno. 
Mentre ciac questa man vi fia aoategoo. 

LSSSVtl 

Ah, disse Seguran, non sarà forse 
Si ver, come peniate, il voitro dire, 

E tosto si vedrà se 'I ciel vi porne 
Assai piò del poter largo T ardire. 

Cosi parlando e minacciando corse, 

Ove il chiaro gnerrier vedea venire; 

Ma condnasc io fra lor auo fato reo 
11 figliisol di Tersile Eoiopco t 


LSKSIX 

Allor verso T Iberno si ristringe, 

Ove ti suo caro amico era cadalo 
Il fer Boorte, e con tal forza spinge, 

Cbe polca vrudirare il danno avolo ; 

Ma mentre eh* alT uiu-ar presto s' accinge, 
Dal fuggitivo stuol vede abballnlo 
Il bel disegno suo dell’ aspra guerra. 

Che '1 toglie a Segurano, e 'otorno i laerra; 

se 

PerclTogni cavalìero, ogni altro a piede, 
Che dasanli di lui fone, o dal lato, 

Cinto d’alto timore indietro riede 
Senz’ordine servare spaventato; 

Non meu che Tiiomo, a cui non Inogrfiede 
Folgore ardente, che io dnbbioso stato 
Si trova il cor, se resti morto o vivo, 

Di senso e di ragion lorbalo e privo, 

SCI 

E con T Orrado insieme indi il trasporta, 
Non ascoltando sua, uè d’altro duce 
Minaccia acerba, o detto, che I conforta 
Air accesa servar d’ oiior la luce; 

Ma senza orecchia, o lìngua ha sola scorta 
Il timor disusalo, che ’l conduce: 

E come aspro torrente arbori e legni, 
Traggc a fòru con lui questi piò degni. 

srii 

Qual mansnrto btsc, eh* al raldo giorno 
Con l'aratro il terreo qoielo fende. 

Che sentendoti agli occhi andare iotorou 
Il violento aastlo, che l' offende, 

L* usala ubbediroza prende a scorno, 

£ '1 bifoli'o obliando, il corso stende, 

E con ratto furor dopo le spalle 
Il gran monte ai lascia, e T ampia valle; 

scili 

Tal faceanu i Britanni, i Galli e i Franchi 
Di celeste Iremur percossi io seno. 

Le labbia e ì volti aiulorilì o bianchi, 

Dei maggiori sprezzando il giusln freno. 
Or poi che fur di richiamarli stanchi, 

E che ’i ratto fuggir non venia meno, 
Ragionava a Boorte il buon re Lago : 
lo del voler di Dio, figlio, m' appago ; 

s^ir 

E ben folle saria, chi contrastare 
Con suo danno e disnor volesse a lui; 
Oggi vuole ai nemici il pregio dare. 

Che darà forse io qualche giorno a nui ; 
Cediamo al tempo, rhe oc può ifnr/are, 

E per or segnitiam gli orrori altrui; 

£ sol riguardo aviam, die questo male 
Mal curato per noi non sia mortale. 


*4 


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L A V \ R C H l D E 


u>x 


ICV 

Disse Boorte allor; Padre famoso, 

Ben vr;>gio il vostro dir verace e chiaro; 
Ma troppo al core io arme valoroso 
Sembra il fugfiir più che *1 morire amaro; 
Lhe diri Seguraa vìiturioso. 

Che d'ogni DHitro biasmo è fallo avaro? 
Come dolce gli sia di piiler «lire. 

Anco il nostro Boorte fei fuggire ! 

CU 

Ma poi eh' altro non pnù, tolto sosliene 
De' nemici il fnror, mentre ogni schiera 
Ad una ad ooa in sicttrlà perviene. 

Invidia avendo a chi v'andò primiera; 
Lionello e Baven, che seco vieoe, 

Oprano ancor eoo lui, die poca pera 
Della genie scacciala; e i-ol piè fermo, 

E eoo r armala man le fanno scbcraio. 

XCVI 

Allora il saggio re gli rispondea: 

Se '1 fero Seguran di questo vanto 
Si vorrà ornar con la meniogoa rea, 
Non li sarà credulo tanlo o quanto 
Da quella grande schiera, eh* io vedea 
L’altr’ier vrrsarse in lamentcvul pianto. 
Di donne e di donielte, che per voi 
E'seaja sposi, figli c fratei tuoi. 

CUI 

Così qnesLì famosi cavaUers, 

1 Quai qiiallru ferocissimi molossi 

Ivi appariao, che serrino i senlicri 
A* lupi io tra le gregge a ferir mossi; 
Ch'or van mordendo inuanii arditi e feri, 
Or di lor seegiu, c di potere scossi 
Tornansi indietro, c fanuo alti romiKÌ, 
Bisvegliaodo i vicini, e i lor pastori. 

XCVtl 

E cosi ragionando, il piè ritira 
L* tino e r altro dei due con gli altri insieme 
Verso i fossi del campo, e non rimira 
Chi di dietro il cammìn correndo preme; 
Ivi la turba rigida, ch'aspira 
Alla morte di quei, d' iiilurno freme, 

E con aste lonlao, dardi e saette 
Fan dei passati lor larghe veudetle. 

ctv 

Ma il erodo Seguran chiamando i snoi. 
Quanto po«i maggiormente, tnloroo suona; 
Graditi miei guerrieri, c sacri eroi, 

Non perdiamo il favor, che '1 del oc dona; 
Or non sentile, or non vedete voi, 

Come all' aspra Fortuna s’ abbandona 
Ogni duce miglior, eh' hanno i nemici, 
Coiilr' all’ arme d' Avarco viodtrics ? 

levili 

Ma il fero Seguran chiamando grida: 
Dunque fuggite voi, chiaro Boorte ? 

Ov'é l'alto valor, ch'oggi s'annida 
Dentro I' animo vostro altero c forte ? , 

£ perchè, come suole, or non si fida 
Nell’arme, che gli fur sì amiche scorte 
In tanti luoghi già? pcrch'or s'addonue, 
E d' un sol Seguran paventa romic? 

«V 

Or non lasciamo indarno trapassare 
La bella occasion, che'l cria ne ososlra ; 
Che non seuliam eoo danno poi bìasnsare 
Il voler lento, e la pigrezza nostra ; 

Leve ed agevol sìa d' olirà varcare, 

Se vorrete spiegar la virtù vostra. 

Quei fossi angusti, c mal difese valli 
Ai nostri vcltKÌssimi cavalli. 

XCIX 

Quando il gucrrier di Gave ode il parlare 
Dell' tirgoglioio Iberno, muur di duolo, 

K '1 cavai gira indietro, e vuol tornare ; 
Ha il Iraporta (mal grado) il folto stuolo' 
Tre volte tenta in van quella sforzare, 

E Ire volte da lui gli è tolto il volo ; 

E condotto è nel fio dall' altrui possa. 
Ove il campo cingea Fui lima fossa. 

C.VI 

Or è il tempo a mostrar ebe desiale 
Sovra ogni regno nmaoo eterna giuria. 
Che la patria v* è cara, e d'essa amate 
Libertà, sicurtà, pare, c mrmoria; 

£ cinto latto di gran palme ancate 
Il fabbricarvi un tempio alla Vittoria, 
Ove si leggan poi mille e mill'anni 
I larghi nuslri onori, e gli altrui danni. 

c 

Ivi d'alto timor venia ricinla 
La tarma dii cavai tutta fuggra«Ìo, 
Ch'altrui sospinge, ed è d' allrni sospinta, 
Con ordine intricalo, e suono orrendo; 
Dirlru a lei ralla virn di doglia avvinta 
1/ altra gente pedestre ; e augusta ciseodo, 
La porla, ch'ai fuggir Cacca Ir strade, 
L'un sopr' all* altro rivers^o caile. 

CVII 

Ha duro è 1* indugiar, che 1 tempo vola, 
Ch* a lor toglie il timore, a noi la speme; 
Ch' un volger d' ucdiio, una parola sola 
Spesso quello assicura, c questa preme; 
La Fortuna si cangia, e '1 cielo invola 
Sovente il frutto, onde fu amico al seme; 
Che 1' una c 1 altro contr' a quei si sdegna, 
Nel cui gclalu cur UrtUoza regna. 

et 

Li diniora Boarie, che riliova 
Non liingc a lei rArmuriru Tristano, 

I hr di fargli voltar fare uguì pruuva; 

Ma tatto il sua sforzar ritorna vano; 
l-lic ’l coiiforlare, o minacciar non giova, 
Nè Toprar verso lei cruda la luauo ; 

Mie si cieco è*l timor eh* a certa morte 
Vuoi più tosto rader, eh' a dubbia sorte. 

cvm 

Poi volto al suo dcsirier, diceTa : Etone, 
Sopra cui laute spoglie riportai, 

Or di mostrar fierezza hai beo cagione, 

Se per altra stagìon F avesti mai; 

Non aspettar puntura di mio sprone, 

E sulo il coufurlar tì muova assai ; 

E non li supravvegna aspro letargo, 

Come veuue FalUr icr, lassol a Poslargo ; 


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l’ avarchide 

K] 

CIV 

Il qnal per giusta pena ho ginrjmcnio 
Non cinger d' arme al termine d' no mese, 
Ma di lassarlo star tra'l vile armento. 
Cinto d abbietta corda, in ruzzo arnese; 

E di dare e te il pregio oggi consento 
Di quanti uscir del Belieo paese, 

Di destrcua, d'ardir, d* arte, e di possa, 
S* ultra mi porterai di quella fossa. 

ex 

£ da poi che qui avem compilo e violo 
Qnesto giorno fatai (ti com' io spero) 
Sempre di cullo fien li vedrai eiuto 
L' albergo chiaro, e '1 tuo presepio altero ; 
Ove in vago lavur sarò dipinto 
Il tuo sommo valor, degno d'impero 
Sopra quanti ha destrieri in altra parte, 
Né a’ opporrà al mio dire Apollo o Marie, 


VI 

Cosi dicendo, il drizza al destro lato 
Del fosso, ch'alia porla era vicino, 
Loulaou alqnanto, ove Tristano armato 
Difeso a suo poter tiene il eonSno ; 

Il Ter cavai, come se fosse alato, 

Coo acceso desio prende il cammino, 

E quanti incontra nella turba slrella. 
L'un sovra 1’ altro riversati getta. 

Xil 

Ivi no monte mischiato si vedia 
Di cavai traversali, e gente a piede; 

Chi già mortu era ìn tutto, c ehi langnia, 
Chi si lassa oppressar, chi cangia sede ; 
Quel chiama aita, c qnel la bocca apria, 
Ma lo spirilo fral Tana non Sede; 
L'altro miglior, quantunque steso a terra, 
Ancor muove la spada, e spira a guerra. 



CANTO XIII 



ARGOMENTO 

asta i7 fasto /* audace Segurano 
Sirnge portando entro il nemico falla : 
Si fan contro Boorte^ /4rtar^ Tristano, 

E torna orrido aliar di Marte il ballo. 
Scorre la Parca ria : furare intano 
Mesce e confonde cavalier, cavallo; 

Si ritira Trittan, pari a Itone ; 

Al sangue e alf ire fin la notte pone. 


L I . . * 

aminolo TrìiUaf dove più vede 
De* looi cb* oppreMÌ wn grave il periglio, 
Con qnei ebe ’olorno aveva, ivi provvede, 
£ lien pronU la man, rocchio e*l coniiglio: 
Talor loipinge innanzi, e talor cede, 

Poi che *1 brando dei lor fece vermiglio; 
E lauto oprando va, eh* a poco a poco, 
Ove leeori lìrn gli acorge al loco. ' 

II 

E ben eh* aggia Baven, benché Boorle, 
£ molli allri famoit cavalieri, 

Nuo poò impedir, che per 1* iileise porle. 
Onde cDtravan foggeodo • lOoi gnmieri, 


Molti con lor delle nemiche tcfirle 
Atpramealc raiichiali, arditi c feri 
Non gli legoiiie dentro, e tali e tanti. 
Che polcauu addoppiar gli aadali piauli. 

Ili 

Ma il fero Segnran, che allor li idegna 
Dì stampar il leotier per molli aperto, 

In man prendendo nna purpurea iiisegua, 
Sprona Elon nel cammin più stretto ed erto: 
Pana il fusto d' un salto, e l'argìu segna 
Ove dal chiuso vallo k più coperto. 

Ma eoo l'urlo anedestnu il getta a terra, 
£ s'arma sol cooUa infiuili a guerra. 

VI 

Nel cui primo apparir non atlrimcnlc 
Fugge il Britanno popol da quri lato, 

('.he soul la greggia vii, che vede e sente 
Nella mandra arrivar lupo affamato : 

E'I grande Iberno dì destre ardente 
D'adempir di co«tor l'ullimo fato, 

(jtunlo più saldo può, fra loro sprona, 

E con gravi mioaacc allo ragioua : 

V 

Or tornatesi iadielro o fesotniacUc 
A ritrovar per voi piu degno loco 
Dì U dal mare, uve I' amiche stelle 
V inchinano alUamore, a 1' ozio, al gioco; 
Ed a noi d'ogni pace alme rubelle 
Lassate in preda gir dì Marte il fuco, 
t'.he iic scalda di e uottc, e ne sospìnge, 
Ove largo il lerren di voi si pinge. 


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f-l 1 I 

T — 1 

l ’ AVARCHIDE 

Chi v' b« caiuIdUo, o popolo infriiro, 
Senxa «ver m«i d'Avareo «voto offese, 
Nella sua strana Gallira pendice 
Lassando, o stollo ! il bel nalio paese 
A eeriis»!nia morte, ove non lire 
Mai de' vostri sperar nnove difese ? 

E eootro alle noitr'armi, (vili, opporvi, 
Per esca rimaner tra cani e corvi? 


XI It 

E non tanto però, che come intero 
Non pii serviste ancora in quella guerra ; 
Ma uon senza vendetta il colpo fero 
Offese Seguran, che '1 brando serra 
Sopra r ornalo suo rapo cimiero 
E qoanlo ne trovò fa gire a terra, 

Che fur duo' terzi almen, 1' altro rimalo 
A gran pena scampò dal doro caso. 

VII 

Duoimi certo di voi (che non lonlano 
È da* vostri ronfiai il lilo lberno| 

Q«i veder per desio (rapile e vano 
Condur miseramente in pianto e scherno : 
Sepoeodo lai, di' olirà lo stato amano 
Rirerrando fra noi lo scettro elerno, 

Tien la riira di voi, rhe si terna 
Dell'armento più vii, ch'ai mondo sia. 


XIV 

Già l'un e l'altro al seguitar s* appresta 
Ed era sanguinosa la battaglia ; 

Ma la turba d' Avarco vico molesta, 

E fa, che *1 faticar poco gli vaglia. 

Che la spada d* entrambi a ferir presta 
Fa, che in alto vibrando indarno taglia ; 
Che come furiando entrò fra loro, 

D'assai spazio lontan divisi foro. 

•vm 

E così rapionando, con ta spada 
Non epiiale al suo dir mostra pietate; 
r.he quanto può, di morii empie la strada, 
K r arene ha per tallo insanpiiiaatr: 

Non si triinva più alcun, che innanzi vada, 
K pia talli han le (oste abbandonate, 

(•he ciiiprvan la parte verso Avarco, 

Si rhe aperto riman del campo il varco. 


XV 

Il meiicsmo a Boorte era avvconlo 
Col fer Bmnoro, rhe ferito «via. 

E dal destro bracrìal tutto abballuto 
Il ccrHiio suo, che *1 gomito copria ; 
Ed ei dsir altro in fronte ricevuto 
Sopra il fori* rimo egiial percossa ria. 
Si che non polca dir d' avere offeso 
Chi ben suo dritto non area difeso. 

IX 

Se non che il buon Trislan pare e Boorte, 
Con quei pochi puerrìrr, che seco stanno. 
Dal Tuppirsi ciascun, dal sonar morie, 
Senton vicino il cominciato danno t 
r.unscpnalc a Baven le chiuse porte. 

Come aquila e («Icoa, volando vanno, 

Cui l'orecchia iulooò dc'fipli il grido 
Per la serpe mortai, ch'aualla il nido. 


XVI 

Ma parimente • lor fa Iona allora 
Di Ussarse portar dal corso altrui. 

Che in tal modo rinforza in poco d’ ora. 
Che con gran faticar poono «mbrdni 
Salvar rislcssa vita, ed uscir fnora 
Del po|K}l fòlio, e degl! artigli sui. 

Che l'era ai buon gueirieri in gnisa avvolto, 
Cb'opoi chiaro valor rtman sepolto. 

X 

Nè molto andati soo Ira'] popol loro, 
Che temendo (oppia, eh' han rilrovato 
Il (ero Sepnran, che pii Bnsnoro, 

Ma per altro rammin, si trova a lato; 
E gran nnmern ancor sepne costoro 
Del drappel de* migliori, e più pregiato ; 
Ma tutti all' arrivar di questi dooi 
Pongon (reno al furor dei pasai soni. 


Or qnci, come leon, che 'atomo ciati 
Si ritroorin tra reti c cacciatori. 

Ove soverchio ardir gli avra sospinti 
Per lunga fame, che del bosco fuori 
Bramosi trasse a nuova preda accinti, 
Senza curar per lei cani o pastori, 

Il gran numer de* qua! cresciuto troppo 
Ila il primo disegnar renduio zoppo, 

* XI 

Tristano a Seguran fa greve intoppo, 
Che col prave corsiero il petto trova 
Del forte Eton, sì che gli parve troppo; 
E per la forza inosilata e nova 
Courieo, che arresti, e dia fine al galoppo, 
A cni r esser armato molto giova ; 

Che s‘ aresse scampalo la caduta, 

Non rimaaca secar d'aspra (ernia. 


XVIII 

Tal che posto sn disparte ogni altra voglia 
Solo allo scampo suo volgon la mente; 

E dove men la turba si rarroglia, 
Addrizzan quanto pon 1' artiglio e '1 dente; 
E mentre questo e quel la vita spoglia, 
Con orrendo furor fra gente e gente, 

Già vinto in parte il cominciato assalto, 
Quanti iu giro han lacciuoi passan d'un salto. 

Xtl 

Or restali ambedue nel mezzo corso, 
Senza crollarvc pur, ferman le piante; 

Poi *1 famoso Trislan, qual ferito orso, 
Che il doro percussor si vepgia innante, 
Svegliando il suo con doro sprone c morto, 
Al fcr d' Ibernia cavaliero errante 
Trovò lo snido in ai mirabil forza. 

Che '1 fende in mezzo, come frale scorza. 


XIX 

Così il chiaro Trislan, così Boorte, 

Che troppa a forza umana Irovan possa. 
Già temendo de* suoi l'ultima sorte. 
Poiché i nemici lor varcan la fossa, 

D' indi ritrarre il piè cercan le porle, 

Già d* ogni altro sperar la mente scosta; 
E congionti ambedue, per altro verso 
Del popol, che venia, vanno a traverso. 


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L AVARCHIDE 



XX 

E Unti ckllo stoolo » morie dannOf 
Che noi poma conUr nwe terrena. 

Ha di quei più famoai, e di piu danno 
Area potto Tritlao sopra l' arena 
L' Iberno Peristeo, che quei, che Hanno 
Dentro all' Ultonia eoo lo scettro affirena ; 
Che 'I passò d‘ una pnnta, ove il palalo 
Sopra il 6n della lingua i riversato. 


XXI 

Dopo il qual, sopra P elmo Erìoneo, 

Che del gran Sepnrano era seodìero, 

(U>n la spada percouo rader feo, 

Dipartila la fronte sul sentiero; 

Nè meo di quello il forte Lilibeo, 

Che sovra la Lapìnia aveva impero. 

Di percossa mortai nel lato manco 
Mandò in man di Pinton gelalo e bianco. 



XXVII 

E così ragionando, ratto prende 
La bianca insegna sna dall' altrui mano; 

E dove è il padiglione, il passo stende 
Di Maligantc a tatti prouimaoo. 

Che io ntexxo aesiede, e lui secnro rende 
Quel del buon Lancitutto, e di TrisUao ; 
Che qua! d' ardire e di virtiide amici, 
Voiser la sede aver presso ai nemid. 

JUVtlI 

Ivi adnnqoe il gran re, con chiare grida 
Chiamando i capitani, allo dìrea i 
Ov’ è 'I primo valor, che *n voi s'annida. 
Che sprexxar snoie ogni fortuna rea ? 

Or Dell’ albergo ascoso si ri6da, 

E la pigrixia vii tien per Idea ? 

Ove gite son or dì lutti qnanli 
Le ventose promesse, e i falsi vanti, 


XXII 

Archeltolemo poi Boorle traeva. 

Che gli vuole impedir, misero, il passo ; 
Ma l'alta nobiltà nolli gli giova. 

Ch’era di Segiiran poco più basso; 

Che l'arme gli passò d' amica pruova. 
Onde cadde il meschin di viU casso, 
Panato in latto, ove congiunto al petto 
Tiene il suo seggio.il core ascoso e stretto. 


XXIX 

Ch'allor che fummo all'isola di Tetta, 
Di Curo o d'Aqutlon chiamando il fiato, 
Udiva a mensa far tenendo stretta 
La man con Bacco al suo liquore amato f 
Che minaeciava ogu’ nomo aspra vendetta 
Sopra 'I popol d' Avarro ove arrivato 
Fusie di Gsllia al desialo loro, 

E d' accender ivi entro eterno il foco f 


XXIV 

Dopo *1 qnal per sna sorte incontra AiOra 
Che di Momonia ricca aveva il regno. 

Che ’l largo fosso trapassava allora, 

E gli par d' alla gloria esser al seguo ; 
r.Oil Fortuna alla medrsim’ ora 
D' aspra morte e d* onore il renden degno; 
Che gli fece ampia strada nella gola. 
Onde r alma fuggendo in alto vola. 

XXIV 

E'n tal modo abbattendo orquesto nrqnello 
L' illoslrlssima coppia in dietro riede; 

E districala dallo sluol rubello * 
Corre veloce dove Arturo vede, 
Che'nlorno solo avea piccioi drappello 
Di quei di più valore, e di più fede; 

Che di quanti allri son la maggior parte 
Smarrito ha per timor la forza e 1’ arte. 

XXV 

Nel core allor si rasserena alquanto, 

I due veggendo, che più d' altri stima ; 

E gli occhi oppressi da sdegnoso pianto. 
Dice: Or son io d' ogni miseria iu cima, 
Or 1* empio Segnrao verace il vanto 
Si potrà dar. come già falso io prima, 

Ch' ri d' ugni dubbio sol trarrla Clodasso, 
E 1 Brìlauoiro onor porrebbe ia basso. 


XXX 

E che ciasenn di voi sarebbe a cento, 

Ed anco a più di quei di forza pare? 

Ma create dal vin le portò il vento, 

E le spense da poi l' ondoso mare ; 

Ch’ora, a quel eh' io nc veggio, a quel eh' io Malo 
Del vostro dir tatto il cootrario appare; 

E ch* uggì io qncsla misera battaglia. 

Più che mille di voi l' un d’ eMÌ vaglia. 

XXXI 

Poi con più dolci noie, Maligante, 

C.h* è già corso al suo dir, prega e conforta; 

Or non volete voi spingere arante 
Con la vostra onorata e fida scorta, 

Ch' a nessuna iva dietro, a molte innante. 

Ed or par, ch* a viltade apra la porla ? 

Torni quel core in voi, ch’io sempre vidi 
Splendei' ìa tra i più arditi e ’o^ra i piu fidi 

XXXII 

E ve'n gite volando, ove Tristano, 

E Boorle illustrissimo lassai, 

Che mantengon di qui lo shnol lontano. 

Che ne minaccia pur gli uUimi guai . 

E segnrndo Brunoro e Segurano 
Fia dei nostro lerren signore ornai, 

Se voi con gii altri duci insieme accolli 
Non gli avete eoo l'arme indietro volli. 


XXVI 

Ma il tempo altro chìed’or, che lamenlarse; 
Però VI prego il pondo soitegnale 
Con qnesli peschi, di' han le forze scarse, 
Se dal vostro valor noo sono alzale ; 

Ed io men vo’, dove nascose e sparse 
Son r altre nostre genti spaventate, 

E vedrò con minacele e con preghiere 
Di rispiogerie fnor con le sue schiere. 


XXXIII 

Il medesmo da poi pregando alTcrma 
Al nobile Abondano ed Agraveno, 

E discaccia il timore, e 'I cor conferma 
A GcHletIo, Arganoro, ed a Gavenu, 

E la turba, che fogge, Ira vìa ferma ; 

£ con parlar di riverenza pieno. 

Senza lue danno far, senza minaccia, 

Al difendersi indietro gli ricaccia, 


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1 


XXXIV 

Dicendo : Ove fogfiitey o tcioeche schiere? 
Non vedele voi ben sempre il perì|ilio 
Via più nave e maft|(iore in qnei cadere. 
Che rivulKon le spalle, dove il ciglio 
Non può il vanUgfio suo presso vedere, 
Nè pigliare io cammino nlil consiglio ? 

Nè mai r armala man difesa Iniova 
Coolra chi dietro a lei battaglia muova. 


Il feroce Boorle, eh* era presso, 

Ha trovato in cammino Ìl germao Iso, 

E gli ha in cima dell* elmo il beando messo, 
Che gli passa scendendo in mesto il viso; 
Ei dall* ultimo sonno cadde opprcaso, 

Infin sopra le spalle in due diviso; 

E Bicnorc aeco, Ìl pio cugino. 

Fon nel fianco percoMO a capo chino. 


Nè il loco, ove fuggite, è piu sieuro 
Di quel, ebe ’n tal vergogna abbandonale i 
Ch* altro non è più io qua fosso, nè muro, 
Fuor di Cfuei, che da tergo vi lassale; 

Or non vi fia 'I miglior seguire Arturo, 

E la fede e 1* onor, eh* ora spremale. 

Che furando il devere a tutte ioticme 
Seguir chi dì scampar non mostri speme ? 


Cosi va insieme U famosa coppia 
Con r istesso desire, c col valore, 

E Tun r altro imitando, i colpi addoppia. 
Pareggiando fra loro Ìl largo onore; 

E tanto innanai van, che inlusaa e stroppia 
Del fero Scgiiran Talio furore 
Che come a se vicin venir la vede. 

In nuova altra maniera a* suoi provvede ; 


L* alte e vere parole, e *1 sacro aspetto 
D* un si famoso re, tale hao vigore. 

Che io un ponto cangiò '1 pavido petto 
I dannosi pcnsicr eh* aveva in core ; 

Ferma il passo ciascuno, e giunto c slrcllo 
Si rivolge al nemico, c cerca onore ; 

E tacendo obbedisce ad ogni duce, 

Ch’ai lasaato cammino il riconduce. 


Che appellando Bruooro, e *1 ino Rossano 
Ch* uccidendo s Britanni, non van Innge, 
Dice: Ordobbiamo oprar rocchio e la mano 
Poi che uovellamente si congjonge 
Con Tallero Boorle il gran Tristano, 

E fresca schiera de* nemici giange, 

Chu saran più dei nostri, de* quai rari 
llin potuto passar questi ripari. 


Come gregge talor, cui punse tema 
Di lupo, o di leoo, che presso scorse, 

Ch*al fin del colle, o della piaggia estrema, 
Lè *ve il rischio è maggior, semplice corse. 
Ivi lasM, s'arresta e grida c trema, 

Fio che *1 fido pastor ratto le porse 
Il soccorso fedele, e d'orror piena 
Alla mandra lassata la rimeoa; 

xxxvui 

Coti indietro riturna, e i eavalierì 
Davanti il passo lor spronando a prova, 
Più, che fossero ancor, d'animo alteri, 

Che ‘I valore smarrito, ugn' uom rinnuova; 
Ha Tristano e Boorle arditi e feri 
Lè, dove con più genti si ritruova 
Il prode Seguran, largando il morso 
Dei possent^orsicr, drizaano il corso. 

XXalX 

Ma perch* era il cammin serralo intorno 
Da molli altri guerrier, che *n giro vanno ; 
Sema tutto fiaccar di qnelli il corno, 

Non si può penetrar duv* essi stanno ; 

A ehi allor di fuggir temea lo scorno 
L’uno e T altro di lor fa greve danno, 

E tanti fa cadérne a poco a poco, 

Che d'andare ove vuol se gli apre il loco. 

XL 

Trova Tristan fra i primi Amopaone, 
Che nell' Ebridi fredde aveva il nido, 

E ^n no colpo in fronte a terra ti pone, 
Richiamando la patria in alto grido; 

Poi nato arila islessa regione 
Agenore con lui pose sul lido, 

Trapassato nel cor di mortai punta, 
Ch'uve il cavo è maggior veniva aggiunta. 


Però fermare il passo ne conviene, 

E soilcucr per or V impeto loro, 

In fin che nuova gente per noi viene, 

E col nostro Cloilin sia Palhmoro, 

Ch’auai fa nel bisogno, chi mantiene, 

Non meu che ehi T acquista, un bel tesoro: 
Tenete ì nostri saldi, c a me si lassi 
Il romper di custor la strada e i passi. 

xtv 

Cosi dello, s'accinge all'alta impreu 
Di conlratlar ai dne Usilo soletto, 

E sopea il buon Tristan la prima offesa 
Nuove col duro brando in meixo il petto ; 
E se non che fu invitu la difesa 
Dell’acciar, che *1 copria più che perfetto. 
Fora iu quel giorno istesso, « *n quella punta 
AIT estremo suo fin l'anima giunta; 


Ma sema altro suo danno iodietro toma, 
E l'aria accende di faville ardenti; 

Nel gran re di leon driua le corna 
L'ira avvampando, c fa strìngerli i denti; 
E dove il bel cimicr la fronte adorna 
Con un groppo annodalo di serpenti. 
Furiando gli pon la grave spada, 

E »li fa rotti andar sovra la strada. 

XLVU 

E col lor giù cader sostegno furo 
Al fio elmo, ch'avea, che integro resta; 
Ma il mondo intorno di colore oscuro 
Si mostra, c'n giro gli volgea la testa; 
Ma in brevissimo andar ritorna pnro 
Ogni turbalo senso, c ‘n lui si desta 
Il prsintero valor con tanto sdegno, 

Che del pensiero uraan trapassa ìl segno. 


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K 


L AVARCHIDE 



XLVIII 

E come aspro cio^bìjl, raUo »* avventa, 
E eoo tolta loa possa in fronte il fero; 
Ma Triitan con lo scodo s* argomenta. 

Che '1 dcslioato fin non possa avere, 

E 'n questo meazo Ìo più d'on luogo il tentai 
Ma. come prima ancor, le folle schiere 
Qninci e quindi arrivando son ragione, 
Ch' ebbe Icruiioe allor 1' aita qisislìone. 

XLtX 

Ni con forza minor ritien Boorte 
Di Bronoro e Rossano il corso a freno ) 

£ di più ultra gir si beo le porle 
Chiudendo va, che il lor furor vien meno; 
E mentre l'un percoole, all' altro morte 
Va minacciando e ’n gnisa di baleno, 

Che nell* estivo cicl la notte splende, 

Si vede il brando ano, che sale e scende* 

L 

£ 'n sì leve rotare intorno Ì1 gira, 

E si snello e Irggìer muove il destriero. 
Che mentre l'un nella sua morie aspira, 
Già con r altro il rivede io atto fero; 

A quel d'jgula pania, a questo lira, 

Come fa in Mongibcl Piracmo allcru; 

£ ’n modo opra con lor, die dopo lui 
1*00 più sicuri andare i gnerrier ani. 

LI 

I qtiai vedendo aver si fida scoria 
Di lai bnuu cavalicr, che innaoii vanno, 

£ *ndielro on si gran re, climgli eoufurta, 
Già meltono io ubiiu 1* andato danno; 

E ciasctiQ nuova speme io petto porta 
Di poter riversar l'islesso affanno 
Nello spielato esercito d* Avarco, 

Del qual troppo da lai si seotia carco. 

Li| 

Or già spiega le furie il sacro Arturo, 

E poi ch'ha in ordiu posto il grande slisulo 
Sprona il forte deslrier lieto e sicaro, 

E tra i primi nemici addrisia il volo ; 
Aman rilruova, eh* ove il freddo Artnro 
Più restringe il suo corso al nostro Pol<^ 
Nato di chiaro sangue era in Norvegia, 

Che d*ogn' altro, che sia, 1* ooor dispregia. 

LJII 

E nel meno del cor con P asta il passa 
Si, che scusa spirare io terra cade; 

Segnila oltra il cammino, e morto il lasaa 
l^roppo loutao dall* aspre tue contrade; 

Il turoalo Gaven la lancia abbassa, 

E del suo sacro re segue le strade ; 

Ed Anlioiaco iuconlra, che venia 
Onde sleode i coofìu 1' Arba Aosiia ; 


E per fama acquistar, eoo poca genio 
Di Rossano il selvaggio segoia l'orme; 

Dr sanguinoso ti seo, tardo si pente 
t-hc lassò del suo stìi I' antiche forine t 
Il forte Lioucl, che vede e sente 
Degli arcicr lievi sooi svegliar le torme, 
eh’ è disceso a piede, e preso ha l'arco, 
Ove son più nemici, elegge il varco. 


E chiama atto Ttmbreo, eh* era scndiero 
Del famoso Tristano, e *o guardia avea 
Il sno più grave scado, a lui leggiero, 

E che nuir altro in gnerra soslenca ; 

E ^li comanda poi col dolce impero, 

Ch iin sì caro al signore osar polca, 

Che *1 pianti nel terrcn tenace e fermo, 
Pcrch’ al sno saettar si faccia schermo. 

IVI 

Lo spiardo appr^o accortamente gira, 
Ove piu incontra vien la schiera stretta; 
E*1 giirrrter più onorato in essa mira 
Di drslriero, o d* arnese, o d’ arme eletta; 
E ’n queir atro ipìeiato intento tira, 

E pongli in mortai loco la saetta ; 

Poi qual piccioi fancini dì madre al lembo. 
Dello scudo fcdel s** accoglie in grembo. 

tvn 

Furo i primieri Argolìro e Parmeno, 
Ch'egli uccìdesse, e '1 nobile Sileste, 

E 1* un presso dell* altro sul terreno 
Renderò al lou Falior I* anime meste; 

Con lor Detore, Cimio, e Lolofeno, 

Nutriti traile Iberniche foreste, 

Poi col fero Enodueo, Erisilooe, 

Qiiai cervi il caccìator distesi pone. 

Lvni 

Giunge in questa il re Artnro, e quando vede 
11 glovin iìonel noo ancor sazio, * 

Lieto dicea : Nè men vendclta chiede 
Già dei nostri e di noi l' antico strazio; 
Che d* ogni vostro ben già stata erede, 
Dopo il torvi i parenti, tanto spazio, 

E la turba cmdcl di fede incerta, 

GIs' assai danno maggior di questo merla. 

tiz 

Ah, dicea Lionel, sapete bene, 
lovillissimo re, s'io soglio ancora 
Con altr'armc ferir, quando conviene 
U valor dimostrar, che 'n noi dimora ; ^ 
Jfa il popolo inGnìto, che ne vieoe, 

Per ispegner con lancia, è tarda Torà: 

Poi cuntra gente d'ogni vizio ineode 
Chi vorrà ricercar fallo o virtnde f 

LX 

Ben' è vero, il boon re gli Hspondea, 
Che non sempre il medesmo il tempo approta. 
Nè la roedesma cosa è buona o rea. 

Ma con la sna ilagion cangia c rinMva; 
Or che ne aggreva la fallace Dea 
Con la rota infedel, fare ogni pruova 
N* è lecito, e*l cercar per tutto scampo 
A salvarne V onore, e *1 nostro campo. 

ui 

E voi, figliuol, che non avesto a sdegno 
Or per pubblico ben gli strali e t'arco. 

Di sempiterno ooor chiamerò degno, 

Nè di voi celebrar sarò mai parco ; 

E se ’l del ne darà compito il regno, 

Che n' è d* intorno, e I' espugnare Avarco, 
Vi farò tal, che non avrete pare 
Pfincipe alcuno o re sii qua sial mare. 


s * 


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333 


l’ avarchide 



txu 

Io ri riagraiio, amile allor ricpoodc 
Cofi •omna rircfrnM il gìovineUoj 
Ma non I»i»ogna aver I' c*ea d'altronde 
Al focoMi drtio, eh' io porlo in petto 
Di voi «enrire, in fin che *1 ciel m' infoDde 
Deir usata sua grafìa all' intellello, 

E mentre ch’io potrò presso o lontano 
Porre io opra per voi I' arme e la mano* 

tJUII 

E dicendo così, d* nn nuovo strale 
Su la rigida corda pon la cocca. 

Ed a Herun driaxò '1 colpo mortale, • 
Che gli venne a passar proprio alla boccni 
Indi spiega al cerve! le pennate ale 
Sì ben che del deilrier (lasso) trabocca, 

E la trita piegò pallido e smorto, 

Come tener papavero in chios'urto; 

LfiV 

Che dalla folta pioggia nell'estate, 
Quando il sene ha miglior, gravato sia: 
Era costai di tenerella etale. 

Nato in Avarco della vaga Elia 
Cara a Clodasso, e che mille fiate 
Già pansé il dubbio cor di grlotia 
Alla sua sposa Albina, che sentiva, 

Che troppo al suo parer cara veniva. 

UV 

Scocca nn' altra saetta, c ’n mezxo i] petto 
Va sibilando al misero Ippodamo, 

Cb' a cader va de' iii«>{ nel calle stretto, 
Come percosso necci dal verde ramo : 

Era esso Ibero, e nnovo duce eletto; 
Onde il popol di lui grave richiamo 
Al ciel facea, che l' ana c 1' altra sponda 
Par dì lai non arca, che *1 Beli inonda. 

LITI 

Dopo il costo! morir, Herope appella, 
Ch' egli è sempre viriou, il suo scndiero. 
Che gli adduca il cavallo, e moota in sella 
D^odo: Or sia chi vnol per oggi areiero, 
CP io con allr'arme in man rempia e rnbella 
Torba or voglio sissiir da cavaliero, 

£ vegga ogn* uom, che chi di Cave nasce 
D'ogn'arrae oprare, e di virtù si pasce* 

txvii 

In tai parole sprona in quella parte, 
Ove il caro fratcl Buorle scorse. 

Che parca (ira’ nemici il Gallo Marte, 

Ove irata la man più in guerra porse; 
Truova il Gela Iperoco, clic ’n disparte 
Lassando gli altri andar, sopra luì corse: 
E nel petto egualmente s' inconlraro, 

Ma fu l'un colpo più dell'altro amaro; 

Lvvm 

Perchè l'asta dell' altro in tronchi sale 
Volando al ciel, sema lassare offesa ; 
Quella di Lìuocl fu micidiale, 

(ìhc spreaaando del ferro ogni difesa, 
Passò dove il pulmon con tepide ale 
Jtlaulien l'aura vita! nell alma acrria ; 

£ ‘n terra se n'andò del muudo sciolto, 
Ove fu in SCO de' suoi subito accollo. 


Lxrx 

Indi col brando in man ritrova Opito 
D'AJeandro figlìuol, che ricco nacque 
Del nobii Taragone al basso iito, 

Ove Teti di spuma imbianca Tacque; 

E di sdegno d'amor s'rra partilo 
Dalla vaga Scrpilla, a coi non piacque 
D' averlo sposo ; ond* ri con aspra sorte 
(Come allor ritrovò) cercava morte- 

LXS 

Incontra il suo grrtnan dello Socco, 

Che io ogni tua fortuna gli fu appresso, 

E d' no colpo alla froulc in morte il feo 
(Come nel viver pria) compagno d'esso: 
Poi d'altra patria il crudo Ilitioeo, 

Che d' Africa il terreo teneva oppresso 
D'Atlante al mar, di sangue Visigoto, 

D' orgoglio c di vigor fe‘ nudo c voto. 

LXXI 

Ma mentre esso, il fratello, c'I pio Tristano, 
Mostrando allo valor, battono a terra 
Questo e quel dnce illustre e capitano, 

E fan maravigliosa c cruda garira; 
Palamuro, Clodino, e Dinadano 
Di qna dal largo fosso, che gli serra 
In sicurtà di lor, nell* altrui danno 
Cooduccndo gran turba intorno vanno, 
umt 

Sì che mal far riparo si pelea, 

Nè scacciar i nemici da quel lato. 

Che dritto ic^verwi Avarco rispundea. 

Che lutto pienamente era occupato; 

Ma il saggio Maliganlc, che vedea 
Di tulio il campo il periglioso stato, 

Con infiaill carri utili a guerra 
Attraversa Ì1 cammino, e^l passo serra. 

I XXIII 

E mentre che Tristan, tenendo a bada, 
li furor, che venia, saldo sostiene, 

A naoro fosso che profondo vada, 

Quanto a si breve tempo si conviene. 

Fa, che'i popolo armalo, il qnal la spada, 
1» la lancia, e lo scudo a terra tiene. 

Con gli agresti istrumrnli si raceìnga, 

Si che i carri di fuori inlornu cinga, 
txviv 

E con studio maggior, ch'alia stagione, 
Che comincia a scaldane il buon rnltorc 
Alla pregiala vigna i vilian pone, 

Per voltare il trrrcn, che troppo omore 
Dona all' erbe crude!, che son cagione, 
Clie'l dolce arbor di Bacco o langne,o muore; 
Che pon vederle al rusticano assalto 
Mille sappe lucenti andare in alto. 

LSXT 

E tanto era lo stnol, che 'n tempo breve 
Già polea la difesa esser sicura ; 

Chi la terra rompea, chi larga e greve 
Gleba all' argin portar prende la cura; 
Chi dispon bene il loco, in cui si deve 
Le guardie ps»rre in guisa d'alte mura. 
Chi le porte disegna io dotte forme, 

Da spingere e ritrar de' suoi le torme. 


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L’ AVARCniDE 


LXCVI 

L'Accorto BaiMicgaiBo ia allr* parte 
Dei «ubili consif;li «mmacslralo. 

Or 4 que»U> or « ^iirl discopre l'Arie, 

Ch* oMr ai ftepgia in ■imiplianlr italo; 

A chi miuaccc, a olii priephi diparte, 

E li rilroova presto io ciaicuu lato ; 

£ per cicnpio dar come •' adoprr. 

Quinci e qaiadi eoo lor poa mano aU'oprc. 

LaxiHi 

Ua poco opra il suo dir, che più die prima 
Sema nulla ascoltar fugge lo stnulu ; 

E *1 gran firrUnno re, che pure stima, 
Che più d'altro onorar deggiao luì solo, 
Roso dell' ira il eor dall' aspra lima, 

E di sdegno ripìen, colmo di dnolo. 

Col drsLrier stiu davante s'attraversa, 

E murdcudogli, tal la rabbia versa : 

Lixrii 

11 Micc Abondan V istcuo face, 

Ne men Locano il bniUo rtl Egrevallo, 
lo quel modo adalUndo, che cuofacc 
A chi più rappreienli arpìoc e vallo; 
Snllecitaodo opuur, mentre la pace 
Non poù lor disturbare uomo o cavallo ; 
Che rileuuto a fona era Umtaao 
Dal valor di Boorte, e di Trillano. 

LXSXIV 

Se voi fuggite sol, diletti amici, 

Per secura portar Con voi la vita. 

Datemi oggi legalo a' mici nemici, 

E fia strada più aperta c più spedita, 

Che gir vi laiseraii lieti e felici. 

Ove il molle desio, lassi, v' invila, 

Dentro al vostro Dativo e dolce luco, 

Tra le vii femminelle ali' ombra e al foco. 

taaviii 

Blanoro e Cossemantc Ì1 core ardilo, 
Maodrìoo ed Ououelio d* Eslraa^orre, 
Con multi cavalicr, nel vicio lilo 
Per più lor lìcurar si vanno a porre, 
Che nessun sia impiagato, o aia impedito 
Da qualche leve arcicr, che ipcMO corre 
Non scupcrtu d’altrui fra grate e gente, 
Che via miglior di lui può lar dolente. 

LXXXV 

Ed io mi rimarrò famoso pegno 
Dei fidato valor de* miei guerrieri, 

Che di Bacco e Ciprigna al lento regno 
Coiitr'a chi sia loulao suo crudi e feri, 
Ove Marte alxa poi l'armato segno. 

Al fuggirsi iootan pronti c leggieri, 

E del suo iuipcradore hao quella cura, 
Cbe ’l pasciuto monloo di vii pastura. 

uuux 

Coli aoa nel panar di non Inugbe ore 
Si beo di ottovi foni intomu ciuU, 

Che di vedere uoui cena Ì1 timore 
1 maraiali alberghi acceii o vinti t 
Ha che i molli gucrricr, else Cco di fuore, 
Dal numero minor sian riiospiuli; 

Tal ch'ai Disovo periglio sopragginnto, 

U rimedio c '1 dolor nasce in un punto. 

LXXXTI 

Le sdegnose parole, e i veri delU 
D' un si onoralo re dì tanto nome, 

Beo pungeao de' migliori i chiari petti, 
Carcando i oor dì vergognose some, 

E dalla turba vii chiusi c ristrelti 
Vurrian pur ritornar, ma iiou saii come ; 
Che trasportati suo da quella furaa, 

Qual nave eli' aquìlou percuota all' orza, 

Laxs 

B bene ad nopo vira, die tanto cresce 
Il furor de' nemici e lo ipavenlo 
Di quei d* Arturo, che del terniio esce 
Chi di viltà mostrar, chi d' ardimento; 

Lo ituol Franco e Britauuu in uu si mesce, 
K nesiuu cura onore o reggimento 
Di duce, o di Gucrricr, che grida o chiama, 
£ per luo Kampu ornai sprcasa ogni fama. 

LUX VII 

Che *u ver lui quanto può drixza la prora 
L'aiiìmusu uocchirr, né ceder vuole, 

Che'l cammino arquisUlu per lunga ora 
lu uu mouscuUi sul perder sì suole : 

Ma piti eh’ egli ha dalla surgente Aurora 
Travagliato al corcar del lardo Sole, 

Pur coovirugti al soHiar, dir maggior poggia, 
Cuulraria al suo desio leiilar la poggia; 

taxai 

Corre intorno Trtsiao, corre Buorte, 

E di fargli arrestar s' adupra in vauo ; 

11 vecchio re dell’ Orcadi, si forte, 

Ch* esser può ben ndito di luntano. 
Dicendo va: Qual più sicura iurte 
Speri trovar nel piè, che nella mano. 
Popolo abbietto c vii, die non l* accorgi, 
Cu al palese morir le ileiio scorgi! 

ixaxvui 

Cidal fan quelli afilli li, che di duglia, 
E d' unta, c di pieG reslan coiupreii 
D* esser lordo trofeo, fngacc spoglia 
De' suoi nemici sopra loro ascesi ; 

Ma i piè impediti a cosi pronta voglia 
Nuu puu bene ubbidir, da troppi offesi ; 
Così, mal grado suo, cui peggiur vaiiuo 
Air estremo, qual sìa, disuore e daunu. 

taxiii 

Non t'avvedi In ilollo, che fuggire 
In lieuralo loco ornai non puout, 

Poi ebe lassalo ariamo il varco aprire, 
Spianare il vallo e ragguagliare i fossi ? 
Beo, se rivesUrem 1* osato ardire, 

Del qual sema cagione or sete scossi, 

Di tosto rivedere lio ferma speme 
Tornar gli argini, i tossi, c i valli io»icme. 

LXXXIX 

E 'n lai guisa cuovieo, che i buon dien loco 
Alla viltà dei rei, questi alla tema; 

E come avesser dietro ardente foco, 

Per piu tosto fuggir, l' uu 1’ altro prema; 
Già sou lutti coudoUi a poco a pocu 
De' nuovi (ossi su la riva estrema 
Là dove Ualigaiite, ed altre scorte 
D' tulraxvi a sicurtà iiiuslrau le porle ; 


lO 


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AVARO II IDE 


Ha io qtmlo mezzo il sol calali ì rai 
Dietro al Marrocro avea nell' occideate, 
Tal che di speme e di limor di (tuai 
Già imposto ha ÌI fine all’una e l’altra fenici 
Onde il BriUooo staol s'allegra assai, 

E'i’t grande oste di Avarco n' è dolente ; 
Pensando, che s' ancor durasse Ìl giorno, 
Girscn polca della TÌttona adorno, 
ev 

Il fero Segnran cedendo a 11’ ore, 

Cbe 'o dietro ogni guerrier seco s' accoglia 
Fa ioloroo comandar l'alte e sonore 
Trombe, e che ‘I guerreggiare ornai si iciogliat 
Ha poi die 'I negro ed umido colore, 

D* ogni luce, ch'area, l'aria dispoglia. 

Su la tioialra man lieto gli mena, 

Ove irriga 1* Ocon la accca arena. 

CYJ 

Ivi sopra il cavallo, io man tenendo 
La spada aneur, die non la vuol riporre. 
Intorno a cui di crudo aspetto orrendo 
Il Brìunnico sangue largo corre, 

Parla a lotti : Signori, io ben comprendo, 
Che ’l eie! non ha voluto oggi disporre 
La vittoria per noi, perù eh' e' vuole, 

Che con più ooor l'abbiam nel nuovo sole, 
crii 

E fia '1 nostro miglior, perchè la notte 
N' aria tolto il seguir la nostra sorte ; 

Che mal pHotii ali' oscuro aver condotte 
Tali, e ai grandi schiere integre a morte; 
Che molle dei conCn pin che noi dotte. 
Fuggir potean per vie chiuse e distorte; 
Altre, ove 1* ombra più nascosa preme, 

Per di nuovo assalir, mettersi insieme, 
cvm 

Ove al primo apparir di quella luce, 
Che risiirgendo il sol nuova ne mostre, 
Ogni buon ravaliero, ed ogni duce 
Himenando a ferir la genti nostre 
Con r antico valor, che 'n voi riluce, 
Prima che lutto il cìel s' iudure e mostre. 
Preso il lor campo, e messi ia fuga avremo, 
Poi r altre ore in seguirgli spenderemo. 

CiX 

Ha per non perder tempo nell' aurora 
A rirorllcre in un le sparse schiere, 

O per ristretto calle tracie fiiora, 

E cooducerle al luco, ove si fere, 

Qui la notturna fla nostra dimora, 

Là dove d* ora in ora rivedere 
Del nemico polrasse ogni consiglio 
Senza crederlo altrui, col proprio ciglio. 
tx 

Or qni dunque di spessi e iargi fochi 
Farrm del nostro Orone il lito adorno ; 
Onde sceraer polrem per tulli 1 lochi 
Ogni laccio, ogni iusidia lesa intorno; 


Nè et porgano offesa ì molti, o pochi. 

Che nel fio sopra lor non sia lo scorno; 

E potrem disruprendo anco impedire, 

Se calali da noi votran fuggire. 

ext 

Vada Attore l’araldo entro alla terra, 

E narri al re Cludasso t pensicr nostri; 
Che per quanto qtiesl'offlbra il lume atterra, 
Non abbandunerrm d* Orone i chiostri, 

£ ch'egli inlaoto a quel ch'Avarco serra, 
f'ome guardar si deve, a' snoi dimostri; 

E i vecchi e i gtuvincci con somma cura 
Aggian r albergo lor sopra le mura, 

CXfl 

E che Palle finestre, e I’ ampie strade 
Le femmine vegghìando empiali di faci, 

Si che nnn sian le peregrine spade 
Ascose in lor da tenebre fallaci ; 

E qni, dove sol nude han le contrade 

I guerrier di valor chiari segiiari, 

Di preziosi vin gran copia mande, 

E di maniere assai larghe vìvaitde. 

CXIII 

Attor %'olando gio nè mollo stelle 
Che già carri ìiifiaiti segnan l'orme; 

Già vengon di monton le gregge elette, 

E di cornuti buoi le grasse torme ; 

Già ciascun lieto all' opera si mette 
Drir albergo apprestare, e nessun dorme, 
Infin eh' hanno i graditi cavalieri 
Adagiali e pasciuti i lur destrieri. 

cxiv 

Già t UrgliHsimi fochi in alto vanno, 
Ch' alte nubi oempar drizzano il piede: 
Tre volle mille furn, e’n ciascuno hanno 
Alnien trenta guerrier mischiala sede ; 

E lutti in cerchio delta valle stanno 
Con si chiaro iplendur, di' ivi si vede 
Ceder al lume lur I' umida notte 
Con le tenebre sue fugate e rotte, 
evv 

Han di liinge sembianza al cìel sereno, 
Quando Della il fratello opposta mira 
Dall' alto punto, e che di stelle pieno 
Lucentissime e vaghe intorno gira; 

Che l’ombre scuole, che sì trnova in seno, 
Coi dolci raggi che ciascuna spira ; 

Onde il colle viciu chiaro si srorge, 

£ '1 paslor lieto a contemplarlo sorge. 

ex VI 

Tali eran gli alti faochS, a cui vicina 
Parte ornai del diginn ristoro prende; 
Parte al lento riposo gli occhi inchina, 

E r affannale membra a terra stende; 
Parte ai fosti del campo s’avvicina 
E celala ascoltar l'animo inleodc, 
nicaugiaudusi, tal eh’ a ciascun tocchi 

II qnclare c svegliar gli spirti c gli occhi 


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ARGOMENTO 

romana pcnj^Jio Arturo aduna 
il eonsiglio de' saggif t loro espone 
Di placar Lancilotto ; a ciò opportuna 
Schiera lùen scelto, e in essa si ripone 
Ogni tprranta. Parie, espon: niuna 
i'uol f offeso ascoltar prece, o ragion/*. 
Pur Lambego riman, gli altri ad Arturo 
Pnrtan di /,onciYo//o i7 pensicr duro. 


Jn Iti riposo, r ’n »i fìorilj »pcmr 
I.r piiardir arr» rrarrcito d'Avarro} 

Ha H'al Irò lato acerba doglia preme 
Il cor d* Artnro, che di tema è carco, 
D’tra, di *drf;no, e di vergogua insieme; 
Che mal difeso avea I’ antico varco, 
Tenuto inG.no allor sena' altro danno 
Quasi tutto il cammin del setlim' anno. 

Il 

11 roedenno avveola negli altri ancora 
Dnci, c gran cavalier, clie*nloroo avea; 
Tra i privati gaerrier gran parie plora 
D'amico, o di cugin la morte rea, 

Che di se lameulando l'ultim'ora 
CoD gli occhi del timor preuo vedea ; 

Che r altrui di quel di passato esempio 
Gli mostrava vicio l' isleuo scempio. 

Iti 

Soli il chiaro Tristano, e 1 pio Boorte 
Si potean riveder, quali crao mai 
D' ioviltìiiimo cor, d' animo forte 
Minacciare ai nemici ontosi guai, 

E del sentilo mal biasoiar la sorte, 

E del ciel conir’ a lor gl' irati rai; 
Confortando ciascun di sperar bene. 

Che non tempre il medesmu ha dolce o pene. 

IV 

E poi ch'ebbero i due disposte intorno, 
Tritlano al deslro, e qnegU al manco lato, 
Le guardie si, che non potesse scorno 
Dal nemico ricin esser portato; 

Là dov’era il gran re faooo ritorno, 
Che’n mexzo stava del suo stuolo amalo, 
Ripien d' atra trislezaa del seguito, 

E di quello awraire sbigottito. 


Ha al rimirar ^ dnc la vliU chiara. 

Il volto e *l cor n rMserena alquanto. 
Dicendo: Or che fareoao, altera c rara 
Coppia, a mi di virtn do il pómo vanto? 
Che Gn reggiamo alla rovina amara. 

Che ne sta sopra, ed al perpetoo pianto 
Deir onor già perduto, e del gran nome 
Nostro aggravato di sì abbiette some ? 

TI 

Dobbiam noi ritornar, come • me pare, 
AI medesmo cammin, ebe qnì n’ha indollo? 
E rivarcar della Britanaìa il mare, 

Poi eh' è 'I nostro sperar piegato e rotto ? 
E dar gioia ai nemici scusa pare, 

E sovra tatti al crudo LaociloUo ? 

E lì dentro ai conGo del mio paese 
Esser presti a soffrir novelle offese? 

VII 

O pur qaieri restando, in altra prova, 

E *n gran rischio ripor le nostre genti. 

Per veder s'a pietade il nel si muova, 

O se vuol piò che mai farne dolenti ? 

Che '1 soveale tentar talvolta giova. 

Tal volta i lenlalor per sempre ha spenti: 
Dora cosa è il partir seoia alcun frutto, 

E durissima ancor perdere Ì1 lotto. 

VITI 

Cosi disse, e Tristan turbato in volto 
Risponde: Or Ga possibile, che 'a voi 
Coli breve aeddenle aggia ritolto 
Queir ardir, ch'avaiuù gli antichi suoi? 

E per si poco danno or capgia avvolto 
Di timore il pcosier, che gli altri eroi 
Si lasciò indietro col montare in allo, 
Senaa curar di sorte alcun assalto? 

IX 

Non crederò già mai, che 'I grande AHuro 
Ragioni del fuggir se non per gioco; 

11 qnal pms'io, che viverla se curo 
In tra t folti nemici, c ’n messo il foco, 
Non che cinto sì ben di fosso e muro. 

Tra tanti cavalier, rhc d'ogni loco 
Basso, aperto, ed esposto ai propri danni 
Purrian saldo guardarlo iofinit' anni. 

X 

Dico adunqne. Signor, che qui si deve 
Riilorare e posar le genti lasse 
Della lunga fatica, e sndor greve, 

Mentre che'! sol nell* Oceano sUsse: 

Ha poi che '1 suo splendor I’ alba riceve, 
Che si deliba nscir fuor con I* asic basse, 
E col cor piò che mai securo ed allo 
Apportare ai nemici no nuovo astailo. 


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l’ AVARCHIDE 

st 

A chi cootr«rìo «I mìo dooì consi|(iio 
Dira, eh* al rostro oaor fa ealretno torto; 
Che in ^nrrra non si ra *rn>a prrìglio, 
Nè si pnò narigar restando in pt»rto. 

E s’or mostra Fortona irato il ciglio, 
Doman 6a chiaro, e '1 rannniu destro e corto 
Forse ne moitrrri di vera gloria. 

Ornando il nostro dnot d'alta rillorsa. 


IVI II 

Mentre cbc*1 gran Britanno intento ascolta 
Del suo buon re deli' Orcadì il consiglio. 
Le veraci parole in cor rivolta 
Tenendo alta la mente, e basso il eiglso; 
Pili che ! sente io silenzio, a Ini si volta 
Col riverente ooor, che deve il figlio. 
Dicendo : O padre, c ben mi sete tale. 
Poi che voi tengo a Pandragooe eguale; 

kit 

Qoi tacendo, il re Lago le parole 
Con dolcissimo snono allnr riprende, 
Dicendo > 0 di virtù Incido sole. 

Che di si ardenti rai fra noi rispleodc ; 
Te rignardi ciascun, che 'n terra vuole 
Ritrovare il cammin, ch’ai cielo ascende, 
£ s' acconci i pensier, 1* arme, e la mano 
A aegoir 1' orme sacre di Tristano. 


XIX 

lo non posso negar, che *1 vostro dire 
Nofl men di senno sia, ehe d' amor pieno, 
E ch'ai bisogno lai le privai* ire 
Devoo di chi più sa sgombrare il seno; 
Ma troppo é dura cosa incontra gire 
Al sno giusto difdepmo, e metter freno 
Al desio dì mostrar, eh* umana Ibrta 
Un generoso core a nnlla sfona. 

sili 

Colai si poo chiamare i cavalieri 
Invittissimo re, d* alto valore, 

Che secondo il bisogno e saggi e feri 
Si mestran sempre, e con desio d* onore } 
Non si porriano aver più dritti e veri 
roosigli altronde, e di più intero amore 
Di quei eh' or dona in semplice sermone 
Il rettore onoralo dì Leone. 


XI 

E se qui tnla In riscliio la mia vita 
Fosse, e sola dì me la propria sorte. 
Pria rhe ciò far, per via corta e spedila 
Dì tosto eleggerci correre a morte ; 

Ma quando così nobile e gradita 
Grate mi veggio, e sì onorale scorte, 
Che delie nostre colpe avrebher duglia. 
Al voler di ciascuo piego la voglia. 

SIV 

Tal che, lassata indieiro ogni altra enra. 
Si pensi alla difesa, e alla vendetta; 
Ciaicnn gli andati danni, e la panra 
Sotto nnovi pensieri in oblio metta ; 

Si dirò ben. eh* al render voi men dora 
E piu larga la strada or aspra e stretta 
Mudo agerol v* è dato, se vi piace 
Con LanciloUo ornai di tentar pace. 


xvt 

E perchè *1 mondo in tenda, eh* Ìo non amo 
Di più gradire il mio, chc'l vostro bene. 
Contento son, che dell’ uliva il ramo. 
Come a chi sia maggior, qnasi, convsrnc. 
Sì rhìrggta in nome mìo; con dir, ch’io bramo, 
Che di quanto legoio iien mie le pene, 

E di lui sia larghissimo il guadagno 
In volermi tornar pari e compagno. 

XV 

La qnal noia apportar noe vi dovrìa, 
Urn eh* a mioor di lei s' inchini Calma; 
r.h' onta o giuria non va, dove non sia 
Di grandrua o d'onore egual la salma; 
E tra servo e signor non si desia 
Simil, rhe Ira' nemici, e laaro e palma; 

E men tra '1 figlio irato, c '1 pio parente. 
Quali so stimo CMcr voi veraccmcnlc. 


SXII 

Perchè in premio di ciò sarò conlenlo 
DI lassare a Ini sol di qna dal mare 
Dì lutto quel paese il reggimento. 

Che si potrà con l'arme guadagnare, 
Oltra il regno d' Avarco, di' io consento 
Che follo al sno voler debba restare; 

Tal ehe 'nvidia ad alcun non possa avere 
Di tesor, di terreno, e dì potere. 

kvi 

Si conviene si gran re dì tener fiso 
Solo alle cose altiisime il pensiero, 

E d* ugni altra men degna esser divìso, 
Che non sia duro scoglio al sommo impero; 
Piegar talora il cor, cangiare avviso, 

Non esser grave a ehi gli mostra il vero; 
E pensar, che Dio sol poik scnaa attrai 
Ogni cosa adattar, qual piace a lai. 


XXIII 

Poscia olirà il mar nel lilo mio Britanno 
Di sette alme eitlà gli darò impero, 

D' OdoQ, di Bervelai, d* Ulla, che stanno 
Ove r Umbra a Nettano apre il sentiero, 
E d* Alerlone ove irrigando Ìl vanoo 
Con le fredde onde soe la Tesa e '1 Vero, 
E di Varvico, che sani lidi stende 
Alle piagge miglior eh' Avone scende i 

XVtl 

Non avete or quistion con Lancilotio, 
Ma col nemico e perfido Cludasso; 

Né si onoralo stuolo è qni condotto, 
Perchè '1 figlio di Ban sia tristo e basso; 
Nè il vostro onore altissimo più sotto, 
Per richiamarlo a voi, sarà d* nn passo; 
Ma sarà ben nel centro della terra. 

Se cosi indegno fine ha questa gnerra. 


xnv 

Poi nella Canlabrigia Eli c Valpole, 

Ch* al Germanico srn drixzan la fronte. 
Delle qnai più gentil non vede il sole, 
Ovunque al sno rammin si corchi o monte; 
Mé queste avrà, per quaal* io speri, sole, 
Che di molle altre ancor più chiare e conte 
Gli porrò scettro io mano, e'dir portasse. 
Che d'ogni Occidental TallcaM passe. 


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L AVARCHIDE 


K1 


XXV 

Dxropli in picv pai gradite iqnxdre 
Di «vxlieri ardili ia compagoìa. 

Che '1 leftiiiran, qnal pio ilfEoare e padre. 
Carne R* il »uo piarer, per ngui ria; 

Coi qaai potrà nell' opere leggiadre 
Spender gli anni miglior, come detta, 

Di lauri nraandu la (amoia chioma, 

£ di giuria avanzar la Grecia e Rodu. 

xvxtr 

Or ti penai fra voi, qual più ai deve 
A lei toato inviar, che gli aia caro; 

Ch' aaaai più l'iin, che l'altro in dolce e leve 
Può il peto eoMvertir greve ed amaro ; 
Perchè ’l ricordo alimi, che ai riceve 
Come da apirlo poi, fedele e chiaro 
Penetri a maraviglia nn core amico, 

Come d' aprii la pioggia il campo aprico. 

xxvt 

E al ben d* arme ornali, e di detiriero. 
Che pochi iiiconlrerannn eguali a loro; 

E perchè H ferro cade di leggiero 
Senza aostegno aver lalur dell' uro, 

Da poter hcu nutrirgli un anno intero 
Provvedrò 1* andar tuo d' ampio leturo ; 
Dopo il qual, «e non prima, dalla apatia 
Di trovarne maggior Ga falla alrada. 

XXXIII 

Allor dice il re Lago: O aemmo onore 
Col Britanno terrea del mondo inaletne. 
Ben dirh'in con ragion, che *1 tuo ipleodore 
Quante mai inei faro ofTuaca e preme : 

Poi eh’ a quella pietà ■' arrende il core. 
Ch’aver ai dee delle miaerie ealreme 
Di ehi aegna con luì 1* ialeaaa aorte, 

E per dar vita a quel a'caponga a morte: 

XXVII 

C ae ifogar gli alteri tuoi dìaegni 
Di Nettuno vorrà premendo il dor»o; 
Cento ampìttitne navi, e cento legni 
Di forliaaitni remi accinti al cortt» 

Avrà, che in tolti i liti, e 'n tutti i regni 
Il mar deotru e di fuor aia prima acorso, 
Ch' alcun aaldo lavoro in tur ai ttanche, 
O de' auoi condulluri il cibo manche. 

xxxiv 

E per aalntc allroi da ae dispoglia 
Contr* a minor di se l'ira tenace; 

E piò tallo la tua, che di Ini doglia 
Vuole, e co' «noi minori indepma pace. 

Il dilegno abbattendo, e l'aipra voglia 
Di aegiiire il cammin, ch’ai tento piace: 
Or per bene adempire un tal deaìo, 
Maligante è ’l migliore al parer mio; 

XXTIll 

Poi, pereh' altra non ho coogiiinU e cara 
Più che aia Lodagaula, la aorella 
Di Ginevra mia apoaa, nuica e rara 
D*ognÌ virliide, e aovra ogn' atira bella; 
E che per l’alto cur di ae fu avara 
A mille re fammi e fu rubella 
Sempre Gu qui del giogo maritale. 

Perché nullo a* auoi merli esliuia eguale; 

XXXV 

Ch'altea che aovr'ogni altro ei Tama e cole 
Ila ti dolce, morente, e vago il dire, 
Cli'aacullar non ai pon le tue parole 
Senza al lor dimoalrar pieno obbedire ] 
Che, ae non foiaer tordi, al maggior sole 
Paria gli A api acquetar, le rabbie e Tire: 
E aia aero Lambrgo, il vcccbio antico. 
Che '1 Dodrl giovinetto al padre amico. 

XXIX 

Quella in dolce pregare a lui prometto 
Di far cara contpagna, e pia nioglicra; 

E con ai larghi don, che aarà dello 
Di fortuna ricchiiaima ed altera; 

In coi putta trovar pare c ditello. 

Fui che il suo bel mattiu vada alla aera, 
Come io tra' nuovi germi uliva auole. 

Di dolcitaima cinto, e chiara prole. 

ixavi 

E potrà mollo oprare in Laocilulto 
Quel primo ricordar, che mai non cade, 
Già dalla verga tua formato e'tidoUo 
A buon eotiumi in lenerella etade ; 

E perchè dai medesrot eaacr prodotto, 

E d' anni e di voler la parila<le 

llao gran forza, e ‘1 aegtiir 1' iateiaa aorte ; 

Per terao ambaaciador vorrei Boorle. 

XIX 

Nè a tal rendergli onor viltà m' Induce, 
Nè quella, ov* io aon or, necetaitade. 

Ma Tamor, eh' io gli porto, in ciò m' è duce, 
Già cominciato in trnerella eUde; 

Dal primo di, che la auperna luce 
Di venirmi a tntvar gli apri le atrade ; 
Che 'il tra gli altri ioGnilì eleaai aolo 
Lui per pegno gratiaaimo < Ggliuolo. 

xxxvn 

Coti delio, ciascun, chc’alorno airde. 
L’impresa e gli oraior lodando appniva; 
E i tre duci onorati il core e'I piede 
Han pronti c motii alla novella prova; 
£ dritti vanno, uve in toliuga tede 
Laoeilolto, e lontana ai ritruuva. 

Sciolta quasi dall' altre, al se zzo varco. 
Onde può più vieto vedere Avarco. 

XXXI 

£ quantunque r allr' ier al amaro adegno 
MI pcrcoteate il cor dei delli auoi, 

E che d' odio in quel di motlratai aegno, 
Tuato il primiero autor riturac poi; 

Nè mi fora piu a grado ogni gran regno, 
Che '1 vederlo loruarc amico a noi, 

Qoaulo ctaer mai aulea ; chiaro del tulio, 
Quando fotae anco ciò aeuz' altro frutto. 

XXXVI II 

Trovatilo, ch’era ancora a meaia asaiao 
Già pcrveoula a Gn la parca cena, 

Col Gdo Galeailo, che diviao 

Non ha mai la alagìon fosca o serena; 

Ch' erano ad ascoltar col pcnsirr Gao 
Il chiar Eolcrpo, che cou dotta vena 
Alto cantava ne' passali lustri 
Del cortese Girone i fatti illuslrt. 


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L’ AVARCHIDE 

SSIIX 

f.onie vfde app«rìrr amtet tali, 

Ch* a tetli altri io amor più iananai vanno 
Dopo il «no Galeaho, dice t E quali 
Cj|tÌoo nouve, signor, menati v' lunoo 
All'albergo dì quel, che trai mortali 
Vìvo è sepolto in infernale affanno f 
£ così ragionando, e riverente 
Surge all* incontra tur lieto e ridente* 


XI. VI 

E perché il mondo intenda apertamente, 
('.he, qnantnnqne sia re, a* inchina a voi, 
Se vorrete la man chiara e possente 
In difesa spiegar di talli noi 
E la vostra animosa e fera gente, 

Col fido Galeallo, e gli altri snoi, 

Della chiara Britannica saa insegna, 

Come facea 1* alle* ieri, scorta vegna ; 

st 

Poscia fa, che Falario no ano scudiero 
Nuovi seggi a ciascun vicini apporle: 
Così alla menta pur ghirlanda fero 
Tolti i cinque soletti e poi le porte 
Fiir serrate d' intorno per T impero 
Di Lanctiollo, e poi che d' altre scorte 
Fu del tulio sgombrato il chioso luco; 
Maligaitle i compagni guarda un poco : 


XLVU 

Che qnanlo ha in fino ad or tolto a Clodasso, 
E quanto nel fntnro avere spera, 

Che non sia di Tristan, là 've più in basso 
Per distorto eammin dìsernde 1' Era, 

O del gran Clndoveo, che ’ncombra il passo 
Più in alto alia medesima riviera, 

E quanto é Ira '1 Pirene, e la Garona, 

A voi, come a figlinol, curicse «Iona. 

XLI 

E *n cortese parlar dolce gli prega, 
Ch'ci vogliano a pensier la lingua Ktorrc; 
Ma l'un c l'altro vergognando il nrga, 
('•Ile bratnan sopra lui 1* incarco porre t 
Kd esso al fin, cb' al lor desio si piega, 
Tacendo alquanto cou la utente scorre; 
Poi con voce soave, e 'n pio sembiante 
Cosi diceva al cavaliero errante : 


XLTitl 

Poi di sette riltà nel suo bel nido. 
Onde il nome da poi vedrete in carte, 
Che sien fra 1* altre di più altero grido. 
In premio al faticar vi farà parte; 

E col bel d' Imeneo legame fido 
Lodiganie leggiadra, io cui le sparle 
Virtù, Veuer, (àiunone, e Palla aggiunge. 
Di Ginevra sorella a voi congiiingc. 

SUI 

Valoroso signor, quando il cirl ruote 
Scorger aleno mortale al sommo onore, 
Per vie lunghe, aspre, e fabroie suole 
Tra periglio invìariu, e tra sudore j 
Tal che soveule 1* nom si lagna c duole 
('he sol disreroe qiianlo appar di fuore, 
Di quello, uude bailo il senlìrr rio, 
GraiJc uc rende poi dìrolo a Dio. 


XLII 

E poi eh* avrà per voi di questa gnerra 
Col favor delle stelle amico fine; 

Di quel seme miglior, che viva in terra, 
Vi darà genti nostre e peregrine, 

Per acquistar quanto circonda e serra 
Del gran padre Oceano ogni ronfine; 

O s’ amerete il mar, gran legni c navi 
D'armi, d'oro, c di cibo ornale c gravi. 

XLIII 

Sìmile awien di voi, per qnel eh* appare, 
Ch*a seinpilerna gloria aixar procura, 

Che per porri in affanni, e 'n doglie amare 
Nei trapaaaalì di stese ogni cura; 

Tal eh' ove più speraste in alto andare, 
Di gravissima pietra alpestre e dura 
la maniera colai v' oppresse il volo, 
eli* al centro gìo, dove aspirava al Polo. 


L 

Onde possiate solo, all'alto nome 
Di «joanli oggi si parla, andar di sopra, 

E di mille girlande ornar le chiome, 
li eoi chiaro splendor tuli' altro ciinpra ; 
Si che i regni abbattnti, e genti dome 
Si mettano al narrar le piume in opra; 
Tal eh* ai gran vostri onori aggiano invidia 
C India, i Uifei, l’ Iberia, e la Nnmidia. 

XLIV 

Or con ambe le man quindi vi lira, 

E r«ia sommo favor v* accoglie io seno. 
Se vorrete, qaai spero, alla ouov' ira, 

(.Ile vi trasporta ancor, por giusto (reno; 
Perchè del nostro re nel core spira 
Dritto voler, d* ugni salate pieno, 

D* esservi amico ornai dritto e verace, 

A. ricercar da voi gradita pace. 


1.1 

£ benché tatto ciò render dovrta 
Ogni aspro e doro cor soave e piano, 

Non r ho detto perù credendo sia 
(^nel, che muova di voi l'alma e la mano ; 
Ch' amor solo, e pielade, e cortesia 
Pisano il chiaro figliuol del gran re Bano 
Cuodnrre al vendicar d' estrema sorta 
Anco i nemici suoi con propria morte. 

XLV 

E per questa cagione a V0Ì ne 'nvia 
Tai congiunti d' amor, come sapete, 
Perdiè più il cotisentìr dolce vi sìa, 

H la credenta in noi n'aggiunga sete i 
Che *Ì ragionar di lingua amica e pia 
Delle dabbiose insidie altrui segrete 
Punte il vero squarciar con quella fede, 
Clic sei candido petto ha degna_scdc. 


Ltl 

Sema dnoque parlar d'altra inereede, 
Clic pur sempre stimar si deve assai, 
Muova l'altero cor, che aita chiede 
Per trae, ehi ha speme in Ini, d'estremi guai; 
E che ‘1 gran re di Pandragone erede, 

Ch* a fortuna, o timor non piegò mai, 
Ripenliio ora a voi tutto sì piega, 

£ dt voi ricorrar domanda c prega. 


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A V A R C H I D E 


Qtt«l più rirco Irofro, qiul opina 

Paù Lraniarr in fra iioì duce unuratu, 

Che *1 veder»! ripor di lode in rima 
Dallo itleaso parlar, che l'ha sprezialn, 

E doppiato r oQor, che aveva io prima, 
Dalla mede»nia raau, rhe l'ha furalo ? 

E »eo1Ìr»i chiamar per tua difrta, 

Da chi falla gli atra primiero ullcta f 


Nuo peo»al <4 o famoao re di Gorre, 

Che mai più per Artaro io tlrioga tpada ; 
Nè eh' io putta anco mai lo tdegoo porre 
Si, ch'ai rnipello tuo chiamalo vada; 
Onde altre forte al too periglio teiorre. 
Altra aita procacce e io altra tirada 
Cerchi i tuoi buon giicrrir, cerchi Gaveoo, 
Che iu largo mioacctar licu gli altri a freuo* 


Scacriate, allo gnerrier, Tira e lo tdegito, 
E del re ricevete il prego umile, 

Che *1 tovcrrliiu esser duro patta il seguo 
Del gcuefoMi spirito c gentile, 

E d' orgoglioto nome si fa degno, 

Vìe più che di magnauìmo e virile; 

Che come il onntratlare è bel talora. 

Cosi '1 AuM ceder mai si biasma ogoora. 


Cile r alleata del cor, la cortesia, 

Ch' è compagna, al valor, come diceste, 
Utar conviene, ove racrulta sia 
Dall' alme chiare, e oon ai buon moiette ; 
A cui invidia e viltà chiugga la via 
Di ditcernere il ben, qual voi vedette 
Avvenir il' etto a me, che Tallro giorno 
Ebbi del bene oprar vcrgisgua e acorno ; 


Di mille alle vittorie ornato srie 
Più d'altro ravalier aulto la Iona, 

Ua il numero maggior comune avete 
Con 1* arme, coi giierrier, con la Fortuna : 
Or te voi aol voi tteaio vincerete. 

Né di lor, uè d'altrui aia parte alcuna, 
Votlru il coiiaiglìu aia, l'opra, c la palma, 
E del divino onor 1' eleroa salma. 


Ch* or eoo pretto tìIìssÌbo l' ingrato 
Penta di riilorar di terra e d' uro. 

Ne ti ricorda ben, eh' io aooo usato 
Di dare, e non di lor regni e tesoro; 

E tenta tooi guerrieri, a legno armalo, 

D' Euro al nido lootan, d' Aiulro e di Coro 
Non mi manca l'ardir di farmi strada 
Col mìo boou Galeallo, e con la spada* 


Fate, eh* ei corra il grido in ogni parte 
Che 'n voi sìa più che gemino il valore, 

E te Tarmala man non cede a Marte, 
Noo t'arrende a Minerva il saggio core; 
£ che la cortesia, le graiie tparle, 

Iu qual regno mai fu di vero amore 
Verso il patrio terreoo e 1 signor tuoi, 
Più, eh' altrove già mai, splendano in voi. 


Nè voglio io Lodagaotc, la sorella 
Di Gioevra onorala, aver mogliera. 
Come troppo per me leggiadra c bella, 
Di virlude, d' uaor, di tancne altera; 
D'altrui sìa sputa, a cui benigna tlclla 
11 ciclo allumi, e non turbata e frra, 
Come a me face ognor, sì ch* aggia vita, 
Qoant' iu bassa c 'ufelìce, alla c gradila. 


E preodete or del re le rare offerte, 
Non per eh* un tal guerrìer Tapprrtai mollo, 
Nè per che il votlru ardir vie più oon merle 
Ch'ha il duro giugo alla Britaonia tolto ; 
Ma per far de* mortai le menti certe, 
Ch'avete no colai re con pare accolto 
Come fa il peccator graaìa divina, 

Che coi devoti duui a lei s* inchina. 


B l'alcnn mi dirà, che la pieUle, 
Ch'aver debbo di voi, m'aggiunga sprone ; 
Hispooderù che a torlo fabbricale 
Del voilro mal voi tiessi la cagione : 

£ perchè folli ornai non rilroraU 
Ciasctia la tua nativa regione 
Più tosto, che servire ingrato ed empio. 
Che si fa sol onor dei votlro scempio f 


Nè vogliate soffrir, che tali amici, 

Qual vedete noi tre, che quinci semu, 
Hiporliamo aspri delti agli iofeliei, 

E compagni, e sìgour nel punto estremo; 
Ma che saran più che già oiai feliri 
Per l'oprar vostro, e ’l rio ClodasM» scemo 
D' ogui sua terra e T empio Segiirauo 
Avrà con meno ardir pìii lenta mano. 


E se non foste pur, eh' io lemercs 
D* esser tcnulu vii da Segnraoo, 

Sun multi giorni ornai, ch'io calcherei 
Altro nuovo scnlicr di qui lontano; 

Sì che con mio dolor noo adirei, 

Chi di servo tornar mi prega iu vano ; 
£ col breve poter, che taria meco, 
Forse avria dii me luce Ìl mondo ci'co. 


Q.i Cnio Maliganle e *n tai parole 
II duro Lancilutlo gli rispoK : 

Perchè sprczaandu il dir, dell' opre sole 
Alto desire iu me Natura pose 
Voi, che tele fra uui lo speglio c *1 sole 
Del saggio dimostrar te altere cose. 
Scasale il mio parlar semplice e greve, 
$' a^i sia del dever più rozzo c breve. 


Or potete tornar, diletti frati, 

E di noi riportar la ferma voglia ; 

Certi d* esser da me non meno amati. 
Che le sue proprie luci e ’l cor si soglia. 
Heslan dell' alme lor quasi privali 
1 tre buott cavalier, colmi di duglia, 
Udendo il fer voler di Lancilolto, 
CiTavea già il suo parlar laceudu rotto. 


L AVARCHIDE 




LXVII 

Ma il baof) vecchio LAmbe|( 0 , il vollo cÌAlo 
D* Atnar컫ifne l•grime dìcea t 
Perch'a ai bianca etaile ha, Umo ! spinto 
Il luD|to viver mio Fortuna rea? 

Perch'io veppia il terren molle e dìpinU» 
D'inlomo Avarco, a cui Uni' odio area. 
Del aanpne dei Brilanni ivi condotto 
Dal seruro sperare io LaneiloUo ? 


tsxiv 

Nè tieo del ano dover più cara alcuna, 
Ne degli amici ancor pietà la muove; 

1 qosi sospinti all'ultima fortuna 
In lei drisxan la speme, • non altrove; 
Guardate por, che se lassù s'irebraiia 
Li chiarissima grasia, che 'n voi piove, 
Com’ or vi Ca il maggior, tosto porrta 
Porvi io sorte minor, ch'ai mondo sia; 

lavili 

Come a rapioo dovea. che dai priuii anni, 
Ch’ abbandiioaslc il latte e la nutrice, 
Viviana, che vi avea dapli aspri affanni 
Del Lapo posto all' umida pendice, 

A me vi diede ed io de' vostri danni 
ftimostrando la piaga apra e 'nfelice. 

Nella memoria ancor tenera e fresca 
Di vendetta al desio nodriva 1' esca. 


LEXV 

Cha la preghiera nmil di Giove figli! 
Le ginocchia ha raltratte, e '1 collo storto. 
Gli omeri enrvi, e bieche ambe le ciglia, 
La fronte afOitla, e di colore smorto ■ 

Ma dritta, snella, e pronta a maraviglia. 
Con le membra robuste, e '1 guardo accorto, 
Quale ancilla frdel, per ogni calte 
Sempre ha la punizioo dietro alle spalle. 

LStX 

E*o quei primi trastulli, ch'airelate, 
Ch' a prao pena snodar U linpna suole, 
Più dolci sono, or sopra carie ornale 
Di ptieril pilinre, or eoo parole 
In fancinllesco suon d' alimi cantate. 

Or sotto alte verdi ombre, or sotto il sole 
RappresenUva sol l'empio Clodasso, 

Che '1 pran regno de'rostri ha posto in basso. 


txxvi 

Ma chi quella nel seno amica accoglie, 
E con pietoso cor dolce 1* ascolta, 

Del gran parente pio piega le voglie, 
Ch'alia seguace sua la fi»rxa è tolU; 

Or se *1 nostro pregar da voi non spoglie, 
La troppa ottlnsaionc in seno accolta, 
Guardate pur, famoso mio figliuolo, 

Che ‘1 nostro sopra voi non caggia duolo ; 

ITI 

Io vi mostrava opnor Bano e Boorie 
Or con fona scacciali, ed or con frode: 
E eh* ei del loro esilio, e della morte,* 
Non men che dei snoi beni, invldo gode; 
E 'n voi dolce pietà dell’ aspra sorte 
Con quel favoleppiar, che dolce s'ode, 
Aecendea notte e dì, fìngendo poi 
Morti di vostra man lui stesso e* snoi. 


i.Txrti 

E che venga poi tempo, in eni vorreste 
Al mortai nostro mal donar rimedio. 

Clic impossibii vi sia, poi die le meste 
Genti oppresse saran nel tristo assedio ; 

E con rampogne allora agre e funeste 
V assaliran pietà, dolore, e tedio, 

E la disperasiof), che segue ognora 
Quel, eh' a sceruere il ben troppo dimora. 

LTXt 

Poscia che di dì io dì credendo piva 
L'intelletto, che '1 cielo e Toso infonde. 
Con più pravi ricordi allora apriva 
Qoel, cir ai cor pìovìnctti ancor s' asconde; 
Ch'ai sapremo d'nnor quel solo arriva, 
Cui d' onesto desir 1' anima abbonile 
Di vendicare i snoi, rrudendo sciolto 
L'almo patrio terren tra s laeu avvolto. 


I.XVVMI 

Or vogliate appagar queste mie voci, 
Ond'ho per vostro ben già tante spese; 
Spogliate ai cor gli «piriti feroci, 

Che prepoogon le basse alt’ alte offese; 
E nei vostri nemici aspri ed atroci 
Spiegate drittamente le difese 
Per quelli, a cui più sete caro assai, 
Che fratelli, o figliaoi, ch'avcsser mai. 

IX SII 

E ricercando ognor capion novella 
Te n'empiea notte e di la vapa mente 
Si ben, che in breve andar vedeva in ella 
11 medeimo, che io me, volere ardente s 
Tosto poi, ch'ai montar sopra la sella, 

Ed all* arme vestir foste posseoU ; 

Di porUrc alumente mi piurastc 
Sempre in danno dì lui le spada c 1' aste. 


S.XXIX 

E vi sovvenga ornai, che 1 ciclo istesso 
Nell'altcui ripenlire al fio si piega, 

E del tntln il fallir largo ha rimesso 
A ehi, com’ or faccism, diroto il prega; 
Prendete il largo onor, che v'è concrsio, 
Ch’ a via maggior di voi talor si nega, 

E i rirebi doni io segno di virtnte, 

£ della data a noi per voi salute. 

ujun 

Né inSoo a qnesU dì gturasle in vano. 
Tal pii appurUsle ognor danno e disoore, 
Mentre che aves reserrìto lonUno, 

E poco il suo terreno avea timore; 

Or che vicina è sì la vostra mano, 

Ch' offendrre il porria nel proprio core, 

K punir mille offese in nn sol giorno. 

Fa sdegnosa dei suoi pigro soggiorno : 


I.XXX 

Qui V amare sue lagrime asciugando 
Tacque il tenero vecchio, al qaal rispose 
Il duro Lancilotlot Or come c quando 
SI contrario in volere in voi si pose ? 

Che già ogn' altro pcniier lassato io bando 
Chiaro mio outritor, sol quelle cose 
C.he m'ersii care vi lentia gradire, 

D' uno strs.so col mio fermo desirc ; 


■ 6 


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L AVARO II IDE 


t.XXIt 

E piò non vt lowirn qoantr fiale 
Il Brilanntro re liiacmaale meco, 

Dì »nperbo parlar dì voglie ingralr, 

K ’nvcrM» i merli mici d animo bieco; 
rii* or lolla coalru a me l'ira rollale, 
('.he iu pili drilla ragione avreale aero; 
E dure eaao arcutar più ai roovicoe, 

Al mio aovercliiu mal gìangcle pene. 


LXXSII 

E ron più aperto cor riapondo a voi, 
r.lie dei protneaii don nolla mi cale; 
r.h' aitai regni ed onori ho lenza i luui 
Dalia Bontà tnrmiu ed immoriale, 
Menlr* ella laaierà io apirlo Ìo noi 
Senza lorgli il veder, nè troncar l’ale; 
Che per grafia di lei lant'allo aipira, 
Che lì baiMi leior quaggiù non mira. 


Nè mi accreica il dolor, caro Lambego, 
Il vedrr voi di me dolerle a torlo ; 

E i' olirà r MIO mio quello vi nego, 
Condannate d' altrui T oltraggio icurlo : 
Secor, rlic'l CicI, come devolo il prego, 
Mi icorgerà il cammino a miglior porto; 
E con unta di quello il noilro ituolo 
Di periglio trarrà tosto, e di duolo. 


LXXIIV 

E per questo iperar con lieto core 
Di restar nel mio albergo ditponele : 

(•II* ornai troppo per voi sun Iarde i'ore, 
E ’n nido peregrino altrove iclet 
llaliganle e Bourte al lor liguorc 
Purteran le risposte, u triite, o liete, 
(filali ordinò Colui, che'l tutto vede, 

È dov* è il luo voler n* addriua il piede. 


Lxixr 

Acconsente il buon verebio, che disdetto 
Al luo piò clic figliuol mai non farebbe; 
Ma r illustre Buurle, poi ebe in petto 
Tutto il crudo parlare accollo a'eblte, 
Vdllo al compagno luo ron fosco aspetto 
Gli dice: Mabganle, se non drbbe 
Altra risposta farne Lancilotto, 

Bilroviamo il camniin, che n' lia condotto, 


LXXXVI 

Dicendo a tolto l’oilc del re Arturo, 
Cbe per l’ira d' un sul, che n len riicrba, 
Nega oitiuatamenle fermo e duro 
Di scampar molli suoi da morte acerba ; 

E d'espugnar di quella sede il muro 
Cb'é di tanti suoi danni alta e superba; 
K vedere il suo onor di luce casso, 

Pria che la roano armar conlr' a Clodasto. 



I. XXX VII 

Ma pensate in fra voi, cbe potei dire, 

O rbiarissìmo erede del re Bano, 
t'.lii vedrà ìo voi polrr le privai’ ire, 

Piii che i pnbbliro amor, che prega in vano; 
E che ‘udamo suflriitc i delti udire 
Di lai due vostri amici, e d* un germano. 


LXKxvni 

Nè vi sembri di eoe lodata altesza 
L’ esser inesorabile «II' olTese, 
tdiè ai piò saggi parrà cruda fìerezza, 

Pui ch'ai cbirsler mercede «Uri diseeie : 
Qual Oa padre già mai di tale asprezza 
In ehi r unico figlio a morte stese. 

Che al fìn per umiltà, per preghi e doni 
Con generoso cor non li perdoui ? 


tzxxix 

E voi, per breve sono di poche note, 
Cb’ a SI famoso re dettò lo sdegno, 

Delle voci penliir, e ’n voi devote 
Nini tenete il pregar dì pare degno; 

E tale ogni ragion dal eiior vi scuole, 
C.he ponendo ìn oblio la patria e ’l regno, 
1 suoi rari signori, e gli allei in lotto. 
Non vi cal di vedergli iu morte, oin lutto. 


E so ben, che di me I* antiche prove 
Vi pnnno assienrar, else tema alcuna 
Al ragionarvi tal natia mi muove. 

Nè il (orbato voltar della Fortuna, 
rii* altra aita non vo*, rhe'n ciel da Giove, 
E da questa mia man sotto la luna ; 

Ma l’impero del re, I* altrui pirtade 
Mi fere al venir qui trovar le strade. 


<’.4>n parlar dolce f.ancilolln allora 
Bisponde: O mio rhiarissimo germano, 
Nel coi buon cor tanta virtù dimora, 

Che d* ogn* ravalirro Ìl fa sovrano; 

Ben rnnosch'io, che forse alquaiilo fitora 
Vo' dal dritto cammin del rorMi umano, 
Traporlatn dall’ira, ch’oggi è tale. 

Che a ritenerle il (Wo nulla mi vale; 


Ha mirami non sìa, ehc troppo pesa 
All’anima grnlil, che gloria brama, 

Il senlirse da qnrllo a Inrio offesa, 

(■he quel sacro immortale onora ed ama. 
Prendendo contro a lei per uom difesa, 
Che d’ alto orgoglio sia, di bassa fama, 

E scacciarse sprrgiaoilo, come cosa 
Inutile, vilissima, c noiosa; 


Poi mandarla a cbianiar, qnandnlo siiingc 
Il bisogno maggior, che viulu giare. 

Con mille alte promesse, che si Cnge 
Per lei ingannar lo spirilo fallare; 

Come arcorla onirire, rhc rispinge 
Col mostrar dolci pomi a nuova pace 
Fanciullo irato, cui plorar fa liinge 
Della verga il dolor cir«orora il punge. 


Or s*a grado vi sia, con Maligante 
Al Britannico re direte ch’io 
Non inteodo di qui mover le piante, 

S' altro non disporrà nel ciclo Dio, 

Se pria non vrggia in orrido scnibiaule 
Assalir Segurano il popol mio ; 


Che v' han sempre onoralo con quel zelo, I | Ma ch’allur farò si, rUe a qoeslo albergo 

(die più sacro e maggior s’aspetta al ciclo. | Vedrò quanti saran voltare il tergo. 


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L \ V \ R C H 1 D E 



rxv 

Qai poa Gae al Bau tUrcy t *1 piu Boorl** 
Pien «lì dolore il Bcn tacilo retta; 

AlUcti Mali^anle a cnì la aorte 

Del tuo mitcro atool troppo è moietta ; 

Poi che non trova più, rhe 'I riconfurlc 
La tpeme, ch*-appana vicina e presta 
D* aver Clodaato in mano, e la tna terra, 
Se ’l fero Lancllotto ntciva in f(uerra. 

xcri 

Pur chiaro qnanto poò Gn^tendo il vito, 
Dopo alquanto pensar dicra: Signore, 

Qsei supremo MuUir, eh' oggi diviso 
Tira dai nostri «Icairi tl vostro core 
CuQ si gran duol, con altrettanto riso 
Nè porria ricongiungere in poch* ore ; 

E te pur non tara, per altra via 
Qoel eh* esser dee di noi farà, che aia. 

XCVIf 

AI qnal, per quello amor, di' io già portai 
Al vostro alto valor, devoto rliieggio. 

Che voi tenga lonlan da timil goal, 
la cui, vostra mercè, noi cinti veggio; 
V«>stra mercé dirò, *c tristi lai 
Di q«iri, ch'oggi il morir temono e peggio 
Tanto pon muover voi col suo rordiiglio, 
(^«untu puute Aquilone urri«lo icqglio. 

XCVIII 

Coti detto, soletti fan ritorno 
] due, thè ivi rimate il verchiu antìru 
A cui già molli servi erano intorno 
A sgravarlo dall* arme in atto amico; 

Poi 'I dolce leUirrinol gli fanno adorno 
Secondo il picciol loco in silo aprico, 
Ov'ei vegua a potar le membra staorlir. 
Fin chc’l notiamo vel I' aurora imbiaiiche. 

xcix 

1 tristi cavalier dall* altra parte 
Con la risposta lor ratti inviali, 

Dalle geoli in camuiin, eh' erano sparir, 
Son con sooiino desìre accompagnati: 
Hanno speranxa tatti e temon parte. 

Come il più spesso fan gli sconsolali: 

Ma nessun di spiar taldania prende, 

Se il lor gran re primiero non rinlenic* 

c 

Giongon poscia all* albergo, dove Artnro 
Tra multi cavalier bramaoùo siede, 

11 qual del suo pensar poco securo, 
Comincia a domandar, come gli vede ; 
Retta aucur Lancilotto acerbo e duro ? 

O par dal vostro dir piegato cede 
Dispogliando al suo cor 1‘ ira e lo sdegno, 
Dell* antica ragion tornare al segno ì 
CI 

Colai domanda : e*l saggio Haliganle 
Risponde I 0 re famoso, Laiicilotto 
Col pio nostro pregar non più che innante 
Nel soccorso dei nostri avemo iudulUi, 

Nè chiari don, nè le promesse Unte 
Del suo sdegno il cammino hanno interrotto; 
Ma più r han fatto assai largo e«l aperto, 
E dì sempre esser tale aficrìiu certo: 


ai 

E '1 me«lesmo, eh* io dico, anco Boorlc, 
Chc'l riprese e *1 hia«mò, narrar porria, 
Lambego no, che chiuse gli ha le porlc^ 

E di qui ritornar tronca la via; 

Irato conir' a lui, che l'altrui sorte 
Seguiva, e non la sua, come solia ; 

Mrntre il buon vecchio iiman piangeadi doglia 
Noi potendo rìlrar dall'empia voglia. 

cm 

Qui Coio Ualigaotc; e *1 re famoso, 

E quanti altri ha con lui mnlt rcslaro; 

Chi del comune onur resta pensoso, 

Chi temea di sè stesso il fine amaro ; 

Ha il nobile Trislan uon tenne ascoso 
L' Armorico valore invitto e chiaro, 

E dicea i Sacro re, poi che da v«ii 
Non manca d'acquetar gli sdegni suoi, 

e«v 

Nè vi puote accasare il vostro «tiiolo, 
Che troppo a danno suo fo<ite ostinalo ; 
Non prendete di ciò soverchio «Inulti, 

Che forse miglior via troverà il Fato ; 

E '1 soverchio pregar talora il volo 
Cresce al furor d’ iin cavalicro irato; 

Ma serrato in te stesso, a poco a poco 
Torna in cenere alGii ogni aspro fuco. 

ev 

E non temete in van, che di Ini privi 
Noi dobbiam dei nemici essere in mano: 
Nè per ciò Hi vittoria al colmo arrivi 
Il superbo Clodint) e Segtirano: 

Meli tre tanti altri duci integri e vìvi 
Sono ancor vosco ; e mentre che Tristano 
Può la spaila vibrar, regger lo scudo ; 

Non vogliale di tpeme essere ignudo. 

evi 

Nè il ricevalo danno dia credenza, 

Che non sia il vostro esercito quel, ch'era, 
Nè che i austri avversari altra eccellenza 
Agglan, uè più che pria nell' arme fera ; 
Tengasi pure in bando la temeoia, 

E l'arme al guerreggiar si serva intera 
C«>n richiesto riguardo, e deolru e fuore, 
Ch'ci uon u'avvegnamal per nostro errore* 

CVII 

Ristori pur ciascun le membra ornai, 

E di cibo e di vin, eh* al souno appresso 
Possiamo in guardia dar gli avuti guai, 

£ *1 vigor rinforzar frale e dimesso, 

A fin clic pria che '1 sol raccenda s rai, 
Sìa nell' ordine suo ciascun rimesso. 

Per difender noi stessi, o premer «}uclli, 
Se pur i' «sccasion mostre s capelli. 

CVIil 

Cosi detto, all* albergo ha mosao Ì1 piede, 
E gli altri duci ancor 1* istesso fanno, 

E di Meliadusse il grande erede 
Sovra ogni altro guerrler lodando vanno; 
L'altro popui minor, che sente e vede 
Il uio vultu c *1 parlar, 1* avuto danno 
Pensa già rieovrar, sì chiara luce 
Di speraaixa nel cor Tristano adduce. 


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AVARCHIDE 


Or rifpoadimt to»to, e (rrma il passo ; 
Che oca virar, ov‘ io soo, chi ’l aomc Ucr } 
Se Qoo che resterai Ui vita casso 
Dal mio braodo fede!, che presso (tiare. 
Hispoode Arlero allora! Io soa quel lasso 
Brilaono re, ch'alia Porliiaa spiace 
Gii soa piò (tiorni, e'n rosi acerba sorte, 
Che senaa soo disnor brama la laorte. 


Gli enasealo il re Lapo, e cinge solo 
Il braodu, c picciol' asta ha presa in mano { 
P»i perchè par raffredda il fosco Ifolo, 

D' aspro Inpo a' avrolge il vello esiraiso | 
Indi vèr Malipaote il primo volo 
Drizsano insieme, eh* era pro**imano { 
Giunti aU'albergo suo I' Orcado chiamai 
O di Gorre goerrìer d' altera fama : 


Quando conosce il re, sol doro letto 
Appoggialo r un braccio, alza la fronte. 
Dicendo: O sacro Arlnro in terra eletto 
Per imprese onorate, altere c conte. 

Chi vi scorge in tal loro, c sì soletto, 
Qnando lon piò al dormir le loci pronte? 
Voi sete d' adamante, il qnal non poono 
Domar fame, lassezza, sete, o annuo. 


Volete Toi passar nell* ozio Tore, 

Che spender si dovrimo in miglior aio ? 
Tosto il buon cavalier sente il roraore, 

E fuor del padiglion corre confuso; 

Come scorge ambi due, con nmil core 
Dice: O sacrali re, troppo ro* acctuo, 

Ch* or mi troviate pigro e neghittoso. 
Coma lepretta vii nel nido ascoso. 


E qnale alla cagioa qoi vi condoee, 
Allor che riposar dovreste alquanto 
Per tornar poi arila novella luce 
Pia forte a vendicar de' nostri il pianto? 
Non potevate almen quaich' altro dnec 
Mandar d'intoruo, e voi qoelare intanto? 
Chè '1 lotto oprar da se aon si conviene. 
Ma vie più il comandar, chi sccllro tsenc. 


Ma quale alta cagione a noi vi spinge? 
Forse altero pensier di nuova impresa? 

O pur che Scgnran le schiere accinge 
Per maorer verso noi notlaraa offesa? 
Risponde Arturo a lui: L’alma ne stringe 
Nuovo timor, che la Fortuna, intesa 
Del tutto al nostro mal, non et ritraovi 
Scota beo provveder con danni anovi. 


Ben, gli risponde Arturo, è certo e vero, 
Onoralo mio padre, il vostro dire ! 

Ma nel tempo, qnal or, contrario e fero 
Fuor deir uso comune è fona giret 
Nè solo esercitar di re l'impero, 

Ma piegane umilmente, ed ubbidire 
Al minimo guerner, per fare atrada 
A chi poi diictro a lai piò lieto vada. 


Cosi svegliando andiam quei eavalicri, 
In coi f<>ndate aviam oosire speranze} 

E Gaven va calcando altri sentieri. 
Perchè Tristano il suo venire avanae 
Là, dove per guardar locò I gnerricri, 

Li fuor del vallo in piò seccete ilanse> 
Sotto gli occhi de'qoai dell* altre torme 
Ogni duce maggior seenro dorme. 


Mentre così dicea, già fuor del letto 
Era uscito il buco vecchio, c si cingea 
Di drappo porporin gli omeri e 'I petto, 
Che non mollo olir' al busto gli pendea ; 
Poscia in abito acconcia, ch'alto c stretto 
Per 1' arme sostener pronta tenea, 

Grossa pelle restia di cerva annosa. 

Ove senza impiagar l' incarco posa. 


Tosto riloma allor dentro all* alber(^, 
E sol preodc il suo scado Maliganle; 

E per non s' impedir, l’ adatta al tergo. 
Che di maglia coverto era davaole ; 

E col suo brando sol seguia da tergo 
L'alta coppia rcal, ch'andava innante; 
Nè multo cosi van, che 'n so le porte 
Delle tende, eh' avea, tmovaa Boarie} 


La splcudenle coraaa e 1' elsae 0on, 
Che non cedendo agli anni ancora adopra, 
Però che sempre in loco a lui vicino 
Veder gli mole, e a Ini prndevan sopra, 
Tra la lancia e lo scndo, che Merlino 
Gli fo' già fabbricar con divia' opra} 

Ma per voler del re gli lassa allora, 
Pcreh' altro uso chk«lea la notlnrn' ora. 


Che nell' aperto del sovra ìa pelle 
Stese ha le membra di salvatic' orco, 
Ove il tristo vapor d’ umide stelle, 

O di rigido gtet non cura il morso; 
D' arme coperto ancor lucide e belle. 
Per aver più spedilo ogni soccorso. 
Sopra lo scodo suo la fronte avea, 

A cui posto vicia l' cimo Inera. 


E gli dice :Moviam, che1 tempo sprona 
A gire, ove le guardie hanno la sede 
Per ricercar s' «I sonno s' abbandona 
Di l«MO alcun, eh' alla lassezza cede ; 

E ’n eammio chiameremo ogni persona 
Di maggior sangue, c eh' al consiglio asstede, 
Per ragionar di noi quel eh' al di fia, 

E del campo di là cercare spia. 


LI dagli ornali legni in giro appese 
Mille aste si vedean di vana sorte, 

Di pietica di cavallo atte all' offese, 
r.he dell' uno e dell'altro aveva scorie; 
La lancia è io mezzo, eh' a più altere imprese 
Sopra il più gran destrier porta Boorte t 
La qnal crolla olir* a Ini aulì’ altra mano, 
Fnur che di Lancilotto, c di Tristauow 


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L AV ARCHIDE 




XUtf 

Molti «noi |Mrtn«ole iatonio sUuno 
Ib nùlìUrc iu«nxB •l«ii • terra, 

Che rìttoraDilo il lor pasialo alfaBno 
PrcDcloe freaco vif^or per onova guerra ; 

I tre firaoii re vicin gli ranao. 

Nè gli «rioglie il gran roano, che gli atterra; 
OoUe il re La^o alla vellora recle 

II franco cavalier «veglia col piede, 

XIX 

E che molli gaerricr d'alto ardimcnlo. 
Che *1 volsero assalir, condusse a morte; , 
Per la fama del qnal chiaro talento 
Di volerlo provar venne a Boorte ; 

Nè di seco lullarc ebbe spavento, 

Fin che si ritruvù di lui più furie; 

Ch'olirà ogni altrui credenza il pose a terra 
Poi fcrcndulo al cor Saio la guerra. 

xxiv 

Lieto dicendo a lui: Come or dormile, 
O reliur famokiuimo dì Cave, 

Mentre cori vicino, e 'atomo adite 
Dei nemici accampati il romor grave f 
Svegliate i «enti, e col gran re venite. 
Ove a trattar d’alta materia «'àve, 

Nè v' increrca Ì1 laaaar le molli piume, 

Da poi che '1 nuovo »ol raccende il lume* 

XXXI 

Nè veslt mai da poi più ricco aroetc 
Da quel giorno, eh 'e« l’ebbe, il qual dngea 
Con lacci aurati, onde gli fu cortese 
Il buon Efeo, che '1 Norico reggea ; 

Poi per fare alle genti più palese 
Quanto il servigio in grado si prendea, 

Di mille aste gli fece ultra quei dono, 
Che durissime e lunghe ivi entro sono. 

xnr 

Alla percorsa e al dir tatto turbalo 
L* onoralo guerrier dal tonno sorge, 

£d al brando fede!, eh' avea dal lato, 

In atto di ferir la destra porge ; 

Poscia in dolce vergogna rivoltato. 

Tosto che ’l re coi due compagni scorge, 
Del subito furor, quanto più puote, 
Scusando 1’ error suo la colpa scuote ; 

XXXII 

Or di sì altera spoglia ricoperto 
Prende lo scnd» solo oltre a la spada ; 
Già son venuti, dove al campo aperto 
Il riparo novel taglia la strada: 
L'accorto Bandegam dell' arie esperto 
Truovan, ch'ai fosco cielo ioleiito bada 
A dar Gue al lavor, cui Maliganic 
Avea dato principio il ^urnu avaole. 

XXVf 

E dice t Mi parea, che Segurano 
Assalisse improvistì i nostri foui; 

Si eh' ogii' altro soccorso era lontano, 
Ond' io soletto alla difesa fotti ; 

Però non sia miraeoi, se la mano, 
Spaventato al chiamar, nell' arme mossi t 
Che come sempre desto, così io sogno 
Col medesBu pcnsier l' istcsso agogoo. 

XXVtit 

E col popolo agreste, ch'è inlioito. 

Di legni c di (erren ririnlo ha intoroo; 
Ove i carri pria fur, lutto quel lito 
È di piccole torri in cerchio adorno. 

In cui stia degli arrier lo sitiol parlilo 
Per teenro ferir 1' avverso corno, 

Che nel fosso scendendo dalle spalle 
Scola di mille strali offeso il calle. 

XXVIt 

Ma jser quel die mi sembra, non si mostra 
Del giorno anco vicin segno apparire; 
Quantunque io so, che la pigrizia nostra 
Mal si poua scusar, non die coprire, 
Sendo gi^ in piè l'alta persona vostra, 
Per far gli altri peggior del nido ascirc ; 
Tal che non più ne sopera d’onore, 

Che poi di vigslanxa e di valore. 

XXXIV 

Quando vede il gran re, che in sì poch ‘ore 
Tal sia fallo de' snoi saldo sostegno. 

Volto al buon Ualigaote: 11 sommo onore. 
Dice, accende più d* un nel vostro regno; 
Ben di voi sa seguir l' allo valore 
11 pio vostro german, nè mica indegno 
D* esservi tale; e 1' opre sue leggiadre 
Del nome degno il fan, ch'aveva il padre. 

xxnii 

Ah, risponde il re Lago, io v'asiicnro 
Che qoaior vi vedrè sotto a tal tetto 
Stellato in oro, e di cristallo puro. 

Nudo io tal gnisa, e*n così dolce letto. 
Che vi perdonerà 1' eccelso Arlaro, 

Mèdi cor femminil v’àrà sospetto; 

Kd ei dolce ascoltando appella i suoi 
Già desti all’ arrivar dei grandi croi. 

XXXV 

In tai parole intorno a Bandegamo 
r#oo amoroso cor le braccia stende ; 

Ed egli allora : Ogni fatica chiamo 
Ben locata, signor, che 'o voi si spende. 
Poi chcl prezzo maggior, ch'ai mood» bramo 
La vostra alla mercede, a noi sì rende \ 
Ornandone voi qui di tante lode. 

Onde un'alma gentil più d'altro gode. 

XXIX 

Arma la testa poi di duro acciaro, 

Ma di quel più leggicr, eh' a piede adopre; 
Poi dell' irsuto vello, eh' è il più caro 
Vestimeiito, eh' ei porte, si ricuopre 
D’tio orso alpestre, già stimalo al paro 
D’ugni fero leone in cure c in opre, 

Che già i Nurici munti assai luoglii anni 
Tenne in aspra temenza, c ’o gravi danni; 

XXXVI 

Poscia i fosti varcando, ha ritrovalo 
Il famoso Tristau, che in cerchio gira. 

Se Ir guardie ben son nel dritto lato, 

E secondo il dover t' ascolta e mira; 

E eh' acTUsandu 1' un, 1’ altro ha lodalo, 

£ sopra i peccalor versala l'ira; 

Che quanti può veder, che ‘1 sonno cuopra, 
Gh' ci non si desùn mai, cui brando adopra. 


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L AVARCHIDE 


XUTIt 

Quando srorfre il frrau re,rlic*l pioTrisUno, 
(^he tanto l'affannò l'andato ytìorno, 

Avrà lenta potar pii orcl<ii e la maaot 
Al duro faticar fatto ritorno; 

Coininciat O cavalier di lOTrwnano 
Senno, amore, e valore, e forxa adora», 
Ovuoqoe io fermi il pano, ovunqnc io vada, 
Vi ritntovo d'onor calcar la strada. 

xtnr 

Segue il saggio parlar con dolce amore 
Il sacro re dell' Orradi, c gli dice: 
Veramente il fidar si gran valore 
Atl'orror tenebroso ti diidice. 

Quando ne mostra il di Iure maggiore, 

R piu rallnma il sol questa pemlicc, 

E ebe '1 mezzo cammin fra noi ricopre. 
Spiegar sol di Trtitau si devou 1* opre. 

XXXVtlI 

Qnai parole potrei, quali opre otare, 
Prr lodare e prcpiar tai merli a pieno? 
('.he convrrreLbe in voi tatti ipiepare 
1 tranri e pii onor, ch'ha Giove io seno; 
£ poi eh' altro per uom non it poò fare. 
Accettate il buon ror di desio pieno 
Di non enervi inprato, e porvi in parte, 
Ch' a Voi fouero rgnalt Apollo e Uarte. 

XIT 

Vero è, rbe a gran ragion fallo sarta 
Per le ragìnu, eh' ei disse, e per avere 
Dei consigli nemici alcuna spia, 

DrI modo r del cammin, cli'lianim a Icncrc; 
Se dì espugnarne ancor ccrclierao via, 

O di così l'assedio mantenere, 
nistringcndo di' noi le forze e'I corso. 

Fin ch'egli aggiano altronde altro soccorso. 

xxxnt 

Gli riifoide Tritlao: Noli' altro Topllo, 
Sapra lÌMÌmo re, rh* euervi raro, 

£ servirvi ad opnor non mrn ch'io soglio, 
Di ruì più che di viver sono avaro; 

Ma del mìo non poter troppo mi doglio 
Trarvi in un ponto dell' aiirdio amaro, 

£ che *1 giusto bramare ai Tn non vrgna 
Di portar sovra ogn' nooi la vostra insegna. 

xtri 

Ma deve ia tale affare essere eletto 
Chi non fosse fra noi di si gran danno, 
Di piè snello e Icggier, dì forte petto 
Da soffrir senza pena il mollo affanno, 
Di core alto c sicuro, che'l sospetto 
K ‘1 timor di morir sovenle fanno 
Cose apparire altrui mostruse e fere, 
&len clic oscuri fantasmi, o sogni vere. 

xt 

Or io per ragionar di qnel che preme 
riti nell' ora presente, loderei, 

Prr piò aperto mostrar, che non si teme, 
Nè vogliam soggiacere ai casi Cri, 

Ch'io solo andassi, o eoo un altro ìntieme, 
In porj compagnia d'alrnn de* miei, 
Assalire t nemici alla fo*c' ooibra, 

Or che '1 suono tra ’l vtn gli lega e 'ngombra. 

ZLTn 

Al ragionar del vecchio, Maligantc, 

Che di quanto ei disegna, era fumilo, 

Il passo trinilo aveva, il corpo aitante. 
Fermo e saggio il pensiero, il cure ardilo. 
Esperto del cammin, clic 'ndietro e innante 
Mille volle ha calcato il proprio lilu. 
Dice: A quanto raccngllo, io suo quell’ iu, 
Ch* a tale opra compir sarà il meo rio, 

Iti 

E di lor penserei si larga palma 
Ileo lotto rijsorlar, che quasi fora 
Dri ricevoli danni cgnal la ialina, 

Ch'or di prso maggior fra noi dimora; 
Che di gente infinila saria l'alma 
Dalle indomite membra nscita fiiura, 

E le scliicre svegliale in fnga mette, 

Pria ebe d'arme il romor sonato aveste. 

xi.vat 

Che quando pnr di me fortuna avversa 
Il già mai ritornar c«.>ntenda a voi, 

Sopra me solo il danno si riversa 
Che multi allri ci sono cgnali a noi, 

K la schiera, di' io meno, sìa conversa 
In seguir Bandegamo, e gli altri suoi; 

E congiunta con lui, cunrurde sia 
Di Circstra -la gente, c di Rossìa. 

un 

Il Briisniiiro re con Itelo volto 
Risponde; £ cbi poiria ti cliiara impresa, 
Se non con alto dire untirar molto, 

(.onte d' in iti» eor, qoal c discesa? 

Ma in Doitnriii perigli udire involto 
Ogni lotlegnu mìo, troppo mi pesa, 
Perch'ogni altro soccortu avvia per vano, 
Se mi furasse il Fato il mio Tristano. 

xux 

E » io uno porto a qoei danno e disnorc, 
Ed a voi qui di lor novelle certe. 

Sia leuiilo oscurato il nostro onore, 

£ le parole mie menzogne aperte: 

11 vero è ben chc'n solitario orrore, 

£ per vie perigliose avvolte e 'licerle 
Non porria lungo far, né chiaro il vulu 
Come faria mesticr, chi fosse solo. 

XLI:t 

Però per quello amor che mt mostrate, 
E che cui raro oprare aperto veggio, 

Che r ardente vustr'aoiniu Iroipriale, 

Ove l'uopo è minore, in grazia rhicggto; 
E che lai alma in rischio riserviate, 

Ove il nostro morir ti mostri, o peggio; 
Nè si creda alla notte, e gli errur suoi 
(fucilo invitto guerricr, che Kte voi. 

t 

Però, s* a voi parrà, qnaich' altro meco 
Di quei, rhe piò vorran, vegna airimpresa, 
(he sia ìn vece di scorta all' andar cieco, 
K nell' arme aduprar salda difesa. 

Più il ragionare, e'I cunsi^liarii seco, 

O nel ritrarre il piede, o in fare offesa, 
Mentre di' aiuta 1 un, I* altro conforta. 

La vittoria o lo scampo spesso apporla. 


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L AVARCHIDE 




u 

Henlre con Itele voci Arturo appruova , 
E l'offerta OQoraU in prado prende, 
Ginnta è già run Gaven la schiera nuova 
Di molti cavalier, che questo inleodet 
E ciascun de' miglior ai mette io pruova 
D' esser esso il compagno, e in esso spende 
Larghe preghiere al re con caro affetto, 

In cosi degna impresa esser eletto. 

tvirt 

Fu da csasciin, com* ottimo, il consiglio, 
Ma piu dai re Britannico lodato, 

Ch' a lui rispose con allegro ciglio t 
Non fla ’l vostro disegno indarno nato, 

Sol che mi prometlialc al gran periglio. 
Dal generoso cor troppo invitato, 

Di non scorrer un passo piii lontano 
Di quel, che detto avUm, caro TrisUau. 

Ul 

Fu Boorte il primier, poscia Gaveno, 

Il buon Nestor dì Gare e Lionello, 

Il cavalier Norgallo, il pio Bareno, 
Eretto, Gargaiilino, e Florio, quello, 

Che del losro Arno suo già nato iu seno, 
Del Gotico furor fatto rubello. 

Per rosi lungo mar ro'snoi veouto 
Del Brstanuico stuolo era in aiuto. 

US 

Cosi con poca luce, che moslrasse, 

Fur dei nomi di quei descritte carte. 
Ch'entro al fondu d'nn elmo scorse e basse, 
Come a guardia fcdel, diedero a Marte; 
Ed una ad una poi mischiando trasse 
Il buon re Lago, e le leggeva parie ; 

E la prima a venir dell' altre tante 
Fa con favor comun di Maliganle. 

tm 

Né mrn vuol Gossemante il core ardito, 
Come Locano il Bruto, ed Agrevallo ; 
Ivano, ed Aboodan di voglia unito 
11 mcdrsmo domanda c Perscvallos 
Così quindici son, che sovra il lilo. 

Ove le guardie stan di fuori al vallo, 
Cercan con ogni sforao, e in ogni via 
D' esser dì Malìganlc compagnia. 

ts 

Fa di Norgalle appresso il cavaliero 
Indi Fh>rto il Toscano, e poscia Ertilo, 
Con Gosscmaiile il core ardilo e fero. 
Indi viro Lionello il giovinello 
A far dei sette il bel numero intero, 

Fu da Fortuna Persevallo eletto: 

Ora ha d' essi ciascun si lieto il core, 
Come quei, che restar premea dolore. 

tiv 

Quando il saggio TrisUo la lite vede, 
Della quale ci medesmo era invenlure; 
Di dar ordine al lutto al suo re chiede. 
Ed egli il conseotio con lieto core: 

Orni' ci: Poi che l'andar non mi sì cede, 
Ov'io sperai trovar supremo onore. 
Contento sto, che indegno é il cavaliero. 
Che non vuole ubbidir, d'avere impero. 

LSI 

Ogn'nom dei venti suoi lo stuolo adduce 
Con queir arme piò oscure, che «i truove; 
Ogni piuma, ogni arnese, che riluce, 
Dando in guardia al vidn, da se rimuove; 
Il giovin Lionel, che n' era dace 
Ha seco tulli arcìer di antiche pruove ; 

Il cavalier Norgallo, che '1 seguia, 
ila di fortissime aste compagnia. 

tv 

Io vi consiglierei, che Hallgante 
Con sei di quei guerrìer, che vogliou gire, 
Con venti poi cìascuo gissero avanle 
L* empie schiere nemiche ad assalire; 
Pochi aodasicr primieri che '1 restante 
Io parte ascoso, ove potesse udire 
Ben del tutto avvisalo, c stretto stesse, 

A rìspioger da' suoi chi gli premesse. 

Lsa 

II medesmo ave Eretto e poi gli altri hanno 
Con gli scudi leggier pungenti spade. 

Per poter più schifare, e portar danno 
Seoxa gran faticar per lunghe strade ; 

Già dal campo parlili ascosi vanno, 

Ove son più intricate le contrade; 

Ha Lionel con l'arco, e Maliganle 
Con Io scudo e col brando ivano avanle. 

IVI 

Ed so con cinque insegne poi de' miei 
Non di molto loiilan sarei da' fossi, 

E l'inchinale schiere sosterrei 
Di quei dal loco lor per forza mossi; 
Poi la Fortuna chiara seguirei. 

Se da lei favorito in parte fossi; 

Nè saria da sprezzar, perchè sovente 
Vincitrice vid' io la minor gente. 

Lsm 

Già il franco Lionel da presso scorge 
Un, che ascoso inleodea, di quei d'Avarco; 
Fa fermar Maliganle e innanzi porge 
Sì come presti arca, lo strale e l'arco 
Scocca verso il meschin, che non s* accorge, 
E che pensa secar tenere il varco ; 

Sopra ambe due le ciglia in fronte il prese 
Tal che aensa romor morto si stese. 

LVII 

Or perchè troppi son quei cavalieri. 

Cui del novello onore ha punti sprone, 

£ dell' Olle, e di voi sostegni interi, 

Di tutti insieme andar non- è ragione ; 

Ma però che di sdegno ai petti alteri 
Porria l'etezion donar cagione. 

Da poi eh' esser non può se non perfetta, 
Di fortuna all' arbitrio si rinietla. 

LttV 

Or par toro ai disegni aperto il passo, 
Che d' indi olirà seguir non sia disdriio, 
Van con Torecchio a terra, or allo, or basso. 
Nè di sentire alcun premlon sospetto; 

Si eh' ove era colui di vita casso 
Lassan l'altra drappcl venir ristretto: 

Cui dicoo, ch'ivi ascoso e cheto attenda. 
Fin che io alto gridar chiamarsc intenda. 


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L AVARCIIIDE 




t*T 

E Utiaa, rh‘« Fenice c Trasiinede 
1 mielior due gnerneri, e di fMÙ ardire^ 
Tatti qacfEli altri, ove il bisogno chiede, 
Come a lue duri debbano nbbidire: 

£ I sette poscia in un muovono U piede, 
Ove Bperan trovar cieca dormire 
Di quei di Segurao la maggior parte. 
Tra i’ arenose rire intorno sparte. 

LXXII 

Ivi il lassa tremante su la terra, 

E qoat fero leon, fra gli altri spinge 
Il crudel ferro, e II medeimo atterra 
Tepuho il fero, che dormir si finge, 
perchè de’ suoi virin la cruda guerra 
D’ infioilo timor Talma gli slrìuge, 

Nè d'indi riftiggir vetle la via, 

Che non sia dal nemico oppresso pria. 

USTI 

Qaai sette lapt van, che dalla fame 
Per piò di molestati rscon del bosco; 
Ch'uve più delle maodre odor gli chiame, 
Driaaano il fero corso all* acr fi»sco ; 

Le qnai riiruvin mìserelle e grame. 

Ove il rane è indormito e *1 paslor losco. 
Si che molte hanno uccise della greggia. 
Pria che scota il mastino o *1 guardian veggia. 

Così tacito sta, ma non gli vale, 

Che’l feroce Toscao sopra la lesta, 

Che bassa tieo, gli dà colpo mortale 
Tal, che degli altri tre compagno resta; 

E Maligante intanto gli altri assale. 

Che dei morti pHmier sono alla testa 
E fa, che ‘1 crudo Arpia, che ascoso dorme. 
Nel tartareo terreno stampi T orme. 

LXTlt 

Taì giognendo costor sul lato manco. 
Ove al fiume lontan più surge il colle, 

Il Ter gotico slnol feruno al Ranco, 

E fan del Sangue suo 1' arena molle ; 

Che la sera assetato, afflitto, e stanco. 

Di vivande e di vin si ben satolle 
Avea lieto in Ira s«'l*avide voglie, 

Che dal sonno al rumor non si dÌMÌoglic> 

t**»v 

Nè indietro si riman T altero Eretto, 
Che ’l rìcciiissimo Arnaldo spinge a morte : 
(•he gli mise la spada in mezzo il petto, 
Onde Talma al fuggir trovò le porle; 

Era costui nuovo signore eletto. 

Ove il Parteoopeo con dora sorte 
Era d’ ogni suo bene, e d’uomio voto 
Dal rabbioso fnror dell* Ostrogoto. 

I.IIV1II 

Il primiero a ferir fu Lionello, 

Che fHin lo strale al Gepìdo Ascalesc 
Dietro alla fronte, e penetra il cervello 
Si, che dolce sognando a Plato scese ; 
Il qual, se ben soli' altro paralcUo 
Nato era lunge al gotico parse, 

Pur sotto il feror' Iba si roiiduce, 
Cli’aH'uno e 1' altro popolo era dace. 

txxv 

Il nobil Gotsemaole core ardito, 

Che T impnro Circon trova riverso, 

Con un colpo al dcitr* occhi» sovra il lito 
Di sangoe il lassa, e d'atro vino asperso; 
E'I chiaro Persevallo avea ferito 
Dentro al cavo del tur, proprio a traverso , 
Sagoolo il biuodo, di Seran figlinolo, 

Che d’appellarsi re sostenne solo; 

S.tÌX 

11 cavalier Norgallo appresso viene, 

£ con Tasta puiigrnle uccide Aroco 
Del sangue Gulu, il qual sopea T arene 
11 notiamo rigor temprava ai foco. 
Trapassò '1 tutto, ove alle spalle avviene 
In Gii della coraaxa, che si jKjro 
Al gran colpo mortai gli porge aita. 
Che col suo coolrastar perde la vita. 

CSVVI 

E nel mezzo di servi, e d* altri intorno 
Di serici tappeti il letto avea, 

(bsndollo ivi d' A varco, e 'n guisa adorno. 
Che non men delle fiamme rilucca ; 

Ma il chiaro cavalier per suo più scorno 
Il sostegno con lui seco iraea ; 

Poi Turante, il suo smico, a lui vicino 
Pose in frunte percosso a capo chino. 

LXX 

Il buon Florio Toscao, tosto che'otrnde, 
Che questo era Io stnol, eh* egli odia tanto ; 
E che '1 bel nido suo rapisce c'oceode, 

. £ '1 lien sepolto in misersbil pianto; 

Più spietato che mai, sovr'esso stende 
Il fortissimo brando, e Iriiova Alanlo, 

Che di Teodurico era nipote, 

E eh' hanno in sommo onor le genti Gote; 

; xavn 

Ma dei dauni il rumor per tutto è scorso, 
Meuire i sette ponean le genti al fine; 

E T abbattuto sluol rlitama soccorso 
Dalle genti eh' a loro cran riciac ; 

Si che già largo numero era corso 
Delle lor proprie schiere e peregrine ; 

Ma mentre appellan quei, questi altri vanno, 
1 buon sette gcscrrìer gran prove fanno. 

LXII 

E dietro al destro orecchio entra la punta, 
Ove sarge durissimo quell' osso, 

Il qual d'ogni furor la forza spunta, 

Da qual colpo maggior vegna percosso; 
Ma come in lai vibrando è sovra giunta, 
Noi potendo del loco avere smosso, 

Va nel cavo vicino, ed olirà vola, 

Ove il collo è inserralo con la gola. 

Lxxvin 

L'altero Segnran, che d'altro Iato 

II suo seggio da quel Icnca lunUno, 
Clodin con molta gente avea mandato 

A ’ntender se '1 romor sia certo o vano; 
Ma poi, che per più voci ha il ver Irnvato, 
(ilie dal barbaro |»opoiu inumano 

III sonno, in tema, in tenebre ravvolto 
CoQ duco lameular cresciuto è muli» : 


>7 


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txxis 

LxsModo tri per lai Bninoro il Nero, 
Con poci compsiEnU fra Goti arrÌTa, 

E rìtmova aitai i^enlc ih! lentirro, 

Cile del tatto era morta, o mezza vìva ; 
Guarda le pia^^lie, e ben di colpo fero, 
E di man, rhe non sia di forza priva, 
Srmbrao|:ti in vista c la credenza prima 
Di Tristano e Boorle opra le stima. 

I.XXXT1 

Ove senza apparir tacili stanno, 
Lassando avvicinar chi gli segoia , 

1 qnai sciolti di tema, e sparsi vanno, 
Come gli conducea 1' oscura via ; 

Nè posson dìscovrir 1' ordito danno, 
Cir olirà la notte oscura gli impedia 
La luce c '1 fuco, che si lassan dietro, 
Che facca lor parer i’ acr più tetro. 

I.XZX 

AUnr eoo più desio domanda intorno. 
Ove sien |(iti auei, che ((li hanno aecisi ; 
E iroova, che n brevissimo soggiorno 
Han deir anime sne questi divisi, 

£ che poco lontan lento ritorno 
Senza temenza fan d' esser c<ioquisÌi 
Onde irato 1* Iberno alla vendelia 
Pur con pochi de' siivi di {(ir s* affretta. 

Lxxxnt 

Con alte grida allor, con voci orvende 
DI trombe, e militari altri inslrumenti, 

Il nascoso drappello il corso stende 
Con varie aspre maniere di spaventi; 

£ "n un tempo medesimo gli offende 
Con gli strai, rhe sn gli archi erano ialruti; 
Che ben che venti ssen, mille sembraro. 
Poi tra r aste gli scudi a paro a paro. 

LXXXI 

Nè molto innanzi va, che pii ritrova, 
Come sette levn ristretti insieme, 

Che dopo alto predar, di pente nuova 
Senlon venire stool, che 'ntomo prrme ; 
Ch'or fi mettono in fuga, or fanno prova 
Di rivolgersi a qncl, che men pii teme : 

E ehi truovin dapli altri esser dispinnlo. 
Dall' artìglio, o dal dente è morso u ponto. 

• LXXXVIM 

Non fu core in tra quei di tanto ardire, 
Ch' all' improviso assalto non tremasse; 
Chi scampa il primo urtar, vorria foggirr, 
Se '1 sentier bene aperto ritrovasse: 

Ha da quei, che son gli ultimi a venire, 
A cui tardo il romor da Innge trasse, 

Hid ingombrala sì la dritta strada, 

Che ritengun ugni uom, che 'ndietro vada. 

Lvxxn 

L* accorto Lionello ad opnì passo 
Scocca dell' arco suo novello strale i 
Questo io fronte ferisce, c qoel più basso, 
Chi riman morto, e chi seguir non vale; 
11 cavaiicr Nnrpallo avvinto o lasso 
Non mostra il suo valor, ma di muriate 
Colpo in chi più nel corso pii era presso 
La pangenle asta sna nasconde spesso. 

rxxxix 

Ivi i sette buon dori, che primieri, 

E gli altri confortando son rivolti, 

Quel che di damme fan paedi e cervieri, 
Facean de* miserelli io fuga volti: 

Son già d' essi rlpien tutti i sentieri. 

Che tra '1 sangue e 1’ arena erano avvolti; 
E si folla di lor la turba rade. 

Ch'agb stessi nccisor facea piclade. 

S.KXXIII 

Fiorio. dovunque senta o pn’do. o voce, 
Che '1 polirò srrmon |)arlando spiepa, 

Con la spada si addnzza aspro e feroce, 
£ dal preso icntieru iodietro il piepa t 
£ tanto lieto c piè, quanto piè nuoce 
Air odialo drappello: c ‘1 cici rìprepa, 

Che la possanza rpnal doni alle voglie, 
Ferchc dal sente rio la terra spoglie. 

xc 

Solo il nemico Fiorio, a cnl rimembra 
Del flagel rirevnlo sopra l‘ Arno, 

D' affamalo leon più erodo sembra, 

E '1 pianger e '1 pregar si getta indarno ; 
Quell’ ncciso riman, qncl con le membra 
In più parli impiagate, esangue e srarno ; 
Quel pensando fuggir, dal prt>priu piede. 
Che 'o soccorso venia, premer si vede. 

MXXIV 

Né men fa Ì1 chiaro Eretto e Gossemanle, 
Che ritirando il piè n ncddt>n molli, 

£ se non fosse il saggio Maliganle, 

Da’ nemici alta fìoe erano avvolti, 

Percliè |)crdoDO il tempo, e pii altri innante 
Curruno al veudic.->re iosienie accolti ; 

Ha quegli allo gridando dice : Ornai 
Apgiam, cari signori, oprato assai : 

xci 

Ed ei qnanti di lor più sceme a terra, 
Di tanti «irrider più s' arma le voglie, 
Avria bramato solo in quella guerra 
Di quanti nacipier mai 1* uttime spoglie; 
Ma il numero de' morti il passo serra, 

E di più ultra gir la strada toglie; 

E già il fero Ciodìno e Segiirauo 
lu aita de' goti arman la luano. 

I.KXXV 

Or è il tempo di cctlere a chi viene, 

E sicuri tornare a miglior seggio, 

O dei nostro fallir pagar le pene 
Ci apparecchiamo ai grave slnul, ch'io veggio; 
Obbeditcepli ogni uom, come conviene 
A chi nulla ha speranza, e teme peggio | 
E ciascun rifuggendo il corso stende 
Verso la schiera lor, che dietro alicnde; 

XCII 

E con forze maggiori han penetrato 
Per mezzo al fin del fuggitivo stuolo; 
Ma il saggio Maligante d'altro lato 
A' compagni gridando affrena il volo; 
Al suo impero ciasenno c ritornalo, 

Ma in tra folli nemici Florio solo 
Trailo dal gran desio s' è tanto spinto, 
Che si scorge da quelli in giro cinto. 


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AVARO H IDE 


Ma qaal toro aelva^lEto» che »! Irove 
Da raoi, c «la paitor cliiaao il aentìero. 
Che ’atorao gaar«la, e non può «reroer iluve 
Sia lo scampo «li Ini ««curo e ’ntero} 

Che tiisperato al fin ratto si muove, 

£ ’n orrendo mn|ipire, e ’o vista fero, 

Con la cornuta fronte armala e basta 
Riservando e ferentlo a Ibrsa passa { 
xeiv 

Tale il famoso Fiorio, che si sente 
A dietro richiamare, e vede ioloroo, 

Che dalla nuova e prima ulTrsa (sente 
Senta speme impedito ave il ritorno: 
Conpiunto Ìl Itramlu al sno scudo possente 
Con furioso «rtar CarcaUi ha il corno, 

Che di dietro il cìn^a, sì ben, che a viva 
Fona, ove gli altri s«i4>i, correndo arriva, 
xcv 

Iodi con Maligaiile addriaaa il passo, 

E cosi quanti son, ì* ordia tenendo 
Verso il campo c ciascun con I* arme basso 
Va r impelo nemico sosleuriidu ; 
f«* altero Segurano il popol lasio, 

E ripien di timor va so&pio^eudo t 
Poi minacciando ai sette alta ruioa, 

Con r animosa schiera s* avvicina. 


E larghissimo danno fallo avria 
Se '1 famoso Trìstan col pio Boorle, 

Che per compagno suo chiamalo avia 
A passar seco la medoma sorte, 

Con cinque sole iosegue in compagnia 
Non presentava a' suoi fedeli scorte. 

Che *n cosi orribil suon la schiera mosse* 
Che la valle d' Oron T arene scosse, 
xcvii 

Maligante, c i compagni han già la fronte 
Con più animoso cor che mai rivolta ; 

Ma il saggio Seguran, che viene a fronte. 
Come l'impelo e 'I grido presso sKulla, 
Ben s* sccorg* ci, che più daiinaggio ed onte, 
Che mai d'altra stagione, a questa volta 
lUporlerà, s'al subito periglio 
Or non più che la mano use il consiglio, 
xcvus 

E richiamando i suoi P andar rafiircna, 
E di scudi migbur la testa addoppia. 
Quegli sceglieudo, di' Itan vigore c lena, 
Che col vivace ardir nel cor s’accoppia; 
Ma già come d’ aprii, quando balena. 

Che dopo il lampeggiare il tuono scoppia, 
Cosi dupo il mostrar chiaro splendore, 
Vicn (lai lucente ferro allo roaorc. 


Che quai feri leoni, innanzi ranno 
Percoleodo i nemici il buon Tristano, 

E '1 pio Boorle, e si ben giunti stanno, 
Che sempre pari Ìl piè segue e la mano ; 
Ed ban fatto fra lur non picciol danno, 
Pria che beo possa il saggio Segurano, 

E* occhio fisso tenendo in ogni loco, 
Spegner, come vorria, l' acceso foco. 


Perché prima cooviengli con la spada 
Salvare i suoi dal subito periglio, 

B d* opporsi al ferir mostrar la strada, 

Poi di ritrarre il piè trovar consiglio ; 

E mentre a questo e quel fra l’ ombre bada. 
Sente il ferni Britannico vermiglio 
Or del gotico sangue, or dell' Iberno, 

E molte alme di lor poste all' inferno. 

CI 

Onde in suo cor rabbioso si lamenta 
D* esser, come guerricr semplice, iucorso 
Nelle uoltiiroc iiisklie e quasi spenta 
Si stima ogni sua gloria al primo corso; 
Or all'alto furore il freno allenta, 

Or con miglior pensier ritiene il morso ; 

E perchè di Tristano udito ha U nome, 
Searca in luì di furor le gravi s«»ine, 
cu 

Dicendo: E chi v’apprcse, o in quali Kuole, 
Allo re deir Arroiirico Leone, 

Di ricovrar V onor perduto al sole. 

Nella più oscura ed orrida stagione ? 

Qual la timida volpe, o il lupo suole, 

Clic negli inganni suoi la speme pone : 

La notturna vittoria ai buoni è scorno 
Viepiù eh' esser oppressi al chiaro giorno, 
ati 

Non risponde Tristan, eh* ad altro intende 
Ma il saggio Maligante gli dieta: 

Deir ottimo guerricr la gloria splende 
Sempre in ogni fortuna o buona o ria; 

E quando ascoso è Ìl dì, quando risplende, 
E di terra e di mar per ogni via, 

Per ogni occastuo, che '1 ciel gli scuopra, 
Con generoso cor pon 1' arme ia opra. 

CIT 

Ma voi, qnale al villao, quale al pastore, 
Vorreste ai cavalier dar rozza forma, 

Che poi eh* aggia al gran di sudale 1' (KC, 
Neghittoso la notte qncti e dorma; 

Nè consentir vorreste, che '1 valore 
Già mai di travagliar non lasse rorma; 

£ eh’ al chiaro, all'oscuro, al caldo, al gelo 
Aggia di faticar lodato telo. 

cv 

E cosi ragionando il re di Gorre 
Non perù di ferir per qiscslo lassa, 

Ma quinei, ov’è'l bisogno, c quindi accorre, 
E snspiogeodo i suoi più iunanzi passa; 
Ma il feroce Tristan per lutto scorre, 

E di lui fiammeggiando or alla, or bassa 
Accendeva le tenebre la spada, 

E del sangue nemico empìea la strada. 

evi 

Uccise il furie Iberno Pilarlenn, 

Cbc del suo Segurano era nsgnato, 

£ 'I fa morendo mordere il terreno 
Con percossa fatai nel fianco lato; 

Fa il roedesmo ad Krteo, eh' al freddo seno 
Delle teiiebruse Ebridi era nato; 

Poi Meganippu, Orneado, e Limoco, 
Ch'cbber patria con lor 1’ Utesso loco. 



r — ^ — — — ' 

l’ avarchide 






Ri men di lai fa il fitoirìne di Gare, 
Cli’a quel »empre vicÌQ pcrrnntr c ferei 
Lcocriln I* T<pan H* iin colpo firave, 

Oode il capo ha cÌivÌM>, fa cadere; 
lodi il fero Leteo, clic ntilla pavé, 

E 1 primo appar fra le Sattnnie achtere, 
Fa, che per atpra pia^a della fola 
Air oode di Carun lo apirto vola. 


E ae di qaeata età gioTiae ancora, 

E della mia Forlana non v' iiacreace, 
Maorari il vecchio padre, che dimora 
Lontano, e pan con lagrime commeice ; 
Ch'adir gli aembra il meaao d' ora in ora, 
Ch'a lai porte il mio fine, e a aè rincresce; 
E ae d' on tal perdono avesac nnove. 

Non men v* adorcria, che '1 proprio Giove. 


Così Mentalo, Alloro, Echedo, e Boro 
Della profenie Usvalla a morte spinge; 
Ma più d' altro spietato entra fra loro 
Flono, e di Goto sangne si dipinge; 

Nè Lionello II primo sao lavoro 
Ha posto in olio, o d' impiagar a’ infinge 
Ogn'uom, rhe 'nionio appar, con rìgid’arco, 
Come auol cacciatore i cervi al varco. 


Dolce risponde Arturo : Or non vi caglia 
D' esser venuto in man di tai nemici, 

Usi uccider gli annali alla battaglia, 

E far mercede ai nodi, e gl' infelici : 

Pria che la bianca aurora all’alba sagUa, 
Secar vt piaDderò nei liti amici, 

E ’n vece pregherò, se non vi spiare. 

Dar risposta ai mio dir, die sia verace : 


Ma il saggio Segiiran, mi sol non preme 
Il predente suo mal, che pure è molto, 

Ha più dell* avvenir nell’alma teme, 

Che non sia li I* esercito raccolto. 

Per venir a trovarlo imito insieme, 

E i* acquistalo lauro gli sia tuli»; 

Tutti chiamando i suoi, con lento piede 
Tra le tenebre ascoso agli altri cede. 


Qnale il disegno sia di Segnrano, 

Poi eh' attende di fnori it nuovo giorno ; 
D'armar conira ■ nostri argini la mano, 
O 'n tra i muri d’ Avarco far ritorno? 
Allora il misereilo al volto ornano, 

Al dir dì graaia, e «li dolcezaa adorno, 
Qual si fa dopo il gel novella rosa 
Air apparir del sol vaga e gioiosa. 


E l'accorto Tristano e Naiigante, 

Che non vogliun tentar i’tillima sorte, 

E ch'han giusto soiprilo eh* altrettante, 

0 più dì Srguran giungano scorte, 

C.on allo richiamar fra qnet davaole 
Fanno indietro tornar Fiorio e Hoorte ; 

1 qtiai, come giierrier di chiara inee, 

Sì fanno obbedienti a chi coadnee. 

cxi 

Ma nel suo ritirar, Florio avea preso 
Sanzio, il nobile Iberno, prigioniero; 

E '1 porta seco senza averlo offeso, 

Come piccioi agnel suol lupo fero, 
Perch'ei possa ridir quanto ave inteso, 
Che'l grande oste d'A varco aggia in pensiero; 
Poi temendo il suo 1* avversa parte, 
Già Tuno e 1’ altro eserritu si parie. 

extt 

Ha quei di Segnraa tristi e dolenti 
Dei compagni, ch’avean, rimasi in terra ; 
I Britanni, e i vicio lieti e ridenti. 

Cinti d* onor delta notturna guerra ; 
Passano il vallo poi, che l’altre genti 
Dalle nemiche man secare serra, 

Ove armato attendeva il gran Britanno 
Fra gli altri dnei c re, che ’ntornu stanno. 


Tal si fece egli, e tatto amile in vista 
Risponde: Invilio re, grazie infinite 
Rendo alla sorte mia lieta, e i>oo trista, 
Poi che mi spinse a scorger le gradite 
Vostre virludi, onde il sol nome acquista 
Quante anime oggi son col cielo uaile ; 

E me così prigion fan più felice. 

Che non farian la palma vincitrice. 

c svili 

E da poi che d’ intendere il pensiero 
Vi cal di Segnrano in questa guerra ; 

V' affermo io, qual suo duce e eonsigliero, 
Che non vuol ritornar dentro alla terra, 
lofio eh* ri non ha io man tutto 1’ impero 
Del gran fosso vallato, che vi serra ; 

E *n questo tempo istrsso, e *n questo luogo 
Spera al Britanno onore imporre il giogo, 

ctix 

E come il sol ralltimi 1* orienle. 

Drizzerà a questa via l’armato piede; 

Nè si Iruova Ira lor sì abhìetla gente. 

Che non pensi di voi far ricche prede. 
Allor ridendo it re, coi-tesemriilc 
L* abbraccia, e dice poi: Colai, che vede 
1 deste nostri aperti, testimone 
Appello al mio verissimo sermone : 


Ivi con Itelo cor lodando accoglie 
Dell* impresa lodata ciascun duce; 

Fiorio il Toscano allor fra le sue spoglie 
Al cospetto del re Sanzio rondare , 

Il qual tutto tremante i detti scioglie, 
Pregando: O dei Britanni eterna luce, 
Ch’a lutti splende, poi ch'or vostro sono. 
Fatemi della vita intero dono. 


Ch* altro mai non bramai, qnanC oggi qneslo, 
E per mercè dell’ ottime novelle. 

Amicissimo sempre, e vostro resto. 

Mentre vita mi dien l’ amiche stelle: 

Indi an aureo munii, totio contesto 
Di preziose gemme rare e belle, 

Dal sno rollo reai cortese tolse, 

£ quel di Sanzio laoguido o' avvolse. 


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AVARCHIDE 


cxu 

lodi Amato T araldo fa venire, 

E rhe '! Irn|a aeeoro iofino al {giorno 
Comanda, dove al pa»ceriì c dormire 
Sia oel biio 0 Qo tuo dolce auggioriK); 


Poi gli aia fida icorU al dipartire, 

Fio che nell' Olle ano faccia ritorno} 

Al fioe egli, e Tristano, e gli altri vanso 
A rialorarsi ancor del nuovo aSanno, 


CANTO XVI 


ARGOMENTO 


«Va/rfo nrmatmra pia rAi* <T odomnit/r, 
.Va la ytiol iceitdf opnÌ atpro ffilpo inrooo, 
Imliìsta il rrfft Arturo: e MaUgante 
Grave ferita ha nella manca mano. 
Contro il Jìritanno re tratcorti innante 
Tanto son Palamede e Segurano, 

Che $e non »»’ han Tristano e il fiet Boorte 
Tratto ei venia dai loro brandì a morte. 


Dfir otrara itagion la bianca Aurora 
Con le rotate man tquarriava il velo, 
Quando il gran re Britanno narito foora 
Fa di trombe al romnr tremare il cielo ; 
Ond'ogni cavaltem aH'islett'ora, 

Ogni ardilo gnerrìrr con chiaro telo 
Truova l’ arme e *1 destriero, ogni buon doce 
All' ordine primiero i looi conduce. 

H 

E tal del tno furor l'alma ripiena 
In sanguinoso Marte ha di ciascuno, 
Ch'ogni fosco penttcr si rasserena, 

Nè, che tema il morir, si vede alcuno; 
Spcran tulli in dolzor volger la pena, 

E *D bel randido giorno il tempo bruno; 
Chi a vendetta, chi a gloria, e ehi a guadagno 
Se medesino conforta, e 'I suo compagno. 

m 

Sena* ordine ciascun di vino e d' esca 
Empie le voglie tue restando in piede, 
Perché 'I vignr rinfurze e 'I desio cresca. 
Ch'ai soverchio digiun sovente cede; 

Or il troppo aspettar par che rincresca 
A ehi già il sol nell'Oriente vede; 

E ben mostrava il Ciel, com'egli adopra. 
Quando uu suo disegnar vuol porre in opra. 


Già per l' arme vestir domanda Arturo 
Il suo sommo scudier, ch'era Agraveno, 
Che col fabbro eccellente Caliburo 
Quanto faeea mestlero apporta a pieno: 
Le soleretle pria del più sicuro 
Acciar, che porti il Nerico terreno. 

Gli arma di sotto i piesU; iodi Io sprone 
Ricco di gemme c d’ or sopra gli pone. 

V 

Il pesante schinìer, che tutto abbraccia, 
Quanto l'oiso primiero in alto ascende, 

Di beo sicuri chiodi intorno allaccia, 
Congiunto al Cerro, che'l ginocchio prende, 
Rilondo, curro, e tal, che non impaccia. 
Quando indietrol'accoglie, o iaoanai stende, 
Ch' anco piglia il coscial, che sopra siringe, 
E con serici nodi allo ai doge. 

n 

Poscia alla regia gola ha io guardia messo 
Il saldo acciar, che non le ooccia offesa t 
L' uno e 1* altro braccìal gli loca appresso, 
Ove pria di lunette area difesa. 

Conserto si, eh’ ci non si senta oppresso, 
Se la lancia o la spada ha in guerra presa ; 
Ma che quelle crollar possa, e lo scudo. 
Qual di tela coperto, o tolto ignudo. 

VII 

La possente coraaaa, e fida al petto 
Che pare unque non ebbe, assiede intorno; 
In coi scolpio r artificc perfetto 
D'argentato colore, e scuro adorno 
Tre lune lai, quali al fraieruo aspetto 
Nel quarto del cammin fesser ritorno, 
Intriralc tra loro, e cìnte insieme 
Sì, che ffiostrin dì fuor le corna estreme, 
viti 

Di questa arme onorata gli feo dono 
L'indovina Morgana sua sorella; 

A cui fu mostro dal celeste trono. 

Come all' antica elade, c la Dorella, 

Sopra quante altre insegne furo, e sono 
Tutto il favor doveaoo d'ogni stella 
L' alme tre lune aver dal sommo Giove, 

E nel Gallo terrea vie piò eh’ altrove. 



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IZ 

SUv«a queste nel mezzo, e*n giro poi 
Neiretlremo di toUe feeeen (regio 
Gii Ardii aU(Ì, gli «treli, e i da^i •noi, 
('Ii'aIU VAgA DianA eraoo in pregio; 

Nè le reli tetvagge, ni i larciuoi 
In oblio pose il dolio fabbro egregio, 
Ch'ivi lolle appariao eoo si bell'arte, 

Ch’ A oalwA lóglieAQ U miglior parte. 

X 

E nel giorno medesmo, che gli diede 
L’alta Pala reale il ricco arnese. 

Gli dicca, che con quello avesse fede 
Di largo soggiogare ogni paese ; 

Del qnal dopo langhi anni essere erede 
Uno Enrico dovea, eh' ad ali stese 
Maodena ’l nome suo dall* Era al Gange, 
E per quanto Oceao tra i Poli frauge. 

XI 

Gli spallacci sovrani al loco pone, 

Che 'n Ira qoellae ^ braeeial l'omero accoglie; 
Cingeli il brando poi, che Pandragone 
Fe'più volle carcar dì opime spoglie, 

Dal popolo inimico Anglu, Sassone, 

Che del suo bel Icrren varcò le soglie ; 

E gli die sovra ogn* altro cavaliero 
Dei mATZÌale onor lo scelLru altero. 

xu 

Questo, morendo al 6oe, in mau ripose 
Il valoroso re del figlio Arturo, 

Dicendo} L* opre sue sempre famose 
Pccer ehe'l regno a voi Iascìo sicuro; 
Aggiatc lui sovra 1* umaue cose 
la riverenaa somma c al tempo duro, 

Che vi Apparerchie mai 1' aspra Purlaaa, 
Questa spada cingete sola ed una. 

xm 

I quAt detti nbbidio, ch’ai gran perigli 
Non si mise unque poi sema aver lei; 

Con la qual sempre mai rendeo vermigli 
Di sangue i campì tra i nemici rei; 

Nè d' altro brando s micidiali artìgli 
Di morte furo agli infernali Dei 
Larghi de’ sunì trofei, quanto di questo, 
Che feo più d' un Ggliool del padre meato, 

XIT 

Di preziose gemme chiare e dure 
Era il fodero intorno rsliscente, 

Ch' AvanzAvAD del sol le luci pure, 

Quando più bel si mostra all' oriente ; 
Conteste in ore tal, che stan sicure 
Al percuoter di colpo aspro e possente; 
Slmil le guardie ha in allo e 'I pome in cima, 
Che di prezzo infinito il mondo eslima. 

xe 

(x»n qoeslo, c del medesimo lavoro 
La cintura ricchissima pendra, 

(.h'alla parte minore apparia loro; 

Che di vaghi color l'altro splendea 
D'adamanti e rabio, posti fra loro 
Di rose in gnita care a Lilcrea, 

E di vaghi zafTir, non gii smeraldi, 

Che dell' anne al ferir non reslau saldi. 


XTI 

Poi per più sicurtà greve piastrone 
Il snn caro Agravea di aopra mette, 

Si eh' aggia di temer nulla cagione 
D'asIc colpir, di spade, o di saette; 

Qnal già nella sua patria regione 
Al furor dei giganti in prova stette; 

La buffa locò solo al destro lato, 

Perchè SÌA dallo scudo il manco Armato, 
xvn 

Sovra l’arme locenli ultima cinge 
La ricca imperatoria sopravvesta, 

Che con gemmalo nodo alta si stringe 
AH'omcr manco, ove non sia molesta; 

E sotto al destro braccio alato spiuge 
Il lembo adorno, che scherzando resta ; 
Ove in campo celeste seminate 
SoQ le corone sue reali aurate. 

XTIII 

Il feroce corsiero indi gli addoee, 

Ch'ei suoi sempre meoar oelt'alle imprese, 
Sopra cui, qual I* aurora, rendea luce 
Il tutto di un or fregiato arnese ; 

Il frontale argentato io alto luce. 

In cima al qual leggiadramente stese 
Sottilissime piume bianche e nere 
Air aure ventilar si poa vedere. 

XIX 

Il CTÌn, come la fronte, era coperto 
Del più sicuro ferro, e del men greve; 

Nè intra 1‘ arme nemiche giva aperto 
Quel, che ! colpi maggior primo riceve , 
Che ove al falcalo collo viene ìnserU», 
Cinto il bel petto avea spsziuso c leve 
Di doppie pelli, che indurate al fuco 
Piaga d' asta, o dì slral caravan poco. 

XX 

Ma per Averlo al gir più snello mollo, 
E per ch’ivi il ferir non vien niorlalr. 
Vuol, eh' all’ empie sue groppe sia disciolto 
r.onlra il coraiwe usar di peso tale, 

Ora al primo arrivar, dell' arme avvolto, 
Senza la staffa oprar sopra vi sale; 

Il manco Iato allur restato nudo 
11 famoso Agravea gli armò di Kudu. 

XXI 

Lo qnal cìnge sicuro, e 1' ha commesso 
Con ben ferrali nudi al collo intorno; 

Ha del citi il colore, e iu mezzo d' esso 
Sta il capo di Gorgon di serpi adorno ; 
Ch* ha nei guardo crudel lo sdegno impresso, 
E d' uccider de^io, che innalza il conio ; 
E da ciascun dei lati spira intento 
11 timore, il sospetto, c io spavento. 

XXII 

Sono intorno di lor dì saldo acciaro 
Dieci cerchi fortissimi ravvolti. 

Che del porfiro duro stanno al pam, 

E di chiodi profondi al legno accolli; 

Di ferro dentro e fuor d'argrnlo chiaro 
Color vanno onibreggiaudu i tristi volli; 
Venti SUDO in ciascuuo, e posti tale. 

Che di svellergli quindi arte uun vale. 


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l’ avaro H IDE 


xsnt 

T>i enior offro «i primi ri rompreodc 
Altr' orilioe a fortnsa ni omamrolo; 

Il •oilegno, onde al rollo sì «oiprode, 

Di falde fabbricato era d'arsenlo, 

Ove OD fosco drafOB s'avvolfe c stende} 
Nè d' una fronte soia appar rooicnio; 

Ma con Ire fere leste} e d* ira pieno 
Par mìoaccie a dasenn foco e veleno. 

XXX 

11 grand'elmo alla fin, rhe doppia tiene 
Del reai viso Ìo gnardia la baviera, 

Ove l’alto cimier montando viene, 

Che'n seno ave del riel I' ultima spera, 
Che sol le lori stabili contiene, 

E sempre dal mattin gira alla sera 
Senza mai traviare, e 1' altre cinge, 

Che dietro al corso suo di gir costringe, 

XSIV 

Del più fran re. che d' Argo c di Mtccne 
E d' altre alme dtlà lo scettro leone. 

Fu questo scudo allor che d* anni pieoe 
Con mille altere navi a Troia vennC} 

Per darle al suo furar dovute pene ; 

E di dieri anni al termioe pervenne 
Col Innfo assedio e poi di chiara frode 
Triuofaole parlio, se *1 ver se a' ode. 

XXXI 

Così qncstn Agraven d'intorno allacria. 
Ove pili la corazza monte in alto 
Verso la gola, e si che non l' impaccia 
Al rivolger il volto ad ogni assalto; 

Nè col soverchio peso assiso giaccia 
Sopra la fronte 1* incantato smalto; 

E dir si polca tal, rhe di tempra era 
Non men che 1* adamante invitta e vera. 

x*v 

Ivi mentre era inteso al grande acquisto 
Che più volte cangiò fortuna c vollo. 
Ovunque il ciel gli fosse o lieto, o tristO} 
Sempre si ritrovò di questo avvolto; 

Ma nel rio letto dal crudele EgistO} 

E dalla sposa tua di vita sciolto. 

Fu tra molli tesor dei servì suoi 
Al (ratei Menelao condotto poi ; 

XAXIt 

Poi di piastra d'acciar fino e sovrano, 
Sol che ben rivultare, e stringer vaglia, 
Difesa aggiunge all' nna e l'altra mano. 
Non men dolce a piegar, che lenta maglia, 
E larga ove il bracrial vien prossimano, 
Ch' al nodo estremo ino sovr' esso taglia t 
E poiché dritto è io sella, e fermo ha il piede, 
La lancia ìmpngna, eh' Agraven gli diede. 

xrvi 

Ch* allor divolo nell' aotica Sparte, 
Come il merlo cbiedea, con vero amore, 
Di Minerva al gran tempio iu degna parte 
Fece appender in alto; al mi valore, 

Che fa poi steso in si divine carte, 

Non volle il pio germao far altro onore ( 
Scrisse S4il d' Agamenuone, il qoal nome 
Seco avea d' ogni lode eterne some. 

xxim 

Indi con bel drappel di cavalieri, 

Che già intorno gli son, s* addrixza al vallo. 
Ove schiere iofioite di guerrieri 
Tniova attender pedestri, ed a ravallo, 

£ i maggior duci lor, servando interi 
Gli ordini, eh’ al dever non faccian fallo: 
Poi, che slan comandando su le porte 
Vede il franco Tristano, e '1 pio Boorte : 

xxvti 

Quando poi fu squarciato il fosco velo 
Al veder nostro misero mortale ; 

E r alla graaia ne porlo dal cielo 
Il gran figliitol del padre universale, 

E dell’ iiom si converse Ìl vero celo 
A queir allo Fattur dal sen mortale, 

Che negli antichi templi inlurnu tulle 
For le fallaci immagini distruUc; 

XXXIV 

E dei levi destrìer prime le torme 
Dai lor capi condotte han tratte fnori ; 
Dopo rjursti gli arcieri stampan forme, 
Con gli altri pin spedili, e Erombatori; 
Vrngon poi quei, che di più altere forme 
Veston l'arme pesanti, eie migliori; 

Coli tulli passali, ogni nomo attende 
Quel, che di comandargli Arturo iolcude ; 

xaviN 

Nel famoso Bisaniio a Costantino 
Fn lo scudo possente allor mandalo; 

Ove il tenne iu onur quasi diviuo 
l^ol chiaro ricordar del tempo andato; 
Poscia di prole in prole al gran Tiutìno 
Allora imperador fu riservalo; 

Il qual, rumc di Ini più d'altri degno, 
Ad Arturo il donò d' amore in segno. 

XXXV 

Il qual tra ì maggior dnci, e i primi eroi 
Consigliando il futuro, avea varcato 
Dop' essi il foiso, c va scorrendo poi 
Col buon re Lago, e con Gaveoo a lato, 
Clte nessun altro vuol di tatti ì suoi, 

Per non moitrar di re l'altero stalo; 

E l'armale sue schiere guarda intorno, 
Che più che forse mai fur belle il giorno. 

xvrx 

Questo adunque era quel, rh'al collo iutomo 
Del suo gran re sovrau prende Agravenuj 
Né io altra guisa il voile fare adorno. 

Che della rivcrenxa, ond'egli è pieuo ; 

Solo io axxurro aurate d'ogni intorno 
Di tredici corone ha rulmo il seno, 

Cb‘ ei non si possa dir, ch* ascosa legna 
L' antica c famosissima sua insegna. 

XXXVI 

E rhtamandn di molti il proprio nome 
Che di parte maggior non gli era ascoso, 
Dicca: Cari figliiioi, dimostriam, come 
Non è il nostro valor da tema roso; 

E che per poco incarto non son dome 
Le forze invitte al pupol glorioso, 

Che della gran Bretagna ha sparso il grido 
Sullo ambe t poli, e dell'aurora al uido. 


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AVARO II IDE 



Indi» ov« i Franclii «oo, rivolge il passo» 

E dice : Alti signor» di chiaro onore, 

Non si spoglie oggi in voi conir* a Ctodasso 
Del famoso operar l' invitto araore» 

Che non giacque ancf>r mai vinto» nè lasso 
Da sorte avversa, o Maniale orrore; 

E vi sovvenga, che ^li anrali gigli 
In gnardia avete, e i quattro regi figli. 

xxxviu 

Vien poscia» ove aUcndea Fiorio ilToscaoo, 
Che i più (idi Tirreni avea d' iotoruo, 

£ dieet Amiri mici» la vostra mano 
Largo oggi appaghi l'Oslrogolo scorno; 

£ gli moslrale ben, che del ilumano 
Sangue scendeste d' ogni gloria adorno; 

E che di Fiorio io cure ampia si thiude 
Della sua prisca Elruria la virtude ; 
xxxix 

E che di librrtA dolce desio 
Con gli ardenti inoi rai vi scalda il seno ; 
Perchè spegnendo or noi quel seme rio, 
Con voi ne vengo di speransa pieno, 

Ch'ai fiorilo terreo vostro natio 
Col favor di lassù sciogliamo il freno ; 

E farciam, che dal Tchro il nobii Arno 
Non sia dolce fratei chiamato indarno. 

xt 

Segne olirà, ove Tristano ordine dona 
Air armorichc sue famose squadre, 

E dice : A lai guerrler non sia persona. 
Che giunga sprou nell' opere leggiadre; 
NèrammenIciI rumor, eh' al monda suona 
De’ fatti illustri dell' altero padre; 

Pcrch’ei medesmo a se ricorda ognora, 
Che sol l'alma gentil la giurìa onora. 

XLI 

Indi scor|(e Boorle e Maligante, 

Il cliiaro Lionello c Pclinoro, 

Questi, eh' erano appresso, e quelli avaole, 
Addrizzaodo ciascun le genti loro, 

£ parla: Or oggi alle villurie taule 
Largo s' aggitignerà novello alloro: 

Tal promette di voi la lieta vista, 
Chc'nUepida speranza ai vostri acquista. 


Perchè in guisa d' aiigci noltomi e vili. 
Traile tenebre sol sì fan arditi ; 

E qnai timidi lupi, che gli ovili 
Dall' ombre ricoperti hanno assalili; 

Ch'ai giorno poscia iu valli le più umili 
Ascosi slan tra gli spinosi liti ; 

O s'ri ss nsuitran pur, qual lurifuga, 

Ad ugni alimi gridar preodon la fuga. 

XI.V 

E de* nostri desir Fortuna amica, 

Olir' ogni mio sperar, ve lì conduce 
Fuor del lor nidn, che'l fossato iotrtea, 

£ gli fa non temer del dì la luce, 

A Gli che nieo periglio, e men fatica 
Aggia del vostro rampo ogni bnnn duce ; 
E che'l loro sperar non venga in fallo, 
Couleadcndone al gir l'argine e 1 vallo. 

xrvi 

Hoviam dunque» Signor, con lieto core 
11 passo, io non vo dirvi alla battaglia» 
Ma per metter sirnro e largo onore 
Da chi di cera frale lia piastra e maglia ; 
E di cui corse in van I' altro romore 
Conir' all' abbietto itnol dì Cornovagtia, 
Fra gl’ incantati scudi, e spade, c lance» 
Di favolose prore» e d'altre ciance ; 

XLVtl 

Che i fanciulleschi cor Irmon talora, 
Non quei simili a voi di sommo ardire» 
Che per prova intendeste, e 'nnanzi eh' ora. 
Quanto sia dall’ oprar lontano il dire; 

E che dall’ apparir gii dell’ aurora, 

Fin che Feho si scorse a notte gire, 

Feste dei corpi lor sì fallo strazio 
ler, che'l nemico Avarco ne fu sazio. 

XLVtIt 

Mentre parla così, già sopraggìuolo 
Era co' suoi l'ardilo Palamede, 

Ch' ha 'I core invitto di desir compunto 
D'aspra vendetta delle Gole prede; 

E Briinoro e Cludìn vien seco agginnlo» 
Nè Dinadano a lor lonlan si vede. 

Nè Rossano il selvaggio, o Brnnadasso» 

Nè alcun duce onoralo di Clodasso. 


Or col voler di Dio movete innanzi, 

E non vi scguirem con fermo passo» 

Si che d'ardir uon mostri, rhe n' avanzi 
L' eiremminatu popol di Clodasso; 

E vedrà il mondo (e’Ìo non in' inganno) anzi 
Che scenda il sol dcil' Oceano in bass<'» 
Che a' ebbe ss.>pra noi vittoria alcuna» 

Fu per torlo favor della Fortuna, 

xuii 

Nè d' altra parte il nobii Srgiirano 
Che già il tutto srntia, dimora in pace. 
Ma cuQ parlare alteramente umano 
Sveglia il valore, ove indurmilo giace, 

E dice: Ora il Brilaiioo e '1 Gallicauo, 
Allo spuntar del di 1' aurata face, 
Op|tresso è di timor perù» che suole 
Sempre perder con noi lucendo il Sole. 


E poi ch'han ragionalo, e fermo insirme» 
Hiiovon coi lor primi ordini le schiere. 
Verso ove Maligante a destra preme, 

E Boorte a sinistra il Ganro frre ; 

Cunquel romor,rhe’l mar quando più freme. 
Mandando in fino il ciel le spume altere; 
Che dal nebuloso Austro spinte a terra 
Fanno «'1111 pietrosa orrida guerra. 

L 

Ma il fero Segtirano a qoesto intoppo 
Lassando indietro i suoi, muove il destriero; 
Ch' nitri stendendo il marzial galoppo 
Molti Britanni già versa al sentiero; 

QurI cavai resta morto, e questo Zuppo, 
Ch'agrameule oppressalo ha il cavaliero ; 
L’altro si sceme andar nel campo errando. 
Che del miser rcUor si trova iu baodu. 



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i 

I 

I 



tl 

Or af»rrto «pparìscr il prandi* Ibrmo, 

Or Ira ì molli porrrirr »Ì mie asroio; 
Qua] la luna lalur nel freiiilu verno, 
Quando il ciel Irveraente è nubiloM), 
l'.h'or >t niOitra, or ai rnpre a danno e scherno 
Ori las«o TÌator, rh* ebbe il riposo 
Più lardo al dìsrpnare e più lontano, 

£ la piprtiia Mia rondanna in vano; 

ni 

Tal epli or tra plì esiremi, or tra i primieri 
Dopo alqnanlo piardar sorto rirsre, 

Qnat rapaci drirm vaghi e Irgpieri 
tlareian soU'arqna, e sopra il minor pesce; 
Ma il saggio Malipante ai suoi purrneri 
Te miuarrie e i eunforlì andando mrsre ; 
Rirnrdatevi pur, che 'I ruggir nostro 
Icr di nui iasangninù dell' Enro il rliioalro, 

tilt 

Ma se vorrete ancor, come altre volle, 
Oggi fermanflo il piede, oprar la mauo, 
Vedrete di timor le menti avvolte 
Al rio pupo! d' Avareo e Scporano; 

K le lur glorie vane in danno volte, 

E rirrrrar le mnra a mano a mano; 

£ te in noi firn d'onor le voglie accese, 
Poco spazio del di saran difese. 

UT 

Or sepiiilemi dnnqiie, c non v* ìnganoi 
Lo sperar d! fuggir, eh' nggi è fallare. 

Ma ben di Hrnvrar gli avoli danni, 

£ riportar dai buon Inde verace; 

Non siam cervi peni dì giovto'anni, 

E non è Stgiiran tigra rapare ; 

Noi siamo nomini pure, ed egli i uomo, 
Dall' arme e dal tndor talvolta domo. 

tv 

Con lai detti ti buon dure innanzi sprona 
II drappel de* miglior rislrelto in nno, 

£ vien dove il gridar più in allo suona 
Deli' urtare e ferir del rrudn Urano, 

Air apparir del quale ogni persona 
Dcn che vii, si fa andare, onde riitcano 
Seguendo Ualigante addrìzra il corso 
Inverso Srguran, qnaì cani all'orso; 

ivt 

Che dri btion carrialor mossi ai ronforli. 
Posto io bando il timor gli vanno iu turno, 
B cercando ramniiui atrosi e storti 
Cingtin latrando il chinso suo soggfnruo ; 
Ha psii che molli n'ha impiagati e niorti, 
Rifiiggon gli altri con dannoso scorno, 

£ tal di lui assai nnova temenza, 
Cli'atraUmi più invitar nun dan credenza» 

tVfl 

Sinil fanno i giierrier di qnel di Gorre, 
Che rivolser la fronte a Segiir-mo ; 

Che da poi che più d' on per terra porre 
Videro, e 'I lor poter fontr'eiso vano, 
AIriin non è, che più ti voglia opporre 
G»n si gran rischio alla feroce mauo; 

K <nmc r arme lor fos»er di vetro, 
SpavcMlatj di lui filcg"no tiidielru. 


Lvni 

Ed egli in voce allora alta e superba 
Diceva ; Or dove son quei cavalieri, 

Ch'ai tenehroso ciel di così aeerba 
Voglia ti dimostraro, e rosi feri ? 

In riversar viimrnte sopra V erba 
Il sangue addormentato dei goerrieri f 
Or contro agli svegliati, e al chiaro sole 
Temoo, non cht l'oprar, l'altrai parole? 

LIZ 

E con questo parlare necide Alfen, 

Che volea per fuggir volger le spaile, 

Ma tropps» lardi per suo scampo il feo. 
Che Soverchio ha con Ini rislrelto il ralle. 
Tal eh' ove è la memoria il colpo reo 
Disceso, il pose all' arenosa valle; 

£ Tesser nato in Velia non gli valse. 

Né il sì largo imperar qncIT onde salse. 

tx 

Indi tterite Gtrfoleo a lui vicino, 

E nel loco mede«mo con lai nato, 

Ma di sangue minor, che'i padre Anliuo 
Fu in Vetta rapacissimo ptralo; 

£ i furati teior d'altrui contino 
Non poter dei fìgliool cangiare il fato; 
Che tra 'I primo del collo, e *1 secoiid* osso 
Fu dal brando cnidet dì capo scusso. 

txi 

TVnora olirà andando Astaraco eil Echio, 
Che del re Maliganle eran parenti, 
Fìglinui d’ Ivante, e T uno c T altro gio 
Di quei compagno, che la morte ha spenti; 
Pcrch'al primier la lesta diparlto 
In fin nel eerchio, die contiene i denti; 
Passa air altro la milza d’tina punta. 

Ove al dorso allegata è più congiunta, 

i.xit 

Il buon dure di Gorre, che rio vede, 

R rhe'l suo confortar niente vate, 

A vergogna si lien volgere il piede, 

E Iu innanzi seguir sente mortale; 

Mjnila a Boorte, e con prestezza chiede 
Saldo rimedio al disperalo male; 

Corre Abomlano, e '1 truova al destro lato, 
Tra i nemici giierrier forte intricatu; 

txtii 

Che co' levi cavai di Palamoro, 

Che lemra di Boorte, era renato 
Con più gravi rorsierì il re Brunoro, 

Il qual fu per allor soverchio ainlo; 

Pvn'i che in si grand' nrlo entra fra loro. 
Che '1 numero miglior resta abbatlnlo; 

£ chi dimorA ìn piè, Tisiesso pavé, 

Fuor aolanieole t btion goerrier di Gare: 

LXtV 

Il qual T alimi spavento risogliene, 

£ che non fuggì alcun minacria e prega; 
Indi cuitir'a Brunoro ardito viene, 

Ove i compagni snoi più balte e piega; 

Il leon traora, ch'ai suo scudo tiene, 

<>he in argentata sede .vnlìto spiega 
La dìsoranle borra, e ‘1 rrodu artiglio. 
Vestito di rulor fusto e vemngliu: 


iB 


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AVARCHIDE 


E di lai Ca cadn* la tnafsfior parte, 

E |(li fa |Tave duol nel destro bracriu • 
Che '1 ferro, che ‘I copn'a, tulio diparte, 
Come >e foue italo vetro n |biacdo; 

Tal ehe di breve aanpiie ilille ha iparte, 
Che al peso fosteaer dao Unto impaecio 
(Oltra la pente, rb* ivi arriva stretta) 

Che gli chiude il cammiu della Tcndelta. 

I.SV1 

Pur ooD resta però, che eoo la spada. 
Che gii io alto teoca, noi fera in fronte, 
Ha con poco vigor convicn, che vada, 
Cile male aceonipagnò le voglie pronte; 

£ *1 deslrier paventaodo cangia strada. 

Nè vuol più col nemico esser a fronte; 

E di fuggir fra* suoi dietro lo sfona, 

Ch*a chi governa il freu luauca la fona. 

IXTII 

Cosi fa trasportato il gran Germano 
Fuor, con suo grave duol dalla battaglia, 
E '1 gran Buurte eoo rinvìtU mano 
Vie più d’ una lorica rompe e smaglia. 

In questa a gran furor giunge Abondano, 
£ *1 prega umilemeole, che gli caglia 
D* aiutar Maligante al manco corno, 

A Cui fa Segurao dannaggio e scorno. 

Lxnti 

Ed ei mosso a pieti, vedendo ancora 
Lassare a' suoi gnerrirr securo stato, 
Nestor di Gare appella, eh' ad' ogn’ ora 
Col suo nigin Bave» si Iroova a lato, 

E dice ad ambe due: Bene in brev'ura 
Da Maligante a voi sarà tornalo; 

Prendete in questo mruo cura tale. 

Che Quu venga tra voi piaga morUle. 

LXIX 

Poi qoanto paù spronando, iu fuga traova 
Senza fren ritener, quasi ogni gente; 
Che*! dir di Maligante a nessun giova, 
Che 'I fero Seguran presso si sente; 

Al qual Corre Buorle, e mette ìa pruova 
Coni* altra volta, il braccio suo possente: 
Ha vien la spada alla sinistra spalla. 
Ch’alia fruule addrizzalo il colpo falla. 

LXX 

Pur fu colai, che se men duro alquanto 
Il suo fosco dragitu lo scudo avea, 

Fura di hegurau quel giorno il vanto 
Forse iu pregio miuur, che noti lolea ; 
Salvullo adunque, tua sqiiarriosse quanto 
Ne prese il brando, onde sua sorte rea 
Biasmaiidu, disse: U re famoso Iberno, 
Troppo avete in favore il regno eterno: 

IJSXI 

E lui pur solo, c 'I troppo duro scado 
Dovete ringraziar, non I' opra vostra; 

(.he son ragion, ch'io m'alTatico e sudo 
Indarno, c nulla vai la forza nostra; 

Ma r a>pru Segurano irato e crudo 
Jltsponde: Se ìia ver, clic la luan mostra, 
K non la lingua, il gran valute altrui. 
Tosto il farò seder, Buurte, a vui. 


£ *o tal parole, run più fona il fere. 
Che facesse {la'lor già inai mastian, 

Che ’l vas4> pini di latte feo radere, 
Quamin muiigea le gregge nel mattino ; 
Ma nello scudo std venne a radere. 

Che della testa allor niopee il ronCnu; 

E non uirii di dolersc ebber cagione 

I candidi Ermellini, che ’J dragone. 

txxm 

Era aspra la (jucstiou, se in quell* or* anco 
Come fra lt>r più volte era avvenuto, 

Non la sturbava d* uno e d'altro fianco 

II popol già vicin lupravrenulo ; 

Sparlunsi dunque, e dove rotto, o stanco 
Più vede il corno sno, li porge aiuto 
Ciascun dei cavalier, nel core acceso. 

Che gli par dal nemico esser offeso. 

rjtxir 

Traova Bonrie il caro Maligante 
In micidial battaglia con Rossano, 

L* lino e r altro di lor guerriero erranlc, 
D' ardir, di forza, e di valor sovrano ; 

L* uno e l'altro di |oe d’aspro e pesante 
Colpo ha impiagala la sinistra mano; 

Ch' ambo han rolli gli scudi, c stesi a terra. 
Ha cou le destra sol fanno aspra guerra, 

I.XST 

Ebbe di rio veder soverchia doglia. 

Ne sa ben rhe si fare in tale stalo; 

Dì vendicar I* amico avria gran voglia. 

Fui ^li par dì guenier grave peccalo. 

Se d un ferito, e sul rrrcasse spoglia. 

Di slue spade coorurdi arconipagnalu ; 
Onde grida lonlan si, che quel solo 
Fuggendo ritrovò 1* amico stuolo. 

LVXVt 

Guarda Boorle allora, c lasso vede 
Punto d'alto dolore tl re di Gorre; 

E che'l sangne stillando infioo al piede 
Dall' impiagala man si largo corre, 

Che 'I tiiancanle vigor fugace rede ; 

Tal che runvetine al fin dietro a luì porre 
Megele il sno sciidier, che '1 sosleueasc. 

In fin che 1 padlgliun trovato avesse. 

LXXTII 

£ fu ben perigliosa, che veni* 

La piaga, uve la man la palma stende, 
Tra I terzo osso, c I secondo, rhe s* invia 
Ove il dito più grosso il valor prende, 

E che spesso al perire apre la via, 
Contraendosi i nervi, ch'ivi ofleode ; 

Ma il subito rimedio, e la pia sorte, 

E ]' arte di Serbino il tolse a morte. 

LXtVUI 

Or Rouano il selvaggio, che riposto 
Tra*snui nel loco istcsso era ferito, 

Grida altamente, eh' a Boorte opposto 
Sia qualche buon gaerrier non meno ardilo 
Se non che Palauior si vedrà tosto 
Con gli Aquilani suoi sgombrare il lìto; 
Come ciò sente il furie Palamede, 

Saghe a cavai, rhe si trovava a piede. 


K 


L AVARCHIDE 





r.sxix 

IX XXVI 

B laua il valoruio Bniiarìnn, 

Intanto Maligantr, a cu la mano, 

r.h*ÌTÌ in rere di Ini meni le schiere, 

Raffreddata la piaga, Ì1 duolo accresce. 

E sc|(n« Se|(<iran, eh* era ririno 

Fu dal pio Arturo scorto di lontano. 

Tra* suoi tornato, e |cià s<i*pinge e fere 

E per loi ritrovar dalla schiera esce; 

G>atra il prode Triitan, eh* al suo earemioo 

E 'ntesn il caso, al dotto Prllicano, 

Quanto può dritto andar si può vedere; 

Ed a Serhin promesse, e prrxhi mesce. 

Or pianto il re dell* Ebridi, Boorte 

Raeeomanilandol molto alia lor arte, 

Traora, die apiage gli Aquilani u aorte. 

Perchè in esio è di Ini la miglior parte. 

LXXX 

r.xxxrn 

Ha perché ha in tnan la landa, e *1 punger* onta 

Poi pensando in snocor, che *1 destro corno 

Sopra tal earatirro usar vantaggio. 

De* soci levi cavai sia scnaa dure, 

Del popolo infelice abbatte e raionla 

Perchè Bnnrte far dovea ritorno, 

Quanti altri incontra eoi nodoso (aggio ; 

Ove il periglio manco il riconiliice; 

Sopra il nono è lìareato, e si raffronta 

Gire al soccorso lor con quelli intorno, 

Allnr col branda al nobile pareggio { 

Ch*ha regi e ravalìcr, 1* animo induce; 

E chiaaando altamente il re di Cave, 

E cui romor, che fa 1* arme di Giove, 

Il vede a lui venir, che oatla pavé- 

In ver la dritta parte il corso muove. 

txvxi 

tXXXVIIt 

E ehi sia gliel discopre il nero e bianco 

B col forar medesimo percuote 

Scodo, eh* et porta, e le gemelle spade. 

Nel loco, ove lontano è Palamede, 

Che lol d'agni gnerrier si cinge al fianco. 

A ciascun di lìmor l’alma si scuole, 

Mostrando, eh* a più d'uo guerra gli aggrado 

Quando in un punto istcsso e sente e vede 

E vergogna gli fora il venir manco 

L’invitta schiera, e s* empie il eie! di note 

A qnal coppia miglior, che'ncoiiira vad« ] 

D* aspro dolor di qoei, coi primi fiede 

Pasti Itela Boorir, e *ii cor si gode 

Di mille gravi lance il doro intoppo. 

Di provar cavalicr di tanta lode. 

Ch’ai più profondo scoglio saria troppo. 

LXXSII 

LXXXIX 

Quanto pnò questo, e quel contea si sprona 

Il Britannico re, che innanai arriva, 

Quasi un veloce strai, che l' altro assaglia ; 

Asralafo Aquilano incontra il primo. 

Nè*l caldo Mongibcl st forte tuona, 

E dcU'aho cavai di quella riva 

Come il pereiinter laro alla battaglia i. 

Trapassato nel core il pose all’ imo. 

Sotto, sopra, dai lati, e'nlorno sui>na 

Cui colpo islesso della vita priva, 

Ogni scndo in un tempo, ed ogni maglia; 

Che dietro a Ini venia, l’ Ispano Edìmo ; 

R chi i colpi, eh* ci fan, contar valesse, 

Dopo lui *1 terrò, e *1 quarto non ferito. 

Potrebbe anco contar le stelle istesse. 

Ma sotto t lor cuvai prostese al lilo ; 

l.KXIIIt 

xc 

Perch* auai meno spesso del del cade 

Chef uno Edippo fa, l’altra Calisto, 

Neve al gelato dì, grandin 1* estate. 

Ambe dne nati già sopra la Sorga, 

Che si icemon di lor le gravi spade 

Pria che *1 suo corso al Rodano commisto 

Or in basso cadute, oe rilevate ; 

Il ventoso Avignon vicino scorga; 

E nessuna ivi appar, che ’ndarno rade, 

Indi col brando ìn man doglioso e tristo 

Tante arme intorno gii sono squarciate ; 

Fa qoaloaqoe gnerrier ino deitin phrga 

E perchè 1* uno e 1* altro cavaliero 

Di spronar coair* a lui, che dorè stampa 

Fu più d* altro ancor mai snello e leggiero ; 

Il dispietato ferro, un sol non scampa. 

UIXXIV 

vet 

Pare ogni brando lor la lingua acuta 

Uccise ancora il mìsero Formo, 

Di serpe annosa, che scn (orba al sole, 

Che nacque all’ Allobrogiea Lisera, 

Che ’n tal preslexxa la rivolge e mula. 

E gli mandò la testa sul terreno. 

Che sembrar triforcata al guardo mole; 

Come grandine ì fior di primavera ; 

Tal s’ ingannò di molti la veduta 

Dop'esso Croio nel medesmo seno, 

All* assalto mortai, che creder vuole. 

Ma ìn basso alquanto, ove più corre altera ; 

Scemcndole alte e basse all* istess* ora, 

Che le tempie ambedue traverse passa, 

Che tre spade ciascuno oprasse allora. 

E Palarcon eou lui morto anco lana. 

LXSXV 

xcti 

Ma come a Scgiirano a Palamede 

Poscia il compagno suo segne Balerlo, 

Pur il medesmo, c per la calca avvenne; 

Che ’n dietro quanto pnò ratto fuggia ; 

Ch* alla lite riaieiiD farsalo cede 

Il qual per gli allrnì danni del suo certo, 

Al gran seguace ilnol, che sovra venne 

Mal ritruova al suo scampo aperta via; 

E cosi questo, e quel rivolge il piede 

Che ’l valoroso Ariani, dove ìoserto 

Sopra il misero vulgo e eammin tenne 

Par, che ’l cullo coi nervi al capo stia. 

Si diverso in tra se, che non poleo 

Con un riverso in tal maniera il coglie. 

Il desir disfogar, che *n core aveo. 

Che tosto quel da questi ti disctoglie. 


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icm 

Troova Promaco appr«$so, che «ignorc 
Fu grande aU* Aquitanica Rorrrlla, 
Cb*avai]a«i dì rirrhrua t di aplendorc 
Quanti allor Vìtiguli erano in ella; 

E. 'ntomo avea di ungue e di valore 
Schiera di cavalicr Corila e bella. 

Che viene a ricercar col cor aicnro, 

Ove tanti uccidea l'invitto Arturo, 
sctv 

£ perchè innaoii agli altri alquanto »prona, 
Lui rincontra Ìl Britanno tutto solo. 

Cui ai gran colpo aupra 1* elmo dona. 

Che '1 fa rader senza sentirne duolo ; 

Degli altri, cli'eran seco, I' abbandona 
Tutto in un punto il fuggiUvu stuolo; 

E Porme ivi ciascun piu ascose segna. 
Temendo, che *1 mcdesmu a luì n* avvegna. 

xcv 

Qnal la mìsera cerva, che si vede 
Presso al fero leone il ptccioi figlio. 

Che si strugge di <inul, ma non provvede, 
Che glie! vieta il lìmor del rrudu artiglio ; 
E mentre in dubbio tien la mente e*l piede, 
Il crudo predator fatto vermiglio 
Sceme del sangue pio, perdi' ella al fine 
S'appiatta e fogge alle più ascose spine. 

xcvi 

Tale awien di custor, ma d* essi fMrte 
Non pon di lui schivar 1* invitta spada. 
Questo uccÌM) rovina, e quello sparte 
Vede le membra sue sopra la strada; 

Non vai contro al gran re rìngegno o l’arte, 
Nè il sentier ritrovar, che cieco vada; 

Che 'I feroce cursìer si ratto vola. 

Che la speranza, e '1 tempo a lutti invola, 
xcvii 

Ma non mollo indugiò, che *1 gran romore 
L* orecchie a Palamede ripercuote, 

Che poi che di Boorte ave il furore 
Qnelalo ìu parte, gio per vie remote. 

Come il porti! il bisogno, e 1' aspro core, 
Ove altro duce contrastar non pnote, 

E li facea con nuova meravìglia 
D'iaGoiti guerrier Terba vermiglia, 
acviii 

Or cangiando sentier, tosto s* invia 
Ove seute il romor del gran Britanno, 

Ed a quanti altri sìen, eh' ei truove in via, 
Dona perpetua notte, o lungo affanno; 
Tra* quai Finasso il bianco, che venia 
Facendo a* suoi nemìri estremo danno; 

E gli dà colpo tal si>pra la testa. 

Che senza senso aver, qual morto resta ; 

zcix 

Ma da* iQoi ricevuto sì sostiene 
Sopra la sella pur tanto, die uscito 
Fuor della stretta calca, in lungo viene, 
Ove Ietto sicoro ha il basso lìlo; 

Tniova : Agraven, die vendicar le pene 
Deir amico fcdel cerca ferito 
Ma non può a si gran forza contraddire 
Ch'ai deslipato fio gli toglie il gire. 


Poi di Lsndone il destro e d' Urianoi, 

E del Briin senza gioia, e di Uslrhino 
I.* intoppo inronlra, che purgran la mano 
Per romper l'onorato suo canimioo. 
Pensando in lor, che poi sarebbe vano 
L'aiutar il grao re da tal vicino, 
li tanto piu se inaspcltalo vrgna, 

Mentre altrove occupato il brando legna* 

CI 

Ha il fero re dell’ Ebridi, qnal snole 
Tigre, che molli dì lame sostenne, 

<>he dopo un lungo andare att'oinlira, e al sole 
Bramato armento ritrovar s' avvenne; 

Che morso, o piaga nonraniiggro duole 
Dì cane, e di pastur, ch'ivi convenne; 

£ mai grado di quei sbrama la voglia 
Sopra il loro primicr, di' al pasco aceoglia; 

Ctt 

Tal ei senza curar deiraltriii brando, 
Con la fronte aliba»<ata cerca Arlnro ; 

Il qnal d'ogiii tìnior viveva io bando, 

Che gli parea da’fiaoc|;Ì esser sicuro. 

Allor di' ei sente pure allo chiamando: 
Erruvi, u sacro re, quel giorno osruro. 
Che in man di PaUtnede vi ripone. 

Con gran lode di lui morto o prigione. 

cm 

Rivolgesi il p-an re, che questo ascolta, 
E gii è nolo di lui l’alto valore, 

Lassaiidii di seguir la schiera folta, 

Ma iiilrcpiiia la mano e fermo il core, 

E gli dire: Speranza frate r stolta 
Avrà ciascun, che risvegliar timore 
tu questa alma vorrà, che sola cede 
A chi riticn in ciel l'eterna sede. 

ar 

E per mostrargli ben, che poco il cura. 
Fu il primiero, e ’l ferì sopra la testa: 

Ma cits! ferma in essa è T arme e dura, 
t.he in aria il colpo, e senza danno resta 
Ed ei ch'era possente oUra misura, 

E se mai in altra guerra, or brama io questa 
Spiegar quanta ha virtù, di pietà nudo 
Scarca il brando mortai sopra tu scudo. 

ev 

E dille aurate tredici corone, 

Ood'egli è lutto intorno inghirlandalo, 
Quattro, che 'n cima lou, rotte ne pone 
Lnnian dall' altre all' arenoso prato ; 

Ha in mille parti addoppia la quislìonc; 
Che *1 deiir va crrsccudo io ogni Iato 
Di provveder per lui ratto soccorsu, 

OniT ogni buon guerriero ivi era accorso. 

evi 

Tra' primi fu al venir Florio il Toscano, 
Seco avea Gargantiuo e T^Iamoro, 

Il cavalter Norgallo ed Abundanu, 

Con Melìasso il beilo, e ’i buuu Manduru, 

Il famoso Brallenu ed Amìltano, 

Alibel quel dì Logrr ed Argannro; 

Ma il pio Carado'SO innanzi viene, 

Che la candida insegna in alto tiene. 



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L AVARCHIDE 




evii 

E rnn fona eoUl ci*«rmio *pto|e 
11 ferorp rurstcr, rlie PaUmrde 
Non pilli più innanzi andar, ma lì riilrin|te 
Cu* tuoi, rhe acciuti al prati LÌKipno vedr; 
r.li'opni biinii raTalIcr pia ti dipinge 
La palma in cor di mille ornate prede. 
Da poi die trorpon tol Taltu Britannu 
Ila* tuoi deci niglior, che luugc sLanno. 

CXIV 

Non aitrimcnti fan, eh* affamato ono, 
Che *1 soave Icior dell* api Irove 
Ch'ìndi a farlo rilrar non vai soccorso 
Di rubtuto villan, che l'asta muove; 

Nè dell’ ago di lor 1* agulo morso, 

Nè di ertùio maitin ferite nuove 
Ma tcherurodo ogni offesa, e d* ogni parte, 
Menirv che dura il mele, Ìndi non parte. 

C*lll 

Ivi i pii il Fortunato, e Bronadauo, 
Safaro, Oinadano, e Butlarino, 

II potteole Argillune, e Hatanattn, 

Che fu già di Durriiza aspro vicino: 

Or poi ch'ha ron roilur ragpiuniu Ìl patto 
Il (rru re dell' Ebridi, il eamniino 
Iliprendc rimira Arliiro, e '1 nuovo corno. 
Che gli ha falla muraglia, e vallo inloruo. 

cxv 

Simil fan questi quattro, eh* all* estremo 
Quasi han condotto il misero Britanno, 
di' era di spirto ornai sì frale e scemo. 
Che poco era lootan 1’ ultimo affanno; 

Ma il famoso Bourte a velo e remo, 
Ch'avea sentilo il gran pnbblico danno, 
Air ultimo bisogno apparito era. 

Quando si giorno miglior ginageva a icra. 

Cfx 

Di loro iQ pnita, rhe nel pasco erboeo 
D' amor toapinlo col rivale è in guerra. 
Che ’ndielro toroa a render più ^aaioto 
Campo allo tronlro, e *I corso poi diaierra 
Si rado e fermo, che vilioriuSo 
Se vede, e 1' avversario essere a terra. 
Che piuvioetto ancora, o manco saggio 
Non prese al tuo ferir pari il vantaggio { 

cxvt 

Quale al miser aoccliier, eb'a notte oicnra 
Poi die rotte ha dal mar sarte e governo, 
£ r antenna spezzala, o mal sàcnra 
Sopr' arbor frale al tempestoso verno ; 

Ch* ovunque eì guarda ornai, di morte dura 
Vede l'imniagu, e del tartareo interao; 
Ch' ogni dolce in un punto gli riduce 
Il piu splendor di Castore e di Polluce ; 

ex 

Urla il forte drappel con tanta forza, 
r.he'l poleu sostener quell’ altro a prua: 
Pnr la chiara virtù, rhe *1 corpo sforza. 
Presili io quel pnnto lor vigore e Ima; 
Ma il cavai di Bralien la poggia e l'orza 
Alternando più volle in su Carena 
Cadde sul ventre al fine, e '1 tuo signore 
Tosto del fascio rio ai mise fuore. 

ezvii 

Tal fu al misero Arlnro, che si scorge 
Fra tanti e tal gtierrier con poca sproe, 
Tom* ci sente il romor, che io allo sorge. 
Del piu fioorte, ch'ai soccorso viene; 
O^ni perduta forza Ìo lui risorge, 

E s' apparecchia a dar dovute pene 
A chi 'J tratta sì male; e *n qoesla sente 
Già Bourte arrivar ira quella gente. 

CZI 

Fe'l mrdetmo Abondan, ehe'l anodeatriero 
Airapjiarir di quei si leva in alto 
Per oprar morto, e piè, tal die leggiero 
Fu a OinaiJao dì porlo tu lo smaltii. 
Drizzosse a neh* ci ; ma più sicuro c fero 
Che Libico leooe in quell* astalto 
Fa il re, poi ch'ai ferir di Palamede 
Con diivanlaggio tal cìnto ai vede. 

aviu 

Che qoai Irvi eervier, ch'aggian tro vasto 
Da botchereceio arcier ferita dama. 

Che riian raggiunta, e 1* uno all'altro a lato 
Il passato digiuii sovr'esaa sbrama; 

Ch' ivi il fero leon tovra arrivato 
Vrggioo vicin, come la voglia il chiama; 
<^* a lui lattan la preda, e si rimUisca 
Ciascuno, ov’ è la via più ascosa e fosca ; 

CXII 

Ma polca mal durar die ilretll insiemt 
Son lattando tutti altri a luì d' intorno; 
Ripcntando fra lor, che *1 frullo e '1 teme 
Di tutto il guerreggiare avea quel giorno, 
Chi cl' uo lai re cui tatto il mondo teme, 
Andar polca delta vittoria adorno, 

E Satar, Butlarino, e *1 Furloualo 
L* han cui lor Palamede circondalo. 

enz 

Così fer questi c tmova Boslarino, 

E *0 fronte il fere tal, che non piu vale 
A sostenerle in piè, rhe sul cammino 
Andò volando a ironcou rotto egnalc ; 
Safaro, e '1 Fortanalu a lui vicino 
('.gl medesmo furore appresso assale. 

Non abbatte già quei, ma concia in modo, 
Ch* al famoso suo re squarcialo ha il nodo 

cxm 

Fiorio e Brallcno, e ’l cavalier Norgallo 
Stan, quai ferme coloooe, alla difesa; 
(Quello sprona al traverso il suo cavallo. 
Ove pi» penta a quei far grave oiTcta ; 
Quest* altro al dritto, e nessun fere in fallo, 
Che qttanlo venga d'alto, e quanto pesa 
Li spada di ciascun, posson sentire: 

Ma dispoilo haunu in cor tutto soffrire. 

cxx 

E '1 troova, che la spada gli è caduta. 
Ma sospesa la tien la sua catena ; 

Nel destro braccio avea breve femta. 

Tra '1 gomito c la man, presso alla vena 
Che dal capo s' appella, al qnale aiuta, 

K può nooccre ancor sovmoliio piena ; 
L'elmo avea bene intero, ma la lesta 
Intonala de' colpì, « debil resta. 


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AV ARCniDE 


Poluelo «I t«^, c ’ocoatra •' ap|Mreceliia 
Al fero Paiaotcde, che V aliraAe, 

E gli dà «a colpo alia •ioìstra i>reecli(a 
Sìf che loaga atay^ioB 1* adire offende | 

E riaorar eoa lai la lite veechìa 
Il peoticr gtoeiail dolceaa preatic ; 

Ma bM poco darA, che al proprio ponto 
Nooto d* altri goerrier drappello i gionto; 

curri 

Che di moloaM in poita, die sentito 
Di cani e cacciatori appia al romore. 

Che scoperto è il cingiale in qmlche lito. 
Onde, nal predo eoo, si trore fuore ; 

Che per sentler più brere, e manco trito. 
Non corando di spine aspro ripore. 

Che pii offenda rorcerhie, pii occhi e ‘I dorso, 
Otc *1 pensa trovare addrisa il cono : 
cxxrn 

Sobilo appar V altero Sepnrano, 

Che lasaando opni impresa ivi s* avventa, 

A fin che di Britannìa il re sovrano 
Senxa Ini morte, o carcere non senta : 
Invido fatto in se, che alcona mano 
Se oon la sna, di farlo s* arpomenta ; 

E pianse in tempo, che Io avea Boorte 
Tratto già di periglio, e d’aspra sorte, 
cxatv 

Che mentre ‘in pnerra sta con Palamede, 
Il cBvalier fVorpallo, e Florio insieme 
ilan posto Arturo in più semra sede 
Fuor della schiera avversa, che gli preme, 
E verso il padiplion volgono tl piede, 

Che già il misero re sospira e grme 
Del dolor della piaga, eh* ave al braccio, 
E eh* a difesa far gli dona impaccio, 
exxv 

Ma 1* Iberno erodel, rome saetta, 

Senza soi|Mtto lor ^ià sovra piange t 
Molti bassi pnerrien a terra getta, 

E *l cavalier Norgallo al Banco pange; 

Ma non fa il colpo soo senza vendetta, 
Perchà Fiorio al soccorso si congiuoge 
Del dolce amico, e ‘1 capo a lai perente 
Si, che tranar gli ha fatte arabe te gote. 

czzvt 

Ma di qaesto, nè d’altro non pii cale, 
Che tien aolo al gran re l'animo inteso; 
E Col valor, eh* avta quasi immortale, 

11 poMcnle SDO brando ha in lui disteso ; 
E Wn era al cader più che mortale, 

Ma dal chiaro Toaean si beo difeso 
Fn eoi sno scodo del porpareo piglio, 

Che scampar# U poteo d' ogni periglio, 
ctxvit 

Venne ietanto Alibello, ed Arganoro, 
Amillano, e Tanlasso al maggior uopo, 

E fan isaova maraglia al re di loro, 

Chi davanti, chi ai banchi, e chi gli è dopo ; 
E 'I iero Iberno entrato fra eo«toro 
D'ira avea gli occhi in goisa di piropo; 

E batte questo e quel, ma indarno adopra, 
Clir pur troppo era salo a sì grand' opra. 


CXVVtM 

Ma la fortuna avversa del Bn'laooo 
Conduce a Sepuran novella aita ; 
Che'nsieme rongiurata al nuovo danno 
Gli vicn de* suoi miglior genie gradita; 
Con Arino il frilon eonginnii vanno 
GrHbn, Brnmcn, Faraoo, il forte Archita, 
Il Ner perduto, il perfido Agropcro, 
Ferraodoue, Esclaborre, e Siuondero. 

CXXit 

E qual grandine folta, eh* al pastore. 
Che 'auontro a levi ptoggie avea di fronde 
Fatto un debile albei^Oi rhe in poeh* ore 
Tutto il sostegno van batte e confbade ; 
Tale aggiunti costoro al gran furore. 
Ch'estremo in Separano il cielo infonde. 
Quanto riparo avea nell* aspra guerra 
Arturo intorno a se, pongono a terra, 
exzz 

n cavalier Norgallo, e Florio in piede 
Di quanti altri vi son restano a pena ; 

Gli altri han del s«to destrier cangiata sede, 
B sotto il peso lor calcan I* arena ; 

11 buon re quasi alla sua sorte cede, 

E di viro restar si mnor di pena ; 

Che 1 fero Segurao già ardito piglia 
Del suo regio coruer 1* aurata brìglia. 

cxzri 

Ha il famoso Trìstau, rhe in altra parte 
Ha del suo re maggior la piaga intesa. 
Qual leve siral da eocca, si disparte, 

O saetta dal eiel per I* aria accesa. 

Con più furor, che 'I bellicoso Marte 
Non feo mai de* giganti all'alta impresa, 

E giunge appunto in quel, che Separano 
Alt' oQoruto fren pooea la mano. 

evxsti 

Nè batte mai sì forte in Mnngibello 
Ciclopo incade, quando irato è Giove, 

Che Tristan fe’ in quel punto sopra quello, 
Che vuole il sno signor menare altrove ; 
Colselo nel cimìcrn, e cader fello, 

Come piuma sollìl, rhe I* aura muove ; 

E griutnona il eervei si, che la Irsta 
Quasi sopra l'arcioo dormeudo resta. 

CXXIIII 

Vasienr olirà spronando, e trova Archila, 
Che vien del sno Signor alla vendetta, 

E senza fronte avere e senza vita 
In dne tronchi divìso a terra il getta t 
Escalborre, e Grìfon, rhe in nuova aita 
Tengono ad ambe man la spada stretta. 
Quel nella spalla destra, e qiicstn al fianco 
Percoteva aspramente il iato manco, 
rzxxiv 

Non cadder già, ma d'ogoi forza privi, 
E scnaa più impedirlo dtmoraro ; 

Il cavalier Norgallo, e Fiorio, ch'ivi 
Scorgono ai lor disegni alta riparo, 

Il gran Arturo, che ungaigni rivi 
Versa dal braccio con dolore amaro, 
Rìconducon sernro al padiglione. 

Ove angoscioso al letto ti rtpoite. 


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ARGOUENTO 

il re. Lapo $ostira la ria ha$tapUa^ 
ncriio il drstrier viene o Tritiaocm 
Palamede i Britanni incalta, e taglia 
A CaradatiQ V una e F altra manop 
Mentre dall' altm lato li travapUa 
Co' suoi feroci lòerni Sepurano. 

P. Galealto dal re Lago indotto 
Chieder F armi fatali a Lancilotio, 


G » 

U con le fliilW liofiM lotorao §ìt«» 
£ con le nìlU ?oci in ilio §nclo 
La dea Tclnce. ebe col capo Arriva, 

Ov* allo abbraccia il va^ empìreo nido 
E dove opni alma di spcraaaa è priva. 
Col piè li pota nel tarUreo lido, 

E con l'ale eangianli or alta, or baasa 
Di volar ooUc c dì non fu mai laaaa. 

Il 

Quella il danira d'Arlnro, • ipesio ancora 
Che lia morlo, o pri|{ion raccuula altrui ) 
E che lien aeco poi di vita Cuora 
Trìilan, Boorle, e i miglior duci ani i 
Tal che veder ai può soia in brev' ora 
Fnggir ciascun, e noo Mper da mi, 

Di cor, di senio, e di cooiigiio scosso, 
Come dal proprio folgore percosso, 
ili 

E ’n fra gli altri all' orecchie era venuto 
Del vecchio re dell' Orcadi Ì1 romorc ; 

Che porge Ìo altra parte Odo aiuto 
Al lioislro suo corno, che '1 furore 
Mal regger può, che gli c sopravvenuto, 
Di Verrallo l' Ispan, ch'ugni migliore 
Trailo fuor de^li arcier s'è innanti spinloi 
E le schiere di luì n'ha intorno eia tu, 

IV 

Le ifnaì nude d' un Caneo di difeso 
D'altri simili a quelli, o di destrieri, 

Sun foraate a soSrir mortali offese, 
Riservando al dover gli ordini interi; 

Ma il dotto vecchio in ciò mille aste prese 
De' più antichi giserrier più esperti e ferì. 
Che ritrovasse allor lUII' altro lato. 

Che dal corno, ch'ca destra, era guardalo. 


E per torlo cammm, più a loro aecoee^ 
Subito c d’ improvviso gli percuote t 
Tal che di sé fa Ìl lilo sauguiooso. 

Chi non cerca al fuggir le vìe più notes 
Or mentre torna a' suoi vittorioso, 

B gl' ìnnalsa lodando in chiare note; 

Vico volando SoHsante, che gli dica 
La novella d’ Arturo a^ra c 'afolicc t 

TI 

£ se sia vivo, o morto hn posto In forse. 
Perche 'I peggio credei, ma dir no 'I vuole. 
ScoM rìspMta dare il buon re corse. 

Che gli spirti ha smarriti, e le parole ; 

E non doglia minor l' alma gli morse. 

Che del morto figliaol pia madre suole j 
E ciugne al jMdigliuoc, ove ritruova 
Serbia, ebe di aanarlo é posto io pruova. 

TU 

Or qua), pria che s'allome affatto il giorno. 
Il tenebroso gel l'Aurora scioglie; 

Che rischiarar si veggion d' ogn' intorno 
Le piaggie c ì colli, a rallegrar le voglie 
Si srntoo degli aagei, ch'ai canto a tomo 
Pan dolce risonare e^lle e foglie; 

E dì mille bei fiorì aprire ìl sem> 

Si acorge al sao venir l’almo terreno» 

TIU 

Tale ogm suo pensier chiaro diventa. 
Spoglialo il bron nell* oscuralo core ; 

Poi parla al grande Arturo, il qual tormenti 
Del rafflreddato male aspro dolore ; 

Non è di scettro degno, chi non senta 
Dall'amaro laior, ch'apporlan l'orc; 

Che questo solo i re perfetti face, 

E che '1 bea ai cunosee, e che più piace. 

Il 

E tanto più, che non dietro alla fronto, 
O in loco uve chi fugge non difende ; 

Ma in quella parte, che con forse pronte 
Tatto il resto rieuopre, c gli altri offende, 
Vé giunto il danno ; e ronorato fonte 
Dell' arte, eh' al aanar le piaghe intende. 
Qui con voi scemo; il qealc ho già vedalo 
Rìtor 1' alme laggiù dì grembo a Fiuto. 

X 

Ah, rsspoude il gran re, giocondo padre, 
Ben rendo grasse al Cicl, che la vsllade. 
Come san le nemiche, c le mie squadre, 
Non m'ha (atte lassar d’onor le strade; 

Ma desio forse d' opere leggiadre. 

Olirà il dever di regìa qualitadn, 

Con poca compagnia troppo mi spìnse, 

Ove il mio buon voler Fortuna vinse. 


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K 


L A t A R C U I p E 




Nè mi dnol del mìo m«1, nè mi dorrei 
D'etAer l*er ria «dal venolo • morie; 
Ma rhe per mia ra^iiune i duri miei 
Sien, laiM, indotU a perifsUiua «orle; 

E volentier mia »«*rle raogerei 
Col famom Triitao» fot pio Boorle, 

Che per la mia »alale in tale italo 
Lauai^ch*» «arò «empre «coniolalu. 

>. ■ > 

1 . . • * .1 

1 « 1 , tVIM * • V • 1 

E’n fra gli allri Ahnndano, c Brallen lenva 
Chr dal fero incontrar fur po»li a pic«l0; 

Dà lor frr«c(i Q[»riiero, e lancia nuova, 

E iP ogni arm^ perduta rìpruwrde; 

Col dir da poi, rhe in tal mi«erie giova, 

Già «'avvicina, dnve Palamrde, 

Srgurano, e Trialan anno, e Uianrle 
In pcriglioaa ancora e dubbia aorte. 

xn 

E parò prego voi, dure famowi, 

Che eoo quanti qui man, e «ieiio altrove. 
Dì trar quei due del loro penglioui 
Facciale per mio amore ultime pn»ve; 

£'l candido fticndardo, or «anguinnm, 

Che '1 bnon re Caradui»4> al vento muove, 
Non reati de‘ oemiei a lungo «cherno, 

E del pubblico ooor naufragio eteruo. 

XIX 

E rilruAva in quel poirtn. rh* a Trillano 
Il poaaenle cavai cuu P empio airale 
Ellero orritu arra P empio Germano, • 

i Si rhe d'indi riirarie arte noo vale; 

Ma mentre tiene il grave icudo in maun, 
Dell' offne d'ogni uom poro gli cale. 

Perché con quello ogn* impelo «oitime, 

E d' arme e di curaier, che ‘ncontra viene. 

Kilt 

Coai diale H Britanno, e con gran pena, 
perchè ‘1 «angue perduto, r Palla doglia 
D* ardir non già, ma ben di ipirto c lena 
E del primo vigor le membra ipogUa. 
Riiponde il re dcH'Orcadi: Serena 
Reati in voi eoi «perar eiaaruna voglia, 
Ch* io ben v’obbedirò, qual piò «i deve, 

£ braaaate novelle avrete in breve. 

XX 

Par nell* Alpi nevoae orso «elvaggio, 

Tra cani e careìator serrata e cinto, 

Drillo appoggialo al più robuato faggio. 
Con drnli rd unghie alla difesa accinto ; 
Ch'or quel mastio, rhe lascia il suo vantaggio, 
Or l'ardito villano a morte ha «pintn; 

E ch'or quel ferro agtito, ed or qnelPasta 
Con le setole braccia or tronca, or guasta. 

XfT 

Tal parlantio »i parie; e con lui vanno 
Il ravalier Tornano, e *1 bnon Nurgallo; 
Meliauo, e Hador Piateoo fanno, 

E di tulli riairun cangia raralln ; 

Ch’ai fero battagliar ai acerbo danno 
Soffrir, che perdonar ai poole il fallo, 

Ch’ ei fero ai lor aignor, ch'un *ol non vera, 
Ch' aggiu u crollare il piè la fona intera. 

xxt 

Tale il chiaro Tristano or quello ancidr. 
Or chi agginnger non può del desirìer priva; 
Tal rhe più non ai Irtiova, chi a' afltde 
Di presto andar, qttanlo la spada arriva, 
Ma con «asti e con danli gli cooqnidc 
Del doralo leon T immagin viva, 

Con qnello allo romor, chc’ntomo utona, 
tjualor grandine folta i tetti iuluona. 

XV 

Coti apronaudo ioairme, molla gente 
Trovao dietro tornar, che '1 campo laaaa, 
Per la fama del re trilla e dolente, 

Di timor rolma, e di aperanxa eaita ; 

Ma il aaggio re delPOrcadi altamente 
Va riaacon confortando, uvuuqne paaaa : 
Piu che mai vivo fowe é il grande Arturo, 
E di morta] periglio ornai securo. 

xxrl 

E 1 penaan di ilancar, che polca forse, 
Ma con lunga ilagion, loro avvenire: 

E *1 irampi'i, che P Iberno i tuoi Microrae, 
£ pasto il ano dìaegno al rivenire : 

Già eoi buon cavalier P Orcado arrorse 
Gridando: Or dee temer di mai perire 
Il mio clitam Trialan, mentre il suo Lago 
Nou ha varcato ancor di Stige il Lago f 

xrl 

Rilomiam. cari figli, alla battaglia, 

Ch' ora è Ì1 tempo migliore, in eoi ai moatre, 
Che con ragione al ciel volando taglia 
Il grido illnatrc delle glorie votlret 
E che «enta il gran re, che noo ei amaglia 
li tenace valor drIP armi noitre 
Per breve colpo ; c aopra lor non puote 
La nuuMca Fortuna, o le sue rote. 

XTItl 

Coai detto, olirà passa, c col drappello. 
Quanti intorno a Ini aon per terra stende ; 
Queslu cade impiagato, o morto quello, 

K d' un colpo medeamo molti offende; 

E 'd breve adnpra, ebe bi atuol ribello, 
<ih' era pria vinrilor, vinto si rende; 

E del cacciare altrui la primiera arte, 

Or in Ioatu fuggir totU diparte. 

xvn 

In lai voci va toiiaoxt, e 'neootra moHi, 
Che d'iodiclro tornare hanno cagione; 
Ch'han le membraimpiagale, e ataunoavvolli 
Di aaogitìooac righe ao 1 arciime ; 
tenesti liiUi conaula, e gli ha rivolli 
(.o’aiioi mioialri al firoprio padigliunc ; 

Il qual largo ahUundava d ogni aita. 

Che coovegua a curar piaga c ferita. 

xv»v 

Non gli argoe il re Lago e ’ndieiro rìeJe, 
E destrier iiobiliaiimo apprcaenU 
Al buon Triitan, che di famoie prede 
Ebbe, dove P Albera Era diventa, 

Al tempi, che d* Albìo P ultimo erede, 

E P AIvrrnica prole rendè ipenla 

Già il trrx' anno davanti, e rhinse il passo 

Al auccorao maggior del re Clodasso. 


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I 

l’ avarchide 

ago 


1 


SaIU in CMC TriUtn, die gliel condnee 
Dell* Orcedo il iendter, detto AUniooe ( 

Or |li par racq^nistir del «ol la luce, 
A*e»dendo il gaerrìer nel onoro arcioae, 

£ dice al vecchio re t Signore e due* 
Foste dei mio voler d' o|(ai stagiooef 
Or sarete dell* alma c 4*11< vita, 

Ch*o|gi meco rùnan per vostra aita. 

savi 

Mentre parUn così, Klorìo rivolto. 

Vede in contrasto rio dalla man manca, 
Nel medesmo senlicr, non luope mollo, 

Del lor famoso re l’ insegna bianca : 

E lurida: Alti gucrrìer, tra *1 popol folto 
io trista erultar, oual vinta c stanca, 
L* alia guida reale, c uiasmo eterno 
Ne sarà di soffrir si ontoso scherno. 

savi! 

Così licito, spronando ardito è mosso, 

E di quanti altri son giange il primiero, 

E trova il valoroso Caradosso 
D’aspro ituol circondalo ioiqno e fero; 
Palamede, c Salar gli sono addosso. 

Con MaUnasso, e ‘I perfido Agrogero; 

£ chi la fronte, e chi le spalle offende. 
Chi scolendo 1 insegna 1* asta prende. 

ssriu 

Del misero nocchier la vela pare, 

Lo qual fcrio si subita tempesta, 

Ch* a tempo io basso non la può piegare. 
Ma di contrari venti in preda resta ; 

Cb*or da poggia percossa alla gonfiare. 

Or dalPoraa abbattuta, esser muleita 
Si può vedere aU’arbor, ch'ella abbraccia. 
Con le piaghe di cui se stessa slrarcia. 

XXIX 

Il fero Palamede, io se sdegnato, 

Che gli cuntcoda il ciel cosi hell' opra, 
Quanto pnote il braccial del destro lato 
Perrole, eh* alla man poco vico sopra ; 
Gettala, come ramo inciso al prato: 

Ma Caradosso allur la manca adnpra, 

£ con quella rilien sì ben, che basta. 
Dell' insegna reai la sacrata asta. 

XXX 

Torna il crudele, e quella ancora incìde 
Onde cu’ Irouchi soli il re infclite. 

Che dalle ciliare mau lassi divide, 

L' abbraccia ancora, ed alUmente dire : 

In 6n che 1' alma questa spoglia guide, 

D' abbandonar tal segno si disdirti 
Ma nella fronte PaUmede il fere, 
fi con r asta imbracciala U fa cadere. 

XXXI 

Pensa I* Ebrido in se ehiaro guadagno, 
£ per sempre famoso aver quel giuruu ; 
Quando il fido TuKan del suo compagno 
Al soccorso arrivò di fede adorno, 
Gridando : Allo signor, troppo mi lagno 
Di ritrovarvi all* ultimo soggiorno { 

Ma mi consola il Cu, eh* e stato in guisa, 
Che non uc fia già usai la giuria ancisa. 


XXXII 

Così dicendo, corre a Palamede, 

Che per 1* insegna aver a* inchina a terra, 
E nell’elmo abbassalo in modo il fiede 
Che con Pinearco suo tutto l* atterrai 
L’altro, che del cavai si trova a piede. 
Tosto si rappresenta a nuova guerra ; 

E come fu leggiero a meraviglia. 

Del Toscauo aJ deslner prende la briglia : 

XXXJIJ 

E ’nlomo ad ambe mani il gira e scuote 
E per torgli ogni tempo non s* arresla { 

Nè r Italo guerrìer ferire il puote, 

Che sruilo del destrier gli fa la testa t 
Pur di puuta sì spesso il ripercuote 
Dal volto io basso in quella partee ’n questa. 
Che non lunga slagion durar potria. 

Non truvaudu al suo fin novella via ; 

XXXIV 

Ma sol con la sinistra il morso tiene, 

E con la destra man ripiglia il braudo. 
Che soiLenulu pria dalle catene 
Avea lauato gir per terra errando ; 

E tra ’l capo e la gola, ove non vieoe 
L’ acciaro, a fin eh* ei possa al suo eomaudo 
Bea la lesta crollar, gli pion la pania. 

Ove al sommo spirar la canna spunta. 

XXXV 

Stilla il sangue lontauu, e T arme lioge 
Di color porporino a chi I' offende ; 

Il percosso cavai per doglia spinge 
Se stesso in alto, e dritto si distende t 
Poi tre vulte per 1* aria allarga e stringe 
L' uu piede c l'altro, che levato pende; 
ludi col sue signor tulio in un mualc 
Stampa il terrcn con I* impiagala fronte. 

XXXVI 

Ma perchè *1 suo cader saggio antivede. 
Il famoso Toscan rimase sciolto; 

Nè prima in terra fu, che sorse in piede 
Di dolor, d’ira, e dì disdegno avvolto, 

E dice : Or come mai piu Palemede 
Potrà scasa arrossir mostrare il volto 
Trai miglior cavalier, s'è il maggior UUo, 
Clic si conti al guerricr, dare al cavallo I 

xxxvit 

E uon polrtsle voi, aè quanti stanno 
Deir Ebridi nebbiose ab'acr fosco 
Appagar il corsiero oode il Britanno 
L'altr’ìcr fu largo al suo fidato Tosco) 
Ma non sarà per voi minore il danno 
Il ritrovarle a piede io guerra nosco; 

Che sol cott questa mau, non col destriero. 
Dì guadagnare uour secar# spero. 

XXXVIII 

Cosi detto, •’ appressa al loco, dove 
Abbracciando 1* insegna morto giace 
11 re famoso, c li mirabil prove 
L' uno c l'altro guerrier di uuovo face; 
Questo onore e pietà, quell’ altro muove 
Della soglia acquistar desto rapace ; 

Questo allessa di cuore, e pia bouladr, 
Quel valor naturale, e fcriude. 



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xxitx 

E ro$ì per rs|tioni su»! divene 
L* ODO e r altro c magnanimo e<l ardito. 
Già I' Ebrido il primirr, che i trmpo scerae» 
Sopra la delira ipalla area ferito 
Il (tran Toicao, rbr mal li Hcoperie ; 

Che tanto dall' ardore ha il cor rapilo 
Dì far del luo cavai vendetta chiara, 

Ch'ai danno che gii vico, poco ripara; 

XL 

Tal che Tomo travrrao, il qaale appaio 
Co" tenaci inoi nervi il braccio tiene, 

Fu di picciola piaga alqnanio olTeio, 

E punte lopra lui le anguste vene; 

Il Toican lui percoir, ore loipeio 
Lo scudo alla siniitra in allo viene t 
E per forza, eh* avesse, anch' ci non falla 
D'esso inpiagar Bella contraria spalla. 

XLt 

E lo scudo ferrato gli divise. 

In fin dove a qnel loro ricopria; 

L'altro una punta alla visiera mite, 

Ch' alle luci arrivar dritta venia ; 

Ma dove ambe le ciglia in nno assise 
Per ìnarrarse poi prrndon la via, 

Ginnse il colpo nel mezzo, c drenlo passa, 
E ‘1 volto sangninoto intorno lasaa. 

ztfi 

Ma però che non gio profonda molto, 

K che il loco per se non è mortale, 

Non gli fa tanto mal, che a Isti rivolto, 

Di punta anch* ci, qnantu U forza vale, 
Nella sinistra parte il collo ba colto, 

Ove il piti rigid* osso in alto sale: 

E venne addentro assai, ma min che vaglia 
A dar fine, u impedir quella battaglia. 

«Liti 

Or così già vicin l'iin T altro vanno, 
Che la spada al ferir non ha più loco ; 
Pungon ai ferri man, eh' al fianco stanno, 
(ion vie più periglioso e breve gioco: 

In più d' un iato ornai percossi s'hanno. 
Si ch'ai tt-rmìne gir mancava poro; 

Ma il cavalier NorgalJo, che veduto 
Ha r ioiegiia cader, quivi é venato. 

XLIV 

Corse con qnel furor, che'l buon nocchiero 
di' agaia visto cader lalor percossa 
O d' Austro, o d' Aqnilon da spirto fero 
La fida anlcmia dal sostegno scossa. 

Ch'or quinci, or quindi va pronto e leggiero, 
Ora il grido adoprando, or la sua possa, 
In fin che risarcito, o ben rendnto 
Al suo loco primiero ha il danno avuto. 

XLV 

Urta col suo cavai senz' altra cura 
Il fero Palamede, eh' a pié trova; 

Cailde ei riverso, e '1 non aver paura, 

Nè I valore infinito assai gli giova. 

Ha Come era gravalo d' armadura, 

Di tosto rilevar si mette io prova, 
f.r>n quella ;hu snellezza, che faria 
llaitnio liuaecl, che sciolto sia. 


xtn 

E rivolto al fforgallo dicea t Come 
Non vi punse vergogna d'assalire 
Un solo a piede, e eh' ha le forze dome 
Dal lungo affaticare, e dal ferire, 

Con tal lirsiriere f e dove or rade il nome, 
Ch'io lolea per lo mondo altero adire 
Del cavalier Norgallo f eh' a mie spese 
Ho provato riilauo e discortese. 

XLVt/ 

Risponde l'altro a iuit Non sempre è t'ora 
D'usar la cortesia, nè in ogni parte; 
Ch'ove del suo Signore Ìl ben dimora. 
Deve il gnerrier leal provare ogni arte ; 
Com'or drUL'io che *n fin ch'io scema ancora 
L' insegne del mio re per terra sparte, 

Per drizzarrindi, e torle d'altrui mano 
Poco cura mi fia 1' esser villano: 

XLTirt 

Ma dopo tale impresa, in ciascun loco 
Spera il basso Norgallo a Palamede 
Di far veder, che'n qnesto e io ogni gioco 
Air Ebrido valor di nulla cede; 

E che Hi cortesia lo scalde ìl foco 
Qnando il vool la slagion, potrà far fede, 
(Uime io più d'uno assalto mostrò assai 
Ch’ai suo dovuto onor non falli mai» 

XLIZ 

E'n questo dir, dì onoro anco l'atterra, 
Ma non cerca però di porlo a morte; 

E 'I buon Toscano sciolto d'aspra guerra 
Non lassa indarno gir la chiara sorte; 

Che le man porge, ove negletta in terra 
L' insegna si giacca priva di scorte ; 

E per salva condurla ìl passo muove, 
Quando nuova tempesta vico d' altrove ; 

t 

Che tomaio è Tardilo Segurano, 

Con Anrino Ìl fellone, e 'I Ner perdalo, 
Grifon dell'alto passo, e'I suo Rossano, 

A cui il tulio vigore è rinveouto 
Del colpo acerbo, che dall' aspra maoo 
Area dì Haligaote ricevuto; 

E dei quattro gucrrier fu tal l'intoppo, 
Ch' a due stanchi, c mal sani era pur troppo. 

LI 

Fu il famoso Toscsn primo percosso. 
Che già in allo steiidea la bianca insegoa; 
Della qual resta d'iinproviso scosso, 
Perchè nullo ha timor, ch'altri sorvegna ; 
E quale abeto da radice smosso 
Da Borea al freddo ciel, quando più regna. 
Per T urto crudo del fellone Arvino 
Si rìlruova giacer col capo chino. 

MI 

E quantunque tenesse cosi steso, 

E baltiilo com'era, in braccio stretta 
La chiara insegna, si rllrvuva offeso 
Da cosi grave stool, rh'a lui ss gclU, 

Che sostener non poò ‘1 soverchio peso; 

E l'anima già al cor s'era ristretta, 

Quasi per dipartirsi vìnta c frale, 

Che *1 lodato desio seguir non vale. 


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L’ avaro H IDE 

1411 

Coti DovclUmente ia fona torna 
Il faiBOM) alroJardo ai gran nemici! 

Qoi «Icir antico orgoglio alfa le corua« 

£ r arme Ibernc sacre e vinciirici 
Srguran chiama: e di tal spoglia adorna 
La man crollando, ne* suoi liti amici 
Della vai Bruna la imprometle a Sfarle» 
Con altre palme aasai quivi entro sparte* 

LX 

Così libero allor 1* altero Iberuo 
Conlra il chiaro Boorte il corso move. 
Qual tempestoso Noto a mezzo U verno 
Il giorno suol, che poi la nulle piove; 

E ronlra Ì1 buon Norgallo, d' allo scherno 
Parole usando, eh* ha battuto altrove, 

II pcrroote ai traverso io guisa tale. 

Che 'n piedi il suo deslrier restar non vale; 

UT 

Ma allor che più ai gloria alteramente, 
R ch'ai Britanni ancor ininarre aggiunge: 
Ecco il fido Boorte, rhe già srute 
De' sQoi raogoscie, e furiando giunge, 

E di colpo attraverso si }>i>«*eote 
Il braccio al prcdaior prrcule e pugne, 
('.he gli fece cader, eh' ad altro bada, 

L’ acquistalo Irofeo sopra la strada. 

t.x 

Che insieme col signor si trnova a (erra, 
E '1 sinistro suo lato sotto preme; 

Ma tosto dairiiicarco si disserra 
Di Gave il buon guerriero, e nella teme; 
E'nvcrso Segiiran si stringe a guerra, 

E dì vincerlo aneur nodriscc speme ; 

E '1 ginocchio or trovando, ed or la coscia 
Gli dà spesso cagioo di uuuva angoscia. 

tf 

Al qual il boon Tuscan, rhe già risorge 
Dal Icurbroso duol, vedendul perito, 
Quanto più tosto può la man riporge, 

E già spera scampar portamlon' esso. 
Quando vien da traverso, ove non scorge, 
Chi l'ha più cli'ancor mai di iidovo oppresso; 
Che Rossano il Selvaggio il ripercuote 
Si, che più rilevarsi allor nuu pnole. 

Lati 

Ma il forte Segnrau, che d'alto fere, 

E ’l pon in lochi impiagar troppo mortali, 
Sovra il Mio sovente il fa cadere 
Ma più tosto rivien, che s'avesse ali; 
Par gli manca il vigor, cessa il potere, 

E gli spirti già son debili e frali, 

Si che Don molto ancor gito uria. 

Che morto, o prigionìcr, lasso, veoia. 

Lvi 

E r avrebbe anco ucriso, se non fora. 
Che ‘1 famoso Boorte, che ciò vede, 

Giunse al soccorso alla medesim* ora ; 

E ’l Selvaggio crudel su 1' elmo Cede, 

SI che in sella, qual fa, poco dimora, 

Che, rnmc il buon Toscan, sì trnova a piede: 
Ma beo tosto si drizza, e '1 braccio stende, 
E '1 vessillo, ch’egli ha, nel mezzo prende. 

LXlil 

Perch'olirà Seguraiiu, il Ner perduto, 
Ed Arvino il fellun gli fan battaglia; 

K eludili già volando era venuto, 

E nessuno è di lor, thè non 1' assaglia ; 

E l'aulica difesa, e '1 saldo aiuto, 

Ch' avere intorno suol di piastra e maglia, 
Era mancato assai, perché '1 terreno 
In più luoghi n'avea coperto il seno. 

LVII 

Dicendo: Somme grazie alla mia sorte 
Rendo, eh' or così a pie m' aggia sospinto, 
Ed alla spada ascosa di Boorte, 

Che m'ha, noi vedend* io, battuto e vinto; 
C.h' or mr Irov’ so più comodo e più forte 
Cuuira il Toscano, ed al guadagno accinto 
Dell’ouoratrt pregio eh' a cavallo 
Era impresa impossibile acquistallo. 

LZIV 

Ma Terrigauo il graude e Gracedono, 
Calindo, c Marabou della Riviera, 

Tulli al miser Toscano intorno sono, 

E lulta gli hall la candida bandiera; 

E lui quasi di vila in abbandono 
Avea lassato la crudele schiera; 

E Rossano il Selvaggio iva superbo 
Dell'alta iimgliz, c del suo danno acerbo. 

LVttI 

E ‘n questo ragionar, con forza il tira 
Il Ter Panoeulo, nè il Toscano il lassa; 

E ’n tal mudo ciascuno ad esso aspira, 

Che la spada riinao pendente e bassa; 

Sol cnu urlane insieme, ardente d' ira 
L'ano e 1* altro di lor le membra allassa t 
£ col piede offendendosi tal volta. 

Par la guerra fra loro in lotta volta. 

LXV 

Resta il Norgallo aucor sopra Ì1 destriero, 
Ha per (ulto impiagato in culai guisa. 

Che dal piu basso piè sovra il cimiero 
Ogni aruiadura arra da se divisa; 

Pur quanto può, col buon volere intero. 
Che dairavvcrsa man non sia conquisa 
Quella insegna rcal, nè il suo ToKano 
Resti oppresso con quella, opra la mano. 

Ul 

Gira intorno Boarie il sno destriero, 

E li duol, rhe giovar non può al Toicauo; 
Che di due fatto essendo mi corpo iiileru, 
L’ on senza offender l'altro aiuta io vano; 
Ma intaulu il gran Norgallo cavallero, 

Che Srguran teneva ludi luolau», 

Fu percosso talmente al destro braccio. 
Che gli die per alquanto acerbo impaccio. 

Lsri 

Ma niente era, o poca ogni sua aita, 
Che in grado venne al fin esso, e Boorte, 
Che nullo lian qnasi più spirilo c vila, 
Perdi’ ambo al dipartir cercan le porte; 
Ma non essendo aucor tutta compita 
In lor dal ciel la destinata sorte, 

Con più veloce gir, che strale, o vento, 
RicoadoMC Tristano iu un momento: 


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"7^5 ^ l’ AVA.RCH1DE 

C teco ha Gouemanle il corr ardilo, 
Blonberitar, Sieambro, * *I »oo BUnoro, 
Ha qarl di cor più accc»o, e piò ipcdilo 
Sprona il forte roriirro innaual a loro ; 

E con ùroii furor, quando ferito 
Si (ente in caccia dal waitìno il toro, 
Urta il ^ao Sc|tnran, che mal conduce 
Col Tanlaggio, eh' arca, di Cave il dnce. 


LXttV 

Pereh' oltra al popnl moho, e sena nome 
Ha impiagato in un braccio Arvino ti fello, 
E fatto ha del dettrier potar le tome 
A Tcrrigaao il grande apprctao a quello, 
E qnaai ha di Clodìn le forte dome 
Col brando, die gl* intenebra il cervello; 
Gaiindo, Marabone. el Ncr perduto 
Quasi insieme in on faario era caduto. 

tanti 

E con Torto il ferìtee neHa fronte, 

Si ch'eiao, « *1 »oo deilrier percoiw» rota, 
Di forxa tal, eh' a doro *cof;lir) e monte 
Saria, come a tor fa, preve e molesta ; 

E qnal platao maggior, eh* adorabrr an fonte 
Sveglirr anol da radice atra tenipeata, 
Senaa i’asMiitor acniire a pena, 

Si ritrovò duteao au T arena. 


Laxv 

Or mentre il buon Tritlan fa T alle prove 
Già ritorna il re Lago, e '1 figlio Eretto, 
Che largo il corto in quella parte muove 
Con onorato e nuovo drappelletio. 
Ch'aveva infino allor sudalo altrove 
Coiitra il popolo a piede, stando a petto 
Malanio il Bran, Palride al rerdiio d'oro, 
Con Ab'bcl di Lugre, e Pelinoro. 

LUX 

No'l cara più Triitan, ma il patto piega, 
Ove acorge l'ìoaegna Ìo forxa altrui, 

Ed al fero Panckonio, che la spiega, 

Dà rolpo fero, c non pur giiaHa a coi ; 
Cade il metchin, nè di lattarla nega, 
Perchè tento vital non retta in lui t 
Che ben che fotte ancor lo spirto vivo, 
Del morente vigor rimate privo. 


LXXVI 

Far quei dopo Tristan, eontie ti vede 
Dopo un gran terremoto ch'aggia scolto 
Allo edificio, e che d' aulica tede 
Per la infinita forra tia rimosso ; 

Che 1 secondo, che vÌeo, ciò eh* era in piede 
Di lui restato ancor non ben percosso, 

Del tutto abbatte, c se minor ben sia, ^ 

Non men danno, o timore al popol dia; 

tvx 

Non è il chiaro Toicano in tale sialo, 
Se bene è mollo fral, dte ciò non veggìa : 
Nè tanto ogni poter gli era mancato, 

Che di lotto rilorla non prowrggia ; 
Torna il prode Tritlao dall'altro lato 
Lè, dove di Clodtn la tchicra atpreggia, 
Tutta aopra i dettrier, Boorte a piede, 
Che come morto ornai pur Dalla cede. 


LXXVII 

C.OSÌ non meno iatomo ebbe spavento 
Di lor, che di Tristan, la gente fera, 

Che si fogge indi, eome nebbia al vento, 
E lassa ornai la candida bandiera. 

Già ricondotto appare in un momento 
Ogni destriero all* abbattuta schirra, 

E rimessi a cavai Florio e Boorte, 

Come quasi forati alP empa morte. 

LtXI 

Ma ia gniia di teon, che fn ferito 
Dall' intidìoto arrier, che a pena ponte 
Reggerle in piedi al qual cìngano il lilo 
Di cobalti pattor novelle rote: 

Ch'or T artiglio, ora il dente adopra ardito, 
B tempre il più virin di vita tcucte ; 

Tal che tol ^ lontan ti latra, e grida. 

Ma di apprettarlo poi ncttan t' affida. 


ixwttt 

E mal d' eMÌ ciascnn più poote ailarse ; 
Che questo, allor che '1 crudo Scgurano 
Col fero colpo all' improvito apparse, 

Sopra 1* omer sinistro cadde al piano; 

Si che sempre ebbe poi le forre scarse 
Tutto quel lato, e la medesma mano, 
Perchè fu tratto fuor della sua sede 
L* osso del braccio, eh* alla spalla atsiede. 

taxi! 

Tale al diiaro Boorte avviene allora, 
Poi eh' ad altro cammìn gio Seguraoot 
Ma come al Peregrin la chiara Aurora, 
Cile tmarrilo ti trovc in Ilio strano; 

Coti dolce gli vten nell' «Itim* ora 
Il bramato tornar del pio Tristano; 

Il qnal col minacciare a tutti fare 
Quel, eh* a schiera di ttomi augci rapace. 


LXXtX 

Dietro anco poi dalla tua destra parte, 
In Ira la rosta scllima, c la seda. 

Che quasi al busto umano io mcuo parte, 
Ebbe larga ferita, e ben molesta 
Dall' infido Alce, che io asroso Marte 
L' insidiusa lancia tri entro arresta ; 

Per la qual distillò sì largo il sangne, 
Che oe divenne a! fin frale ctl esangue. 

ixxm 

Che ciatcnn, ch'era in cerchio, indi ti toglie, 

E diverto dagli altri il ratnmio prende; 

£ ’n tante parti il nodo ti discioglie, 

Che libero Boorte, e lalvo rende; 

Ha il buon THitanoor queito, or quel raccoglie 
E questo, e quelle in un momento stende 
Nell’ arenoso ten ferita, o morto. 

L'un sopra Taltro gravemente attorto. 


txxx 

Ma mentre che'l desìo della vendetta, 
Il hciliroso ardor, T ira, e T onore 
Lo scalda in mantener la spada stretta, 
Nullo imparriu il premeva, iȏ dolore ; 
Or ralTrcddalo il tutto, e che 1 eletta 
Hcal bandiera dì periglio è fiiore, 

E che Ila in pace 1* animo turbato, 
Scote con grave diiol, ov'è impiagalo. 


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L AVARO H IDE 


Qui %i Ucqoe U re Lago e Cale«hoy 
In coi eoi vero ooor pietà tt meacc, 
Riipondet Se quel cor più che di unallo, 
O di it^rt erudel non mi rìeare : 

O LaneiluUOt o me tolto all'aiMlto 
Potrà veder chi U dolor voitro aecreiee t 
Dio vi dia larga ipcme, e ’n tal Mloto 
Ai padiglion •' addrina, ood' è venuto, 
ex 

Ma non molto è lonlan, che 'oiìeme trova 
Con Larooral di Gallia Perievallo t 
£ gli dan di pietà materia nuova, 
Ch'ambe feriti «oo lopra il cavallo; 

Quel nella deatra coscia li ritrova 
Un troDCOD rotto, che non venne in {alio 
Dal fero Palamede d* una lancia. 

Onde la fronte avea pallida e rancia. 



Il fratello è nell* omero ferito 
Di duriaiimo atrai dal lato maoro; 

L'otto e r altro di lor reità impedito, 

E del aaogae, che vena afllitlo e biaoco : 
Ratto a 'neootraglì, e doloruio è gito, 

£ confortando aiaai gli legue al fianco; 
Poi ritrovato il lur comune albergo, 

De' due itanchi corster gli toglie al tergo, 
exii 

Poi aopra irinte pelli gli diitende, 

K con diacrela man trae d'amhe dooi 
Il Iruacune e lo atrale, oode pii pende. 
Indi spoglia a eiaicun gli arneii anoi; 
Appresso il augo e le radici apende, 

C^mc a Boorte pria ; partendo poi. 

Come il pici tosto pnò fece ritorno, 

Ove avea Lancilotto il tuo loggiorno. 



ARGOMENTO 

a Caradotso il corpo ti contende 
inimici^ e salt-o è aìfin condotta. 
Incolta Scguran^ Tristan difende 
Il Brittan campo o mal partito addotto, 
Bntnoro intanto a magf;ior cote intende^ 
Dallo scompiglio de' nemici indotto 
A teacciarli dal follo; e af tao parete 
O'iiNfano i duci t ordinate tckiere. 


M * . 

a in questo spano il fero Segnraoo, 
Trovando Arturo, e la reale ìn»egna 
Per la loia virtù del buon Trillano 
Eiier rilolla a lui, trop|io ti idegna ; 

E gli ipirti inCatmnati arma, e la mano, 
Che famoia vendetta almen ne vegna ; 

E riehiamaoilo intorno tutti i inui, 

Bìaima il CicI, loro, c lè medetmu poi. 

Il 

Dall'altra parte il chiaro Liunese, 

Che '1 gran re ('.aradono in terra vede. 
Con le man tronche, e I' altre membra ateic 
Esser calcalo dal nemico piede; 


Sì dispone appagar T avute offese, 

E ritrarl’ indi a piò lerura lede; 

E più lotto con lai brama la morte, 

Che lauarlo negletto in quella torte. 

tti 

Coir ipronando T un dìsdegim ed ira, 

E generoio ooor 1' altro e pleiade, 

A nuova guerra fulminaodo aipira 
1) più onorato par di quella etade ; 

L'uno io ver l'altro ìl freno aoralo gira, 
E li veggiono io allo ambe le spade, 
di' aveaq conveeio il Incido iplendort 
In laoguinoso ed orrido colore. 

ir 

Fati primo il pìoTrìitan, ehc'l erodo Iberno 
Sopra Primo incantato allo percoiie, 

Con quel furor, else mai nell' aspro verno 
Cuolra il regno di Teli Eolo li mone \ 

Si ch'ogn' altro avria pollo in tonno eterno; 
Ma il forte Segiiran non più »i icoasc. 
Ch'altero acoglìo, che vicino al lito 
Dal posscolc Nettano aia ferito. 

V 

Pur Dcl calare il coipd in batto trova 
La apatia al loro, ove non vien lo tendo ; 
Nè il raddoppialo acciar tanto gli giova, 
Cli' ci non tenia dolor, qual fotte nudo; 
Che quantunque aia pnr d'antica prova, 
Non potè sostener l'incarco crtsdo, 

Ch'ci non cedette alquanto, e con tuo danno 
Desse strada al signor di qualche affanno. 


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TT 

Ha non f« tal, th« ne lenesM rvr* 

Più ehe di «ftina raol lalvalieo or*o; 

B di vrndelU far tolto proenra, 

A qttiaU forte avrà lealandn il mono 
Por lopra il ra^, c fKRia alia rintara 
Pervenfra il brando, risef;aiido il dono ; 

E forie il ano tperar non era in ranO| 

Se lo acodo Irorara a Ini lenUae. 

TU 

Ma rArmorico re, che l*ha preriito, 
n doralo leon levava in alto. 

Il qaal tolto impiagato appare e trillo, 
Ben ebe aia qoaii adamantino amallo. 

Che delle ielle aeone ha fatto aeqnìito 
Delle tre inlere al diipielalo aaialto 
Il ferro aiicidial, ma poi la (|aaria 
Fa che 1 locamo poter da Im ai parla. 

TtU 

E le bea aoa gli noeqae, taolo grave 
Fn il rolpo, che'ntroaato e itaoro reità 
Tatto il liniitro lato, e dolor n'ave; 

Ma nna è più che I’ ira, che '1 moleiU, 

E *1 delio di veadelU, perebè pavé, 

Che qaella torba de* aemìcl, o questa. 
Ch’ai i4>crorM> ino vicn, gli farcia noia, 
Prima che Tan dei doe •* arrenda, o mtioia. 

IX 

E perchè a qoei d* alimi aoa ha riparo, 
A*moì, che *n tomo ma, chiamando gridai 
Chi di voi Ga, ilgnor, di lode avaro, 

Sia de* nostri compagni eiempiu e guida; 
A rilrar d* alimi forte il corpo chiaro 
Là, donde diparlio 1* anima fida, 

Del gran re Caradouo, e eh' al valore 
Aggia d^po fra' aooi funebre onore. 

X 

E vi prometto ben d’ oprare io gnua, 
Ch'ai vostro chiaro andar non regna ilroppin 
La spada Iberna da pietà divisa. 

Se '1 tuo primo poter foiac anco doppio ; 
£ se non m* è dal Ciri la fona incisa. 

In fin d'Ararco a* udirà lo scoppio 
DeirArmorieo ferro, e della mano, 

Sopra il suo primo dace Segurano. 

XI 

Qaaado egli odon cosi, Locano il bmtlo, 
Aboadano il felice, e Garganlioo, 

E 'I gran Neslor di Gave, e *I drappeì tallo, 
Che per sua sicurtà si Tea vicino, 

Rivolge il passo, dove il ungae aactuUo 
Non era ancor nel misero conGno, 

In Cai giacean neglette e mal difese 
Del valoroso re le membra alcae. 

tu 

B pensando indi trar senta con tesato, 

B Dromeno, e Margondo, e I Ner perduto, 
Come lordi awollori al morto paato, 

Che di lunge acolrodo han pria vedalo. 
Al miter corpo polveroso e goasto 
S'avvenUn ratti, e lor porgono aiolo 
Matanasao, e Aossan; che preso il piede 
Già il ecrcan torre all' infelice sede. 


XKt 

E tirato Tavrien accoro in loco. 

Ove poi de* nemici era trofeo, 

Se la schiera Britanna por nn poco 
Ritardava il venir più che non feo ; 

Ma come all' arid* esca corre il foco, 
f^ie *1 gelalo pastor presso moveo. 

Si gettò il Brullo ardilo, e 'n testa fere 
Bosaano, c aopra il morto il fa cadere, 

xrv 

Ucciso no, aè molto anco impiagalo, 

Ma del colpo è stordito, e tallo oppresso; 
Viene il fido Abondaa, che gli era a lato, 
E per prendere il re s* aggiunge ad esso ; 
Ma da Margondo, e *1 crudo Fortanato, 

Ch’ a soccorrer Rossan m Irovan presso, 

Gli fn percosso in na la mano e'I braccio, 
E posto a' suoi deair aovcrchio sospaecso. 

XV 

Sì che ’n dietro dolente ai raccoglie, 

E quei due della preda aveano il regno, 
Se Gosacmanle dell' amiche spoglie 
L'ano e l'altro dì lor uoo ficea indegno; 
Che con due colpi sol le forte toglie 
Ad ambo, e fa lassare il regio pegno ; 
Chc'l destro omero a questo, a quel la testa 
Impedito, o 'alrooala in biUo resto. 

XVI 

Ne fuggir lassa il tempo Garganlino, 

Che nel braccio del re la mano stende, 

E seco il tregge ; ma crndel vicino 
Gli si fa Mitioasso, che rolTende 
Nell'elmo Ul, ebe'l pose a capo chino. 
Come chi l'alma all'altra vita rende; 

E così sovra il re la maggior parte 
Di qoei chiari guerrier distesa ha Marte, 

XVII 

Chi d* ogni senso, e chi dì fona privo ; 
E se ben d' essi alcun morto non ala, 
Nessun però nel riguardar più vivo 
Del morto Caradusso ivi apparii : 

Netlor di Gave di se stesso schivo, 

D'eaier senta l'amica compagnia 
Heslato in piede, al caro Blomlteritsc 
Sol rtmaso con lui, doglioso disse : 

XVIII 

Or di doppia cagloo doppia vendetta 
Dei compagni, e del re sopra le spalle 
N' ha il elei locato, e l'nn dei due n' aspetta, 
Palma, o cipresso al periglioso calle ; 
Tegniam por fermu il cor, la spada slrelU, 
E farciam si, che questa chiusa valle, 

O vìncendo, o morcnflo, aperto mostre. 
Che sten degne di noi l' opere aoaUc. 

XIX 

E *n lai parole insieme si ristringe 
La coppia ardita dei german «li Gave , 

Poi sa medesma confortando spinge. 

Ove il gran Matanasso in nulla pavé. 

Nè d'attender i doe soleltn inGoge, 

Che men gli era il morir, che l'onta grave; 
Ma pria, ch'ai danni suoi fdsscr venuti 
L' ha pruvTcdulo il ciel di nuovi aiuti. 


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L AVARO 11 IDE 



%% 

Perché il ferie Drmnen drila foiitjnSt 
E Gellinenlc il fiftlio di Girone, 

N«lo in Ikemia dellj bella Arana, 

Di parto a>ro«o all' aapra repioae, 
Dall'alta coppia ornai poro lontana 
Il braccio armalo all* apparire oppone ; 

E fere sì» che nella prima ginnia 
DcU'inpreia morlal la furia aponta. 



XXTII 

S* accortamente non porgeva innante 
Quanto può il braccio, e non piegava in arco 
11 ventre e *1 petto il saggio Gallinaole» 

Si che polea di vita essere scarco } 

Poi mentre l'altro il brando ano pesante 
Di ritirar s' ingegna, non fu parco 
Di vendicar lo scudo, ma non vate 
Sopra Panne, eh* egli ha, colpo mortale. 


x<tt 

Che di a terra mandar seciira speme, 
Come a* avvicinasse, avea Neslorre 
Quel, ch'era luto; c poi col frale insieme 
L'uiiuralo lur re d'indi riturre | 

Ma qnel par di giicrrier già I' orma preme 
Vidna a Mataiusse, e aggiunto corre 
Sopra i due cavalicr così veloce, 

Che non vedalo a pena ad ambo nuoce. 


XXVIII 

Nè mcn dall' altro iato avea Dmmeno 
Con Nestore il ciigiii cruda battaglia; 

Che all'ano e l'altro di valor ripieno 
Par del nemico ino niente caglia ; 
Ciascuno iolorno a' (ianchì, e 'ntumo al seno 
Egnalmente ha squarciala e piastra e maglia; 
E SI poco vantaggio in ambo appare, 

Che non si vide guerra esser più pare. 


XXII 

Che Gallioante a Blombcrtisc dona 
Sopra la destra spalla un colpo tale, 

Che d'alto tu basso tutta la persona 
Gli fa intorno crollare, e render frale; 
Nuo pcrt) il bnon gnerrirr se n' abbandona. 
Nè in se misura il rirevuto male; 

Ma qual fero leon, che sia ferito 
Allora ai guerreggiar torna più ardito. 


XXIX 

Ma por nel lungo andar, la prima fòrza 
Si srerneva sirancar nel fer Boemo, 

Che non avea nel ver la dora scorza, 
Come il baon gallo di vigore estremo; 

Il qual nel faticar più si rinftrrza. 

Non che si mostre d'una dramma scemo; 
E tanto era montato, e quello sceso, 

Che al Gn tosto l'avrebbe ucciso, o preso. 


asili 

Sopra Io ftcndu d' or, eh* avea, pateroo, 
Che la testa ricopre, alto ferio, 

Dìcrrulo: Or senta il gìovincllo Iberno, 

Se il boon seme di Gave ha il frutto rio; 
L'altro, che sprexza il oido suo materno, 
£ 'I Gallico onorò, tome uatio, 

Hisposc: lo non mi stimo senza fallo, 

Mri di voi stesso, o di akun' altro Galh>. 

XXIV 

E se ben la mia madre ìn altra parte 
Hi partorì, come le diede il Fato, 

Dal Gallico terrrn chiaro diparte 
L'invitto mio Ironcun dal miglior lato, 

Di padre tal, che non cedeva a Marie, 

E ehe visse tra voi sempre onoralo, 

E de* voatri alto amico, come spero 
D' euer anch* so, se giovine non pero. 

XXV 

E se i' arme segno or di Segnran», 

Il fa sorte e dover, non certa voglia ; 

Che quei del re Boovte, e del re Bana 
Nuu am' io roen, che buon frale! si soglia i 
Ma mentre eh' ora aviam le spade in mano, 
tàime nemico rio, ben che mi doglia, 

H' è fr»raa di trattarvi, e la! richiede 
L' ooor di cavaliero, e la mia fede. 


XXX 

Se non che Hatanasso, che ciò vede, 
Mentre pensa il re morto a' snoi rarrorre, 
Lassa l' impresa, e ratto mnnve il picile, 
Ove già vinriior senlia Nestnrre, 
n dal traverso non veitiitn Ìl fìede 
Tra la fronte c la spalla, e 'I pensa porre 
C«u quel colpo disteso tu I* arena, 

£ la vittoria aver di gloria piena. 

XXXI 

Pure il giierrier di Gave sì sostenne, 

£d a lui tatto irato si rivolge, 

Dicendo: Tale usanza si convenne 
Ove Durenza tua l' arene avvolge; 

Ma il Cdiiro terrea, che onor maoienne 
Mai sempre intero, e sol la vista volge 
Alla vera virtù, lira vii colui, 

Che d'ascoso seiilicr ferisce alimi. 

XXXII 

E *n tal parlar la fronte gli percuote. 
Quando men I' attendeva, con la spada; 
r.he gli fere crollare ambe le gole, 

K le ginorelMJ andar sopra la «trasla ; 
Vulea finirla il trailo, ma non '1 punte. 
Perchè di dietro vien, mentre a Ini bada, 
L' empio Driimnio, e sopra il cullo il trova, 
E r ha euudutio a tal, ch'indi non muova. 


XX VI 

E cosi ragionando, il brando abbassa, 

E quanto può il percuote nel cimiero, 

Che 'n terra cade, e *1 snu Bd' elmo lassa 
Proprio al mezzo avvallalo, ben che intero; 
Ha il gallo cavalier tolto ollza passa, 
più che fosse ancor mai cruccioso e fers*, 
D'iiua punta lo scudo drillo al Banco, 

E *1 p«>lcva impiagar nel lato inaiico. 


XXXIII 

Però che essendo nel reedrsmo Iato, 
Quasi in iin punto, e da due tali oiTeto, 

I nervi ha oppressi, e 'I cerebru inlouato 
Si, che a pena sostìeo dell' elmo il peso: 
Por l'atto rore, e'I gran valore innato 

II regge aucur, rhc iimi ita in terra stelo; 
E si sana con lor ristrellu ancora, 

Ma iiiinv» allru sno mal sorvieoe allora: 


UO 


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X&XIV 

r.lt* S^rjro, r Meran{;M), t Morauallo 

Ch'avcan quei di Granala, c di Caatì^lia 
Ovr liao arnlilo il fatiroto aitallo, 

Quanto pili ratti poo ^irao la Lriflia; 

Ood' ei, che non è porlìru nè smallu, 

Di ritirarse iudiclro tl ronti|!Ua, 

E dice al tuo gennan: Chi morte certa 
Senza prò cerca e 'nran, gran btaiino merla. 

xxt* 

A migliore «tagìtm serrar la vita 
Dctc il forte gurrrier, che piò non puolei 
Colpa nostra non è, i' hanno impedita 
La giusta impresa le celcsli rote; 

Che forse altro aostegno, e nuova aiia, 

Per non rendere aWìn d' effetto vote 
l.e nostre voglie pie, serbano altrove, 

Col supremo voler del sommo Giove. 

xaxri 

Così stretti fra lor, eoo passo lardo 
Si van traendo in più serura partei 
Quando in nn punto, più leggier che pardo, 
Che di catene scarco ti diparte, 

Poi ch’ha scoperto col bramoso sguardo 
Damma, che di scampare usasse ugni arte, 
Ivi appar Lionel con molli arcieri 
De' suoi, ch'ha più fedeli, e dei più feri, 

XXXS'II 

Ch*a1 cominciar delle novelle risse. 
Dubbioso in cor di quel, clie poscia avveooo, 
Neslor ivi lassando, e Blumberisse, 

Per diverso camroin fra' snoì pervenne: 

E la schiera appellata, che '1 seguisse. 

Al soccorso rattisrimo rivrane; 

Ove i frate! conforta in alte grida, 

E gli altri appresso alla battaglia sfida. 

xxxvm 

Nè di più tardo imiugiu era snetliern, 
C.be '1 numero a' nemici anco cresrea. 

Che con Natone il fello, ed Agmgero 
AI soccorso de’ suoi quivi correa; 

Ma Lionel già sceso del destriero. 

Come erano i cugin, già in mano avrà 
(Entralo Ira i compagni) il nobil* arco, 

K vie più d* uno strale aveva Karcu. 

XXXIX 

E primo, eh* et trovò, fu Perimone, 
Che 'I buon re Caradosso tiene in braccio, 
£ già nel porla, ina Insto il ripone, 

Che gli dà in mezzo al venire orrido impaccio 
L' aspra saetta, e I' anima gli pone 
In libertà dal rio tcrresire laccio, 

(‘be pirn di vizi e di {«•rdure nacque 
Là, dove il Tagn aurato iotala Tacque. 

XL 

Onetore il fralcl poscia, e Pìslore 
Tra r arene distende a lui vicini. 

Quel jserrusso alla gola, e questo al core, 
t,uo le gambe tremanti, e i capi chini { 
L'altra schiera ciT egli ha, spiega tl fitrure, 
Ove scorge il gran numero, e raeschinì 
Fa di vita in uti punto tanti insiriiie, 

Che chi vivo rimao di morte Irnic : 


xu 

E *1 comballulo premio ivi abbiodooa 
E si tiene a guadagno aver la vita; 

Cosi non piu conteso da persona, 

llan la vittoria in man larga c spedila; 

£ ‘I buon Nestore allor dolce ragiona : 

Poi cJte ’i Ciel ne donò grazia compila 
Di scacciare i nemici, non si lasse 
L* opra mdiclru di far, che qui ne trasse. 

XLII 

E così dello, a luì chiama Abondaue, 
Che già con gli altri lutti era risorto, 

E dolce il prega con sembiante umano 
Gli porga aita al sostener quel morto t 
Indi ha raccolta T una e T altra mano, 
di' ebbe lungo I' onore, e ’l viver corto ; 

La testa poi, eh' ancor nell' elmo spira 
Maieslà regia, ed alla a chi la mira. 

xutt 

Indi il tulio rlpon dentro allo scudo. 
Che ritolto a' nemici avea Polrte ; 

Né fu tra loro alcun di pietà nudo 
Si, che di lagriroar non aggia sete: 

E perchè mnova i cor T esempio crudo, 

E svegli al vendicar le menti qurle ; 

Noi volte ricoprire, e '1 fregio adorno 
Fur le piaghe onorale, e '1 sangue inloroo. 

XUT 

Porlanlo molti al suo reale ostello. 

In cui con lunga pompa c rirevutu ; 

Ma io questo tempo il furie Lionello, 

Da poi cIT ha largo popolo abbattuto. 
Chiamando iudiclro il viucilor drappello 
Già CUI! gli altri compagni era vruulo, 

Ove il lor htioa Tristano, c Seguraao 
L' nn deir altro avanzar s’ adupra Ìo vano: 

XLV 

Che di lotto quel tempo, che fu molto, 
Ch' a sìogular battaglia erano insieme, 
Nullo avea qnesio a quel di campo tolto. 
Nè di lor questo o quel più spera u teme) 
Brne è d essi ciasciiu di forza sciolto, 

E stanchezza c ludur sic più gli preme 
Che non fa del nemico il ferro ardilo, 

Ch' aneli* ci si Iruova ornai lasso e *mpedito. 

xcvi 

Ma nel primo arrivar «li questa schiera, 
L'imo e l'altro di loro il pie ritira: 

Che nessun d' essi immagina quel ch'era, 
In fin che più vicin non la rimira; 

Allur del piu 'rrislan la mente altera 
Quasi ver Lionel si mosse ad ira. 

Dicendo : Or perchè m' è «la voi contesa 
Nel Ulto maggior desio si Isella impresa f 

xeni 

Risponde il buon gnerrier : Caro signore 
Non sun venuto a voi |>er oprar qnesio; 
Anzi pori' io nel cor sommo dolore, 

S' al vostro disegnar venni molesto; 

Ha ben direi, che si spcndesser l' ore 
In altro affare, c si provvtfggia al resto. 
Che luotan senza voi periglio porta, 
Scndo privalo ornai d'uga' altra scorta. 


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l’ AVARCHIDE 

ZtTMI 

1 oiiglior ctTAlirr, come v* « nolo, 

GU ton tatti feriti, e *1 itraode Arturo; 

Lo ttuol nemico di temenza voto 
Della vitloria ornai »i tieo sicuro : 

E f(U con quel furor, die Libo, e Nolo 
Sool Nellono assalir nel verno oscuro. 
Con Brunoro, e (Jodin a* è innanzi mosso, 
E minaccia paaMC del campo il fosso. 

tv 

Cosi fa il pio Tristao, che poi rh'accolla 
Ha (ulta insieme la famosa schiera, 

£ rimessa a cavallo, il passo volta. 

Ove i suoi liberar del tulio spera ; 

E pi.^ trova in cammin la pente folla. 

Che di Ctodiu sepuiva la bandiera ; 

Cui senza rara aver, dooa alle spalle, 

£ ocl mezzo di lor fa larpo il calle. 

xux 

Mentre parla così, correndo arriva 
Tntto pien di sudore ivi Creuso, 

E con Tore lonian di forza priva 
Va chiamando Tristao lutto confuso, 

E pii dice : Sipnor, per quella viva 
Viriti, che *o voi trapassa il mortai oso 
Non lardale al portar ratto soccorso 
Ai vostro campo in gran miseria scorso. 

LVI 

Non altrimenti appar, che fiamma ardente, 
Che depredi al pran di d' ampia foresta 
F.‘ altere chiome, il cui valor possente 
D'Aquilone il soffiar sospìnpe e destai 
Che delle accese frondi alto si sente 
Il crepitare in quella parie e 'n queiU; 
Ove con più furor veloce vada, 

Larpa dietro di se lasciando strada. 

L 

Perchè Io tpiclalo Palamoro 

Ha codiavi deitricr pcrcosao al fianco 
Le schiere di Gaven, sì che fra loro 
Raro pocrrier appar non morto, o stanco: 
Dopo il qua] piunsc ancor Taspro Brunoro 
Al dritto lato, c ’l fer ('.lodino al manco, 
Ch' hau di quei del re Lapo ucrisì e vinti 
Molti, e dentro de' fossi han pii altri spinti. 

LTII 

E Terripano il prande il primo intoppa, 
Che senza Ini temere ad altro iutendo; 

E sì forte al destriero urla la proppa. 

Che cui Sipnore in (erra si distende : 
ludi senza arrcstarse, olirà paloppa, 

E nel passar, eh' ri fa, si forte ulErnde 
Galiudo, e Gracedono, ed Aproscro, 

Che spedito di lor iruova il sentiero. 

LI 

Nel trapassar de' qnai, mischiati insieme 
lufìnili v'rnirar di quei d'Avarco; 

K se non riverdean la secca speme 
Ne' nostri, e difendean I' aperto varco 
Urlano e Liudon, pia il nostro seme 
Era e di vita, e di bnon nume scarco; 
Pure i due Tclamoro, e *1 Bnin con essi 
Gli hpn con somma virtù di fnor rimessi. 

LTIU 

Gli altri, che soa con lui, l' istcsso fanno 
Che ciascun quanto può percuote e spinpe 
Ma Lionella a piè fa mappior danno. 

Che di rosso color l'arena tinge; 

E tanti strali io un volando vauoo, 

Che r acr tenebroso se ne pinpe; 

Cosi pia spaventato fa ritorno 

Da' fossi indietro di Clodìoo il corno. 

Ul 

Ma non essendo quivi Malipante, 
Fiorio, Uourle, e '1 cavalìer Nnrpallu, 

Non pon, come vorrien, spinpere innante 
Gli altri pnerrierì al combatlulu vallo; 
Che la parte mappior trista e Iremaote 
Fall' ha coulra i ricordi al core un callo, 
E più tosto morir fupptndo eieppe. 

Che sepuir con unur chi lei correppe. 

LIX 

B le fopacì pentì di Gaveno, 

Ch’odon pia di Tristau pii alti romorì, 
Sotto il viso più lieta e più sereno 
Di novello sperar s* empiono i cori ; 

0||ni uom d'alto desio raccende Ì1 seno 
Di rarqtiisUire ì suoi perduti ouorì ; 

C chi prima parca più vile e tardo. 

Or si mostra più ardito c più gagliardo. 

LJIi 

£ per questo Gaven, che '1 danno vede, 
Mi vi snaoda a prepar, chiaro Trillano, 
Ch'ai prao bisopiio ornai voltiate il piede, 
Seuza altrove altro onor cercare in vano, 
Se non volete, che la vuslra sede 
Suslcpoo sia di quei di Srpuraon t 
La qual voi (ulto solo ha per rcfitplo 
Por che si toplia via tosto opus iiidupìo. 

LX 

E'ncootra a Marabun della riviera, 

Che con molti de' suoi pauò la porla, 
Confnso io uu tra la Britanna schiera 
L' anne, che 'odieiru pia, dritta ri(K>rla; 
E '1 suo duce Gaveu con voce altera- 
Qnel chiamando garriire, e quel conforta, 
E spiope tu puisa, che in angusto calle 
Face a' nemici al fin volger le spalle. 

LIV 

Quando l'ode cosi TrisLan sì muove 
Con quel proprio furor che'l villaoetlu, 
Ch' appia. menir'ara fuor, dopliose nuove, 
Che ’l foro inpuuibre del suo ficn ruilello, 
Che i linoi ratto ha disciolti, e romc r iluve. 
Va il mìicro spiaudu a questo, e quello t 
Nè per suo domandar raffrena il corso, 

Io du che arrivi a' suoi saldo soccorso. 

LZl 

E fu ventura lor, che pria lomaro, 

Ove è Cludiu co* suoi fuor delle fosse. 

Che '1 buon Tristan col drappclletlo chiaro 
A quel loco vicin venuto losse; 

Che ben comprato avrien col fine amaro 
L'aver 1' audaci mani ivi entro mosse; 

Ma dove i lor compagni erano uniti, 

All' arrivar di lui son rifuggili. 


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L A V A n C H 1 D E 




I.TII 

Or con Jadmo mortai di elii ’t conicodc 
Qockio onoralo »luolo inaansì passa; 

K I* Armciriro dure il corto •tru<ie 
Di là dal Tallo, e tutti altri latta ; 

Li con Gavrno esamina t comprcude 
Quanta pente vi tia ferita e latta; 

Poi chi fuor reti! ancor, chi dentro sia, 
Con riguardo loUil per tutto spia. 

l.vin 

(^lì dicendo, al loco ti presenta, 

Ore ardilo salir eerea Bmnoro, 

£ 'n diversi raromio co’ tuoi rilenta 
Gli argini, che per lai troppo alti foro; 
Di lupo in poita, che la nulle tenia 
Dentro al serrato ovil gridar fra loro, 

E pii agnelli e le madri, rhe ti ttmppa 
D'Jvi entro gire, c nella mente rogge: 

I.X1II 

E ripiraodo inlorno al lato manco, 

In cui più Tolpe il colle all' A<]ailune, 
Trova il re Lapo, che canuto c bianco 
Sembra all' oprar dì piovine ttapìone; 

Mè di rontiplio, nè d'aita tlanco 
In laido mantener prao cura pone 
L* arpine, in cui Brtiiioro i tuoi conduce, 
£ gran tema e periglio agli altri adduce. 

LXX 

E quinci e quindi vitilando mira, 

S’ ei trova a' tuoi deiir finettra, o itrada ; 
Or more il patto innanzi, or tì ritira. 

Or raspa in batto, or di montar pii aggrada t 
Talora il porta speme e lalor l'ira, 

£ tanto in giro rivoltando bada, 

Che'l di r agpinpne, c visto dal patinre, 
L' aflamato bramar volge in limorc. 

Liir 

Come icorpe il buon tcccIiìo ivi apparire 
Il nobii cavalier, eh' adora in terra, 
Lietameote eoo lui comincia a dire: 

Ben teruri tiam noi di quota piierra, 

E ’ndanio umai ti penti d' aataiire 
L* aspro avversario il cerrlilo, che ne terra; 
Ch' opni vali' ima, e eoi niente chiude. 
Può difeodcr di voi l'alta virliide. 

LXII 

Tal Tea Bmnoro, di' ogni feria, ogni arie. 
Ogni induttria spiegando, ogni tuo ingegno, 
Or si mette a montar per quella parte, 

E degli omeri altrui ti (a toslcguo; 

Or le tue genlt in multi lochi tparle 
Tutte ad Oli tempo spingerte dà il «egoo, 
Per tentar te ’t combatter molti liti 
Hendetac Ì difrntor più sbigoUÌti. 

1.XT 

Il conforta Trittano, e prazìe rende, 

Che tal uomo appia in lui tale speranza ; 
Poi del coriier pia tlaueo a batto teende, 
E nell’ argine estremo il pasto avanza, 

E d' un di qneì guerrier nuova atta prende; 
£ per pianger ìu loro alla baldanza, 
Chiamando questo, e quel, che ronoscea, 
Per onor di daicuo, cosi dieta ; 

UUtlI 

Va come il verde tendo, eh' alto preme 
Il doralo leon, vede apparire, 

E cuDOscc Tritlan, perde la speme 
Di potere indi tolu umai salire ; 

E drizza il passo, uve ancor ianpue e teme 
Il corno di Clodìn, che di fuggire 
A pena il paon tener preghi, o minacce. 
Senza aver più nemico, che gli cacce. 

LZTI 

Questi tono i puerrìer, cui gloria eterna 
E cui lode immortale il mondo deve; 

Che dal zito pelato, ove più verna. 

Di tepinre il tuo re tia dolce e leve, 

Per ti lonpn cammio; né in lor ti tccroa 
Il periglio o '1 tudor ooiutu, o preve , 
Anzi, uve l'uii con I* altro più t' acruppìe. 
L'alta inoata virtade io etti adduppie. 

LZXIII 

E'nicndeodo i lur danni gli auieura, 
r.hr rArmorten duce è in altra loco; 
Put dice: Alto sipiiur, se non ti cura, 
Cile venga Separano, io spero poco 
0' aver vittoria, che l'impresa è dora, 
E non si dee tentar da scherzo e gioco 
D' assalir futsi e valli, ove sìa gente 
Nuu niiuur della nostra, e ti pusicnle. 

LZTII 

Or col nedeuno cor, che avr>.ic tempre, 
Siale al nostro tipiior cumpapni fidi ; 

Che v’ ha condotti in ti famose tempre, 
Per ti dubbiosi mar, per tanti lidi 
Al sommo onor ti largo che contempre 
Ogni allo afTaonn, rhe la guerra annidi 
£ 1* ultima fatica, che ne retta. 

Non vi vegua al lolCrir per luì moietta. 

j LXXI V 

Va poi che i primi duri, e '1 re Britanno 
Nmi vrrraniin oppi fuori alla battaglia, 
Creder «ì può di far non piccini danno, 

Se '1 rampo con bell' ordine t'attaglia; 

Ma iiiquetio mudo in van preiidiamoalTanno, 
Nè faremo opra, eh* a Tristan ne caglia; 
E per far nu di Inr di vita tremo, 

Cento fuìgliur de' tiutlri perderemo. 

LVVIII 

Ch* ancor vi fia dentro alla patria toplìa, 
Tra la pia famigliuula, all' umbra e al foco 
Dolce a narrar questa pattala doglia, 

£ '1 tufferlo tndur recarse in gioco ; 

Or d' Avarro spiegando alcuna spoglia, 

Or di voi itcssi discoprendo il loco, 

(die ’nipiapato vi fu, lieti mostrare, 

Aperto tetlimon dell' opre chiare. 

»JIXV 

Or che t' attenda adunque Segnrano 
E eh'un vada a Cludastu entro alla terra, 
Che ne mandi volando a mano a mano 
Ciairuno allo inslrumento a simii guerra ; 
Poi tulli iusirme raoimofta mano 
Coutra il popiil moviarn, ch'ivi ti terra; 
Ma non si perda il tempo, che 1* ardire 
Purria luruare in cui,, e in nui fuggire. 


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LIXVI 

Mollo ho lodalo di Clodauo il fìpl! 0 ( 

£ gli allri duri poi, rh'rrano ìulorno, 

Il liuoo rirurdo, e I* olile <*on>iglio 
Del Nrr Broooro, e senza far soggiorno 
Ove il gran Seguran con (orbo ciglio 
£ra rimalo, e pirn di sdegno e scorno 
Di non aver Tristan vinto all' assalto, 

Che tosto regna a lor, manda Verralto, 

tKXVU 

Che immanleoenle a lui n'arvdù volando, 
E gli dire: Signor, Clodin vorrta, 
rii' ogni impresa di qua lassata in ba^do, 
Voi *I veoiste a trovar per corta vìa. 

Ove dentro a* suoi fossi ala tremando 
L'avversa gente, e dove agevoi fia 
Hi»torar di ('.lodasso l'onle e i dami! 

10 poche ore per vui di sì luoghi anni, 

tJUtVBI 

Risponde a lui l' Iberno : Or ritornato 
Riportando a Clodin, che ratto vegoo : 
Indi alle genti sue disperse andate. 

Che s* accoglìaoo in »u, comanda il segno: 
Tulli i suoli loanìali, e trombe aurate 
Dell* altera Ciunon crollano il regno, 
Rirliiamando il luolao, desiando il lardo, 
Cir accompagnar rilorne il ano slcudardo. 

LXXSX 

Poi lassando a Drumeno, c *1 fello Arvino, 
Che conducendo quei seguano appresso. 
Fra motti ravalier verso Clodioo 
C^n più veloce corso io vìa s' è messo ; 

£ de’ fossi il ritrova sul eonGuo, 

Che nuli’ altro attendeva, che sol esso, 

Per donar pieno effetto al suo desire, 

E 'I trepidante esercito assalire. 

txx* 

Poi ch'arrivali fnr rislretli inisesne, 

I maggior duci, e ragionato alqnaulo, 
Direva Scgiirao : La vostra speme. 

Di roiupir tutta integra io sul mi vanto ; 
E là, dove il nemico manco teme, 

Vu’ che surga di lui l’estremo pianto; 
r.lic mi lìa lotto piano argine c muro, 

Nè di mjlie Tristan le spade curo. 

tsxsi 

Vengasi tosto pure all'alta prova 
Che 'I soverchio iodngiar nocque sovente; 
E 'I tosto e mollo ardir mai sempre giova, 
Con le voglie più al far, che al dire, intente; 
Scenda ogn’uom del cavallo, c‘l passo muova, 
E la mano aggia pronta, c 'Icore ardente, 

11 pie snello e veloce, in ogni sorte 
Disptisio a riportar vittoria, o suorle. 

LlXItt 

E ’o culai ragionar lo scodo imbraccia, 
Che restando a cavai dal cullo pende; 
Nuova celata ancor, rhc meno impaccia 
E la vista e l' andare io fronte prende ; 
Poi, qual fero molosso al lupo in c-arria. 
Sema attender compagno il cono stende : 
Già si muove iu ver gli argini, uve vede 
Larga schiera uemica aver la sede. 


UUCXIII 

Ha il dlsrrcUi Bruaoro indiclro il chiama 
E gli parla: Signor, se ’n voi riloce 
Sovra ogni altro gnerrler d’illustre fama 
L'alto valor, ch'ai sommo vi conduce, 

Nuo son gli altri così, ebe egoal non ama 
Tutti 1 duci e goerrter la quinta Lucei 
Cli’a quel più largamente, a questo meno 
Del sno chiaro splendor riempie il seno. 

cxxxtv 

Però dov* esso manca, si conviene 
Al saggio imperador compir con Tarle, 

E con r ordine saldo, che sostiene, 

E ragguaglia io tra se ciascuna parte: 

Or pria rii’ avaitti andar, rignardiam bene 
Di rarcoc tutte in un le genti sparle. 

Poi formarle alla guisa, che ss mostre 
Di poter più giovar le voglie ooslrc. 

I.XXXT 

E per dire lo primiero il mio eosuiglio, 
lo nove schiere il lutto partirei. 

Dando duce a ciascuna, di' al periglio 
Regga bea con ragion se stesso e lei : 

Sei per questo sentier, che volge il ciglio 
Alla fruole, ove tiam, ne locherei: 

Due sovra i lati e 1' altra alle sue spalle, 
Ove il colle lontao chiude la valle. 

UXXVI 

B se ben cjoesle tre dì manco forxa. 
Che non richicggia il loco, altrui parranno, 
r.hi *1 nemico in piu parti essere sforza. 
Assai più che* non pensa apporta danno ; 
('«he 'I nocchier combattuto a poggia ed orza. 
Per salvar il suo legno ha doppio affanno; 
E non è ardito cor, che non paventa 
Se di contrari lochi il dubbio sente. 

LXXXVII 

A quei saggi ricordi il grande Iberno, 
Vergognando fra se, fermato ba Ìl piede; 
Di rivo in guisa, die correndo Ì1 verno. 
Preso dal nuovo giel aobilo aMsede, 

E riaponde : Golui, che peeodc a scherno 
Quel, che gli cera onor, non dritto vede ; 
£ men chi iu qualche parie gli altri avanza. 
Di surmootargli Ìo tulle aggia speranza: 

Lxxxvnt 

Che ’t del giusto comparte tra % ronrtalt, 
Nè dona tulle ad un le grazie rare; 

A quel dà forze, eh' c* non Irove eguali, 

A questo sommo ardir, clic non ba pare: 
Air un dà il senno, all* altro le immoriali 
Di Dei lodi e d' Eros mostra cantare; 
Perchè non vuoi la somma sua bonlade. 
Per far ricco un, por gli altri in povcriadc. 

LXXXIX 

Or senza contrastar lodo e onnsenlo. 
Che si segna il caininio da vui mostralo » 
Così fermo fra loro, in un momento 
Fu il numero migliore ivi adunato; 

E 'I proprio Scgurano all' opra iiiicnio. 

Da Clodino, e Brunoro acoompagnatu 
Al proposto disegno ordine mise, 

E’ suoi duci, c guerricr così divise. 


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l’ AVARCHIDE 



BC 

xrm 

P«r >e siedrtmo vUiiicri ove la porta 

Seco ha Galin, e Tallo Bnitarìno, 

Del beo «errato rampo in mezzo auiede, 

Tolosan qnegti, e questi aspro Baviero} 

Perch’ è il loro più forte, e die più imporla, 

Dan poi l’ordine estremo che Clndino, 

E cui pnardia ma^pìore intorno vede) 

Con Terrigano Ìl grande, ed Agrogero, 

E d' aver seco poi 6data scorta 

(Dure il primiero al duro Limosino, 

Il Fortunato solo, c Grifon chiede, 

L'altro al chiaro Nemauso, e Hompolicro) 

Che tnenavan le penti alette fuure 

Sien senza giierrecglar per dare aita 

Deiriocolla Pannonia inferiore. 

A cbi foste al ben far la via impedita. 

xrf 

XCVtIf 

Il primo loco poi da destra in mano 

Non qneta il bnon Trtstan dalT altra parte 

Al forte Palamede in puerra assepna ; 

Mentre intoruo i nemiri accinger vede; 

Cir oltre apli ELridi snui, vnol Dinadano, 

Ha con dovuta industria, ardire, cd arte, 

Che tra '1 freddo Vìseru, e I' Albi regna; 

Ove il bisogno appar, tosto provvede; 

Bronadasso lo Svevo, e’I'rtio germano, 

Poi col re Lago, e gli altri va in disparte. 

Safar, che di Casiìslia avea l'indegna, 

£ ’l consiglio di loro umil rirhiede. 

E ‘1 gtovio Gallioaole, che di Mona 

Per dipartire i duci, c T altra gente, 

Con afono infelice avca corona. 

Ove possa più star siraramenle. 

xai 

XCIX 

Il allo a luì più presso avea Briinoro, 

E 'ncomiocio : Sixnor, biasmo non merla 

Col l'rovenzal Margondo, e Graredono ; 

Qual sia sommo gnerriero, o imperadorc, 

Dal manco lato il primo è Palamoru, 

Che scorgrndo a' suoi danni a fronte aperta 

L’Aquitan valonyso, e con lui sono 

Spiegar Tempia Forlnoa ogni furore. 

Calarlo, ed Esrlahor, che duci foro. 

Il pristino anlimento riconverta 

Ove il Dtirro, e ‘1 Tago altero dono 

In saggio dubbio, c 'n nobile timore, 

Fan di loro all'Oceano, e poi '1 srgnia 

Non dclTamii nemiche, ma di lei, 

Uerangio dell' alpestre Aodalofia. 

Che spesso più elle t bnuiii aiuta i rei: 

xeni 

c 

Verralto il Biscain gli pone appresso. 

E nel popolo spesso in nn momento, 

Ove r Euro virin più spande 1* acque ; 

Senza rimedio nman, cangia il pensiero; 

Morassalio, e Driimen vanno con esso; 

Che T antico valore in questo ha spento, 

Qneitl snt Bell, e quei tra 1* ombre nacque 

E quel fugare e vile ha fatto altero; 

Della frondosa Ercinia e gli ha rtinrcsso 

Che ’l mrilesmo, rh’ ha in mare, e eh' ha nel vento 

Estero Iranio, eh* al suo Febo piacque, 

Sopra il mortai valore ha largo impero ; 

Tal rhe sempre turno di pregio carro. 

Dico del volgo pur, non di chi chiude 

Ove in pmova venian gli strali e l’arco. 

Invitta ael suo cor, qual voi, virlude. 

xciv 

CI 

Uba, il primo dultor dell'Ostrogoto, 

Perù scusati scmo in qiicilo giorno, 

Col criidel re degli Eruli Odoarro, 

Se lenti t miglior dei duci nostri. 

Cui segnia d' Aragona il nobil Loto, 

E spogliato il drsir d' onore adorno 

£ 'I Calalan Roderco a' vicini acro. 

Gii scorgete ne' miei, com' io nc* vostri, 

Sopra il gran colle, che rignarda a Nulo 

Sol per nrressitì dfiro ritorna 

Che tra i Neri Etiopi ha il tempio sacro, 

Facciam, raceuiti tra vallati chiostri; 

Con gravissime strida al lato manco 

E s' a difender quei drizziam le voglie, 

Il Britannico campo assale al fianco. 

Più tosto cITalTttscir delle sue soglie. 

xcv 

rii 

Guncbaldo il Borgoodo, e Natan.i(so 

Certo è, che se di me sol qnesla vita, 

Quel, che i più ferì Allobrogi conduce, 

Nello stalo ove siam, fosse in perìglio, 

A diverso cammio muovono il passo. 

Pria che cercar di questi fossi aita, 

Verso ove Apollo asconde la sua lacci 

Sarebbe ella dì me po«ta in rsìslio ; 

Ove alza il monte si, che scopre in basso 

Ma per si chiara gente e sì gradila 

Quanto il nemico ciercito c '1 mo dace 

CoDvien sempre prepor Tolil consiglio, 

Piiote oprare, o pensar per ine difese, 

Clic non manchi d'onore a quel che sia 

Beo se curo da lor di tolte ofleie. 

Con certissimo duol per alta via. 

XCYI 

CUI 

Va Roisano il Selvaggio all' altro calle. 

Or s* a voi così par, padri e fratelli. 

Ofie SI volge ove Uorea il Cielo oncmJe 

Direi, rhe i nostri duri e cavalieri 

Al ci>lie par, che deli'arqnnsa valle 

(Che molti por ancor restan di quelli, 

Ri<errando il sentiero olirà ti stende; 

Che non ferii! il Ciel ne lassa interi) 

E perchè 1* improviso e dalle «palle 

Gisser da parie, c rhe cia«fon appelli 

Con più grave timor gli animi prende. 

Quei, eh ci pensa tra' suoi miglior guerrieri, 

Prr ascoso sentiero e qiielamenle. 

E che per pruuva ornai conosco tali, 

Quanto é possibil più, mena la gente. 

Che i ben possa lodar, punire i mali ; 


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3 


L AVARO H IDE 


3i8 




I 

1 




CIV 

E 'nlanle «chiere poi fniirr iIItìiì, 
Quanti lochi a pnariiar mrttirr ne fia; 
E che *1 capo di lor miglior t'avvìu, 
r.hc di Mono e valor fortiìlo ila; 

Un vada poacia iotoruo, di' agli ncclit, 
0 gl* impiagati altrui ristoro dìa; 

£ cosi ogo' uom saprà quanto far deve 
£ ehi merli alu lode, o btasmo greve. 

eviti 

Bandegsmo il fralrl di Itfaligsnie, 

Con quei, eh* ha dì Vintonia, e di l'irestra 
Che sotto la sua tniegoa erano inoatiie, 
Poue olirà il fiume alla montagna destra; 
Seco è Gcrfletlo col suo stuolo avante, 

Ch* ei menò dì Sarbitria, e di Dorcestra, 
Agraveno, Abondaoo, ed Arganoro, 

£ di Vigornia il cavalier Manduro. 

c» 

Poi ch'ha dello, il re Lago a lai ftsponde; 
Non si cerchi fra noi forma migliore, 

Che non sì Iroverehhe, e 'n van confonde 
Chi truppe io contraddir consuma l'ore; 
Or col chiaro voler, che'l ciclo infonde 
Nel petto di virlh, che brama onore, 

Che più rhe *1 ferro, e l'adamante adupra, 
Con sollecito andar moviamo all'opra. 

CIX 

Il gran re ^elinoro ba in guardia il monte 
Con Lucano, Agrevallo, c 'I piu Malrhiuo, 
Che alla sinistra spaila aba la fronte, 

Che più scorge Bnnrte esser vicino; 

Ch’ avran quei di Nortumbria presso al fonte 
Di Tueda aspra, e del gelalo Tino, 

Con quei di Canlabrigla, e dì Valpiile, 

E quel else la Bangaria io alto cole. 

cn 

Cosi fermo fra loro, il buon Tristano 
Per consiglio dell' Urcado famoso 
Ha il meuo in guardia, dove Scguraoo 
Della porla sforiar vedea bramoso; 
Biomberisse, c Blanoro il suo germano, 

E Gossemanle ardito e valoroso. 

Tra quei di Neuslria, e di Cornubta inloroo, 
Con i'Armorico re fanno soggiorno. 

ex 

Sicambro Ì1 sommo Franco, che conduce 
Del gran re Clodoveo gli ornati 5gl>, 

Con la celeste insegna, in coi rilnce 
I..O splendor sacro degli aurati Gigli, 

Verso ove il sol, loglicndu a noi la luce, 
Di Marocco i confin rende vermigli. 

Ha lutto in guardia il Sabbiunoso culle. 
Che sovra quanti ivi hau la fronte estolle. 

CTll 

Dalla man dritta sua loca Gaveoo, 

Col ricco Ivan, eh' ha il popol Suliiallo, 
Con Creato, e Maodrin, eh* all’ altro seno 
Han quei che alberga il promontorio Uvailu ; 
Pon LioocI col pio cugin Baveno 
Del manto lato nel più estremo vallo. 

Co* suoi d' Anversa, c Nestore e Taulasso, 
Che viene onde SuUco più scende in basso 

CXI 

L'Orcado Invitto, col figlinolo Eretto 
Con Gaacsmoru il Nero, e Hrliasui, 

A ingombrar lutto il mezzo è stalo eletto 
DrII' ampio campo, e rivoltare il passo 
Ove più senta dal nemico astretto 
Questo, 0 quel loco, rislorando il lasso ; 

E di giierrirr empiendo quella parte, 

Che vola avesse il sanguinoso Marte. 


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ARGOlf ENTO 

-*«-o**«*- 


i%aita il cntnpo at’t’rrso S ff’u ratto i 
Rompe mno porla^ r fa Jfrn*/ inudite t 
ila al toccano de' sttoi move Tritiano: 
jérde la pmgna ; tccndoa molti a Dite. 
Poi che il sol ti moscote in Ocràma 
Fin mette t ombra alla fanetta lite. 
Galeotto domanda tm tal perielio 
L'armi fatali del rt Sano al figlio. 


C^ijuciin dnre J'Avarro I* ampie srliirrr. 
Che al Minimn impero suo commesse foro. 
Va iiiloroo visilando, e'o voti attere 
Quel che ile^|:ìaau oprar dimosira turo; 
Ma sovra npn* altro poi ai putì vedere 
Mostrando il dragon nero in campo d' oro 
Il fero Segoran, che lutti insieme 
Pien d'ardente furor sospinge e preme. 

Il 

£ dice: Or questo è il tempo, in ent mostrane 
CoDvien l'alta virlò, rhe 'n core avrmo ; 
K quel chiaro splendor, che largo apparse 
Del Britanniro oiior, rendere scemo; 

Che le glorie di lor per tallo sparte 
E prr sì lungo trmpo, acipiislemno 
In questa valle sola, e io questo giorno, 
Pria eh' all* occaso il sol faccia ritortso. 

Ili 

Ricordatevi pur, che 'I del ne mostra, 

Se calcar la saprem, la strada hreve 
Di fine impsorre alla infinita nostra 
Gii sofferta fatica, e sndor greve ; 

E che dentro a quei fossi ornai la vostra 
Pace e riposo ritrovar si deve: 

E eon lode ìromurlal larga riccheaza, 

E tolto il sommo ben, che '1 mondo apprezza, 

IV 

Or non sapete voi, eh* ivi entro stanno 
Di mille alme rittadi t tesori ampi? 
Ch'olirà il mare, e dì qua dispogliali hanno 
1 più fertili, aprici, c lieti eampi 
Clic dall' unghie rapar! del Britanno 
Non è trmpo onoralo, die ne scampi; 

Ma drlle prede antiche, e falli suoi, 

'Eredi e puiiitor sarete voi. 


Acrìngetevi por con core ardilo, 

Qnal pio conviene a sì onorala impresa, 
Contra un popol già lasso e sbigottito, 

Che larghi argini e valli ha per difesa; 

DI coi r imperador giace ferito, 

Bnorle, e molli, che v'han fatto offesa; 

Nè resta altri fra lor, che 'I nome vano 
Dell' Armorìco giovine Tristano. 

n 

A coi prometto io sol tal freno imporre 
di' agli altri cavalier noterà poco ; 

Nè 'I salverà da me fondata torre, 

Nè riparo miglior di ehioso loco; 

Ch’ogni suo schermo, ogni soa forra torre 
Spero al primo apparir con ferro e foco; 
E render tosto il lutto egnale e piano 
Si, che ’l difenda sol l' arme c la mano. 

VII 

Già tacendo il gran duce, a lento piede, 
Ch'rsfi segoan pregando, il passo muove 
Verso la porta, alla cui gnardia siede 
Il hooQ Tristan, che noi vorrehhe altrove: 
Come poi piò vicino esser st vr«le. 
Empiendo l'aria e'I rìcl di varie e nuove 
Barbare voci, c di sanno a«pro ed alto, 
Velocissimo il gir drizza all' assalto. 

vm 

Nè impedimento airnn (T argine, o fossa 
Gli rooteiide il tenlier eh' ei non s* awrnle 
Olir' ogni spazio, e eon l* estrema possa 
Di passar' ultra sol non s'argomente; 
Prende essa porla, e mille volte srossa 
L'ha in guisa tal, ehe ‘I popol ne spavenle; 
Dietro a lui son l’ insegne, ehe *l rammino 
Van mostrando al loutan, eume al vicino 

IX 

Vien l'altra gente poi raleata e stretta, 
Con gli scudi fra lor serrati in giii^a. 

Che pria che penetrargli, ogni saetta 
Del pili pregiato arricr sarta ririsa ; 

Van di par sempre e ben l'nn l'altro appetta 
Si che dal vario andar non sìa divisa 
L'annodata eh'avean seeura forma, 
Stampando unitameute T istes»' orma . 

X 

Scendon nel fosso. eqnet,eh'èÌndielro, alla 
Quanto può quel dinanzi allo salire, 

Ove dal vallo c l'argine impedita 
La via ritrova al chiaro suo desire: 
Sptiigon^ì insieme, e eon bei delti invila 
L' un r altro all' opra di mostrare ardire ; 
E lentaiHÌu in fra lor novelle forme, 

Yjuuu ora iruicme, or hati diverse I' urine. 



XI 

Or come mai potri linfiaa mortale 
Racronlar tatto a pirn I' allo romore ? 

1 colpi orremii poi il' aita e di atrale 
Del popol folto, ch'or anrì<lc, or muore? 
Di chi scende percosso, e di chi »ale, 
Cangiando ti viver suo eoo larp'o onore? 
E la eraodine spessa, che qaì cade, 

Di sassi e dardi all* arenose strade ? 

xn 

Ch* ora il pio RIomberisse, or Gossemante 
Che di Trillano il di compa|rtii furo. 

Va con r asta ferrata indietro e innante, 
Scorrendo intorno il combsltiito muro ; 

E quale al «omino ornai posa le piante, 

E di vittoria aver si lien seenro, 

Percosso in fronte, e con pallente faccia, 
Scora spirto raccor, tra* suoi ricaccia. 

XIII 

Fa il medesmn BUnoro il terzo dnee, 
Che roQjsinnto con lar si trnova all'opra: 
Chcqnrslo • spasmo, equelloamiirie adduce, 
L' »n dì sollo riverso, e l'altro sopra; 

£ chi conlra i suoi colpi si conduce 
Muli ha scndo a bastanza, che 'I ricopra} 
Che '1 porfir, l'adamante, o s' altra sia 
Pietra più dora ancor, poco saria. 

XIV 

Monto spinto da' suoi inperbo in vista 
Sopra l'argine cslremo il Ner perduta, 

Si che i minor giierricr d' intorno attrista 
L* oscuro suo, eh' han conuscinto ; 

E la tema era in lor con danno mista, 

Se non tosto ciunitea con largo aiuto 
Blanor correndo al subilo rumore. 

Che gli pcrcoue Ìo nn 1' orecchie e '1 core. 

XV 

E 1 tmova, che più U' nn già impiagalo ave 
E r acquistalo loco si difende, 

£ chiama i snot dicendo ■ Ora ho la chiave 
Che la porta apre, onde il ben nuiLru pende; 
Ma giiiiilo a destra, ove men guarda e pavé, 
La man sopra di lui Blanoro stende, 

£ con l'asia mortai die vicu traversa. 
Sopra quei, che ’J seguìau tosto il riversa. 

XVI 

Non con altro romor nel fondo diede 
Del più iochioalo fosso delie spalle. 

Che scoglio alpestre, di' alla riva as>tede 
D'aspro torrente, a cui ristringa il calle; 
Che di pioggia arrierhiio, irato il 6c«Ie, 

£ Io sveglie iodi, e rimisomlur la valle 
Fa col suo rovinar, tremando ì mri 
Agli armcnli vicìui, e a' lur pastori. 

zvn 

Non fu ardilo gucrrier, che ciò sentile. 
Che dal danno dì Ini non prenda esempio, 
Fuor che ’l fero Grifou, che sempre visse 
D’ animo invitto, ma superbo ed empio ; 
li qual, Giove biasmando, altero disse; 
Donami pur, se vuoi, 1' islesao scempio, 

Ch* io non curo il morir, tiiusirandu almeno. 
Che 'nlrepidis il voler riserbo in seno. 


XTItl 

Colai parlava allor, credendo morto 
Il suo caro engtn, ch'amò cotanto; 

Ha come vide poi, ch'era risorto. 

Rivoltò in ira di dolore il manto; 

Ma il fero Segurao da Marte scorto 
Di ridar tulle in polve si dà vanto 
J#e fortissime porle con la mano, 

£ di Vita e d' onor privar Tristano. 

xtx 

Vede un grosso troocon, che Irageon ivi 
Sei più forti gnerrier di quello stuolo, 
Versando di sudor dal volto rivi 
Con lungo e falieoso affanno e duolo; 
Ratio entralo fra lor, d' esso gli ha privi, 
E con ambe le mani il prende ci k)Io, 

E se *1 pon sopra l’ omero li come 
YiUaaelia d'agnel londulc chiome: 

XX 

E va inverso la porla a largo passo, 

E con quello aspramente la percuote} 

E sovente adduppian<lo or alto, or basso, 
Qual terremoto, o folgore la scuole; 

Non aspetta Trislan vederlo lasso, 

O le speranze tne d'elTello vote: 

Ha stimaodu il suo cv>r d' onore indegno 
Chi rip4ro si fa di muro, o legno. 

XXI 

Chiama a sé Blombcriise, e Goisemanlr, 
Dicendo: Or non ronvete d'eslo loco, 
Gnar«lando ben 1’ entrata, mentre ìnnaiitr 
Conte' a quel rada, che ue prende in gioco; 
Blanoro, e ugn' altro cavaliero errante, 

Cbe le oemirlie spade apprezza poco, 

Segua il min gire in parte ove qncst' alma 
Lasserò nuda, o 1' oruerù di palma. 

xzti 

Cosi dello, la porla io un momento 
Quanto ogii* uscio si stende mostra aperta: 
Ed ei, qual leve siral, qual foco e vento, 
Cou brevissima schiera seco inserta 
Vien sopra heguran, eh' è troppo intento 
Alla viu«sria sua, che sperò certa : 

E con l’urto impruwi>o iu modo Ìl preme, 
Che lo steud' ivi col suo Irooco iotscne. 

zzili 

ludi olirà penetrando tra i gnerrierì. 
Quel privato ha dì menibto, e qnello ancì<ie ; 
Trova Entrilo, il primiero intra i piu feri, 
K la fronte in due parli gli divide; 
Avenlin getta agli aridi sentieri 
Senza il piè destro, ch* all* albergo il guide; 
Euforbo, Amitaufie c Foreiiio, 

Quel senza braccio, e questo a capo chiuo. 

xviv 

Non con altro terror va tra costoro, 

Che famelico Inpo ai caldi tempi 
Tra la gregge sutl' ombra, e fa di lom. 
Pria che senta il paslor, crudeli scempi; 

E i can, eh' al nudo sul gran tempo foro, 
l'rcndeudo dai signor dovuti esempi, 

Si riufrescao nel sonilo alla verdura, 

Cbe dal raggio d* Apollo gli assicura, 

ili 


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AVARCHIDE 


Tal niiterelli, che i>uB lianan 

Di ri«r «li'iitru ion, liiiiure alcuQQi 

Rrslan »t «^pavrnUli al nuovo Januo, 
fJtr laMii ai colpì lor rr»la ncttiino. 

11 |iiM DIauuro» e che con lui vaitnoi 

Han pià nmrti pcUati atl uno a<l uuu 
Delia pirite volpar ai larga »rhiera, 
tJie r arcua ci>pcrU iiitoruo b' era. 

XXVI 

E arguivano ancor: ma il re Trlttano, 
Clic Mciiro nou va di chi più imporla, 
Teme, che non riaurga Srgurano, 

K vlorzi al Gti r alibandimala porla} 

Va rHliiamaiido ìndirlru a niaoo a mano 
Il «tiu Ulanoru, e runurala vrurla ; 

E ptti rh'cgli è di grilli urcidrr lav*Ut 
Ver»u il campo de' auoi rivolge il patio. 

XXVII 

E trova rjiial Icmea, che *1 grande Iberno 
r.be di Irrra aiiimoiu era levalo* 

(>ià pieii di MÌepno deli' avuto icberoo 
Fra i due gran cavalieri era arrivalo; 

Ove par I' uno e 1' altro aU'afpru verno 
Scoglio, die iiivilio a.*pelle il mar UirbalO| 
Il qual, li-uaa crollar la fronte o '1 pinir, 
Indarno quètlo c quello inonda e Sede. 

xxvnt 

Il primo, di' egli iiironlra,^ Gosscmaule 
( he la unUira parte in guardia ha pre»a, 
K gli ilio col|io in fronte tt pelante, 
f'.lie'l cerebro intronato n'ebbe ulTe»a ; 

Nun però d' indi por movro le piante. 

Ma »'apparrrr.bia ancora alla difeta, 
Q(iaiMÌ' ri raildoppia il ritlpo, e fu cotale 
or a ritenerlo in piè unlla gli vale} 

XXIX 

Che il forte elmo ba M|uareialo librando crii' 
Gomc d'arltor nuvcl tenera teoria; (do 
Poi tagliò r Oisu, uve il ritrova ignudo, 
Che riroprc la fronte, ove ha più fona, 

K non tepfie al bisogno u|>rar lo scudo; 
Coli ’l vitale spirto in eiio ainoiuna. 

Che 't rullo anco parti tra le due spalle, 

E '1 pou distcìo al mal guardato calle. 

XXX 

Non con altro romur, eb' eccello pino 
4di*ai gran munte di Telia in fronte nato, 
Dal pratico noediier, che Ita vicino, 

Per carena al ino legno è dilegualo, 

Che't taglia in bassu ed ei Col verde crino 
A dii l'olTese piu rovina a lato, 

Che non può al suo cader fuggir il presto. 
Che CUB le Iroudi alnieu gli vico molesto. 

X«X( 

Va incontra pofcia irato a Blomberiiie, 
r.h' al suo caro rzimpagno era ÌB aita ; 

K lutto il sente Iberno maladiiie, 

C.h' a si cbiaro guerrier tolte la vita, 

Poi lus|Mrando e iniuacciaudo disic: 

Se la vendvlla tua mi vicu fallita. 

Spietato Seguran, ti atTemio cerio, 
t.he I fin nicdonio dal tuo brando merlo. 


XXXII 

E coti ragionando in front* il fere 
Con grave asta ferrata ad ambe mani. 

Ma odio scudo tol venne a cadere, 

('die i detir di vendetta rendeo vanì ; 

L' altro, come ciugbial, tbe tra le tciiicr* 
Di folti cacciatori entra, e di cani. 

Senza la spada oprar, C-oì capo basto 
L'urta e ratterra, eti fa largo il passo. 

xxxm 

E tra la gente poi, rb' ivi era folta, 

Col medesmo fnrore oUra sì ipìngr, 

E col brando mortai, rhc'nl«>ruo volta. 

Di vermiglio color la terra pioge : 

Il bnun re Lago, die di luoge ascolta, 

Co' migliori, e col figlio si ristringe ; 

E dove ode il gridar con ratto corto 
Confortaudu ciatcun drizza il toccursu : 

XXXIT 

E trova Segoran, eh' ivi parca 
Tigre, o fero Icon, di' al prinm assalto 
Pose il cane, e ’i pastore a morte rea ; 

Poi la maiidra varcò d’ un leggier salto, 

E sbramando la fame, die'l premea, 

Pon la misera gregge al nudo smallo ; 

£ Con rabbioso dente all* isicst' ora, 

E la madre c V agud fogge e divora. 

XXXV 

Egli avea d' un sol colpa a terra steso 
Pili di cento guerrier tutti in im monte, 
L'un nelle spalle c P altro al petto ofeto, 
Quel ferito nel ventre, e questo in frunlc ; 
Viro l'Urrado famoso, c'I grave peto 
Tra le tur fretdte schiere al ferir pronte 
Soslien con I* opra, c poi col dire t|>roaa 
Al passo iunauzi Irar cbi s' abbaudaoa. 

XXKTI 

Ila seco il liglio Eretto, c Ganesmoro, 

£ Meliasso anror ristretti insieme; 

Scoulrau P Iberno, eh* alP estate un toro 
Sembra, quando Passilo il punge c prcoic; 
£ cui inedesinu cure culra fra loro, 

Che faiia fra le gregge, e nulla teme; 

Pur seuleudo di quei P acuto braudo. 

Già del primo furor si Irnuva iu bafldo. 

XXXVII 

Perdi' Eretto il primier sovra la lesta 
Che non potè covrire, il feri tale, 

(ihc l'auilar comincialo ab|iianlo arresta 
E di ciò dt'aggia a far dubbio Passale; 
Vien l'altra coppia ìnlaolo, che 'I molesta 
Si, cb' a gran pcua ornai sua forza vale 
A laoli Contrastar ; di' ancora arriva 
L'altro stuul tutto, e 'I coiidnccva a riva. 

XXXVIIt 

Se non cb* ei riguardando ioloroo vede 
Che d* alcun suo guerrier noo è seguilo; 
Tal di* essendo soletto alla fin cede 
Alla necessitadc il core ardito; 

Ma pria di' ei torni P animoso piede, 

Puh di Ire r«dpi uccisi sopra il lito 
Aslifitu, Midunr, c Slersiluco 
Nati in Puinoiiia nel medesmo loco. 


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AVARCHIDE 


''«nphial, rhf mtnppn Irov», 
Che HI piri olirà pìr pii rhìuHr il rallr; 
r.hr |M»Ì oh? Hi «qoarrtjrlo inHarno prora 
Torna la frnni? al fin? or' ha Ir ipallr; 

E ipmnanHo II furor. Hi tiratla onora 
Corra il Irarortn alla «pinota vallo: 

E *n qaantl pnò inoontrarr II Honir aHopra, 
Qaotlo e qiiH rìrortamlu tolto c «opra; 

xr. 

r^*t il orttHrlo Ihorno al manoo lato 
Tra la «ohirra, oh’ ha iiiHlolm, ai rtrarcìa, 
Poi ohe*l primo oammin rode «orralo, 

Ne ’I porrìa hono aprir fi>rxa, rh’oi faoria; 
Tmora rnrdin oonfnto, o mal paìdalo, 
Qual ohi fuor Hi timor »i mette ia raooia, 
Sì rito «onta roniraaln alTrolla il patto, 
Rirertaado nel gir più d'oao In bauo* 


E rh’opli era nel rampo entralo mio, 
E grarìtttmo danno ha fallo, e molto i 
S’empie il candido »*n d'onta e di duolo, 
E ai molte rrvdel tra *1 pupo! folto; 

Qaal lupa alpoiire, ohe ai mawra a mio 
Cantra il foro maatin, ohe pii abbia tolto 
Il più caro Hi Inlli al mezzo ptomo, 
Mentre i figli a lattar facea ritorno. 

zf-rti 

E fa di Inlti quei ai largo strazio, 

C.ho poniar non ai pnò, nitn ohe ridirò ; 
Piin venti nomini a terra in poco tpazio, 

I qnai non gli volean la atratia aprire ; 

Ma quanti più n* iioriHe, meno i aazi«» 

Del aangoe loro, e men qiielale ha i’ ire: 
Qnantio gli ritovvien di Ootacmante 
Coai fatnoio cavaliero errante. 


Coaì senza toner cura d* alcuno, 

D'Enro sopra il mtrel gi^ posto Ita il piede, 
Di loiilan poraegiitlo da riatonno, 

Che chi di froniha, o rbi di «lardo il fieHo; 
Ma virìn con la spada ornai nettiino 
Di prtiprits, o d* altrui mal vrtiHolta rhioHr; 
Poi gli altri duri, e I* Orcado, e ’l figliuolo 
Di poterlo raceur gli loe Io itiitdo. 


Poo’oltoa va, che assai pretin alla porla, 
Che con somma virtù guarditi Blanoru, 
Comisee il è’ortonato rhe fa scorta 
A* funi Pannooi, c combattra fra loro ; 
Ailor qual orto alpealro, rh’ aggia scoria 
Senza vicino aver mattino o toro 
Giovenca al prato, io gli avventa «opra, 

E per lorgli la vita il brando ailopra. 


Ginnlo egli ailnnnne, ove le batae arene 
Del Ionio fiiimirrl ronda raggira. 

Si vtilge a tergo, e gran vergogna tiene 
Di rìlomarae in<lielrs>, e ne sospira ; 

Par la turba infinita, di' anror viene 
Tra i miglior oavalier, gli spongnn Pira, 
Si ohe d'riao varrar onusiglio pren<la. 

Ma non ai, die qaalch'uo pria non offenda. 


E ben fatto l’avrebbe, te Grifone 
Doli' alto pasto gianlo a lui unn fora, 
C'h'alla mortai balla;:lia a' intrr|»onr, 

E trae '1 oompagun di perìglio fora: 
Ma del ano danno tirato fu cagione, 
IVrrhè 'n vece di lui, lasju», dimora 
Tra lo noniiche mani in tal maniera, 
C.b' al più isiceale sol a' addnre a aera. 


Prrrh’ inHìetm rivolto, appresto scorge 
Panrmone, rd Agan venirgli al fiaaoo ; 
In tor la apatia riourrrnilo porgo, 

E porroste il prìmier nel lato manoo; 
E’alirit di' a vrmtirarlo irato sorge, 
Peroosto in fronte, e palliHelln o liianro 
Nel bel deiretà saa, oh’ all' aprile era, 
Speoset, qual rana u fior la pioggia fera. 


Porrbé tendogli tolto U> sfogare 
I.' Armorim furor roiitra il primieri». 

Il verta io ruo, r senza tpazio dare, 

Tre volte il fero, <»ve aito sta «1 càiMcrot 
Al terzo colpo il fa por terra andare 
Divitn io duo; che non gli rotta intero 
Se non dal boato Ìo giù la parte in onÌ 
Sta qoci, ch'avanza al nutrimcplo altrui. 


Posola nn salto leggior nell' onde poeto, 
Lo qitai con gran mmor poi greve pondo 
Salirò in allo, nnaiilo iti batto aeetc 
Il frro Iberno all’ arenoso fondo; 

E le reriilee gonne iulomo offese 
Dell' alme ninfe, rnl colore immondo 
Delle arme sangtiìnuto in altrui danno, 

E 'a tra i inot ai ritrae eoa breve affanno. 


Morto il nobii Grifone, il Forlnnalo 
Per raggiunger Trillano il passo affretta; 
Ma il tegoilar più innanzi gli è vietato 
Dalla gente, rbe fogge arctilla e stretta : 
Il buon Tristan non meno scous«»Jatu 
(Quanlanque parte fev della vcniletta 
Del caro Gossemanle) il aenlier tinge 
Di nuovo sangue, ovunque il brando spinge. 


Ma il famnto Tristan, poi Ht'ha mostrato 
Al luperbo avversario, che non sia 
Del loo primo valor lutto spoglialo, 

Se bene il permea ailor fsarluoa ria, 
Tornando indietro, sente d'ogni lato, 

Che ‘1 fero Segnraoo ucciso avia 
Il suo buon Gosscmante, e Blumberistc 
Quasi condotto n (al, ma poi rivisse: 


E fra la turila Antif«Hso, e lalmens», 
Pannniii entrambi, e di Grìfon parenti, 
Quel del cur Irapatsati» il destro sono, 
Questo le tempie, rriiddmente ha tpenli; 
C.Oii lor d'ibcrnia l' orgugbo'-o Eb«n<i, 
l)i>pregiator di tulle umaise grati, 

Perchè di Marte figlio esser oredea, 

Pon, nel ventre impiagalo, a morte rea. 



L AVARO II IDE 




LUI 

Uccidendo olir* a qnc^li altri tafiitìU, 

Ma di Dome vul|;ar, *i fa il cammino ; 

Ma poi eh* è prcs^y e sopra i Irtsii liti 
Scorar il mìsero amico lai virino, 

£ tanti iiilcsmo afflitti e sbi|;nUili, 

Ch* han perduto chi *1 frale, e chi *1 ciif^ino. 
Colai do|tlia e foror Calma gl* inrende. 
Che d' indietro tornar conii^lio prende* 

u» 

E qaal lìgre d’ Ircaoia, che rilroore 
Da'nsidioii villani urciai t figli; 

Che rabbiosa fra lur battaglia muove 
In cui ‘1 morso strodrndo, in mi gli artìgli, 
Onde il sangue di fuor si largo piove, 

Che i verdeggianti rampi fa vermigli; 

Nè si muatra ella talia, in (in che manche 
La torba intorno, o che le forse ba stanche: 

LV 

Tal r Armorieo duce indietro volto 
Poi ch’ha inteso per ver, che Segarano 
Tomaio è fuora, e ’l lui segnir gli è tolto, 
Spiega sopra eostor l'ira e la mano; 

£ tanto miele ornai del popol molto, 
Ch'ei n* ha coperto il sanguinoso piano: 
Poi ch’ogni gente è già fuggita, o morta, 
Hiccrca al fin la mal lassala porla. 

tv» 

La (joal, come pria fu, l<Hto riserra, 
Che *1 consiglio dell' Orcado fu tale, 
Dicendo: In molti lochi aviam la guerra, 
E larghissimo sUolo il latto assale ; 

E veramente 1' nom vaneggia ed erra 
In si torbidi tempi, a mi piò cale 
Dì falsa gloria, che dì star Mcnro 
Poi che *1 esci così vuol, tra fosso o moro. 

iva 

E no *1 diceva in vin ; che Palameda 
Col forte Dìiiadaon, e Brunadassu 
Di montar dalla destri allo provvede} 

E già non lunge al vallo aveva il passo. 
Mentre il popol, eh* è li, tentando al piede 
Con zappe e con marrou l’argine io basso, 
Cercan d* apparecchiar si larga strada. 

Che la grave armatura indi entro vada. 


LX 

Egli era entro la torre, che fiancheggia, 
Fin dov’cra Tristano, il manco lato, 

E d’indi ascoso, ove nessuno il reggia, 

Chi ferito rìman, chi spaventato. 

Onde sforza il nemiro, che pmveggia 
In nuova altra maniera, o ceda al fato 
D* indietro ritornar, tua cìó non vuole 
Palamede ostinato, come suole. 

LXI 

Ha lassando tnlt* altro, sì coagionge 
Con Brunoro e co’ suoi, rh'avea vicino; 

E con doppialo sluol veloce giunge 
Deir aspra torre al prossimo confino; 

£ col desio d’ onor, che ’l cor gli punge, 
Grida allamenlc inloroo: Il mio destino 
Pria mi furi la vita, che mi loglia 
Il prender, o spianar I* altera soglia. 

LXU 

Poi conforta i gnerricr dicendo : Un’ on 
E non molta fatica trar vi pnote 
Di lungo affanno, e di periglio fuora. 

Se r alme avrete di temenza vote; 

In questo punto sul tutto dimora 
Il largo oour, che le relesii rute 
V'han promesso, e *1 guadagno, e ’n voi sol giac* 
D* aei|iiislar sommo bene, e langa pace. 

I.XII1 

Così dello, U primiero in basso scende. 
Nè gl! resta Brunor mollo lontano: 

E II mede<mo si ratto passo stende 
Safaro, Gallinanle. e Dinadaoo, 

Poi tutti gli al tri appresso, c ciasmn prende 
Ferro, o pesante legno, e non invanii; 

Che in guisa fan tremar di quella il seno. 
Che se ne crolla inloroo anco il terreno. 

LXIV 

Si come avviene, uve Nettono tmprìmn 
Speco aspro e cavo, eh* al suo gir s' oppone, 
Clic dei monti crollar l’altera cima 
Fa latta intorno, e l'altra regione; 

Ora il buon Lionel, che seco estima, 

Che d'alta appellare aggia cagione. 

Con sì pochi guerrieri essendo solo, 

Coolra ai ciliari duci, e tanto stuolo ; 


ivin 

Né dall' istessa man Brunoro il Nero, 
Col Provenzal Margondo, e Graccdono, 

Al procacciar aneli’ ei nuovo sentiero 
Più di qnei neghittosi o lenti sono; 

Ma chi sopra i gnerrier usa l' impero, 

Che nessnn laue l' opra in abbandono ; 

E chi al popol maggior va sprone e scoria, 
Che dal frondoso bosco i rami apporla : 

l.fX 

E ne riempie il fosso ss, che aggnaglic 
Quanto si può vìcin l' altezze estreme ; 

Ma il franco Lionello aspre battaglie 
Fa intorno ad essi, e gli rispinge e preme; 
Che *1 poisente arco suo le salde maglie, 
E gli arciari, e gli scudi passa insieme. 

In si veloce andar, di' ad ora ad ora 
Qnel ferito, e quel morto i tratto fuora. 


LXV 

Il fido messaggler Toote chiama, 
Parlando: Or ricercate a ratto cor«o 
Il buon Tristano, e ditegli, s* egli ama 
li comune atto onor, mi dia soccorso : 

Che fuor che Seguran, r^ual altro ha fama 
Tra i migliori cavalieri e quinci accorso; 
E per tome dì qua studiano il passo 
Palamede, Uronoro, c Bronadassu. 

LXVl 

Non ritarda Toote, e 'mmanleoenle 
Truova Tristan, che come udito Pavé, 
Dice al suo Blomberiise : la mia gente 
Conosrh'io ben, che dell* Iberno pavé; 
Però vi prego aver rocchio e la mente, 
Che non le avvegua caso ontoso, o grave; 
E se *1 bisogno fia, fate rhiamarme 
Da dii con LioiicJ potrà truvarme. 


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AVARCIIIDE 


UVII 

Con tal ordin «'invia ratto alla lorrr, 
Cile con Mimmo valor «i Jifendea: 

Qai il CaroOMi Barca, lì Netlur corre. 

Ove il meslier ma|;KÌur ti coooacea ; 

E quanti può ciaM^iino io man raccorrà 
di' al bisoKno ioCoiti ve n’ avea, 

Samì, tronchi, terreno, arliori, e travi 
Tanti ne §ctlan più nudoti c ^avi« 

(JtVIII 

E eadean di lauò «ì ipeate c folte. 
Come al verno maggior la neve anole. 

Se Giove Lmonli, e le campagne «ctolle. 

Gli arbori, e ì campi, ei prati aaconder vuole; 
Che t venti acqueta, ed ha le oiibi accolte 
Più fredde in basao, e più nemiche al «ole; 
E '1 viator tremando a poco a poco 
D'nn medeamo coUir vede ogni loco. 

LTtX 

Cotale ivi apparta l* aapra lempeata, 

Che da quei dìfenaori io baaao scende, 

£ '1 piede il petto, e gli omeri, e la testa 
A questo, a quello amaramente oflciiJe } 
Nè il gran popol d‘ A varco in posa resta. 
Che r arme ivi cadute iu man riprende j 
E col furore io allo le rigetta, 

Che fa il percosso in ricercar vendetta. 


Perchè sneolre il meschìn per altrui piange, 
E 'I vuole indi portar rìen nuovo strale, 

E *1 percuote alla fronte, e lutto frange 
I.' osso, che io alto fra le ciglia sale, 

Sì eh* anch' ei muore t e ’i nobile Fiorange, 
Che per lastU'O andar guida le seale, 

Fu percuisu alla gola, c *n qurllu ìstesso 
Loco alla coppia prima cade appresso. 

LXXV 

Itcrise dopo lor Fere, e Talmooe, 
Ambedue Frisi, e cavalìer d'onore; 

A questo il ferro entro alla gola pone, 

A quel nel seggio del saoguigno umore; 
Ha nou per cin la fera opinione 
Cangiar sa può nell' oslioato core 
Del crudo Palamede, che si caccia 
Più sempre addentro e rovinar miuaecia. 
txivl 

Egli avra in tal guisa al basso piede 
Della torre già Trai la terra scossa. 

Che poro tempo ornai seco i* avvede, 
Ch'ai gran peso, che porta, regger possa; 
Ond ei s'allarga alquanto, e poi provvede. 
Che d'altre parti intorno sia commossa 
Da luoghi legni e duri, e non s‘ inganna. 
Che per lei roi'iaar poco s'aflaanas 


Ha qnei, che più lunlaa dal fosso stanno, 
Cuu varie aste leggieri, e frombe, ed archi 
Fanno a quei della turre estremo danno, 

E nel moslrarse fuor rendon più parchi ; 
Or quinci e quindi parimente vauno 
D’ entrambi i colpi nei medesmi varchi; 

E '1 montare e '1 calare insieme aggiunto 
Si poote ivi veder quasi iu nn punto. 

LXXI 

Sembrano al rimirargli estiva pioggia. 
Quando subita appar nel mcxzo giorno. 
Che 'I Nolo all' Aquilon i^olrarìo poggia, 
E quanto io mexao sta girano intorou ; 
Ch* or saglìc, or cade in disiuala foggia 
L'onda, e più volle cangia il suo ritorno; 
E le piante impiagando or alte, or basse 
Fa di frutti e di froodì ignudo e casse- 


Che per breve crollar, qual era integra, 
Srnxa ritegno aver, giii in basso cade 
Con r alto rimbombar, eh' udirò a Flegra 
Le cenerose c fumide rnntrade; 

Viro tenebroso il ciel d'ntetira e negra 
Polve, ch'ai rimirar chiodca le strade; 

Sì che ffloltu passò, pria che 'I vedere 
Potesse il primo stalo riavere. 

LXXTlll 

E col sno rorioar conduue molli. 

Che riò non attendcaoo al cader fnora. 

Di quei d' Arturo; che restar sepolti 
Tra legni c travi alla medesim'ora; 

Altri lon morti ivi entro, altri dìsrìolti i 
Di quei, che Marte trai migliori onora ; 
Come Neslor di Gave, e Taulatso, 

Che si tosto •' aUar, ebe furo in batao : 


E vie meno è'I rumor sogli alti tetti 
Della più dura grandine all' agosto, 

Cagiou che 'ndarno il villauellu aspetti 
11 soave liquor del nuovo mosto. 

Di quel, che 'n sogli scadi, e sugli elmetti 
Riiuona intorno, mentre io terra è posi» 
Questo, e quel cavalìer morto, o ferito 
Sì, eli* al più guerreggiar resta impedito. 

LXXJII 

E ‘I uggio Uooel di parte ascosa 
Ila molli buon guerrier di vita jsrivi : 

Tra quei Nulaiilo che nell' aria ombrosa , 
Nacque, ove al mexao aprii gelano i rivi 
Dentro all' Ebrida Cumbra; e sanguinosa 
Gli fe' la destra, orecchia e morto quivi 
Tra le braccia di Schedio suo cognato, 

Io non multo per luì sceuro lato. 


Che ancor lengon la spada, c senta tema, 
L'un e l'altro ripien d' escara terra, 

Pria che 'I popnl congiunto troppo prema, 
Acroppiali tr» tor s'armano a guerra; 
Spioguusi avanti, c gii di vita scema 
Parte di quelli han fatta, che gii sCrra ; 

E dimostrando poi gli altri seguire, 

Colicr tempo se curo al sno fuggire : 

IXXX 

E col veloce andar, che levi pardi, 

Che di molti leon fuggaoo il morso. 

Ove agli argin vicini i suoi tlenibrdi 
Pon spiegati veder, driuano il corso ; 
Palamcdr, c Bninoro giunser lardi. 

Che '1 nobil paro, qual baleno, ha scorse 
Il fosso, ove trovando intero aiuto. 

Dentro al prossimo vallo era venato. 


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L AVAUCniDE 


33a 



MXXt 

Tornxntt ÌB<llflro «donqne d'ira carri*!, 
Quale relori rao rh’eblier vicine 
Due cerve, o damme, che 'n «elroti varchi 
Dopo alma nudo pian fnp|;iro al line ; 

K van dove i Brìlaooi erano ararchi 
D'ogni difesa antica, e che 'I confine 
Cuflvien col ferro ani tener lìciiro, 

Noo eoa lo achermo più di torre, o moro. 

IJCtSil 

E riehamandn apprciao t lor pnerrieri, 
Palamede pii apinpe, e pii conforta, 
Dicendo: Or pimo ornai dì apoplie alteri. 
Poi ch'aperta n' aviam la chinaa porta; 
Indi ai incita ardito fra i primieri, 

E Bmnnr laaia, che rimanpa scorta 
A qnei che dietro aooo, e ponpa e aproni 
Chi per leaicaaa gli ordini abbandoni. 

C.SXIIII 

E per Valla rovina, ehe fa strada 
Per in alto salir, ratto venia} 

Ma trova in cima I' onorata spada 
Del fanioto Trislao, ch'ivi apparia, 

K pii vieta il rammin, che 'noanii rada ; 

E pii sopra la fronte il ferì, pria 

C.b'ei posta immapiiiar che pente i questa ; 

Ma il colpo rb'ri sentì gliel manifesta. 

LXXXIV 

Che ben raccnplic in se, eh* altri non fosse 
Foor rhe *1 fiplio di Ban, di forza tale; 
Che l'rlmn intorno dì tal modo seostr, 

Che poro avea da pir, ch'era mortale; 

Non però l' invìit' animo tnrbosse. 

Ma eoi valor, rhe raro arrva eguale, 

Spinpe pur anco, e eerra ultra passare, 

Mé Toole indarno Tore consvmare; 
tixxv 

Che sapea ben, che lanpo tempo invano. 
Per abbatter Tait l'altro, si porrebbe; 

Ma poi che 'I passo aveva aperto c piano, 
Vincer l'impresa, c non eostoi vorrebbe; 
Pensando in se, che poi di Sepnraon, 

S' epii avvenisse ciò, più liuie avrebbe; 

E co' suoi si rislrinpe, e driua il pieile, ' 
Ove il popol più frale c asiaor vede. 

LXXXVf 

Non ne cale a T ristao, ma •psnpe al fianco 
Conlra plì altri gocrrier, che con lai vanno; 
Caccia il brando a Filca nel lato manco, 

E pii di del mortai 1' ullinHi danno; 
Mirinlo appreaso rende esanpoe c bianco, 
La gola incisa, ove gli spirti vanno; 

Dopo custor fa Tulio, e Dedupolo, 

E Basalco reaUr d' anima volo. 

IXXXTtI 




r.Kvxvm 

E si rislrinpe alU>r Ira sotto e sopra 
III cosi anpnslo calle la letiaone, 

Ch' ornai indarno riatenn la spada adopra. 
Ma con rabbioso urtare alimi s'oppone; 
Ciascun mette al passar la forza in opra, 
Fermo lenendo il pii sopra il sabliionc ; 
Quai faticanti bnoi, rhe 'I carro han carco 
Si, ebe tpnnUr non pon psetmso varco. 
LXXXIX 

Ha il pronto Liouel, rhe nò rimira. 
S'arreca a' fianchi coi più dotti arcieri; 
Egli a destra rimane, e Neslor pira 
Dalia sinistra dietro a' suoi paerrieri, 

£ qneslo e quel sì folti colpì tira 
Per traversi ed incogniti sealieri, 

Che molti aiicide, e molti lassa in doglie, 
Si che '1 nodo fermissimo si scioglie: 
xe 

Che riasenn volenlier ritira il passo, 

E fuggendo il morir già il loco cede : 

Ma il possente Bninom che dal basso 
Pur eo' suoi per tornare addrizaa il piede. 
Gli risnspinge, r gridai Ahi p>pd lasso, 
Questo è i’amor rhe porli a Palamede? 
Questo è r ooor dell'Ila e della (una, 

Il cui raro valor ti larga tnoaa? 

xci 

Con qneslo ed altro dir pii toma in allo 
E pii segoe esso pei co' suoi Germani, 

E più ehe mai rinfresca il primo assalto: 
Ove oprar non si poo spade, nè mani, 

Pon di (errati scudi no saldo smalto 
Da ciascun lato, onde rilomin vani 
Della coppia dì Cave i colpi ascitsì, 
di' al suo prmu apparir veancr noiosi. 

xcif 

E tal fu il gran soccorso di coslom, 
Che mal pon eli altri il peso sostenere; 
Già lasserìan l' impresa, se fra inen 
Non pridatae TrisUn eoa vori altere: 

Ove fuppiic voi f ch'altro ristoro 
Sperale indietro, o ehe soeeorto avere ? 
Altro fosso, altro vallo non avemo, 

Se questi a Palamede lasseremo. 

xeni 

Non oc resta altro poi, che I' armi esporre, 
£ ondi prigionier farsi a' nemici 
Ch* anco poi vi vorran la vita torre, 

Per goder meglio Ì vostri rampi aprici, 

E le spose e le figlie in seno accorre 
Di voi gregge viliuìme e 'nfeltri , 

Che qni stolti temete questa morte, 

Che più dolce sarà, che quclU sorte, 

XC(V 


E degli altri goerrier n* ancìde tanti, 
Qnaali al montar laMÙ sospinge il fato; 

Si che l'alto romore, e 'I grido, c '1 pianto 
Hanno il pensicr pcll'Ebrido cangialo; 

Ch' al soccorso si volge, v quello intanto 
Drìianon sLnol da prima spaventalo, 

Clic foggia innanzi a lui, già indietro Usrna, 
E conira il percussore alza le consa. 


Con queste vori insieme, e con la spada 
A* snot porge ardimento, agli altri tema; 
Ha il famoso Brimorn a ciò non hada, 

E spìnge quanto può con pissa estrema; 
E forse aperta al fine avria la strada 
In altra parte, ove Trislan nun prema; 
Che se beo l'occhio ha presto in ogni lato, 
Noo può per tutta poi irovarsc armato. 


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333 


L AVARCIIIDE 




KCV 

Ma raoifooM) Erriti», rbr’l romor» 

Ila Uì loiilanu ntlilu e '1 jp’au prri|(IÌo, 
Tra Ir srhìrre rh' c|;lt ha tli piò valore. 
Con lo «tenilariJo imo d’ oro c Termiplio 
Ballo al loccorM» vìeo eoo quello amore, 
Che la madre pietoaa al dolce fiplioi 
E mio il suo gridare, e Calla polve 
Il OriUoDo Umore ai cor diaiolve. 


cu 

Giunge tosto a quel loco, e di già scorge 
Cou le scale imbracciate il fero Iberno ; 

E già le stringe al muro, e in alto scorge 
Tulli gli altri, c Gaven prendendo a scheroo; 
Già per mettersi iu cima il passo porge, 
E già lutto ha varcato ÌI muro inieriiu. 
Già Calarlo, Esrlaborre, e *1 Fortunato 
Segueudu il suo scnlier gli sono a lato. 

XCTt 

E eoo lanlu furor prrrnoU iu fronle 
h* a«pra aemira irliicra die venia. 

Che non mi rInlUMÙ le voplìc pronte, 
Ma d' indietro lurnarse apre la ria. 

L'uà .«opra 1* altro Ira rmifuio munte, 

E mal grado de' duci indietro pia, 

Ch' nve aia il luo Brunoro, o Palaniedc, 
Mciioo più cerra, o più l' ascolta e vede. 


cm 

Non ritarda Tristan, ch'ha l'alma intenta, 
Ove vede arrivar I' aspro drappello; 

K cun 1' asta ferrata s' argomenta 
Di rt'piiiger veloce or questo, or quello; 
Fu il primiero Esclabur, ebe'n basso avventa, 
E '1 fa cader, qiule invescato augello 
Dall* insidiose Iroodi, ove al mattino 
Allcltatu al suo mal torsa il commuio. 

xeni 

Qual Siiìfò infelice, che '1 fatale 
Sasso gravoso all'erto monte spiage, 
Ch* uve faliraodo in allo sale, 

11 suo deatsn più al fondo il rÌM»«pingct 
E mentre ira, pleiade, e duol I' asMic, 
Altra nuova speranza il cor gli cinge. 
Onde al sno vano oprar rilumu face. 
Senza aver notte o di riposo u pace ; 


av 

Gettò Calarlo, e 1 Fortnnato appresso. 
Che nel suo rovinar le furti scale 
Salde Icnea con man, si che suvr' esso 
Al percuoter dannoso arroge il male. 

Che 'niicmeandaru;e’l populche gliépreiso 
Sente non meo di lui colpo mortale ; 
Percir a qnanti goerrìer si trova sotto. 

Ha troncate le gambe, o '1 capo rollo. 

xc*m 

Tale a'doei avveoia, poi che rivolto 
Il pop«»l rhe aalia, ti getta in ba«su, 

Che agli avvversarìi pur mostrando il volto, 
K sforzali da* tuoi volgono il passo; 

Ma il malvagio, e'I migliore in un ravvolto 
Rovina alfin, roine qtirl proprio sasso, 

O quel, che ruta il ruslico arrhitelto, 

Per far fido sostegno al patrio letto. 


Cv 

Resta sol Seguran, eh' ha innanzi il passo, 
E dal muro acquistalo è si loutaou, 

Cir esser non puule ornai riposto io basso 
D' tiu Colpo solo, e si ripara al piano; 

E benché lutto sol, di vita casso 
Esser prima dispon, che avere invano 
Calcalo il vallo ornai più d' una volta, 

E poi la possession gliene sia tolta. 

XCIX 

E'nvan s'adopra 1' Ebrido e Braiioro, 
Margoedu, e Graeedono, c Diiiadann, 

Ch* a viva forza alfiii scendon con li>ro, 
E '1 supremo sperar ritorna vano ; 

Ma mentre io goisa tale npran costoro, 
Vien volando Mandrino al pio Tristano, 
E gii dire affannato: Senza voi 
È in periglio mortai Gaveno, c t suoi. 


cn 

N« solo il buon Tristano invita a guerra. 
Ma quanti altri vi son, con Lai parole : 

Il superbo Jeou, quando si serra 
Nella uiandra d' aguelli, uscir non suole. 

Io fin ch'ad uno ad un nun punga in terra 
Di sangue scarca la invilita prole; 

Ned' io partirò qoìnei, eh io nun abbia 
Tinta di voi la mal tessuta gabbia. 

c 

Però che a quella torre, che s' agguaglia 
A questa, all'altra man verso i' Orone, 

Gli ha mosso Palanmro a«pea battaglia, 
Ma di poco curarlo avea cagione ; 

Or che '1 gran Segnran teme C aisaglìa, 

E già in ordine i suoi d'iolumo pone, 

V» prega per oaor, che 'n cor portate, 
C.h'al soccorso di lui ratto vegiiìate. 


CTU 

Cosi detto il crudel vede Troeone, 

Che non iuiige a Tristan ver lui veniva, 

£ squarcialo il cervello a terra Ìl pone; 
Oresbio presso a qnel di vita priva; 

Ma il gran re dell’ Armorico Leone, 

Poi ch’ha gli altri scacciati, io tempo arriva, 
Che se tardava ancor, degli altri molti 
Avria, come quei due, di vita sciulli. 

CI 

No '1 nega il fido Armorico, e poich* ebbe 
VrduU» io sicorlò quel loco unui, 
Prumrtiradtf a ciascun ch'ivi sarebbe, 
(Se'l bisogno vesia) velsice assai, 

(^OQ qnellu amor, che 'o casalìer si debbe, 
Si volge a txar di saogoinosi guai 
Il re d' Orcaoia, e gran Joirc il muova 
Di far con Scguran novelle prtivve. 


cvm 

Ma qual lupo affamato, eh* alla greggia, 
Che Sola ritrovò, gran danno apporla, 

Che raffrena il furur, da poi che reggia 
Del feroce masliii la fida scoria ; 

Tale il gran Segnrau ouu più vaneggia 
Coiilra i niiour, nè fra la gente morta. 
Come vede Tristan; ma si raccoglie, 

E n psù saldi pensieri arma 1« voglie. 


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ai 

E va ÌDronlra veloce, t pifn li* ardire. 
Ne r alln> il teme, aiiai sol es»o brama; 
Ma {|ciaD«ki più vieta sodo al ferire, 

Viro la schiera maftginr, che Cavea chiama; 
Che poi ch'ha vitto del ino vallo uscire 
0|;ni altro cavalier di maft^inr fama, 

Tien contro a Se|Curano c spinge in f(uisa, 
Che la ^ncfra primiera hanno divisa. 

1 CXTl 

11 qnal di Gnnebaldo la figlinola, 
Amalilde appellata, sposa avea; 

Clularo a Mirion la vita invola, 

Ch’ all' antìro Yesoniio il freo reggea ; 
1 (dodamìro Larreo, rhe regna in Dola, 

Sospinse di sua mano a morte rea; 
Teodorico il qnarto urcsse Aldero, 

Che dei ano Malìaeoo Icoea 1' impero. 

ex 

Che non poò il fero Iberno al |;rave intoppo 
Delta |eote, che vico, fermare il piede; 
Ma col valor papMardo, e '1 pnter z<ippo 
Di passo in passo stxpirando cede; 

Talor si sprona innanzi, e poi che '1 troppo 
Lo sforza intorno, alla sua sirada riede ; 
Fin eh’ all' estenua parte delia torre, 

Senza offesa sentir, può il passo porre. 

cxnt 

Nè par di questi sol ma d’altri molli 
Di sangue popolar posero a terra. I 

Ha delle rose ornai nasconde i volt! 

L’ oscura umida notte, e ’l giorno serra ; 

Già i gran dnrì d'Avarroal lotto sciolti 
Son d'ngni speme d'allungar la guerra; 

E già di ritirarse ordine danno, 

Ove pouan corar 1' avolo affanno. 

CXI 

Poi esleando col piè la parie estrema, 
Qnati il voi prese a pnisa di colombo, 

Ove i’arpìn di fnorr il. fosso prema, 

Che peripiùiso avea tassarse a piombo t 
Tra i suoi s'acroplìe, e con dolore e tema 
Di chi d' esso virino odio il rìtnlximbo ; 
Qual pereprif) noechicr, ch’oda il flagello 
Delle pietre affocate in Moogibello. 

exviM 

Ha II fero Segnrano irato ed empio, 

Pria che d'indi partir, gridando chiama: 

Fate inerti Britanni on sacro tempio 
Alla Nolte immorlal, che Iroppov'ama; 

E la seconda volta d' alto scempio , 

Ila scampata di voi l'alma c la fama; 

Se la fama scampar di quei si crede. 

Che 'atra gli argini c t fossi asconde il piede. 

exit 

Nè più che in qnesti l«>chi in altra parie, 
Ne' due fianchi del rampo, e nelle spalle 
Ila trepna o paee il sanguinoso Marte, 

Ma dei medesmo snono empie la valle; 
nrilba il (ero Ostrogoto ha io giro sparte 
Le genti sue, dove difende il calle 
Il chiaro Bandegamo, ed Agraveno, 

Verso om ha il mezzo di lepido il seno. 

cxix 

Cosi detto, scn va con gli altri insieme, 
Che d'aver lutto in man speran l’alloro, 
Tosto che d‘ Oriente i liti preme 
Di Latona il figliool coi raggi d’oro; 

Dall' altre parte ai sospira e geme 
Tra quei d Arinm, che i miglior di loro 
Vegglon totli impediti, e di quei bassi 
1 pili morti, 0 feriti, e gli altri lassi. 

cxni 

Ma poco pitele oprar, che la virlnde 
Dei chiari difensor trovò più dura, 

Che 1 fabbro Sirilìan l’antica iocude, 

In mi r arme del ciel forma e procura ; 
B Ilossan ver Boote, ove si chiude 
Fra lo sluol suo nelle terresti mura 
Con Pelinur, Lucano, ed Egrevalln, 
D'ivi entro penetrar tentato ha in fallo. 

CSX 

Sfnovesi il buon Trìstan molto a fNCladt, 
E r Orcado famoso, e gli altri regi; 

E che curali sien, eercao le strade, 
Prumettendo a ciascuno onori e pregi: 
Ma più che in altro, in Galealtu cade. 
Che fu il fior sol dei cavalieri egregi, 

La doglia del lor mal, che si convieoe 
A madre, che ’l figliuul rilrove in pene. 

CXXT 

Nè Gnnebaldo al loco, ove si pone 
Il sol, che del re Franco aveva i figli, 
Con men fnrore il sacro gonfalone 
D'abbatter cerca degli aurati Gigli; 

Che l’odio antico se li aggiunge sprone 
Al dispictato cor di far vermigli 
Del regio sangue i earapi ; ma il valore 
De'fjuaUro giovineUi è via maggiore. 

cxxi 

E quanto tosto può, per vìa spedita 
Piangendo trova il figlùi del re Bano, 

£ gli dice : Signor, se mai gradila 
Fo da voi r alma amica, non sia vano 
Il mio pregar, si die si doni aita 
Al re Britanno almen per la mia mano. 
Se '1 cielo al vuslro cure ancor non spira, 
Che debbiale posar lo sdegno e l' ira. 

cxv 

Che qiiMici e quindi son fra lor parliti, 
Come il vecchio Sicambro ordine diede, 

K si ben guarda ogni uomo i propri! liti, 
Ch'appressar non gli può nemico piede; 
Molli uccisi ne tou DiuUi feriti, 

(.he rirliiaman Kmlan la patria sede. 

De' Burgundi miglior che Gliìldeberlo 
Trapassalo ha nel cor l'empio Alalserlo: 

CKXII 

Non V* accorgete voi, che più non pnole 
Sema soccorso altrui reggere il pondo 
L’afflitto stiiul, cni le celesti mote 
Dì miserie hanno spinto al sezzo fondo? 

£ si tosto che *1 sol domine scuote 
Il tenebroso vel dal fosco mondo, 

Or che gli argini e i valli son per terra, 
Sarà morto, o prigion subito in guerra. 


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r 


K 


L AVARO II IDE 


K] 


c**m 


rxxix 

Ch' olirà i dar! miftltor, romr Mprtr, 


Lanritnito ritpunilc che gli aggrada : 

Son ferii! i piuerrirrì in maftpor parie ; » 


Cimi il pielosu re con ratto pat<o, 

Itifinili varrar 1* onda di Lete, * 


Ctnne che iu parie ileslata vada, 

Nimi beue accolli dal favor dì Marie ; 


Giunge ove Arturo sta dolente e lasso. 

Or ic di bene oprar mai fotte in tele. 


Che con Tristano c gli altri cerca strada 

O te TI mntier mai laprime tparte ; 


Per la salute lur, di speme casso; 

Siami concetto, e tenia farvi offeta. 


Ma si loslu che scorge ivi apparire 

Ch' a quello uopo maggior vada io dìfeta. 


Galealto tra* suoi, romioeia a dire : 

exiir 


rxxx 

Risponde Laneilotio : Gii in me tletto 


Mandavi il cielo a noi per nostro bene, 

D* aiutar pare Arturo avea detire. 


0 sacro re dell' itole lontane. 

Per non vederlo al fin del tallo oppreito 


Per fine imporne all' infinite pene. 

Air oliima nivina pervenire. 


E le sperante far degli altri vane? 

Ma tento un tale *pron giungersi ad etto 


E *1 sangue pio delle britanne vene 

Dal pio vostro pregar, che tulle Vice 


Sparso ti largo già da sera a mane 

Che m'avvampino il ten per giiiita via, 


Ni>n ha tale ornai mìo LanciloUo. 

Il cuiiiigHu di voi spegner porria t 


Ch* all* averne mercè si sia cuudutlo? 

fX»V 


CXXII 

Ch'in non per>'> di libico leone 


Disse allor Galeillo: lo vengo a voi, 

Porto il n>r dentro, e di pieti rnbello ; 


Famnsi«sinm re, per dirvi come 

Ma, come il mon<ln «a, gintta cagione 


LancìlotUi ha commesse intere io noi 

Mi nioise al farmi a luì ritmto e fello. 


Di quanto ei ptw ditpor le chiare some; 

Or eh' è ridnlUi a tal, titilla ragione 


L'elmo, Io scudo, c gli altri arnesi suoi 

Mi pan più manlener contrario a quello, 


Vuol che mi premio gli omeri c le rliiomc ; 

Srnd* cs qui, sentiti re, tendo rri»tiaaO| 


K mi porti Nifonte il suo deslrìern, 

Ed -io t‘ unico erede del re Sano. 


Più d'ugn’ altro che sia forte e leggiero. 

CUTI 


CXXISM 

Or tenia altro piu dir, come 1* Anrora 


E che quinti ha gnerrier giontì co'miri 

Spanda i «noi bùtndi crin nell' oriente, 


Vengan meco animo<i alla battaglia. 

Menar pnirele alla battaglia fuori 


Si ch'io possa provare i buoni e i rei, 

tnin la votira miglior la nnttra gente; 


E Segnrano altero quanto s-aglia; 

C *1 mìo eortier, che in oii» ti ilitnnra. 


tJie nun'l sperando addur qaal io vorrei. 

Prender potrete più, rhe più pottente 


f.he per voi rivestisse e piastra e maglia, 

K pio Mietio è del vottru. e più leggiero 


Il pregai che ciò fette, e fu ronleoh», 

Da ritrarvi teenr d' ogni tentieru. 


£ tpiegliercui diniau 1' iutegne al vciilu. 

ctxrti 


cxtxtii 

E di piò vrtlirele f armadnra, 


Lieto più eb'anror mai l’altu Britanno 

Che già più piocni tono in pace siede. 


Rìspuudc : Adunque voi chiamar dovremo 

Ch' ha di molte altre auaì leinpra più dura, 


Sommo risturalor del nuslrt» danno, 

Né meglio in noi che n voi riposla atainle : 


E divia tairaloc del ponto estremo; 

Io mi resterò qui, prendendo torà 


Di voi sempre figliiiui s' appellerauoo 

Di quel, che '1 ioeo e la tlagion richiede; 


t^uci che 1 spirto non hau del corpo sremu ; 

K mi fia a grado eh' un ti largo onore 


Kd io tra palme aurate c sacri alluri 

Venga lu voi, caro a ne più che 1 mio cere. 


Vi darò contro a morte alti tesori. 

CXXV1II 


cxxxiv 

Nou fu già mai piu lieto Galealto, 


Qui finito ciascun che'otoroo odia. 

K gii dice: Signor chiaro e gentile, 


Con allegro seutbiaatc il guarda e loda; 

Al buon vostro voler cortese ed allo 


Già n è il campo ripieno in ogni via, 

Rendo graxte inlìnite in atto umile; 


Già par, ch ogii' uum per la vittoria goiia: 

Ma perché tparenlali dall assalto 


Torna il buon re con larga compagnia. 

Hestan roiifiiu i duri e 1 popul vile. 


Ove il gran LancilotUi iudi ai snmia 

Mi par di' io debba andar dove ai Iruva 


Da tutti gli altri, e ’ii parte ti riduce, 

Lo tcontoblo re, con qiictla «uova. 


Ove in posa attendeu la nuova luce. 


J 


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L AVARCHIDE 





CANTO XX ® 



ARGOMENTO 

V 

B sopra il tutto poi prendete cara 
Di ben seguire it nostro Galeallo; 

Nè da lai vi disginnga orrida e dora 



’ Fona d'altrui né di Fortuna assalto; 

Mj inrìUe tchirrf aìfin traggono fuor* 

nimembraodo, che d'onta aver paura 
Dee, non di morte acerba, il gaerrier allo; 


Caleaìto ed it figlio del re Banot 
Onde i nemici n' httn sì fier timore^ 

^ D'aspra miseria Arturo airultim' ora. 

('■he i duci il tentam dissipare invano. 

VI 

Pugna da prode CalealtOt e muore 
Trofitto per le. man di Segurano, 

Che da Trisian poi vimto^ privo resta 
Della salma del re lacera e pesta. 

Coti dello e tornato al padiglione. 
Con le sue stesse man dal capo al piede 
L'arme siu tutta integra a tomo pone 
Al dolce amico, c ne l'ha fallo erede; 

II suol di frrru e l'argentato sprone, 

Lo sehinier sopra, e '1 coscìal dupo assiede; 
Indi il saldo braecial, poi ehe locato 
Alla gola ha l' acciaro, c ben serrato. 



^on avra ancor la sposa di Tifone 

VII 

La corazza incantata, dora e grave 

Imbiancato il scnliero al noovo sole] 

Troppo alle forse sue gli chioda iatumo; 

Ma il fido Galeallo, a cni lo sprone 

Pnngli poscia il plastron, come chi pavé. 

D’onor 1' alma pangca^ già snrgcr vuole; 

Che alcnno aspro colpir gli faccia scurnu ; 

E con ardenti voci io opra pone 

' Al destro lato poi con ulda chiave 

I mioislri miglior che in garrra cole; 

Ripon la buffa, dove assiede adorno 

Clii sveglia il buon vicin, chi grida intorno 

\ Lo spallaccio ai duro, che no'l possa 

Ch*air orioonte ornai s'appressa il giorno. 

Piegar non che squarciare nuiaoa possa. 

Il 

^ vm 

Ma i primi snoi gnerrierf nè quei che vanno 

, Cingcli poi la spada che Viviana 

Sotto l'insegna pia del chiaro amico. 

Dì stimolo all* andar mestier non hanno, 

La donzella del Lago e sua nutrice. 
Cinse a lui già, di tempera sovrana. 
Con l'altre arme eh' avea nel di felice, 

Che sempre ebbero il cor d'ozio nemico; 

Or dì caldo desio rompantì vanno 

Ch' al Britanno tcrren non mostrò vana 

Di mostrar fuor che '1 gran valore antico 

La sua virtù d'ogni altra vincitrice; 

Non sia spento anco io essi, e ch'e'son tali 

Leve al sno braccio solo, agli altri appare 

Che possoo ristorar gli avoli mali. 

Di sovcrciiiu pesante e scoia pare. 

tu 

Già io piede èLaorlIotto, eposte ha insieme 

IX 

La colla marzial poi dove splende 

D«dlo sliiol sno le candide bandiere. 

Il rosato color col bianco accollo. 

1 Che dieci furo : e ’ntorno all' ali estreme 

DaM'omer manco per traverso stende, 

Locate ha de' cavai le squadre altere f 

Sì che '1 braccio miglior si truove sciolto; 

1 Poro lontano a lor 1' arena preme 

Il coi solo apparir da lunge rende 

L'ordin medesmo delle folte schiere 

Ogni avversario suo di ghiaccio avvolto; 

Che‘1 buon re Gatealto seco avia, 

Che del saogoe nemico è aspersa tale 

Che r insegna ventesima compia. 

Che rargenlo alla porpora era cgnalc. 

Va intorno Lancilolto, e *1 nome chiama 

X 

Virn poi 1 nobil deslricr, che cantlìdo era 

De' suoi duci maggiori, e dice a tutti: 

Qual pulito ermelltn, che in don gli diede 

f^hi di voi, dolci amici e frateì, brama 

D’ Artur la rratiisima moglìera. 

Del nostro lungo amor rendere i frutti. 

D'onor, di grazia e di bellezza erede, 

Non faccia oggi fallir la chiara fama 

Allor che dei nemici prigioniera 

Che 1 mondo empie di voi, gli amari lutti 

La trasse fuor delle famose prede; 

Vendicando degli altri, e l'empia surle 

Per memoria dì cui sempre da poi 

Di sì gran cavalieri c di Boorte. 

L' ebbe in pregio maggior di tutti i suoi. 


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I 


34< x’ A VARO H IDE _ 34» 


li 

E uoo léau c«ftion ch'olirà U maiM 
Che polca molto mea far caro asaai. 

Piu posarnle e IcEfier preaso o lontano 
Quanto rìacalda il aol dog vide mai t 
Piaeìdo al ano aignorc ttsnile e piano. 
Fero al nemico: e doloro»: guai 
Agli awerai coniert c 1' altra gente, 

£ col morao e col piè porgen tovenU* 

xeni 

Non pereh* in non etUmt e tenga certa 
L'alta vostra virtù di loro eguale; 

Ma l’amor vero tien l’anima incerta, 

£ sempre più eh* al bea l' inchina al male. 
Perù vi prego umìl per quel che merla 
11 valor buon, che sopra i regni sale, 

Che lassando quei due, volgiate il passo 
Coatra gli altri guerrier del re Clodaaao* 

Xlf 

Qoealo a lui volte dar, per non launne 
Cosa che mollo amaatc, aeoia lai ; 

E perchè ancor poteste me' mostrane, 
Ch’ei fotte Laneilotto agli occhi alimi) 

E perchè ove le forze erano scarte 
Ei potesse supplir per ambe dui 
Col ferire i viria, col grave intoppo. 

Con Io Mello ndoprar aallu o galoppo. 

xrx 

Nè sarà manco lode, e più sicuro * 

Fia per l'oste Brìliono, e più giocondo 
Lo spegner qnei che solo odiano Arturo, 

E 1 vorrebbrr veder del centro al fondo; 

Ma il paro, ond* io parlai, eoo desio puro 
Di fare il nome lor perpetuo al mondo 
Cootra lui porlan 1' arme che sovente 
Già spiegate haa per noi sovr' altra genie. 

xm 

Spleodea tutto argentalo il ricco arnese, 
Qoal la nottoma e frigida stagione 
La lana tuoi, eh* a meno il corto liete 
Il tuo leve girar con tatto aprone. 

Or poi che Galealto il leggio prete 
Fermo e ben dritto 10*1 ferrato areiooe, 

U bianco scodo suo gli appeode ai collo 
Si poescole per lui, ebe snotsc il crollo ; 

XX 

Tal dicea Lancllotlo, ascose strade 
Cercando, per oprar che Galealto 
Di si chiari guerrier fugga le spade. 

Nè eoo lor venga a siognlare assalto. 

Ma il boon re gli rispose: Quel che aggrade 
A chi quanto veggiam ministra d'alto. 

Segua di me, signor ; che speme legno 
Che almeu del vostro amor non morrò indegno. 

xtv 

Qual talor sool la piccioletta otre, 

In cui rozzo nocebier di prezzo avaro 
Ripete al suo poter fascio si grave, 

Che ‘1 fondo incurva, e l' umor tristo amaro 
Penetra addentro i onde si allrisU e paro 
L* afflitto peregrin, ch’ai nido caro 
Teme non giunger mai, facendo voti 
A Castore o PoUnco alti c devoti. 

XXI 

Nè più volle zllro dire e spinge ionznli 
Il feroce corsier, dove attendea 
L'alto drappel di cavalieri erranti, 

Che di desio di goerra in core ardea. 

Or già l'Aurora in piaridi sembianti 
Nell firieotc candida spleodea. 

Sì che più apertamente scaopre intorno 
Chi fia più d' arme e di destriero adorno. 

XV 

Il Ineid'clmo poi, che fabbricato 
Reir immortal fucina di Merlino, 

Conte' ogni ferro umano era iucantaln 
Col favor delle stelle allo e divino, 

Che di pnrporee piume e biaurhe ornalo 
Avea del bel eimier 1' argento fino, 

Con Irtsln augurio suo gli loca in fronte, 
Che gli parve al senlirlo il Pclio monte. 

zxti 

Nè rallro oste d’Arturo, e *1 gran Tristano 
Rcstao più di coslor nel sunno avvolti ; 
Ha nel raedesmo tempo arman la mano, 

E ncll'ordin primier si son raccolti; 

Già di trombe e di snon rimbomba il piano, 
E con nuove speranze e lieti volli 
Ogni onorato priucipe ogni doec 
Oltre il vallalo fosso i suoi coiidoce. 

ZVI 

ludi gK arma la man, poi gli dà 1' asta. 
Ma DUO cpiella perù che 'n guerra adnpra 
Al più grand' uopo, rh' oltra lui non bùia 
Altra foria mortale a porla io opra ) 

Poi con pietà gli dice: Chi contraaU 
Superbo io te rootra il voler di aopra, 
Non invitto gocrrier Ira i buon a’ appella, 
Ma di mente spietata, iniqua e Mia. 

zznt 

E per render quel di più largo onore 
Ai buon nuovi guerrieri, e Galeallo, 
Voglioo eh' essi ì primier si moslriu fuorci 
Le ciliari insegne ventilando in allo, 

E tlien nel mezzo ove il maggior furore 
Par che Marte ammiaistri al fero asullo ; 
Trislaa da man sinistra aggia la schiera, 
Cavea dall’ altra presso alla riviera. * 

xvu 

Questo VI dich' io sol perché se *1 cielo 
Volto all' alto desio contrario mostra, 

Non vi Ciccia, signor, soverchio zelo 
Porre io rìschio mortai la vita vostra ; 

Ch'io per voi resto in tema, e non vel celo, 
Qoalor pensando la memoria nostra, , 

L'empio furore c la gran (orza vede ' 

Ch' è nel gran Segorano e 'a Palamede. 

XXIV 

Quando il gran Segorano e qnei d'Avarco 
Che si pensali la palma avere ornai, 

£ *1 nemico veder di doglia carco, * 

E *n tema avvolto di futuri guai, 

Odon che lassa già l' antico vsreo 
E più mostra d'ardir rh'avctsc mai; 
Besljo tutti dubbiosi, c 'n maravigba, 

E ’oTcno ove soeodea volgon le ciglia. 


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L AVARCHIDE 




XBT 

E qtuiMlo wgp<Ni pui le bianclic iaiefne 
Qi' h«n le tre Terge oartire aUraTcrtAlc, 
Par rbe eiavnia ìa cor timida regne. 

Che l'ba più volte già viite e provale; 

E r ardcote desio Uitlu ai spegne 
D* assalir, conte ier, le squadre armate; 

E Tao r altro tarrudo ia «ulte* guarda 
£ quanto puote ancora il piè ritarda; • 

XXXII 

Moriaxi pure animosi alla battaglia, * 
Cangiando ordine tosto, arme e disegni ; 1 
£ con più grave acciaro e salda maglia 
Di possenti rorsier prendiam sostegni. 

Che fia miglior per noi eli* altra muraglia 
Assalir di terreo, di rami e legni. 

Ove un sol vai per mille ove la sorte 
1 buon per max de* rei conduea a morte* • 

XXVI 

Sì come il cacciatur eh* al veipru cime 
Di tele intorno la spinosa valle, 

Ch' al maltia rilroTare in cor si finse 
Ccrvctle o damme nel serrato calle, 

£ con securo andar leve s'arrìose; 
Quando in vece di lor dopo le spalle 
Sente il fero leon ruggire o l'orso 
Cile gli fan ricangiar volere e corso. 

XXXIII 

Cosi detto ogni dorè e ravaliero 
Spoglia l'arme più levi e 1* altre piglia ; 
Ed ci fece il mrdetmo, e’a su ’l destriero 
Monta cli’era alto e grosso a maraviglia, 
£ sema aleno candor del tutto nero. 

Che gli die' Hadagaxo, ehe ’o Siviglia 
Tcoea r impero, il Vandalo onoralo. 

Che ’n giovinetta età l’ aveva amalo* • 

XXVII 

Ha il chiaro Seguran contrario pare, 
Qnal si vede talora aspro molosso, 

Che per volpe o leprella seguitare 
In gioco è del paslur di Uccio scosso, 
Che'n ver lupo o cinghiai, rh' a caso appare. 
Lassando 1* altre girne, il piede Ita mosso 
Con più lieto desio, eh* a sdegno avea. 
Quando (tre vilissime oflcudea. 

XXXIV 

E *1 tema Segoran relanlo caro. 

Che solo a guerre altere e perigliose 
E ’ncoutro e eavalier più d* altro chiaro 
Qoal tenea Lanrilotlo, in opra pose ; 
Sovra il qual già rondasse a fine amero 
Giiiglantc il forte, e fe’mirabil rose 
In quel tempo primicr che io Gallse veune, 
£ d* Avaroo il cadere tx piè eoslexaic. 

ixriii 

Spingesi alquanto innaniie'l guardo affisa 
Si riie'l bianco dcilricr ch’ai iuoimIo è nolo, 
Che fia quel rhe parra, per fermo avvisa, 
E che del suo signor non venga voto; 
Cangia il volto c '1 rulur neir impruvvisu 
Vista, cfiree al soffiar d’acquoso Nulo 
Suol cangiare il scren 1' amido aprile, 

Che raro usa tener l' istesao stile. 

XVXV 

Già col nobil cavai per ogni perle 
Va inlomo visitando ì suoi gorrricri, 

K gli risralda al gran furor di Marte, 
Dicendo : Or valorosi arditi e feri 
Esser convien e por lutto io disparte 
Il neghittoso andar che faresl* ieri, 

E segiiirme ov' so vada, che la luce 
Sarò del vostro ener, compagno e duce* 

XI IX 

Tremagli in seno il cor, trema la mano. 
Nè disceme fra se che faccia o dica ; 

Non pcrch* ei tema il figlio del re Bario, 
£ nnn ^li sia con lui la guerra amica ; 
Ma in SI gran novitade adopra invano. 
Che r invitto vaine se stesso intrica 
In quel primo arrivar, ma a poco a |ioco 
li gicl che dentro avea ilivcnnc foco. 

XXXVI 

pui gli rimelte in quadro aggìonti insietac; 
Qual nel fermo ediiirio 1’ arehitclto 
In tre lor I' un con Peltro i sassi preme 
Per sotleoer più saldo il regio tetto ; 

Indi eoa gli altri suoi mostrando speme 
Pio che fu«s« ancor eiai nell’ alto aspetto, 
Spnsoa il destrieri) inoanxi, a Palamede 
Ogni schiera lassaiidu, rii’ era a piede* 

XXX 

E rivoltalo a* suoi dicea: Signori, 

Or posa* io ringraxiar del tolto Marte, 

Ch* a’ mici promessi e da me chiesti ouori 
Non vuole oggi furarne alcuna parte, 

Poi eh’ oltre '1 mio sperar conduce fuori 
Queir amico gucrrìcr di cui aon sparte 
Già tante glorie, c di eni il mondo estima 
Che'l supremo valor tenga la cima. 

XXX vu 

Fan l'istesso Tnslano e Galcalto, 

Che r esercito a piè resta a Gavenu, 

Ed ci co' lor cavai muuvon 1' assalto 
Si che la polve oscura empieva il seno 
Non della vaile pur, ma T aria in allo 
D’ ocni luce rii* avea veniva meno; 

Che'l sul, che i raggi aurati spunta fuore, 
Nou la può penetrar cui suo splendore. 

XXXI 

Ch'Io conosco uel ver. che ben che in basso 
Fosse tallo il poter del gran Britanno, 
Fora il trionfo ancor di gloria caaso 
Nè compito di Ini 1' estremo daaoo. 

Finché non era ancor battuto e lasso 
Lancilolto, con quei che con lui stauno; 
Or sendo caso già fuor, l'istesso punto 
Fa il nostro faticar nel sommo aggiunto* 

XXX vili 

Scixbrsva a riguardar qoal esser suole 
II Ciri, pui che *1 villaii le hiadc accuglie. 
Ch'ai solchi alTaUeati e ai campi vuole 
Scarcar pietoso le rimesse spoglie; 

Che'l foco sveglia inluroo, onde IÌ duole 
Fuggendo U serpe arU'ascuse soglie; 

E ’l fumo adombra lai, rb’ ivi ha coodotto 
Quante tenebre ha in sen 1' oacora notte. • 


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I 


L’’AVARCHIDK 



XSKtX 

SLVI 

Seanirsii ìniiriae e ’l firan romor oe mona 

Ponn la mano al lirando «T ogni lato 

Noo mea che qtiaorio A»(rea rcaUUt 

Per quei che serbò in piè sorte, o valore} 

Che Giove irato allor fulmina e tuona. 

Il buon re Galcallo è ratto entrato. 

Spaveotando le meati «crUerate; 

Ove il più strrlto stnol vede c maggiore. 

£ ti grave • il colpir che al mezzo dona > 

Che fo quel di Clodin eh' era restalo 

L'ona in ver l' altra delle iqaadre armate. 

)*iù inverso il flomicclln, ove il fnrore 

Che bea fa cavalìer di gran potere. 

Dell’ astallo mortai non fu si gravo. 

Citi vivo o 'o au '1 dcetricr ai paù tenere. 

^i chc’l ila uno minor per ancor ave* 

xt 

XLVU 

Trova il re Gatealto T.icaoae, ' * 

Ma s' allor la Fortuna gli fu amica. 

Che geraian fu dri fere Bnitariao, 

Or d' un altro color gli mostra il volto, ^ 

Nel Norieo icrreii naia d Alcooe, 

Che di sangue, di duci, dì morte ialrica 

Che r impero reggra di quel coufiao: 

Il possrate guerriero ovunque è volto; 

La lancia in metro il cor diìUa «li pone 

Non sa il uiiser Clodin, che faccia, o dica. 

E *1 fa, latto, cader aovra il cammioo 

Tal di nuovo timor si trova avvolto; 

Fra la gente ai ilrelta, che calcalo 

Che f|urlla esser credea rinvilla mano 

Fu nel medatmo paatu da ogai latm 

Del figliuol valuroao del re Baao. « 

xu 

XLVUI 

Nè eoi balte rottoi cbe’l colpo ìateaao 

E se fornito è beo di soonno ardire, 

InfiQo aopra al quinto ai diatendat ^ 

E di si>mma virtude ha cinta 1’ alma. 

Alleo, Biante, Tarco, e Tretio appreaao, 

01^ fa il vederlo allor risovvenire 

Tulli nati ove 1' Itlro il corto prende; 

Deir avuta ne' tuoi più d' una palma t 

Uorti quei primi tre, 1' nltimo opp resto 

E che male n lai uom pnù eunlra gire. 

Nel petto ai, che aovra 1* erbe accade; 

(Ji'è per gli omeri suoi soverchia salma; 

E gran venlora fa eh* et tcevù loco. 

Il niedesmo Ira se ciascun dicca, 

Ove ’l popol che vien gli oocqae poco. 

Che ’l pruvato valor riconotcca* 

Urli 

XLIX 

Il famoto Trìstan trova Acasmeao, 

E con questo peiuicro ovnnqne giva 

Ch' air aspra aclva Invaia era molcato, 

Il sovran re dell’ itole lontane 

Della qoal con Orumcn reggeva il freno, 

La tirella schiera al suo spronar •' apriva. 

K'I Boemiro alnul fea nudo c metto» 

E nrssnn contro a lui saldo rimane. 

Geilalu in bauo, e seco ;n an'l terreno 

Kd rgli or qoetlo, or qoel seguendo arriva. 

Cade chi vien compagno Intino al acato ; 

t'.omc Irprette «ili ardito cane. 

Mrttor, frollo. Ambo, Liairo « Orincde, 

E quanti vuole atterra, «mde sovente 

Ch* uve r alba eace fnod avean U teda. 

Gran vergogna e psetade io cor oe aeole.' 

XI ni 

1 . 

Bè n diiaro Segnran con mcn fororc 

Uccìse il nobii Glaneo, c '1 ler Dìmone 

Della icbiera Britanna ha posti a morte 

D* uo fralel di Clodauo nati insieme; 

Molti buon cavalirr, che largo onora 

Diviso il primo ìnTin sopra l' arcione 

Aveao dalla virtude e dalla aorte; 

Drir arnese eh' atta, la falda preme; 

Alio, Pritaiio, Enlicliio ed Ipenore, 

Dell' altri» il capo in su 1' arcuc pone, 

Prfoduru, e Lacoonle il fero « furie 

('.he dal busto troncalo spira c geme ; 

Acmorico guerrier, che di Tristano 

Abbatte dopo questi Agno c Uolanlo 

Era per rcal aangue proatimanu. 

Nel militare ouor d'egregio vaulu. 

xuv 

u 

Gli altri di Blomberiaie • *di Blanoro 

Quel dei monti Lemeui avea l'impero 

Nati nr| liio NciitlTMi eran parvnii; 

Già del sangue illuslriuimo d' Albino; 

E r un sopra dell'altro ivi fra loro 

Questo di mcn rieebexie, ma più fero. 

Miscrameote van di vita spenti ; 

C.h' al terree comaudava Liosotiuo ; 

Nè il rrtido Terriganu e Palamor» 

Dopo loro Acamanle e '1 saggio Otero, 

Nell' opra maraial sua pigri « lenti 

Che del (atto che avvenne era tuJoviuo ; 

Che quegli il francu Androgeo, e Polilide, 

E fuggendo looiau tolto altrui spoglie, 

(fuetti 'rissando, c ’l ano Timanu ucude. 

Fa ingannalo da Allea la eroda maglie: » 

XLV 

Ul 

Coti al prima incontrar delle batlagUe 

Che quale ad AmCarao fece ErUilc, 

Resiau tanti impiagali e tanti morti. 

Al gitivin re (Uodìn 11 discovrio; 

A coi poco giovar piastre nè maglie, 

Nc a ciò la spinse aurato e bel monile. 

Nè r esser valorusi, arditi c forti. 

Ha J' ilierilo amor caldo desìo; 

Che partano all' agosto aride paglie, 

£ cosi il giunse al suo più vago aprile. 

(Tal soni! iosiunc stranamente attorti) 

Come il sniser temeva, il verno no; 

Che 1 vìliaii negligente sparse a terra. 

E quando al rur ferita a morte venne. 

Poi che '1 frutto eh' avean nell’ arca serra. 

Della sposa ìufedcl gli rìs4>vvcnuc. 


I 


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L AVARCHIDE 


348 


3<7 


un 

Va i«f(i»eado il re^ il corto arrcita. 
Che na*ati aftfcitiagrr paò dì tpìrlo priva t 
Qaal lopa eh* ha i flpiiooi nella foretU, 
Coatr* a |crep|re d* affari rii’ errando giva 
Senza cane o patlore in quella e ’n quella 
Verde campagna erbota^ o fretea riva ; 

Ch* a Damerò lì grande il viver toglie, 

Che de’ figli « di i< laxia la voglie. 

UT 

Scorge appreiio Naboo nomalo il Fello, 
Che ’n tra 'I Some Sigrocno e la Garuiia 
Reggeva il fren del popolo mbcllo 
Alla ma antica Gallica corona: 

Va incontra a lui come rapace angello, 
Cai loflcrlo diginno al vctpro iprona 
Sopra colomba candida che vede 
Che dai campi aoleati al nido riede. 

tv 

Non foggi I’ altro, ebel poter gli è tolto. 
Tanto a lai gii vldn venire il leole: 

Ma quanto poò il piò lotto t’è rivolto, 

E t* acconcia a battaglia arditamente. 
Galealio gli dona in meno il volto 
D’ ona pania mortai coi! poiscote, 

Che gli patta olirà dove al oaio teeode 
L* omor tovcrehìo che la ietta oScode. 

IVI 

Coti mono Naboo nenia vendetta 
Che non potè il metchino il brando oprare] 
Al mi duro cader la gente stretta 
Tosto comincia il varco a raliargarct 
Ed ci per entro, qnal leon, ri getta, 

Ove aperta lalor la mandra appare 
Per follia del patlor, coi giovinetio 
Cura ardente d' amore ingombre il petto. 

I.V1I 

E ’n fra ior poi ficea iÌ larga strada, 
Ch’a molli che 'I seguian donava loco; 

In gitita del villan che intento bada 
A riportar dal bosrn il cibo al foco: 
Spinge il conio al Iroocnn che 'nnanzi vada 
Con la pnnta toltil. che a poco a poco 
Vien rallargando il resto e in cgual parte 
Il disegnalo legno apre e diparte. 

LVIR 

Cotale avvenne allor di quelle tchiere, 
Che penetrò il prtmier per ette solo, 

In fio che ’l soo drappel ri pnò vedere 
Dopo lui misto tra ’l nemico tinolo ; 

11 qnale spaventato dal cadere 
Di tanti e lai guerrìer, già fugge a volo ; 
Né il poò saldo tener conforti o preghi, 
Ch* al cominciato andare ornai non pieghi. 

LIX 

Fatti avanti Galiodo il Toloiano, 

E per frenar t tuoi ri mette in opra ; 

Poi contr'a Galealto arma la mano, 

E quanto ha più valore in ctso adopra, 
Che infinito era pur, ma viene in vano, 
Che concetto non fu da chi sta sopra 
Si largo onore a lui di Unta palma. 

Ha spogliar bea di se la misera alma. 




ut 

Perrii’al rnndido trado il colpo moote. 
Dicendo: Or tenta il fero Lancilotto 
Di Galiodo il potere e 1’ alle pntove, 

£ come del ferir nell' arte è dotto t 
Che te r erba e I* incanto non gli gìove 
Della Fata del Cago, oggi condotto 
Sarà dai tuo dettino a quella morte, 

Ch’ ha riaervala in me 1’ amica aorte. 

LSI 

E ’n lai parole il fere, e la percotaa 
Qnal mirtei dairiocnde indietro riede; 

Nè il magnanimo re la spaila ha mossa 
Piò che saldo Iroooon, cni Borea Cede ; 
Ma riversala in lui tolta toa posta 
Sopra Tallo rimicr tal colpo dede. 

Che la fronte t* aperte in quella goita 
Che pianta alpestre dalla score incita. 

un 

Cadde il fero goerrser col volto pieno 
D* atro taogne mischiato e dì cervella, 

E con grave rtrnior batte Ìl terreno, 
Abbandìmaodo al fin T aurata sella $ 

E di t« dispogliato il crudo seno 
Sen gio ralla a colui l'alma rubella, 

A cni del nostro oprar ragion ri rende, 

£ dovuta mercè da lui ti prende. 

LUIS 

Fugge nel tno cader la gente tnlomo 
Ch* avea tperandu in lai fermalo il patto ] 
Come quando il falcon fere ano storno. 
Che poi tolto il drappel ri getta io batto 
E ri nasconde ove fia il bosco adorno 
Di folle spine, al piò serralo passo ; 

Poi senza oprare il volo addriiea il piede 
Alla più oseiira, occiUla e chiusa tede. 

LXIV 

Così quella al perir del sommo duce 
Si tcorgea dileguar per corta strada, 

E tutta inverso Avarro ti condace. 

Nè la pnò fosso o rio tenere a bada t 
Ma il posaenle Ciotiln la fama indnee 
Ove questi fuggtano, in coi la spada 
Opra poi che non vai prego o minaccia, 

A rivolger le spalle ov* hao la faccia. 

LXT 

Nè molto sta fra Ior che sopra giunge 
Il chiaro Galealln io quella parte ; 

Che 'averto la vittoria il dcitrìer punge. 

In seno ardendo del furor dì Marte. 

Come il vide (.Iodio poco a lui looge. 
Desio d* onore, e 'I dover proprio io parie 
Di girlo a ricuatrar ratto lo spinge, 

Por d* antico timur la fronte piog«. 

tari 

E dice al nel guardando: O sommo Giove 
Se mai di larghi don U fui cortese. 

Se il sacro nome tno quinci ed altrove 
Il mio cor d’onorar mai sempre inlete ; 
Dammi quella virtù che da te piove 
Io chi ferma di te fidanza prese, 

Che in un colpo, io un’ora, mi permetta 
Di tali e Unti miei chiara vendetU, 


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r 



L AVARO II IDE 



utvn 

Cimi dello, U dettrier bramoM 
E U Udcì* rhe ave*, ti reca a retta; 

Ma nel candido tendo io batto dona 
11 colpo che drixzava alto alla letta i 
Il colle intorno e la campana tttooa, 

£ reniva al nemico anco moietta, 

Se il Icpno era più doro, ma fa tale. 

Che *a miiln brevi tronchi Ìo aria tale. * 

univ 

Ginnse tardo al aocec>rso il pio Margoodo, 
Che menò quei del lito Provenzale, 

Ove al Rodan più largo e più profondo 
Mischia Nettano in seo 1' amaro sale ; 

E prosando in fra se che ad altro mondo 
Sia passalo Clodio, pietà 1' assale ; 

E come Gdo amico, a Galeatto 
Hnove intorno co* suoi novello asaalto. 

ut vili 

Coti aon fiii piovo l’aver vantappio. 
Che ronlra il brando sol motte la lancia. 
Nè al chiaro Galeallo oteurò ra|:pìo 
Deir ardito valor, ma il prende in ciancia, 
Dicendo: A voi medetmo fate oltraggio, 

E oc dovreate aver rotta la gaancia, 

Non a me, cui mi II' atte iiitieme accolte 
Di mille pari a voi non tarino bmIi*. 

tMV 

Ha ’l magnanimo re tra lor sì stringe. 
Come il fero leon tra i vili armenti, ' 

E con nuovo rossor la valle pioge i 

Del largo sangue delle uccise pentì: 

Poscia il frro Margoodo clic s* ac-rinpe 
In guerra cuotra a lui, non allrimenli 
Gli cacciò per le tempie Ì1 brando Cero, 

Ch* al cervo, che giacca, aaelta arderò. 

LtlX 

K *n lai delti il rilrnova, che ritorna 
dà indietro col detlriero a nuova guerra;' 
Ivi l'ira e 1 foror alia le corna, 

E 'I detto deU*OQor pii ilrtnge e terra; 

Fn il primo Galealto che I' adorna 
Chioma del Pino aurato abbatte io terra. 
Che terra il bel eimier Clodino area, 
Pcrch* al regno paterno tnecedea. 

LZSVI 

Cadde egli ancora ; e qocl della Vallea, 
Clic Gracedanu il forte nominaro, 

Che nel medeamo loco impero arca, 

Ove in ver T oriente irriga Ìl Varo, 
Cercando vendicar la sorte rea 
De' compagni e signori, il Gne amaro 
Di se sicisu trovò eh’ al primo intoppo 
Frale al disegno si conobbe, c zoppo. 

txt 

Nè rimase ivi il colpo, che diaceodc, 

E con più grave tuoo l' elmo perroote t 
No *1 rompe già, ma ti il nemico offende, 
Che gli sembra veder sorgenti ruote. 

Non t' arresta perciò, ma il brando tlcnde 
loverto Gaicaito, c qiuoto puole 
Gli spinge alla risiera nna tal punta, 

Che con aorte di lai veniva aggiunta. 

Lxnvii 

Perchè mentre al (rrirlo s’apparecdiia. 
Il magnanimo re già in rapo il frre, 

E ’l Colpo rio fra 1' nna e 1' altra orecchia 
Fino ai denti partito il fa cadere. 

L'altro sluol più che mai 1* nsania vecdiia 
Riprende del fuggir, nè soitrorre 
11 può freu di guerriere o d* altro duce. 
Ed in Ga sotto Avarco ai conduce. 

LUI 

Se non fora incantalo il 6do acciarOf 
E che doppio venia, dove ella colici 
Pnr il sentirne io se dolore amaro 
Per la fera percossa non gli tolse t 
Ma qnal torbo Aquiloo che di gcnoaro 
Tutto il superbo Gaio in aen raccolse 
Per iflùodar quei Irpoo che varcare 
Vool mai grado di lai d’ Icaro il mare, 

Lxzvm 

E r no r altro impedisre, c serra il passo, 
Come qiiaodo all’ agosto il del riversa 
Si larghe piogge, che correndo in basso 
L'un torrente con 1' altro s'attraversa, 

Ch* ogni campagna, ogni arbore, ogni sasso. 
Ogni opera mortai resta sommersa i 
E di si gravi arene hanno il mar carco, 
Che non poo ritrovar 1* usato varco. 

Laxii 

Strioge ogni fona iiiiicme Galeallo 
R ’nversu il cavalicr ratto a’ avventa; 

K Senna mai posar, mortale aisallo 
Gli dà col brando, e quinei e qnìodi il teola; 
Tanto ch'ai quarto colpo, che vien d* allo 
Por so la froute, ov'ha la voglia inteuta, 
In tal modo il pcrcnote che conviene 
Che caggia alfio sovra le trite arene, 

Lnziz 

E't forte Galeallo ancora il aegne, 

E già tocca con lor le regie mora. 

Alle quai non vuol dar paci, nè tregue. 
Ma d' espngnarle il di prenderia cura, 

Ch' a lui uon par eh' al auo valor a* adegnn 
Cosa mortai, nè ai ritruovc darà 
Impresa con Ir' a Ini, nè '1 crede iavaoo, 

Se *1 nemico fatai gli era lontano. 

tuin 

Noo già morto o ferito; ch’aiaai doro 
Fu l'elmo a sostener la cruda forza. 

Ma la vista ha ravvolta un velo oscoro. 
Che pii spirti vitali alquanto ammorza. 
Rovina appar d' un mal fondalo muro 
Lnnpo il fiume Ulor, che l'onda sforza 
SormonUndo all' autunno, e della valle 
HimLomha al soo cader 1* erboso calle. 

LZZX 

Ma il crudo Segorao tosto che intende 
Di Unti e tal gnerrier la morte acerba; 

K che quasi Clodin 1' anima rende 
Riversato e negletto sovra l’erba; 
li corso ore nò avvieo veloce stende, 

£ ’n vista mìoarciosa, aspra e superba 
A guanti incontra dice: Ogni nom mi mostri 
Ov é'I bianco gnerrier eh’ nedda i nostri. 


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LXZXI 

RÌtpoad« Var*bon ddU Rtri^a, 

Chf *1 crrcava per mito: EfcU è vicino 
Drila porta d’ Avareo, C qnrlla <pera 
Col fuoco aprir* le Hò vorrà il draliiio ; 

Ha temo aensa voi 1* eitrema aera 
Veder del vecchio padre di Clodino, 

Che con la figlia, latto, e con lo ipota 
Di UflMBia e di dool noo trova pota t 

ucvsti 

E por dice ptangendo : Ove or ti trova 
Il nostro Scgnran ? la nostra speme? 

Come esier poò, ch'ai qui venir no 'I moova 
Di noi latti pìetade, c del tno teme ? 

Ma forte il bmm valor poeo ne giova, 
Ch'usenra morte, o dora piaga il preme; 

E 'n tal timore e 'n tale angoseia oppretto, 
Ch* io vi debba cercar m' area coaiaiettu» 

uixxiii 

Fcceti in villa e’n rorl' altero Iberno 
Air udir le pnogenti e pie parole, 

Qual il fero mastio eh' al fosco vcroo 
Udiu le gregge che si lagna e dnule, 
Ch'ave il lupo vicin, che prende a tchemo 
La guardia antica che salvar la toole, 

Che 'o rabbioso gridar ratto a' avventa, 

Ove ehi apera in lai piange e paventa. 

LXSXIV 

£ piò veloce assai, eh' a Pelio in fronte 
Il folgore del eiel I' autunno cade, 

Il Iraporlan le voglie arerbe e pronte, 

Ove per lui trovar moilran le strade; 

Ha poi eh* amai vicin l' egregie e conte 
Falleuc sceme, io caì 1* altere e rade 
Virili di Laneilotlo esser ti creile, 

Raffrena alqaaato in te 1* animo e ’l pacdc. 

tXXXT 

Qual arto viator ebe *n fretta corre. 

Leve il colle varcando e la campagna, 
Ch'ai fin pervegna ove al traverso scorre 
Priifoodo e largo rio, rhe 'nriga e bagna, 
Che li deve io no ponto il passo accorre, 
£ dal ratto pensier l'alma scampagna; 
poi dell'ultra passar l'arte e la guisa 
Con più tardo consiglio in seno avvisa ; 

LXXIVt 

Tale al gran Segnrano allora avvenne, 
Quando il famoso re già presso scorge; 
Che mentre al suo volar I' ali ritenne, 

Con più agnto mirare il guardo porge; 

E vedendoi ferir, per certo trnne 
O che 'I primo valor piti lento insorge 
CU* ai non soleva, o eh' aicon altro iudutto 
Sotto la torma sia dì Lancilotto. 

LXXXVtl 

E riveste speranza, e 'n tea riprende 
L'ioiennesso faror, l ira e l' ardire, 

E grida in allo suon, rh' ogn nom l' iulendet 
Lasciate il vile stuul seruro gire: 
Apprendasi a' miglior cui 1* alma incende 
Della fama immurlal raldo desirc ; 

Volga pure il suo brando a hrgurano 
Il inagnauùno erede del re Uauo. 


Lxxxmi 

Quando ciò aieolla il chiaro Galealln, 
Ben che pien di valor, si cangia alquaulo, 
Che sculto serba il cor in saldo smallo 
Quel di che Lancilotto il pregò lanini 
Pur s'apparecchia al suo fatale assalto, 

£ d' ogni altro desio tpogltando il manloy 
Qnaatu più leve può torna al destriero 
ConUa il fuperbo Iberno cavalicro. 

LtXXtX 

E quali aspri leon, che 'olomo stanno 
Alia comune lor già vinta preda, 

Che 'ocontra irati l'uno e l'altro vanno. 
Perchè *1 compagno a luì la parte ceda, 

Che per d’unghia o di morso estremo danno 
Alcun non è de' duoi che 'ndieiro rieda; 

In fin che ucciso {' neo, il vincitore 
Del combaUoio premio è poueasore t 

xc 

Col medrnau furor gli alU gocrvleri, 

E rol medesmo fin dell* altrui morte, 
Sprunan lutti animosi i lor destrieri, 

Ove gli sospiogea valore e sorte ; 

£ furo ambi al rolpir si |pra«i e fieri, 

Che DUO apparve bea, ehi sia più forte; ^ 
Che r uno e l’altro d'essi indietro scorse, 
E di a terra cader si mise in forte. 

xet 

Mi il candido Nifoule io un momenlO| 
Quasi ontoso fra se, vigor riprende; 

Mè quel dei negro non rimase spento. 

Che più che fosse mai ratto s’accende: 

£ quale al minor di rabbioso vento. 

Il patto questo a quel dì nuovo stende; 

E '1 buon re di Cauaoa fa il primieru 
Che ferì Scgnraa d' un colpo (ero, 

xctt 

Fero assai sopra l'elmo, ma uno quale 
Si credea di sentir riovitlo Iberno; 

Che già da Lancilotto n' ebbe tale, 
f'.lie scender si pensò più giù d' A verno; 
Ora u quel comparaggio il Irnova frale 
Si, ch'ogni suo ferir quasi ave a scherno; 
E nel medesmo loco il halle io guisa, 

Che. le fronte gli avrìa rotta o divisa; 

xan 

Se non fora Ì1 fin elmo e '1 sacro ioranlo, 
A cui fona mortai non norqtie mai; 

Non potè far che non piegasse alquanto, 

E non lenliste sllor dogliosi guai; 

Pur l'onore e '1 valor 1' aiutò tanto, 

Che vie più rhe da prima ardito assai 

Alla sinistra spalla il ripercorse 

Si, che del loco suo lo scudo motte t 

xav 

E non picciola piaga in essa stampa. 
Non tal pen'i, che l’ impedisca molto ; 

Ma il crudo cavalier che d'ira avvampa, 
Gli rìsospinge il brando a mezzo il volto; 
Ma la doppia visiera anco lo scampa; 

Pur così ilrilto a pien gli venne collo, 

Che se ben non l’ impiaga, I' aspro peso 
Gli ha la froule e 1 veder soperchio oifeso. 


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XCT 

Gode alU deitn parte alquaolA ÌBcliina; 
Poi la frotta arraidiira t i’ rimo grave 
Più eh' a luì nou convieo, d' a»pra ruina 
Gli par cagion che doppiameotc aggrave; 
K ruAÌ leolainetile •* avvicioa 
Sovra il duro «abbioo qual tronco o trave, 
Cui mancando il *o«legno a poco a )>vcu 
Va, iforaata dal pondo, io Limo loco. 

XCTI 

Ma non prima il buon re Mgnò la terra 
Con la fronte, e eoo I' omer, che rìinrae; 
£ ’mbraccialo lo arudo a nuova guerra 
Conira il nemico suo veloce cor>e( 

Il qual del ano cavai tulio a'aUerra, 

£ d' Caco il loo acudierv in mano il porse, 
Diceado: io non ricerco altro vantaggio, 
Che quel che di valore c d' anlir aggiué 

xcvit 

fi quale aapro leon, ch’aggia impiagato 
Posaenle tauro di mortai pcrcosaa, 

Che rìliraodu il piè, aia riveraalo 
Nel più profondo aeo d' aaeosa foa.«a ; 

Che d' un aalto Irggier l' Ita aeguilalo, 

E di condurlo a fin mette ogni possa. 

Pria che la aaa iveotDra intorno udita, 

Di pastori, o di can gli giooga aita ] 

xcvm 

Tal r Iberno crudel leve l'auale, 
fi 1* animoso re non ferma il piede; 

Ma il percootcr I' no 1' altro a nulla vale. 
Che '1 fero, onde aon cìnti, iu vao ai fiede, 
Ma il fero Segoran, eh* ornai mortale 
La battaglia io tal mudo eaaer non vede. 
Senza il brando e lo scudo olirà ai caccia, 
£ *1 famoso avversario iolorno abbraccia. 

xcix 

Fa il medesmo il gran re,ch’anco lui atringe, 
E di por sotto altrui ciavctiiio adopra ; 

Or l'un r altro solleva, or si sospìoge, 

Or la forza ch'egli ave, or l'arte è io opra; 
Ma con Gcrezia tal 1* Iberno il ringe. 

Che 'I distende per terra, e riman sopra: 
Poi con tutto il poter sotto il mantiene, 

£ '1 pugnai nella destra stretto tiene, 

c 

Cui quale in ogni parte il va tentando, 
S' ei ritrovaue in esso aperta via, 

Onde il potesse por di vita io bando, 

£ vendicar de' sooi la sorte ria ; 

Nè Calealto ancor s'arresta, (quando 
£ la vita e l‘ onor servar desia ; 

Quinci c quindi nioveodo con la spada 
Cerca ancb' egli al ferir novella strada. 

CI 

Ma pereb' era assai lunga, e clic si Iriiova 
Beo gravato da lui, può niiurrr poco ; 

L' altro che vede pur die nulla giova, 

£ che all' arme squarciar la forza è gioco, 
D’ impiagarlo alla iìo ai mcLle in prova, 
Ove aeuza difesa apparve il loco, 

Dalle cosce di dentro, a coi I' arcione 
Stando aopra il dcatrier la guardia appone, 


eli 

Lì del forte pugnai, che non s'arresta, 
Cuu la sua destra man di sotto il punge! 
Con la sinistra poi Pannala testa 
Che non possa levarse al terreo giunge ; 
Alla terza ferita agra e innesta 
DaM'ìofeiice vel l'alma disgiunge. 
Tagliando i nervi ron mortale affanno, 
Che i moti al nostro andar diversi danno. 

CUI 

Così traendo i piè, torcendo il volto, 

Il ferreo snnoo e sempiterno oppresse 

Il miser Calcato, Innge molto 

Dal lito, io coi naKcndo 1' orma impresse. 

L'altero vincìlor, poi che discioUo 

Dal mondo il vide, con le man sue stesse 

Trìonfatrìci ornai dell' altrui doglia, 

Per ornarne il trufcit, I' arme gli spoglia. 

av 

Con desio di veder chi costui fosse. 

Il Incid’elmo pria gli lue di fronte: 

Ma il crudo core a gran pietà si mosse 
Come il conobbe alle fattezze conte ; 

Che in molte parli seco ritrovossc 

Con le voglie al suo bene amiche e pronte, 

Alior che dal felice suo paese 

Con mille navi, o più Brettagna offese. 

cv 

Doolsi della sua sorte, e ben Torna 
11 sno fido compagno in vece avere; 

Pur gli dispoglia il resto, e tatto invia 
Ove il posta Clodatso e t suoi vedere : 

II corpo nudo poi mandar desia 
Non men che l' altro appresso, per potere 
Dargli sepolcro ornato, a gran memoria 
D'altrui lorda vergs^gna e di sua gloria. 

CTI 

Ma in questa ecco venire il pio Tristano 
Cir avea vedalo il candido corsiero. 

Che senza il ravalier traverso ai piano 
Dell'albergo ccrrando iva il sentiero; 

E poi eh* a ritenerlo adoprò invano, 
li lassa andare al ino Signor primiero} 

£d esso, onde venia, rivolge il corso, 

Per dargli, se potea, ratto soccorso. 

CVll 

E tmova il miserei, che lotto nodo 
Già in man de'iuui giicrrter l' Iberno il pone, 
Che'l portino ove l'arme e '1 bianco scudo 
llau condotto in Avarco altre persone; 

Ed ei tiuto di sangue, altero e crudo 
Era già rimontato su l'arcione, 

Peosjodo, come avvenne, eh* altra gente 
Dovesse ivi arrivare immantinente. 

CTIII 

Tosto che '1 caso areriio e dtspìelalu 
Di Tristano alla vista s' appresenta, 

Di doglia e di furor lutto infiammalo 
Inverso chi'l tenca ratto s' avventa; 

Qual morto, qual ferito ha riversato 
Dell' aspra torba ali' empia cura intenta, 
£d a cui con la spada non fa guerra, 

Col voltar del cavai distende a terra. 


23 


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3 ; 


ctx 

Qua) lipre traU che rilrorc il 
Che *0 meno ai caecialor legalo giace* 

Clic di qa««to e di quel molle e vcrroiglio 
Il campo iotorno fnriaodo tace } 

Nè ctm r agnlo morso* e eoo 1' arti||;lio 
La$va i crudi avversari io Iregaa* o a pace 
Fin che quanli vi soo veggio cadere, 

K *i desialo pegno aggia io potere ; 

exvt 

Va cedendo alla fona a poco a poco, 
Senu volger però già mai le spalle; 

E ritirando il piè di luco in loco 
Viene, ove 1' Euro più slrìngca la valle t 
Ivi sernro ornai si prende in gioco 
Il difender da tur 1' angusto ralle. 

Che Ira le liquid' onde e tra le schiere, 
Che cundueea Gaven, si può vedere. 

ex 

Tal TAnnorico re sembrava allora, 

E sopra Segoran già il corso iteude, 

E ‘1 irnova so ’l cavai mal fermo ancora, 

E da traverso e d’ improvviso il prende. 
Sì che ’l possente Etuo non beo dimora 
Saldo al grand' urlo, c 'a terra si distende; 
E pria che tome in piè, TrisUo rirlnama 
1 giieiricr eh’ ivi avea di maggior fama. 

cxvti 

Va dietro Segurao con torto sguardo } 
Qnal Inpo, die ’l montone avea predato, 
Che mentre schiva il cao, dal leve pardo 
L’ha sentilo furar d'ascoso lato, 

Che ’l vorria racqnislar, ma Ìl passo ha tardo 
Al snu veloce eir; che 1 core irato 
Sfoga, segurndoi por eoo lento corso. 
Sopra i roghi e gli spini oprando Ì1 morso; 

cxx 

Che fu il re Galgaoese di Nurgallo, 

E 1 gran re Sinadosso d’ Estraogorre, 

E ’l re Rion, che nel paese Gallo 
Fu di sommo valor fondata torre. 

E ciascun già lassato il suo cavallo 
Al più fido scudier, veloce corre, 

E’I miser Galealto accoglie in seno 
D* atro sangue e di polve intorno pieno. 

cxviti 

Tal era egli in quel punto; • poi che vede, 
Come ogui disegnar gli toma vano, 

11 suo chiaro Drnnoro, e Palamede 
Ritrova su ’l seotier poco lontano; 

J qiui tanto il pregar eh' eì ferma il piede 
Sciolto di speme ornai d’aver Tristano, 
Dicendo : Assai faceste io questo assalto, 
Fui eh' uccideste il nubìl Galealto. 

txti 

E d* ogni gnerra intanto gli asalcora 
L’ alto guerriero, e ’o voce gli conforta : 
Non aggia io si bell’ opera paura 
Chi questo acuto brando ha per iscorta; 
Che pria mi spegnerà la morte oscura. 
Che del mio padiglion trovi la porla 
Senra il buon Galealto, se non vivo, 

Poi eh* ha voluto ti ciel, di spirto privo. 

et» 

Poi Kgoilò Brunoro t A me parrebbe, 
Quantunque il sole ancor sia io alta p^rte, 
Che ’l miglior richiamare ornai sarrhbc 
Le geuli intorno al guerreggiare sparle; 
Che più U con ragion non si dovrebbe 
Oggi per noi Icnlar l' ira di Marte, 

Scodo ì Doslrì già staachi ed ai nemici 
Quei, che sdegnati fur, loraali amici. 

CXItl 

Che dir non possa il figlio del re Batto, 
Cir abbandonalo sia pegno si chiaro, 

Ove sia stato il fido suo Tristano 
Viepiù di larghi onor, rhe d' anni avaro. 
Così diceodu, al fero Segurano 
Dà sopra 1* elmo ancor colpo si amaro, 
Ch* ove sorger credea di nuovo in piede. 
Col sinistro ginocchio in terra Cede. 

cxx 

Voi potete veder nei nostri danni 
Del figliuol del re Ban 1* insegne chiare, 
Senza le quali ancor nou brevi alTanni 
Aveste, il vostro campo a conservare. 

Or scndo morto qne), coi già tanti anni 
Più che ’l cor proprio sno sì vide amare. 
Non dubbiam noi pensar eh’ alla vendetta 
Con generufo cor tosto si metta? 

CXIV 

Ma in questo tempo già son mollo avanti 
Coi doloroso peso i ire gran regi, 

Ch* han già più duci e cavalieri erranti 
Riirovali in cammin di numi egregi; 

E gli fan compagnia con larghi pianti, 

E ricoperto T han d’oscuri iregi ; 

E ‘1 conducono al fin con sommo onore, 
Ove al campo sveglìaro alto dolore. 

CXXI 

E quanibnque il valor, ch’io veggio in voi 
Non meli punto di quello essere stimi, 

£i verrà intero e fresco, ed avrà noi 
Lassi e ’iupiagati ne^li assalti primi ; 

1 cavalieri erranti, e i sommi eroi 
Di sangue alteri c di virtù sublimi 
Uscir vedreste allor, che sol di lui 
Rìcodokod r impero e non d' altrui. 

cxv 

E ’l famoso Trislan, poi che s’ accorge, 

Come in se cura parte è Galealo, 

£ vede eh’ animoso ornai risorge , 

li fero Segurano a nuovo assalto; 

E con lui nuove Khicre arcultc scorge, 

Si che’n periglio vico gravoso ed alUi 
Dì rimaner ravvolto stanco c solo 
Da numeroso, fresco, c forte stuolo ; 

cxxii 

E voi sapete ben, che questo gion>o 
Per combattere il vallo uscimmo fuore. 

Nè pensammo in campagna avere iulurnu 
Delle schiere novelle aspro furore; 

E se n’ha dato il del che danno c scorno 
Venne a’ nemici cd a noi targo onore, 
^appianilo mantenere a miglior nso. 

Ove il uoilro ordinar ita racn confuso. 





A V A n c in I) E 


rxiin 

Tal dìreva Brnnoru i e benché foue 
Al fero Sc((urano aspro il consiglio, 
li prc|tar pvre, c la ragiuae Ìl mnstc 
A RcHi lenlar ile’uioi cerio perifiliu. 


Coti arreslaro il corso { e le tue fuu« 
(Poi che l'ufte nemico astai vermiglio 
Ila fatto, e die da lui ne va lontano) 
Pasiò il Britanou esercito e Trittauo. 


CANTO XXI 


ARGOMENTO 


J l grafroso omiro alla rcole 
Tf**da racenglie GnleaUo ucciso t 
Pff cuif iot ira e tal dolor F assale^ 
Ciba non prende^ da tiateun dVi'iso. 

CU appésr /'iftana, e usbergo a lui fatale 
Vona^ e muo scudo da Merlino inciso i 
Ove la aiui prosapia appar scolpita 
t)i somma gloria e di valor nudrita. 


Or neotre qocili c qncMi Io tale italo 
Han l'aao iloolo, e l'altro rieoedotto. 

Gii il f* Rioa leeuro era arrivato 
Col miier Galeallo a Laocilotlo t 
A tai oeuoo oarrar I* aecrbo fato 
Non l'avea per timor I* animo indotto ; 
Però, quel nuovo iuarpellato danno, 

Piò doglioao (li apporta, • erodo affanno* 

II 

Il qoal sempre rtilalo era, dappoi 
Che 'I eoo diletto amico era partito, 

Loogo l'albergo, che chiodeva i looi, 

Fuor d* o|oi fosio in solitario lilo i 
Or qoando scorge il re, con gli altri doeì, 
Ch' han gli occhi molli, e 'I volto ibigotlilo, 
E 'n fra loe l’ arma toma hanno diviia. 
Che aia qocl, ebbero io Ter, Mbilo avriia* 
tu 

, E gridò dì lontano : O aìgnor miei, 

E qocl cb' io acorco qui, P dello amieO| 
Che mi renda infelici i giorni e rei, 

E 'I viver (laiio) al mio toler nemieo? 
Deb come voleolicr tosto vorrei 
Pria che risposta aver di quel eh' io dico ; 
Ch* io IO, che *1 rio dcilin mi pose al momlo 
Per 000 laiiarmi mai tempo giocondo. 


Risponde il re Jlion : Chiaro Sigooee, 

A i(aanio piare al cielo a noi ronviroe 
Qoelaoicole adattar l'animo e I core, 

E tulio in grado aver, che da lai viene ; 

Il gran re Galeallo in sommo onore 
Ha del mondo schivale ornai le pene, 

E dell'alto raotor, fattore e duce 
Gode lieto or Usiò l'eleroa luce. 

T 

E del potteale e fero Segorano 
Dopo aver lui moairala alta virtode, 
Ucciso fa dalla apiclala mano, 

Che troppo gran valor per eiso chiude ; 

E *1 iaiaò al fin au I* arenoso piano, 

Coo le membra reali acarche e onde 
Dell' armi voitrc infioo ad ora invine. 

In mille parti gii chiamate e scrilic. 

TI 

E se neo ere ancor la chiara aita 
Del famoso Trislao, che non fa parco 
GU mai del sangue asso, d'altrui rapita 
Questa spoglia mortai fora io Avarco t 
Ma mentre in altro affar leoiM impedita 
La schiera Ibcraa, ooì pietoso iocarco 
Di lui prendemmo, c con veloce piede 
Qui il eoodneiamo all' ìofclica aede. 

TU 

Poi cb' ha dello così, del peso scosso 
Ha sò mcdrsmo t gli altri, e posa in terra 
Il grave scado allor di Smadosso, 

Chc'l miser Galeallo ascoso serra: 

Mroire eh' al discoprirlo era già mosso 
L’aflitlo Laocilolla io coi (ao gocrra 
Tra loro ira, pìcià, sdegno, c furore, 

E di pari ciascoo gli ingombra il core. 

TIU 

B pei cb' egli fa U candida bandiera, 
Oadc celalo già, di sopra tolta, 

E l'ha squarciala in vista orrida a fera. 
Le braccia intorno al caro collo avvolta: 
Iodi eoo voce olirà 1' osato altera 
Io tal disfo parlare al eici si volta : 

Deh perchè mi serbasti, iovida aorte, 

Vìvo a cosa veder peggìor che morte f 



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AVARCHIDE 


È quello it beo, che «leoa preilrlto m*eve 
Che da voi mi Terria, crudeli nelle ? 

Cli' opKi daneo lì amaro, acerbo, e prave 
Hoilrale agli occhi miei rpietale e felle, 
r.be rincarCQ terreo più nulla pavé, 

Ch' a* iDoi brevi deiìr liale rubelle ; 
r.hc laolu in oo lul dì pii avete tolto, 

Che uoa vi reità ornai da torpli multo. 

X 

Ma le de* miei dolor fuite lì vaphe 
Perché aimro ooo vulpeile io quelle membra 
L'armi oeroiche e le medesme pìaphe, 

E ’l Gii, cb'opiii merlale io ano atirmbraf 
Deh come del loo mal talor preiaplie 
Soo noitre meoli, oimè, che mi rimembrai 
Che all* apparir dell'Alba mi dettai 
Tutto trcaualc di futuri poai. 


Perù vi prepo omil, per qoello amore. 
Che li ehiaro di lai vi icalda il leno. 

Che oot eoo ditdepoiam reodecc onore. 
Qual piò li pnolc, al career loo terreno ; 
r,he lia ridotto al prUtìno candore 
Dalla polve e dal tanpoe, ond'r|li é pieno 
Da noi roedcimi, e neiioo altro aia 
tale ufGcio iodrpna compapoia. 
xvii' 

Poi ch*ha finito, il nobii Sìoadoiio 
Per prephiera depli altri a lui riipondc : 
Qiiaolo poo quriti doci, e quanto io pouo, 
Al dover vottro e noilro corriipondr. 

Coi! dicendo, il bri drappello e mono 
Coo ricche urne dorale, ove con l'oode 
Bapna d' Euro il roKrl I' erboie rive, 

Del luogo guerreggiar già falle achive. 


E tu, Spirto reai, ch* or tei nel cielo, 
E che del mio dolor forte hai pictadc, 
Non li lovvieo con che fraterno irlo 
Del guardarli d* altrui moilrai le ilradc? 
Dicendo: Ahi lauo, c lotto aicon» velo, 
Per uon ■offroder tue virtù sì rade. 

Che doveui icbivar la cruda mauo 
Del fatale avveriario Seguraoo ? 


E dove più profonda e rhiara eppare, 
E men rolla da' carri e da* drtlricri. 
Cerca intento riatnao la tua colmaro 
Di qoelli illotlri e rari cavalieri; 
lodi a vedergli carchi ritornare 
Ingombravan le vie gli altri guerrieri. 
Che ripien di lugubre maraviglia 
Atxaoo ioverto U cicl l'nmide cìglia. 


Ha il troppo tao valor, la troppa allma 
Del magnanimo tur t'iadutie a quello, 
Per furarmi dal mondo ogni dotrezra, 

E per latsarmi a me gravoio c meito ; 

Ma con quel cor, che sol piacerli apprezza, 
Ti promcil'io, i*al ciel non Ga muteito, 
Cbe In potrai veder eoa chiara torte 
Larga di te vendetta o di me morte. 


Poi gionti al padìglion, fra terra e laiiS, 
Pur di lor propria man fan ricco il foco 
Di tronchi e frondì che io veloci pani 
Hanno accolli vicio d’intorno al loco, 
Peodrnle in mrzzo ov* ampio vaio ilaiii. 
In cui givan vcriando a poco a poco 
Tra mille erbe odorifere c (aerate 
L* acque dal piccioi fiome ivi portate. 


Che nei*uo posta dir, che LanciloUo, 
Dopo il crudo partir di Galealto, 

Non aggia, o il percuttorc, o tè condotto 
Sotto aipro incarco di marmoreo tmallo; 
Che '1 fil lalilar che dalla Parca è rollo. 
Sol ti conviene a chi ne icorge d'atio; 
Che nel perder gli amici a noi promette 
Solo i pianti, le iodi e le vcodelle. 


Al qual d’ alto romor fremeodo io giri 
Fan le montanti Gamme orrida goerra. 
Mentre l’ode lontano ahi lotpiri 
Muover l'onda crollante, eh' ci riterrà; 
In Gn che'o freddo loco li ritiri, 

Vuol LanciloUo, c li rìpoie in terra, 
l'anlo, che ’l tuo calor termine prenda, 
Che la man di chi '1 tocca poco offenda. 


Il pianto avrai, ma non dagli occhi miei, 
Ch'ai generoso spirto li dùdicc; 

Ha da chi scorgerà gli acerbi e rei 
Citi del popol luo morto e'nfclicc; 

Le lodi altri ned' io donar potrei 
Simili a quelle ognor, che canta e dice 
Delle bell' opre toc falla memoria, 

Ch' ovwsque ciuge il mare empie di giuria. 


Poi anpra menta aarata collocale 
Le membra quasi incogoitc a chi vede, 
Fur le (pielale piaghe pria lavale, 

Indi il corpo rcal dal aommo al piede; 
Sì eh' all' esser di prima ornai tornale 
Le fattezze divine, ch'eran sede 
D’ogni virtù imroorlal, si dimotiraro. 
Come foticr giammai nel viver chiaro. 


Poi eh'alquanto è sfogalo, intorno chiama 
Sioadoiso, Galneie, e ’l re Rione, 
Dicendo: A cavalier di tanta fama, 

Coi soggìaea si larga ragione. 

Per chi pcrfcllamente il cote ed ama, 

E del tutto adempir sua cura pone, 

Non II dee di ministro adoprar mano, 

Che di taogoe e virtù non sia lovrano. 


Non potè fare allor I* invitto amico, 
Che coo grave lospir non gli parlasse : 
Ov'era, allo mio re, l'amore anlìeo, 

Ch* a me sempre legnìr fra noi vi traile, 
Che dal nottro romane aspro nemico 
Almeno a mia ragion non vi ritrasse, 
Dicendo : Or sìeno in tne leolpilc e Gite 
Quelle estreme parole ch’ei oc dine? 


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l’ avaro H IDE 


XXIlt 

II* dovt nc ttoea 1' aspra mia aorta 
Che qual sempre solca aoo v* era a lato? 
Ch'a mille Scfuran dava ì« la morte 
Pria che latto vedervi io tale italo t 
0 che lo mio gioroatc creo iÌ corta 
Come a voi T ordioò l'acerbo fato, 

Sì eba rofBcio citremo, ch'or fo a voi 
li faceva altra maao ad ambe dooì. 

XXX 

£ lango il rio dall' arenoso lilo 
Duro seggio si feo pensoso e solo ; 

Ed; or prigtoQ t* immagina, or ferito 
Per la sue mao tra *1 ino gradito sloalo 
Il forte Srguran, nè ibigoUìio 
(Benché gli doni al cor travaglio a duolo) 
L'ha il ritrovarla allor quell' arma tolte. 
Che trionfare il fecar mille volta; 

XXIV 

Coti latto dicaodo. iotoroo tolorno 
L’ abbraccia, e ttrìo^e a te la chiara froaU } 
Iodi eoa vai di bei Irapaali adoroo 
Per ooorate maa oobili e coale. 

Che pii fo dato io qoel felice piorao, 

Ch* epii abbatta le forse al ooocer proala 
Del fero Aaealdo, che la biooda Itotta 
Sotto il Mo crado impero area coadoUat 

XXXI 

Che a' ai foste mastier l' aodare ignudo, 
Per vendetta cotale anco il faria. 

Che '1 seo più fioo acciaro a '1 forte scodo 
Era l'invitto ardir, che 'n saoo avia ; 

Ma rampogoando il sol, 1* appella crudo, 
Che si tosto coir' al mar lofialo Ba; 

E gli par che l' iedugto d'ana notte 
Totu Ja aoa sparaaxe eggia inlcrrotle. 

XXV 

Che fra mlH* altri don gli fa corte ta 
Di qaatlo, eh' ei vorrebbe a pio lieta opra 
Aver servato, ia eoi tatto il paese 
Dcll'Armorico rtpao pioM sopra t 
Come hao arll' Oceao la braccia siete, 

Le qaali or lessi aade, or tatto cwopra, 
Secoodo il vario corso ch'ave io cielo 
La aortlla di qMl che oacqoe ia Dolo* 

XXXIl 

E mentre d' oao io altro aspro pcntìero 
Il dolore a '1 faror la mcolc gaida. 

Scorge vicioo il più aopra il sentiero 
Della Natrice taa famosa a fida. 

(joctia è la soa Viviana, a coi leggiero 
Fo '1 vedere il cordoglio che s'aooida 
Nell' alma iovilta, a che d’ alimi tico preda 
L'arma incantala pria, ch'cUn gli diade; 

XXVI 

Coe quel dooqae 1' asciaga, e paro e octio 
D'opnt taopoe e di polve tolto il rande; 
Pei Iva le piena stese io aereo letto 
Sovra fiao estro, e seta etto distaodaj 
L’ascoade appresso dal mortale aspetto 
Da tappete rìechisatmo, che peode 
Da ciascoo lato, io eoi varia riloea 
E di gemme e di perla altera loca: 

XXXIII 

Che io tollaeilo coca avea provvisto 
Di quanto oopo facca oel gran bisogoo : 
Così dove sedea peosoao a Uislo, 

Quasi immagina xppar, che venga io sogno; 
E ’n volto amaro, a di dolcexna misto 
Comincia \ 0 figliuol mio, cui solo agogno 
Veder sovra i mortai lieto e contento, 
Qual ti affligga di aoovo aspro tormento f 

xsvu 

Là dove il citi parava, a la saa alalia 
Bea dìstiolc fra loro ad uea ad eoa. 
Poco man che la vera ardenti a belle, 
Quaado più tcarca sia la ootia brooa; 
Ha qoal regiaa poi Ira lolla quelle 
Di caodidi adamaoli tra la looa 
Cieta il volto divio, che ’olero mostra 
Al pio germaoo, ad alla risia aoslra« 

XXXIV 

A COI rivolto il figlio del re Bano 
Rispooda : or non sapete alma nutrica. 
Coma il braodo crodcl di Segoraoo 
Folte al mio Galealtu agro e 'ufclica ? 

Ed a me mollo più eh' ogni altro iuvano 
Accidente mortai chiaro e felice 
Per mio restauro puù venirmi ornai. 

Ch'io non spero altro più, che Usggcr guai. 

xxvm 

Qoesta oaa fa dell' onorata preda 
Di Lancilotio già infinite allora, 

Ch'a forsa viocilor l'ardito piede’ 

Posa in Benicco, a na ritrasse fnora 
La vaga donna d’ ogni grasia areda, 

Di cui chiara beltà larga dimora. 

La vaga Claodiaca, che poi volse 
Rendere al padre, e premio oeo na tolse i 

XXXV 

Ma beo bramo dal ciel per somma grasia 
Che innanzi al mio morir, eh' è longe poco, 
Mi faccia don eh' io renda 1' alma tasia 
Di ma larga vendetta io questo loco; 

A 6u di' or chi ee strugge c chi oe alrasia 
Non mollo tl nostro mal si prenda io gioco; 
E che '1 mio dolce amico intenda scorlo. 
Che qual vivo l'amai, rami anco morto. 

XXIX 

La qoal dià poi Clodasso per itpote 
Al fero Segurano, onde alfiii nacque 
Dcirinvido Cavea la lite odiosa, 

Che io altrui man vederla gli dispiacque* 
Or poi che dalla vasta prcxioaa 
Il msser Galcallo ocrollo giacque. 

Del dolore incredibile condotto 
Gìo dagli altri io disparte LaociJoUo. 

XXXVI 

Dogliomi io beo, che delle fatali arma, 
Che mi vroorr da voi, diletta madre, 

Non potrò, lasso, nell' aurora armarma, 

E scorta averla all' opere leggiadre; 

Ma fia che può, che non potrà vielarvna. 
Se Qoo solo il voler del sommo padre. 
Conica il qual nulla poosse, ch'io non vada 
Nudo e di vetro ancor porli la spada. 


I 


1 


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\ 


^363^^ l’ avaro H IDE 


XXX VB 

tur 

Ch’aiMÌ Oli baiU il cor,*ch*io ^rie ia tcoo, 

Cosi dicendo allora il gran pmfela 

E r onora e 1' aioor di Oalealle, 

Il desialo duo mi pom in mauo t 

Che Uolo poOf ch'io ooa |;li «fipreizo meno, 

Ed io qaaato euer poosae di ciò lieta. 

Ch* arme ìocaolatr, al pcri§l<oao auallo ; 

Grazie gli rendo eoo sembiante umano i 

E tc por ne morrò, aorra *1 lerrcao 

B volando ove l'eria c più quieta. 

Accolla fia dal aao (aUorc io allo 

B '1 sere» dalle ooLi più lontano, 

QoaU'aliaa afflitta eoo perpcloa lode. 


Tra '1 ebiaro Maol eh' elcrnamcate gode. 

Ho segnalo al venir 1' alUfc strade. 

XXXVIil 

XLV 

Tal dicea Laoeitollo, a coi ritpoae 

E perqnant'io v'appreiso. e per suo nome 

La BobiI donna d«l famo»o Lagoi 

Con lotto il mio desir grazia vi cliirggio, 

Il prave dool delle avvconlc cote 

Che del pattalo ornai le dare Some 

Vi fa di laatentar soverchio vago; 

Scartar vi piaccia, e noo temer di peggio; 

Nò ben coovieae a menti gloriose 

Che se bea prie chc'mbianchia qaeslc chiome, 

D' aleno foloro mal 1' esser presago { 

Il vostro ultimo fio vcotilo veggio. 

Ma il passalo soffrir costanle c forte, 

Sarò con tale onor qoel breve tempo. 

Sperando all’ avvenir più amica sorte. 

Cb'asaai dolco ri fia partir per tempo. 

XXXIX 

XLVI 

Nò temer gii dovreste ov* io mi trove, 

Ma se voleste voi restando in pace, 

Che vi maocasser mai l'arme pregiale, 

Dentro al pairio terreo menar la vita, 


Trapassar ti porrta qoel che vi faee 

Onde al sommo d’ onor salir possiate { 

Di qoesti anni la via corta c spedita \ 

Che con' io intesi l' infelici prove 

Ma cercando d' onor raccesa face. 

Di Galeallo, e come restavate 

Come il vostro valore ognor v' rovita. 

Del ferro privo, ond' io vi feci adorno. 

Me lasserete c i vostri in larga doglia, 

QoaDdo varcasta il mar nel primo giorno ^ 

Richiamando di voi U adolu spoglia. 

xt 

XlVll 

Tosto ali'osmra tomba, dov' io Ugno 

Così dèceva, e *1 fero Lancilolto 

L'iocantator Mctiioo a mr snggello, 

Risponde: Assai mi fia, madre pietosa. 

N'andai pregando rha voi fesse degnn 

Che'l cielo iafioo a qui m'aggsa condotto, 

D’ altro acriar rivcilirr, c più peifelto s 

S' io posse vendicar la morte odiosa 

Ed et eb'aoeor per me soggiace al regno 

Del caro amico; o poi mi spiega sotto 

Cieco d' Amor, col più benigno aspetto 

Lò, dove ogni mortai pcrpeloo pota ; 

Che facesac ancor mai, mi dìsae : Donna, 

E di vita aggia na’ ora questa salma. 

Che seta a* ouci pensitr ferma colonna t 

Pur ebe viva in onor poi aemprt 1' alma. 

nu 

xtna 

Egli ò gran tempo ornai che te mie carte. 

Qui ss tacque egli, ed ella olirà segoeodo 

E gli spirti miglior, che meco stanno. 

Gli dice: Poi eh' a voi quello non piace, 

Mi mostrare, c oarraro a parta a parta 

Col voler di lassuso io grado il prendo 

Il presente di voi caduto danoo | 

Presta al tutto soOrir eoi core io pare | 

Perch'io fri fabbricar con divina arte 


Arme celesti, che virtode avranno 

Che Ca al chiaro desir guida verace. 

Sopra qoaate mai faro, e di beltade 

E così ragionando stende a terra 

Non vide a loro «goali alcona etade. 

L'arme, coi simil mai non scch io gmrra. 

XI n 

xux 

B nel nobile scodo fri scolpire 

Quando venne al boon dace le splcodorc 

DI Lancilolto poi la larga prole. 

A percuoter la villa ehe 1' abbaglia, 

Che dee di tempo in tempo rioscire 

Sroti laola dolcezza il tristo core, 

Alla c famosa, ovneqiM aliarne il sole, 

Che in estrema allegrezza se oc saglia ; 

Perch' ei posta per lor gli sdegni e l' ire 

E più raccreacc io lui 1’ ardente amore 

Temprar miraa^, e ciò che pesa c duola 

Di tosto riirovarte alla battaglia; 

Far leve c lieto, e *1 mal presente oscuro 

E lolle ad ooa ad ooa io maa si prese 

Aiehiemar eoo T onor ih’ soci futuro. 

Le parti altere del celeste arnese. 

XUil 

t 

Or le prendete adnnqoc, e dite a lui. 

Gnarda l' elmo ooocalo, ove il cimscro 

Che non gli poò mancar chiara vendetU: 

D’naa crioita stella ardea d' iotomo 

Che fia cotal ch’ogni alta gloria alimi 

Di bel piropo, eh’ avaozava il vem, 

S* udirò al par di lei bassa a negletta, 

Qoaado Ìl eiel più mrea ai mostra adorao, 

E si eoaforli ta contemplar do’ sui 

Allor che mìoacciar proviocia o impero 

La regia stirpe, dalle stelle eletta 

Di deano iolcndc, o di novello icemo ; 

Per aitar con la spade c col consiglio 

Che ’l popol tre tcmroza e meravìglia 

Al quinto a ecslo cid i* aoralo gigho. 

Alza devoto al eie! 1* umide ciglia. 




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l’ AVARCHIDE 

u 

!.• peMnle eoratsa «itprtno pmuiei 
Che di fìnÌMim'oro ha lar^n fregiA* 

In cut davaolì 00 wl Incido prende 
Di fìamoie aveolio di colore egregio: 

E i raggi ardenti d' o^ni ialaroo ileodo 
Tra raibonchi c topaai d'alto pregio, 

E lì vaghi al mirar, che moslran bene, 
Che da divin tnarlcl lai opra viene. 

tviit 

Alto apparta M magoanimo Roberto, 
Che del famoao Augicro acetiro avea. 
Io arme, io aenno ed io valore eipcrto 
Sì, che i erodi ticàn a fren tenea, 

E '1 popol laiae, c de' ano! beni incerto 
Col medeamo aoo aangue difeodra ; 

Che liberando quel d'acerba aorte. 
Trionfi de' Normanni con aoa morte. 

tii 

Tolte r altre arme poi, che aon difraa 
Delle braccia e del reato iofioo al piede. 
Con mrnie allegra e di dnlectxa arccaa 
(Qual driialo don) maneggia e vede, 

E r apprecia colai, che non gli pela 
Ch'or aia dell’ altre Segurano erede; 

Che tanto a qoeile lon Ir prime egoali, 
Quanto aon le terrene alle immortali. 

LIK 

Indi il minor Rnberto d'esio oaciva, 
Che regni tra '1 Pircne c la Garona, 

E '1 leggio Oilnn, che per bontade aebiva 
Deir onorala Gallia la oorooa ; 

Ma non già qoel, che la qnieta oliva, 
Per acqniiiar cipreiM, 0' abbandona ; 

Che mantenendo il pria gallato onore, 
Longo il fcrtil Seaioo Ira l'arme mnore. 

tilt 

Poacia il brando celeate in mano ha prcao, 
E del foder gemmalo ha trailo fuore { 
Truoeal di tempra tal. che mal difeio 
Ogni incanto aaria dal aoo furore; 

NÌ di lai ai apaveola al grave peto, 

Cui non men convenia che ’l ino valore ; 
£ gii Tovria vicio, com' ha lontano, 

Il crndcle avveraario Segorano. 

ut 

Di eni gtnvbi n’maao II grande Vgoou 
Conira I nemici anoi fn ardente foco; 

Ch' ora al Gallico re lemenia pone 
Diapogliandoi lalor di pii d'nn Ictco; 

Or gatligaodo il rio cognato Otooe, 

Che '1 legame del aangoe alimi poco, 
Qnandu al Nenatrio terrea la chiara Sena 
Feo del aangne German vermiglia c piena. 

UT 

Il doro acndo al fio poiaenlc e grevt 
Con ardente delio leva da terra, 

Cum' on altro faria la acuma leve 
D'arido aalcio, ch'Aqnilonc atterra: 
la eoi di ino acciar cerchio non breve 
Cinque acorsc dorisiiine nirrra ; 

Le qua! regger porvìca ennira le prove 
Delle folgofi aipriaaimc di Giove. 

txi 

Che '1 popol per oeor Capoto appella, 
Ch'ebbe il dealio più amico e più giocondo, 
E più corteae in dei ciaacona alelia, 

Lì ai videa, ch'all'affaooato mondo 
Riportava l' eli fiorila e bella, 

Levando i gigli d'or negletti a baiai, 
Colpa di' anoi rcttor di virtù caaat, 

tv 

Dentro d'argento e d'or mite coverte 
Erao la ornate pelli, onde a* appende 
Al collo, 0 'I braccio, dove a gnrrre incerte 
Di lancia 0 ipada >1 cajraliero intende, 
Con fcrmiitimi chiodi io caio inarrlc, 

E di ciaicoo de' qoai la fronte iplendo 
Di rubin, di diamanti e di lafiri 
Da abbagliare il veder di chi gli miri. 

tsit 

Degenerala eiicndo il divin lenu 
Del glorioao evede dì Pipino 
Dopo il volger duo acculi, e che premu 
Con loro il leno al mrao auo cammino. * 
K quale al freddo del ocM'ore aireme 
Porla dolce reataoro nel mattino 
Il rianrgcnlc aol ; non ponto meno 
Teon' ei bramalo al Gallico terreno. 

IVI 

Di fonr lovra 1' acciar comneiaa d* ore 
Guarda la itirpe aua l'altero dace, 

Diilcaa intorno in ti lotlil lavoro, 

Che biiogna al mirar del aol la luce. 

Ivi aoo qoei miglior, che primi foro, 

1 quai virtule invitta ricondnee 
Alia iniegoa rcal del giglio anrato, 

Per difetto d' altroi gii in baaao alalo. 

Lxttr 

Ma perché rare volte, 0 mai non viene, 
Che aia io ciaicao mortala il veder aano, 
Ivi era acuito, come a lui convieoa 
Muover cootra i più rei l'arme e la mano; 
Abbaile il Lotleriogo, e '0 vita il tenne 
Con la spola e i (ìglìaoi cortese e piano; 
Pui Ira '1 popol miglior di lui contento 
Prende M reale acellro, e*l sacro ongucato. 

trii 

Ivi irorgea oc' tooÌ gli eterni noeri, 

E le chiare opre loro al mondo lule; 

HA pure io Gallia i guadagnati aUori, 

Ma i Germani anco ove mrn icalda il iole. 
Congiunta cu'pip illnitri imperadort 
Di tempo in tempo la felice prole: 

Ma poi eh' al regno Saraone diacele, 
Hitoenù in Gallia al tao natio pacac. 

txnr 

Pui nell' anno aeeondo fa ÌI figlinolo 
Ruberto coronar (lui vìvo ancora) 

Per far lieto di quel t'amico stuolo, 

('•he 'n gelata lemeoxa ne dimora: 

Questi il sommo fallar dell'alto polo 
(’on si devoto cor mai sempre adura, 
f-h'al buon pnpul frdel fu vero esempio 
Di coltivar di Dìo l'eletto tempio. 


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A VARCUIDB 


fid ci ««a qaclU «mor l•ll^ 

Ch«*i bHoa «oltr d‘ «Ur«i f» il «omino Giove: 
E raSrmsado «o «e le «v«r< voflie, 

Cbc «petto «I viodtor viUocio mooTO, 
Cooleolo »ol delle «ne oaliehc «poflic 
Non vooi r «roMlo tioni drinore atlrove, 
poi rb*«l toaimo peilor di Pietro crede 
Coa dovala «aùlU a’ ìocliMa al piede j 
uuuc 

Poi nel Belgico tea po co oltre appare 
Con le tdticrc a battaglia, e con l' iategoo 
ladarao il wo awertarìo richiamare. 

Di marnale ardor le voglie pregne ; 

E qoello il patto iodìetro ritornare. 

Qual topo, ove il leon vealigio tegae. 

Che per più aogaita via, tpiaou c fotta 
Spetto inlorno aaeollaado ai rimbocca, 
tuui 

Poto oltre aoeo apparia, dove il Teatoo 
Va il terreno irrigaodo erboto c molle, 
Qaaado il falò maligno, e *1 rio dettino 
Della «ateca virtù la palma volle: 

Dall’ OQ lato apparia *1 valor diviao. 

Che 'I (amoao Frtnceaco io allo eatolle: 
Dall* altro l'empia ed iavida Portooa, 

Cb* ogai fona, cb* acca, conlr* atto adona. 


Lcxavi 

Ivi «cullo era ancor più d’uoa volta 
L'empio avvertario tuo del terreo Gallo 
Eiter fogalo, e con la gente folla 
A grao danao e ditoor pagarne il fallo, 
E ’ndarno tempre aver con pena molta 
Sforiato maro ia etto, argine o vallo) 

£ tencrae febee, chi potea 
Biroggeodo tebivar la morte rea. 

LXXXVM 

Nè di Palude in lai motivava atcota 
L’arte onorata e la «oa verde uliva: 

Ma «i vaga, ti bella e tpeciota. 

Che nel colle più aprico, o ’o calda riva; 
Ogni Mota, ogai Graaia, qual la rota 
In tcoA ai dolce aprii «eco fioriva) 

E dolcemente ti vedeaoo inlorno 
Spirargli amor d* ogni virtude adorno. 

txxxvm 

La nobil Gallia ii vedea per lui 
Di toga ornala, e del telare alloro 
Avanxar di «avere i vicm lui 
Nel greco e nel latino ampio teioro : 

E cuaira i colpi, e *1 vaneggiar d* altrui. 
Come l’annoto pìoo all'Anitro e *1 Coro, 
Tener bea ferme le radici prima 
Dell' alta leggi del fatlor aablime. 


Sopra I’ allo coraicr di ferro adorno 
Coa la lancia arretlala «embra nn Maria, 
E facendo a* aemici oltraggio e «corno 
Ci vedrà qocata urtare, c quella parte; 
Poi ’l fogacc de’ «noi tiniatro cumo 
Ballo loiicma ripon con bellica arie, 

E con r ittewa man vie più d' ua dace 
Delle acmiefee tqaadra a morta iodocc. 

Lxaxut 

Ma ano paleada al Sa T ««trema polca 
Sutteiier latto c «olo, ond' egli è ciato, 
Dell'alma ìavitU ogaì villade «cotta. 

Si vedea ’a altrui furia, ma non vinto; 
Cile di contraria torte alla pcrcotta 
Il naturale ardir oon ha più ctliulo, 
t^tic faccia oulo liquor I* ardente fiamma, 
Cli’al tuo primo arrivar vie più a’ io&amma. 

IJIXSIV 

ludi aggtoolo allo arano alla forleiaa, 
E r onetlo euflrtr coa degniladr, 

Nel crudo viocitor I* empia durexu 
Rompe, e trova il cammio di libcrUde ; 

In coi di vcadicar fatala aiprexia 
Daorate riiruva c belle ttrade, 
Contenleado pieloio il giogo torre 
Agl* italici campi a i lacci aciorrc. 

LXXXV 

E ’l vicario di Critio, a quella aoglia, 
In cui primo tedeo l'antico Piero, 

Poi eh* etacr vede vergoguota tpoglia 
Del Germano iofedel, del crudo Ibcro, 

Il mcdctiaio re, di chiara voglia 
Itipicno il giutto core, c d' amor vero, 

Le pie galliche iaicgnc a Roma ateude, 

£ deir iniquo «tuoi libera reude. 


Al collo gli awolgea le braccia catte, 

E 'I bianco manto tuo la para fede, 

Qotti dicendo : Alcun non mi coalratle 
Di lai fermar d' ogni mio regeo erede', 

E per ciò beo chiarir l' CKmpio baite 
Di quel cb’ ivi vicin «culto ti vede ; 

In CUI vico P avvertario, il quinto Carlo, 
Ditarmato e «oletto a vitiUrio. 

xc 

E lui polle in oblio Taiprc conlctc, 

I ricevuti oltraggi, c l’odio antico, 
Eitergli d’ ogni ben largo e corteie, 

Com’ unico germano e caro amico ; 

E qnal trioofaloe del tuo pacte, 

Che più volle rateò fero nemico, 

II menò aìcuriuimo in quel loco, 

Ova ogai beut oprar conobbe poco. 

SCI 

Aaaodca dopo lai 1* altero figlio 
Enrico invitto, al nome tuo teeondo. 
Ch'ai ire lottrì compili l'aureo giglio 
Di famoia vittoria fea tecondo; 

B deir aquila cruda il fero artiglio. 

Che parca minacciar 1' afflitto mondo. 

Sol motlrandoii al Rodano feo tale. 

Che più tatto, che quello, adopra Pale, 
xcii 

Non molto «adata ancor la verde elade, 
L'Alpi olirà varca al più nevoio verno, 

E del «erralo patto apre le ilrade 
Con «oo «ommo valore, ed allroi «chemo; 
Scaccia il nemico, e rende le cootrade 
Forale allora al Gallico governo, 

E igombraodo le nubi otcore ed idre 
Chiaro c quieto il cicJ dimotira al padre. 



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AVARCHIDE 


SqaaKÌala poi U mal Irsiola pace, 

Dace rimena ancor I' armale achìfrCy 
Ove in Ira Ì Pirenei la terra piace, 

Che *1 NerLoneie mar porria vederci 
Torna indi poi conira i' ardente farCi 
Che parca lormoolar I’ uilime ipcre, 

Della ptierra mortai, eh* adnoa ioaieme 
11 Belgico, il Germano, « T Aoglo acme. 

ICIT 

E COI! giovinetio, ore Matrona 
Le piagge erbose dnirrmenle bagna, 

Ora il fren aaggio accoglie or olirà aprooa. 
Ove piò aperto il aeo dia la campagna ; 

E eh* a lena, o furor non •’ abbandona, 

Il vecchio imperadore in cor ai lagna; 

L ch'egli aggia alla fin a' accorge in vano 
Di Fabio rocchio, c di Marcel la naoo. 

xcv 

Onde all'eitremn andar fonalo appare 
D' altra novella pace a conaenlìrr, 

Con proiurate a lui dare, ad altrui care, 
Ma con menle fermala di fallire; 

Poteia ivi al cici tra I* aoime più chiare 
L* allo parente *uo vedea aalire 
Il grande Enrico, cno la pieli iteaan, 

Che debbe in oobil core eaaere impreaaa. 
xcvi 

Dopo il cnt lagrimar, I* invino core 

I danni andanti a vendicar a’appretla, 

E deli* anglico aloni coatra il fnrore 
La già indormila ipada alierò detta; 

E r adopra colai, che *n lì poche ore 
Ogni aalda roaraglia affilila reata, 

Che dir punte t in tal fato I* arme cinti. 
Che io un momento veooi, vidi, e vinai. 

xeni 

Poi che ridono al prialino loo impero 
Ivi apparii il gran lilo de*llorini. 

Non men piclnao mnalra Ìl aoo prolìero 
A chi fuor aia de* Gallici confini; 

Sentendo in preda dell* orgoglio fero 
Di dii indotti gli avea gli aipri ricini, 

II biinn duce rumano afflitto e anto. 

Qual germano il aoceorre, o qual figlinolo. 

xerm 

E *I difende c manlien da quello ialciao, 
Che gli dovria donar conir' altri aita, 

(Ahi crudo cor) dal tiiocero, ch'oppreaso 
li tenea (lauo) e* anoi nemici invila ; 

E poi che al m<ier padre avea permeiao, 
Che lolla foiae l' in.iidiala vita, 

La medeima pia figlia, e i tuoi nepoti 
D'ogoi paleruo beo fea ciati e voti. 

XC1X 

Ha il magnaoiiTio Enrico del loo uogoe 
E de* tool gran letnri è at corlete, 

Ch* ci riduce a salale il qnati eaangoa 
Chiaro corpo illutlrittimo Farncie; 

Poi r alma libertà, che morta languc 
Pur dal frrr’ empio delle iipanr iifTcte, 
Ritornar viva fa, integra e arrena 
Tra r alme mora della etruaca Siena. 


Tal ebe quanti hanoo Del le Tirrene onde. 
Quante Ninfe o Drìade ha il terreo Toaco, 
Ornando qnet le auc aliale aponde. 

Quelle il chiaro criilallo e *1 rerde boato, 
Ciaicoo divotamenle a Giore ìnfooda 
Prieghi che mai non fia più eh* allor foaco 
Del boon re Gallo all’onorata voglia, 

Sì ebe tulio il lerren dai Ucci acioglia. 

a 

Non mollo longe a queato icnilo «ffiAre 
Il medeiirao Enrico aovra il Reno 
L* inviiiiuimo eaercito menare, 

E dell' alma Germaoia il largo seoo 
D’ ogni furor liranoico igombrare, 

E deir empio aigoor romperle il freno; 

E dall' infide braccia rìcoodace 
L'ono e 1* altro di lei famoao duce. 

at 

E laaaaodo i anoi campi e *1 patrio nido, 

Si vede in fuga aver t'infermo volo, 

Del magnanimo Gallo al primo gride. 

Di Giove il fero uccello aiflillo e aolo, 
Mentre quel trionfante covra Ìl lido 
Di Moaella e di Uosa il franco aiuolo 
Bimena, al Cui valor noo fu secoro 
Ferro, ùco, monlagoa, argioe o moro. 

rni 

Scolpito ha intorno l’uno e l’altro frolo, 

Il secondo Franrrteo, e 'I chiaro Carlo ; 
Quel furaron le Parche, congiurale 
Di coronare Enrico, e 'a cielo aliarlo; 
Quest' altro giunto a più perfetta elale 
Tutto il tolte cnini che potea Carlo, 

Cnn soverchio dolor del padre pio, 

Del gran gerroano, « del lerrca oalìo. 

civ 

I qua! tolti vivean eoo ferma fpeme 
Di veder inrmontare il ano valore, 

E di render più illualre il divio acme, 

E più apirodido far Ploralo fiore; 

Coree teppe il terreo che Moia preme, 

Che mal contrasta al giovine furore, 

Qoal ben deaerino IÌ potei vederse, 

Cha ratto al suo venir le alrade aperto. 

ev 

Nà il gran vate divino ivi entro ascose 
Del frutto ferominil le piante chiare; 

Del gran Francesco la sorella potè 
Sovra quante fur alme altere e raro; 

E quale t minor fior le vaghe rose, 

Le vincea lai, che Ìo lotte P altre avaro 
Parean le stelle, che versare in lei 
Quanto bene al merlai donao gli Dei. 

evi 

Scritto avea nella fronte a lettre d'oro; 
L'alma regina che i Navarri affrena | 
Cingala Apollo del suo sagro alloro 
In vitti più che mai lieta c serena; 

Non lootan poteia a coti bel leturo 
Si leggea *1 nome pio di Maddalena, 

Di Franccten primier progenie degna, 

Che nel Scolo terreo oon mollo regna. 



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L AVARCHIDE 




CTII 

Di tatle r illre poi »olo ìa <)i»pirle 
Il Bome ilio sorgici di Uarghctili, 

Oft il up|;io tcultor ripose ago* irte 
In moslrirli i ciiicun vagì e graditi; 

Né lasserica le stelle alcuna parie 
la farti olirà ’l mortai rara e compili 
Di virtù, di valor, di cortesia, 
saggia, culi, gcalile, oocita e pia; 
rviM 

E che merli eoo l’opre driltameato 
D' esirr chiamala poi fìgliunia e soora 
Di Francesco e d' Enrico, onde soveote 
L*nno e l’altro dì lei té llesio onora; 
Mostrava in vista dalla bassa gente. 

Che aol falle rìcehraze c 'mperi adora. 
Andar si longe con la nobil alma, 

Che qoet tallo era a lei oeglelU salma, 
cix 

E qnanlo al ciel poteva aisìmigliane 
Col giovare a* mortai de* ben eh' avea, 
Taoto in vista parva beala farse 
Qersia del secai suo terrena dea; 

E perché nel mirare agli ocehi apparse 
Di Lantiietio altor, ch'ella dovei 
Regger d'Avareo il soo native regno, 
DimosUò di dulccsza aperto segno, 
ex 

Poi si vede lasciar, dov* Amo bagni, 
Deir alma Eimria il più fiorilo nido 
La reai Caterina ; e s' accompagna 
Col grande Enrico al Gallico soo lido; 
Dal cui sommo vslor non si scompagna 
Virtù, senno, oneiiadc ed atnor lido, 

Che la fanno al grae re pregiala e cara, 
A tutto il moodo poi lodala e chiara, 
czt 

E sa '1 mar provenzale arcor ss vede 
Dal gran soucero sue, dal pio consorte, 
Curac d'alta honié suprema erede, 

E degna ai lutto di celeste iurte; 


L* sitera nobillé che 'atorno assiede. 

Par che *n suo cor mirando si coaforle 
Di speranza immurili, che da lei scenda 
Chi '1 Gallico terrea bealo renda. 

CXil 

Ed ella in vista alieramenie amile 
Secondo i merli lor ciascuno appsga ; 

Poi de' verdi anni suoi passalo aprile 
Larga prole produce ornala e vaga, 

Che del psleroo onor I' salico itile 
(Come intagliato avea la man presaga) 

Imiterìa colai, che 'I grido fora 

Dal vecchio Aliante al nido dell’ aurora, 

cxm 

Lì ti vedrà, mentre eh* Enrico al Reno 
Con I’ armalo suo stool gran cose adopra. 

Ella regger per tu! di Callia il freno, 

Né temere tl furor che a lei vien sopra ; 

Ma il Belgico crudel d'orgoglio pieno I 

Rispioge indietro dalla spietata opra; 

E le pria per insidia avute spoglie, 

Per magnanima forza a lui ritoglie. 

cxiv 

Poi con la gran bonié, che sia commista 
Coo la dolcezza pria, che lega i cori, 

De* maggiori e minor gli animi acquista, 

Si che i privati c pubblici tesori 
Di riversarle in sen nessun s'altriila. 

Più che fa il buon dei trionfali allori | 

Ed ella adorna di beuigno aspetto 
Quando può mostra loro il regio affetto. 

cxv 

Di tali onor de* suni rimira nrnslo 
Il divin Laurilollo il forte iciido. 

Con l'alma lieta; e rende grazie al fato, 

('.he di lunga memoria no '1 feo nodo; 

E certo io core ornai che vendicalo 
Saria del chiaro amico il caso crtido, 

Poi che si corra il sol nell' occidente, 

Ov’é il suo Galcalto andò dolente. 


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l’ AVARCHIDE 



XT 

Prreh* io votomi fot di oiorto avvoltOt 
Dr|(li arvmori looi (noafo c tehrmo 
Drl mio boa Gal«allo il rofìo volto 
Prr lo fooctlo moo dvl emdo Ibomot 
Nodo dì polve e d'olvo cooitae ovvolto^ 
Di tolti i loiei pontirr tornwnio «Icrnoi 
Ch'ovooqoc io volf^ moi ocelli t lo mento, 

Qaol io'l rividi i«v, mi oU prtMolo» 

mu 

Com 'or forse bramando, a qoel eb'ia spsfo, 
D* aUiasaoe di CUdasao il darò orfoglio, 
Il fin per Segavano aectbo e fero 
Condoase i» Galealto, in voi eorsleglìa, 
Onde spento riman lo sdegno altero, 

Ch* al vostro navigar ri (aicea sooglso t 
Ma io lai gsMsa adopraado, acorla fida 
È piò sempre di qoel cke 'a Ini s'affida. 

xn 

Mo poi eb'olfro ooo pooMe* oooieonvietie 
Por eoo neceoMli T ootmo io poco 
la qoel eh* é fìì oegoilo, perché owieoo 
Del voler di cohn che tallo foce, 

E dentro olle me broccia il male c *1 Lene 
De'miieri mortoli oecollo fiacc; 

B *1 soverchio dolene • doooo o|;grodo, 
Eh* olirà a sfogare il eor no» ove tiroda. 

nix 

Però, caro figlìool, grasie reodrmo 
Ai soo santo vedere, onore e lode; 

Che pria che ‘1 danno soo giunga alTcalremo, 
Drl bnlaooico stoni le preghiere ede; 

Il qoal drl nosrvo amore, in che no* aemo, 
RaccooMlaio Mi eor s'allegra e g<>de, 

E per la vostra maa bramose aspetta 
Cieria, irioaé», ooor, pace e veadolLa» 

Mo il forte covolier mi vendfeorfe 
Debbe aprire il srnltero al soo dolere ; 

E oe trova in ciò far le sulle scorse, 
Soppia H mondo lassar con drillo onore i 
Or se in altro sUgieo qoesla fiomm* arte 
D' oltre offeso guerriero on nobii core, 
Arde oro il mio che d'Etao il monto sembra, 
9e del soo Goleolto gii rimembro. 

zt 

B quanto oggi e poi scmpffc amica a cara 
E giiscuoda mi aia la pace vostra, 

Ve *1 mostrerò la smo che noo sia avara 
Di quanta v* offerire òs vece nostra 
Ualigante e i compagni, poi che chiara 
Farem tornala alle palcrnc chiostra; 

In coi voi tolto solo avrò piò io pregio. 
Che qoaoli altri mai far di oeme agregiob 

»fT 

E però tutto ornile a voi rilonw, 

Ogni sdegno primrer posto in obblio. 
Pregando eh' a voi piacno in tal soggforao 
Prender Ira I prggior vostri il braodo mio, 
rii* io poiM ristorar 1* ovolo scoe»o * 

Dall’empio Segarono c'I foto rio 
Dei doire amico, ehc vedrò dal cielo 
Che di lai mi rimon rioteaso aelou 

Oli 

Cavi parlava, c il chiava Laocilotto 
Rispoodes Asaai mi fio quel poro amore 
r.h'er mi moairate, il qoal m'ha aalo iadoUo; 
Noo di (esor, oé d'altro pregio ooore. 

Or pria che '1 sole io alto ricondotto 
Surra il nostra terreo riscaldi l'orr, 
('•hienrio ralicec trombe la battaglia, 

E ripvcoda ciaacno l'aolica oiaglia. 

!▼ 

Qoi Sai Loacnailo ; a qoet, che iIorini 
D* intorno ad aacoltar, ferma Sdaoaa 
Han gtò di rìcovrar 1’ aotico daooo, 

Tal della soo virlode è la speraosa t 
E ’l lieto bisbigliar che'ntorno fanno, 
Empirà d* alio romor la regia stanaa, 

Fin eh* amico silcotio Arloro impose. 

Ed allora, il gran re, cosi risposti 

XXII 

Ed io 'olanlo fra* mìci farò ritorno 
E vestirò volando 1' arMdnsa, 

E di spioger avanti il noaire corno. 

Sì che vada il primier prenderò enra. 
Vago di sciorre oowi l' empio aoggioeuo 
Delle genti aspro e delle acerbe mora^ 
Ove alberga mdnì ehc tolto m'ave 
Chi solo d viver mio vcodea aoave. 

avi 

Yaloroso figline} del gran re Sano, 

Io non posso oegar, che di ragione 
ftott fosse il mio parlar tanto lonlaoo. 

Che di farvi adegnar ri dié cagione 
Ha Sappia il mondo por, ch'alfin ria vaao 
De* piò saggi mortali ogni sermone. 

Che spesso io questo, o io quel la colpa stenda 
Di ciò, che *1 citi fra noi dispone e tnlsade* 

xxm 

B mostrerò, spcr* lo, se la virtmle 
Di Laneiiotio ò moria, o se iudormila 
Fn dallo sdegno ardeole, ebe si chiodo 
In lei, s'al sno sàgoor poco ò gradita ; 
E si potrao veder tant'alme nude 
Prender booto sentier da qoesla vita. 
Che maledetta ancor di Scguraoo 
Da mille madri fia la eroda roano. 

XVII 

Pero i eh* t* non adempie il MO rolere. 
Sciolto d* ogni altro metto assai aorcate. 
Ma del bcoe, o del mal doaa il potere 
Io eoi gli aggrade ocU* emana gente i 
L'allr'ier gii piccqoe delle nostre schieso 
Voa parte, qeal feo, render dolente; 

£ cDoscoti fra noi l'ira e lo sdegno, 

Per coodneer al fio i* aspro disegno. 

XXIV 

Or oasi ss lasse sodarno il tempo gire, 
Moviam pur tosto, ove il voler sdì spcoos; 
Ma ìi famoso re Lago a questo dire 
Si volge e parla: Altissima corona, 

Poi eh' al vostra gìostiesHoo deliro 
Soccorre il csel, che s booo eoa ahbaedooa. 
Io farvi ritoraar coogioato c fido 
Chi d' ogni altro grao dece avauxa il grido i 


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XXT 

Hi ebe onai »• debba, qaala ha della, 
TmIo a baUa|Iia aicìr, ma io manie avere 
Che ooD fia mai |t«crrier ceeì perfello, 
Che valgia il eflaooo a Metenera 

AueUlo c eoo fame; a coi diedclto 
Della nainra al fia oon eia il polare t 
E peri^ il laliear, che mollo fia, 

Prasda d* acca e di via Milano pria. 

XlVf 

Vadaa docque gli araldi, e*o voelro noma 
Comaodia, che ciaaeea T albar|o Irore; 
Solva il di§ian, poi di locenlì Mme 
D*arme e*ca carco alle ballaplie aoove t 
E qoeali regi e duci, cb’haa le chiome 
Di tauri ornale io mille aJlere prore, 
Farao ghirlaoda alla rotooUa menta, 

Cb* agguagliali gli oaor per voi diipcoia. 

xxm 

Coll diiM il re Lago, e*l grande Arturo 
Con lielisaimo rollo 1^ arcooieole, 
Seguendo : Poi che 'I fato acerbo e duro 
Impiagalo mi tico, laiio e doteola, 

Che ne asiereoi almeo T animo «curo 

10 veder qui di si famosa grate 
Lo sconsolato e vedevo soggiorno, 

E del suo Laucilolio cesare adoroo* 

XVTIII 

Qui fioilu il parlar, gii in mesco appare 
Chi le meoaa, e chi I' caca coodocea i 
Qoaodo il figlio di Beo : Certo mi pare 
Oliimo ogoi coosiglio, rispoodea. 

Che pochi poo fra gli oomioi dorare 
Longa clagioo cootra la fame rea. 

Ch'ogni vigor, eh’ ogni valore ammorta, 

E eh' al tartareo eeoo andar uè sforsa ; 

sxis 

Pur vi supplico umit, che ooo vi spiacela 
Glorioso mio re, che’ndictro rieda. 

A ei& che al volo mio ooo cootrafiaccla : 

11 quel i, eh’ al digioo già mai eoo ceda, 
le nn che questa mso vendetta faccia 

Di quel re miserei di morie preda; 

E dopo lei se 'o vita sarò ancora, 

Poco andrò poi di vostra vista fuora. 

Sxx 

Ma il saggio re deirOrcadi, che ioleee 
Il dannoso consiglio, gli risponde : 

La satura mortai mai sempre ietese, 

Che la giovioe età di forca abboode | 

La qoal degli anni poi seuleudo offese, 

Al piu canuto vìver si oascoodei 
E però in qocsia parte nou vorrei 
lodaroo coutrastarvi e cedo a lei. 

XSII 

Non ò il senno enei, cb' ci vico dagli anni, 
C nel cor giovenii mal poò trovane, 

Ma dai passali sol travagli e danni, 

E di te stesso, c d'altri può imparartes 
Nè sia chi indarno mai pensi o s' affanni 
Per grande studio in breve saggio farse. 
Che non menu è ingannato, che chi spera 
Saper l’ arte in un dì dal fabbro intera. 


XXJB1 

E ^erò a* io dicessi esser di voi 
In questo per 1* elade assai sovrano. 

Non vi sia sdegno il eooscalìrlo a soì. 
Perchè dal vostro ottor ooo fia lootaoo { 

E osi crediate qoetamente poi, 

Ch' a voler bene oprar l' arma e la mano 
Convica con 1* esca ferme maotenero 
Il vigor, ebo di lei privalo pere. 

XXXIII 

O'amariaaime lagrime no aol giorau 
Bcoder ai deve ooorc a chi sia morto} 
D’esse indi tendo, « di sepolcro adoroo, 
Prender al faticar dolce conforto i 
Cbc per l'altrui doler non fa ritorno 
Chi di morte al cammin dal fato è scorto ; 
E t'armc io chi l'uccise la veudclla. 

Non sopra il ventre suo, che *1 cibo aipcUa. 

xcaiv 

Non cercale voi stesso in grado porre. 
Che non potsiaie poi seguir la voglia 
Coti onorata io voi, di luce torre 
A chi vi die* cagioo di tanta duglia : 

Ha per ogoi cammin tutta raccòrrò 
La forca iovilta, che i nemici addoglia. 
Donando or qni fra noi giuconda salma 
D* esca alle membra, c di dulccua all' alma. 

XXIV 

II gran figlio di Bao cortese In vista 
Al buon rcttor dell' Orcadi riipose: 

Il vostro saggio dir tal fede acquista. 

Che riveder mi fa le strade ascose; 

Ha del mio fido beo la morte trista 
Ogoi ragione al cor per modo rose, 

Che la salute soa gli sembra amara, 

E U dannosa via soave e cara. 

XXXVI 

Ni gli poas' io disdir, ni voglio aneota; 
Però vi prego umil, che mi sia dato 
Girne all' albergo mio, dove dimora 
Tolto lo t tuoi che già ro' allendc armato ; 
Ed io spero con lui che 'o eicl s’ adura, 
Pria che sia oell' occaso il di corcalo. 
Vendicar Galealto, t scarco poi 
Alla menta reale esser cun voi. 

XXXVII 

E diecodo coti, fece ritorno 
Ove in ordio lilruova le sue Kblere, 

Ch’ lian le squadre a cavallo fuor dei corno 
E nel meuu spiegate le bandiere; 

Va il tutto ratto viaitando intorno, 

E dicendo a ciascuno; Ogn'uomo spere 
Di fare oggi tal pruova, che sia ditto. 

Che ’l vostro allo valor fu Mmpre invitto. 

xxxvni 

B non stnea cagione al mondo sembri, 
Cb'a voi servata sia la prova estrema, 

E dei buon Galealto vi rimembri, 

L'alma chiara di cni la spoglia è scema, 
Che de' tuoi sanguinosi e 'ncisi membri 
Sol la speransa in voi loca suprema. 

Che la veoJcIta sia così per tempo, 

Che ooo ne rida Avarco lungo tempo. 


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JtXZlK 

Coll d«tlo« rìtom» si loo logglornot 
Ove gisces diileio Gsicsho : 

Il qosl diieoprc e pon le breccia inloroot 
Poi dopo OD gran aoiptr fecoio ed alto 
Gli dice; Aoima eletta, io qoeilo giuroOf 
0 eh' io aarA dal doloroso assalto 
Tcco congìonto io ciel, o che vedrai 
Io altrtii piò, che io noi, lerreslri goai. 

XL 

lodi appella Saotlppo, il soo seodicro, 
Che le sue celesti arme gli appresenla, 
Ofld'ei ratto si roopre, e *n so ’i dcatriero 
Tutto snello e leggier poscia e'avweota. 
Al qoal ragiona: o mio Nilonle altero, 
Non da io te la viriò per oggi spenta, 

Ch’ allò gii il nome Ino per ogni loco, 
Ove del guerreggiar pio ardesse il foco, 
xti 

E ’o questo ultimo di ti risovegoa, 
Qoaoio al mio (lasso), aoai al tao stesso onore 
Fallifti ier, che chi nel mio cor regna 
Lassasti io preda all* altrui rio furore t 
Sì eh' or piò bello oprar coovieo che spegna 
La tea larga vergogna, e 'I mio dolore. 
Riportando di Ini la spoglia opima, 

Che posti D* ha d' ogni miseria io cima* 

«tu 

O t'appresta aoimoso ad esser privo 
Oggi insirme (qoand* io) di questa luce; 
Che* non s’ io tenda mai, elie resti vivo 
Dopo il primo signor soli’ altro dace. 

Coli parlando, e d' ogni iadngio schivo. 
Deli' arme squadra la splendente luce, 
Onde sovra '1 mortai Irato si goda; 

Poi le braecie • la spalla accoglie • snoda, 
xun 

E provo ad eoo ad ua se strìnga, o grave, 
O se ’t molo da lor vegna impedito ; 

Ma il tolto gli è piò acconcio e più soave, 
Che di serico dio drappo ordito ; 

Prende poi l'asta io man sì grosM a grave, 
Che non fa mai guerriero in alcun Ilio, 
Che crollar la potesse, ae non solo 
Ei, che par eoa aveo aoU' altro polo, 
xiiv 

Indi fra* t suoi ai spinga, a* qoali apparse 
Marte, quando piò irato a terra scende. 

Mulla cometa in ciel si lucida arar, 

Qoal essa il di, ch*al soo cimiero splende ; 
Presso all' aurato scodo erano scarse 
Le chiome righe, che I' aurora stenda t 
Pareao l'elmo e l'alir'armc fiamme vere 
Scesce a Ini intorno dalle stalle altere. 

SLT 

Ma Gaveoo, il Re Lago e’Ipio Tristano 
Con gli altri duci poi le genti accoglie; 
Che pareao dagli alberghi uscendo a) piano 
Api. eh' al gran matlin le regie aoglic 
Laisan, quaodo I’ aprii resta sovrano 
Del tempo rio,- che fior novelli c foglie 
Van depredando avare, ovunque iuloruu 
L'almo prato o'I giardm ai nsoaUe adorno. 


«tri 

Poi da'destrfcr perrotsa alta fremeo 
La bassa valle, e la soa nuda arena 
D’argrotalo colore esser perca, 

E d'ardenti faville intorno piena; 

Che siccome la torma il piè movea, 
Sembrava tutta il ciel quando balena 
Piò sovente la notte, onde si vrde 
Ora il chiaro, ora il bron, che 1* aria Sede, 
xtvii 

Né le schiere d' Avareo d'altro lato 
Stanno al muover di quei nel sonoo avvolte, 
Ma per l'onor primiero guadagnalo 
Han piò larghe sperarne in cere accolte ; 
E '1 trionfante Iberno s'era orualo 
Delle chiare armi al gran nemico tolte; 

£ rìdaeendo a’suoi la forma aoiica, 
Salutava ciaMun eoo voce umica, 

XLeiii 

Dicendo: Oggi c quel di, ch'aperto spero, 
Che I* intera viitorìa io noi pervegna, 

Se *1 giovin Lancilotlo irato e fero 
Del miser Galealio a guerra vrgna ; 

Ch'or piò non ave, ond* egli andava altero 
L'arme incantata che securo il legna, 
Siccome gii gii avvenne altra fiala 
Con r aiuto immorlal della soa fata. 

XLTX • 

B cosi ragiooando, ionaosi sprona 
Coo Clodioo, e Broooro, e Palamede, 
Gallioanlc, e Rossaoo, c lolla dona 
La cura a Terrigao degli altri a piede. 

Or gii da tatti i lati s' abbandona, 

Per r altro! guadagnar, la propria sede; 
Sole il gran Lancilotlo il piè ritarda, 

£ dove aggia a ferir, d* interno goarda. 

t 

Qoalc ardito leoo ch'ai prato scorge 
Di cervellc c di damma i vili armenti. 
Che non degna seguirgli e ionaoai porge 
Gli occhi, eh' a maggior preda erano intenti: 
Poi ch'atpro orso,o cinghiai vede che insorge, 
Arma sol contr' a quei gli artigli e i denti, 
E I fianchi percotendosi e la terra 
Coo la actosa coda, muove a guerra ; 

U 

Tale il gran Laoeilolle acceso d* ira, 

E d'ardente desio d'alta veedella, 

S' ei vedesse l’ Iberno gli occhi gira, 

Perchè contr* a lui sol Irovarse aspetta. 

Poi conoscendo io sé, che 'ndaroo mira, 
Né 1 poirìa riveder, tanto era stretta 
La turba che veniva, e tal la polve, 

Che '1 sabbioso scnticr di nube iovoive; 

in 

Or chi polré narrar, tenta l’aita 
Che vien tela da vai, di Giove figlie. 

Il valor sommo, a la virtù gradila 
Di Lanciloiio, e I' alle rorraviglie, 

Che tanti chiari cor privò di vita, 

E fe’ I* onde dell' Euro adre e vermìglie f 
Siale duuque al mio dir sostegno fido, 

Cli’ ei se ne scola aimeo dappresso al grido. 


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L AVARCHIDE 


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AVARCHIDE 


LXtXt 

pc/ rtnpicr del rio le pUride code 
Quella «quadra nemica, eh è iofìiiiU, 

I*uù il (aiiiii»o fuerrier lanpe le «ponde 
Trurare *1 »uo detir la tia spedila: 

Tal ehe l' ira ma^pinr che Uarle infonde, 

A mitehiafte con lei ratio 1* invila; 

K eon ai pr*n romor •’ avventa tri entro, 
C'.b-ei le*t credo, Uenar Pliiloii nel centro. 

LXJHIt 

FerfI r teqne »pomote, e in aria alzarae 
Al prufooda saltar del gran detiriero, 

E la chiareua lor rider caapiarte 
In aepctto per lai Mnguif^o * fero; 

Sta «olio alqaanto, e poi di «opra apparse, 
Come nostro marin pronto e lepgicro : 

E dove trorpe piu le calche airelte, 

Cui ian|BÌnusu brando ivi ai nielle. 

LXXXUI 

Ni per leve foppir, che ’l popol faccia, 
Al ditepnalo fin sccur ricace, 

Ch’ ei, lenza abbandonar l'umida Iraccìa, 
Or Cun qarali or tuo qoei ratto li mesce: 
Qual rapace delfio, che aegua in caccia 
Dopo il lungo diginno il minor pesce, 

Ch’ or rifogge nel porto, or lotto il lasso 
Dello icogito vieto più stretto e bailo. 

LZXIIV 

Tal rifoggendo quei, io I* altra riva 
Cercai! levi posar I' aillilto piede: 

Ma il ferui-e guerrier prima gli arriva, 
4.hc' sien montati alla più asciutta tede, 

E numero culai di vita priva. 

Che con grave dulur, latto, li vede 
Già r Curo nsiscrrltii avere il icno 
Vie più di sangue sitai, che d'onde pirou. 

IZIKV 

E di tanl'anne colmu e di lini* aste, 

Di tanti elmi * di scudi e di destrieri, 

(.he la forza impedita ornai non baile 
Per distender pio il corso a' suoi sentieri: 
Le vaghe Ninfe soc nitide e catte 
l.amrnlaiido fuggir gli assalii feci: 

Ed «s per oots veder, l' erbosa fronte 
Ascuia avea sotto al Ccmenio monte. 

I xtzvi 

Poi ch'ita sfogato alquanto LandIoUo 
Cuntra il popwl laggiù I' avuto sdegno, 
Sopra r asciutta Irrra ricondotto 
In ritrovar J’ Iberno opra l' ingegno, 

E dure i mcD In iiuul fugato e rotto, 
Srurge «io gran cavalier, che mostra segno 
Di nobiltadc insieme e d'alte prove, 

E che 'n vereo di lui correndo muove. 

LXXZVIt 

Prcesi lieto io core, e leco ipcra, 
rii' esser potesse il chiesto Seguranu: 

Poi che gli vide in issan l' insegna altera 
Del icon brun, conosce Dmadano, 

U gli dice: Signor per quella vera 
Virtù dovuta a gian guerriero untano. 

Nou ini negate il dire, ove ur dimora 
Il vostro Scguran, ih'ogui uuoio onora. 


Risponde il cavalìcro in vista acerba t 

10 non san qai, signor, per cura awre 
Qual l«>ro Segiiraa ne rende ci serba. 

Ma per alle spiegar le mie bandiere, 

E per largo punirle, alma superba, 

D’aver percosse le germsnc schiere. 

Qual topo al bmeo le smarrite gregge 
Senza il cane e '1 pailor che le corregge. 

LtZXJX 

Che mentre sn altra parte io slava inteso 
A drizzsr di Cindino il destro eurno, 

Udì Iniitsno il nuilro stuolo olTesn 
D« tirso nuovo giiervier di bisnro adorno r 
E ’t carnmin verso lui volando ho preso, 
Per vendicar de’ miei I' avuto scorno; 

E questo é il Scgiiran, eh' ite eerrsndo, 

11 qual TI fxiostrcrù con questo brando. 

xc 

Itispose Laueiinite: Io non rifinto 
A chi m'invita mai, nnova battaglia: 

Ma ben di Segurano avrei voluto 
Piò tosto che dì Voi, tentar la maglia: 
(die di voi nullo oltraggio -h» ricevoto. 

Ma d« lui lai, che nullo gli «'agguaglia: 
Or i' ci vi piace por, facciasi presio 
Che *1 soverchio indugiar saria molcslu. 
xci 

Coti detto, alza il brando e dallo scodo 
I.' oscuro suo leon per terra getta. 

E 'I forte Dinadsn di quello ignudo 
Pen^a di tosto far larga vendetta: 

E di colpo qual pnò p ù acerbo e crudo 
Nel locid' elmo il fere, che saetta 
Faville tante, che d' ardente foco 
Fece intorno avvampare il vicin loco. 

xcit 

Ma bisogna altro colpo che mortale, 

O che di Dinadan la forza passe 
Prr fare a Laocilollo si gran male, 

('.he pnr la fronte alquanto se a'shbss*e: 
La spada indietro rimonlando saie, 

(^uasì che 'i duro p^irfido loerasse: 

Ha ‘1 figliool del re Bano il rìperciiule, 

Ove di snudo avea le «palle vule. 

xati 

E't trova a un ponto in qoel mede imo nodo, 
Ove il braceiu era all'iimero rummrssn : 

E 't getta in terra io quello istesso mudo, 
Che snol ramo di faggio o di cipresso 
Il pailor che vuol far selvaggio ch odo 
Per la maodra dubbiosa, che sia presso 
Del bosco folto o delle alpestri rupi, 

Ove insìdie maggior tcndauo i lupi, 
zeiv 

Tale il sinistro braccio ri disciolse 
Dal famoso garrrirro e *n basso cade, 

E tra le arene misero «'avvalse, 

E del sangue die versa empieo le «iride i 
naddoppia il colpo Lanciiullo c 'I cube 
In luco onde cosvien che a morte vide, 
(tve appunto la lesta al rullu aisiede, 

E del suo giao dcslrier la pose al piede: 


L AVARCniUE 




ICV 


cn 

R (e' dèùlro al terreo ^fnoda alampa, 


Poi mrge in piede e le nodote braccia 

Qnal Faro toni che '1 popol rio ripOM 


Ambe io giro menando, quanti arriva. 

Sovr' alta torre a far netlarna lampa 


O lalrindu feriti a terra caccia. 

Al ■ocebier «lobbìo alle >laf;ioai ombrane: 


O morti Mende alla nevota riva : 

Che '1 (uly>ore cnidcl che ‘1 cielo arvanipa» 


Salvo i aul chi lo icampo *i prneacria 

Col poHcnle forore in baino p«>ie 


Col ratio corto e l'altra gregee priva 

Dalla parta contraria alle ialt'onde, 


Rirnan di spirto ed ci rabbioso m vuia 

Cbe nel lilo arcooau il meuo aieoade. 


Conira a chi ti foggia rogge e a'auriata* 

xcvf 


citi 

Come il vede cader, chiamando i' soai 


fiot'i il figlio di Bao, poi eh' ha lamio 

Laoeilotio dicea : niletlt amici. 


L' arme (fugar de' mitcri germani. 

Di riportar pon|ih' io la cara in voi 


Il tuo diremo potere ha riversato 

Colini, con qnanli avrò duci nemici 


la eisi ad ano ad no, cit’ ha men lontani. 

Condoni a morie, al padi|;lion di noi 


Parano il primo fu, ch'egli ha trovato, 

Con tulle l'arme a ciò ci»e 1' infelici 


Che gii, rotta la lancia, ad ambe mani 

Eticqaie aian di lai gucrner untale. 


Alaa'l braoJo a ferir; ma pria rh* abbaile. 

E di chiare TCiulcUe aì morti graie. 


F'co le voglie ch'avea di (urxa catte; 

RCmi 


CIV 

Risponde un ano acndier, chiamato Elcao 


Ch'nna poota gli potè, ove le cotte 

Non ha ’l voUro deair volo iT clFrllo ; 


Dan curvale tu ‘1 petto al venire loco; 

E di qnaitrn de'iooi l'ha pollo io te no, 


L’ eterne nubi alle tue bici imposte 

Che a»MÌ lotto il portaro, ove pii ha dello. 


Fura, e tpenlo nel cor lo tpirto e ’l foco; 

Ma il cavalicro ereioio, il piu Oromeno» 


Ellero poi, che di Clodaito 1' otte 

Vedendo aliar con doloroio affetto 


Con quei di Sleaia railumò non poco, 

Morire il boon vicino, il Caio rio 


Trova il tecondo, e '1 parie dal cimiero 

Di vendicar, potendo, uvea detiut 


Infin dov'egli inforca il tuo deitriero. 

xceiii 


c» 

Ha perche non ha ipeme, mcndo solo 


Dmmeno i il terxo, che degli altri dorè 

Di poter cooiratlare a forca tale, 


Fu in questo aiiallo, e con più ardir li move; • 

Eotcrn, e ’l tuo Faran con largo itooln 


Ma neiritletta forma etto rondiire. 

Del MIO corno german che In arme vale, 


Nè gli giovar con Ini rantiche peovc ; 

Chiamando dice t Ora iproniajno a volo 


tihc Laneilolto alla tioitlra luce 

Sovr’ a qoeito crudcl che i Dutlri aitale 


Gli mite il brando a patta, ove riirove 

In COI ilran furor che par eh* e* voglia 


Della memoria il leggio, onde patito 

Sol di noi riparlar trioufo e tpoglia. 


Tiiiln, avanti al morir, d' eterno obbtio. i 

xctx 


evi 

Or Icviamto di terra e tì drmottre. 


Sovra gli altri da poi stende la mano 

Ch'anfo nudre «irla 1* Albi e Yiiera, 


L'ardito Lanciiutlo, infiu cb* egli ave 

Che lunge inoodan le campagne noiire 


Tulio il drappello ornai verulo al piano. 

Non men ch*or facciao qui la Senna c l’Era; 


F'nor solo alcun che rifuggendo pavé. 

E te la lancia mia eoo 1' altre voatre 


E '1 tuo fidalo Eleno a mano a roauo 

Audandn vcrto un toi non avrò intera 


F'a la schiera che '1 tcgue inloruo grave 

La gloria, aitai ne «ia 1’ avere tpenlo 


Del peto di c>aicuD, ch’ivi era duce, 

(^tii timbra oggi di noi morte c apaveata» 


Ch'aJ padigliou cun gli altri gli conduce. 

c 


ceti 

. In colai ragionar too gìnali iniieme 


Ma il falso Arvio, che quelli in gnerra aera 

Venti chiarì goerrier ch'unili vanno 


Nati, ove alla Pomeria é il mare aggiunto, 

Conira il gran Laneilolto, e eiaicun preme, 


Dall' aspra torte de* compagni e rea 

O di lancia, o di brando a murlal danno; 


Di dovuto dolor l'alma compunto, 

Ma non crollao le membra, o l'alma teme 


Ove il Qobil Brunoro comballea 

Del frro Gallo ai colpi che gli danno ; 


Col ponente Triilao, volando è giualo. 

Che di valor fornito, e d’alta ipene 


E gli dice: Il protervo Lancitulio 

Con magnaniiiio ardir tallo aoatiene. 


Ha il corno, ove noi temo, a bo condotto. 

CI 


CVIU 

Siccome orto talor neH’Alpe mole* 


Egli ha, chiaro lignorc, il fralel voatro. 

Se di mai mattini ha ackiera intoroo, 


L' altero Dioadan, sospinto a morte. 

Che mentre qneato e quel ferir lo voole« 


II quale in vau conira l'orrendo mostro 

Fa più a te, eh' al nemico, oltraggio c Komo, 


Si vide più ch'alirovr, ardilo c forte; 

E di offendere in van ti lagna e duole 


Ma oè'l tuo gran valor nè l’altro uoatro 

L* itpidu vcl d’ogni lorteaa adorno; 


Più revcrilo atuol, eh' ivi era a torte, 

Ned ci ti muove pria che veggia tutto 


Polco ben rinluxsar dì lui la rabbia, 

HiitrcUn il cerebio in nn con poco frallo; 


Ch'ha di spirto inferoal le futche labbia. 


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L A VARCHIDE 




CXXUl 

£ gli vita lovra r«lo»o che aoo dora 
Più eh* a grave martcl vetro ben frale; 
Partegli il capo, e fino alla cintura 
Sette tquarciaodo il ferro atpro e mortale; 


Di tangne atperia e d* atra naba oeeora 
L'anima diipcrata aperm l'ale, 

£ del regno tartareo volò in teao 
Lauaoito aperto il carcera terreno. 



CANTO XXIII 



ARGOMENTO 

ó BrumaàoMio a Palamede av%»i$o 
Che Lamctloito tanta etrage apporta i 
Quegli i<* occorre e pugna e retta «icciro 
Con Brunadasso oncor, che gli era scorta. 
Clodattn intanto dalla torre assiso 
Ifira la gente faggitifo e morta 
Ita LancUatto, e il tuo /Igliuolo htesso 
Da quello estintOy e Segurano appresso. 


T » , 

1 eubito cader dì tì gran dace, 
r.h' era d’cgniytoo ben la prima tpeme. 
Nei germanici cor tal tema induce 
Che per lotto fuggir l‘ un T altro preme, 
Ciaacou con ratio piè ù riconduce. 

Ove vedea de' tuoi più geate iniieme, 

E ch’appiria la atrada più ticora. 

Per gir d' Avarco alle bramale murai* 

II 

Ha in qnella arriva il fero Brnoadatto, 
Ch* avra leco t guerrieri, ove Eoo e Lieo 
S' acrompagua con 1' Utro e leeude io batto 
Ove il Reaio terrea più viene aprico; 

E con gran cura il fuggitivo patio 
Dì quel popol vicino e dolce amico, 

D' arreilar, cerca c lutto andava in vano, 
Ch’ei tciu' altro atcollar giva loolauo. 

ut 

Nè potendo altro far, rivolge tl piede 
Ove noo lunge a Ini dal destro lato 
Conira il re Lago il nobil Palamede 
In intricata guerra avea lattalo; 

Quinci, e qnindì tpronò tanto ebe i vede, 
E 'n parlar batto a lutti allri celalo 
Ditte : O gran re degli Cbridl, noi temo 
Senta il VOI Uro toccorto al punto etiremo* 


IV 

Morto è Fanno, Etiero e'I tuo Drumeno, 
E '1 peggio è Dioadan potcìa e Brunoro 
Dal crudo LaacìlaUo che '1 terreno 
Ha bagnalo por or del taogue loro, 

E già topra i German trionfa a pieno. 
Qual tovra le giovenche, eh* hao del toro 
Già tmarrila la guardia e del patlore, 
Sfoga il lopo famelico il furore. 

V 

£ perù, te di noi punto vi cale, 

Del uotlro Segorano c di Clodino, 

Venite a dar riparo all’ aspro male, 

Ch* al mortai nostro danno è già vicino. 
Grave e nuìoto duol I' Ebridn aitale, 
L'altrui biatmandu e '1 proprio tuo dettino, 
£ rìman dobbìo alquanto, t' egli sproni 
Ver Laociloilo e i tuoi quivi abbandoni ; 

VI 

O le pnr tegoa l'opra, ove ha speranza 
Danneggiare il re Lago e ’l figlio Eretto, 
Ma il penticr che d'naor quel primo avanza, 
Scaldò il cor Dell'animotu petto, 

K di poter gli reca àlta baldanza 
Riportar la vittoria al fin perfcito, 

Se Landiotio tpegne : che sol era 
Degli avversari lor la luce intera. 

VII 

Coti fermo in tra te, Safaro il (rate, 

Che non lunge era a lui, chiama in ditparle, 
F. gli dice: Or il tutto riguardate, 

Che sia beu provveduto iu ogni parie, 
Mentre ch'io vo dove ha rotte e fugate 
Le nostre genti ed ha per terra sparto 
Le Germaniche iuiegne LancMolio, 

£ eoa molti Brunoro a morte iodotlo. 
vili 

Tremo tutto nel core il pio Germano, 
Quando udin del guerner la dura impresa, 
E risponde : A me par, eh' adopre in vanu, 
Chi te abbandona per 1* altrui difesa; 

E chi più che 'I tuo ilctto ama lo tirano, 
Cariude ha di Iurta fiamma acrcta; 

Volete voi lassar per altrui scorno 
Senza il suo proprio duce il vostro corno? 


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tx 

Ed or, rhe in tniii rrrt» TÌtlorla 

Già tirali Orratli avrte e di Oavrno , 

Prr diiLbiota, daenota e vana |;loria 
I.a volrle lattar nril' allroi amo ? 

Qnanto »ia lun^a r rhiara la mrmoria 
Nrl paino notirn e nolólr trrrrno. 

Quando taran Ebridi ir toiflia 

Degli Orcadi vicio cardie di apoglie f 

X 

Come fia pili gran toon del notlro nome, 
Cile d* aver vinto >nl di Bann il figlio? 

K d'infiniti aver le forze dome. 

Clic del aaogtic d' un *olo rtwr verniixlio? 
Per <]nrlli ornale arreni I* Ebridi rhìoine 
Dal Britanniro fior, dal Franro giglio, 
Abbattendo color che *o tn la rima 
Tien di valore tI mondo c invilii esdma ; 

XI 

Hofi per aver nccito nn gaerrter aoto 
Di furor più ripirn che «li virtiide. 

Giovine e traporlatn d'allo duolo, 

r.hr del morto compagno in ioi ai rhrnde; 

Prenda il votlro Hetio piò altero volo; 

rerrli! il votlro affannar piti degna inciiilei 

E la spada famota in ogni terra 

Sia poiU in opra a piò lodata guerra. 

xn 

11 frro Ehridn allor che 'ntrnde e vede, 
Che'i timor eh* Ila di lui, muove il ano dire, 
Ritpnnde irato t Or dniit|ne a Palamede, 
r.lie ili portar due spade ba »olo ardire, 
Fallirà I' allo ror, la mano c 'I piede 
Dell’ nna e I* altra impresa oggi fornirr, 

D' urcidff presto e d’ etnrr presto poi 
A diatmgger qui Lago e tatti i tuoi? 

xtii 

Rimanete pur voi, prendendo cara 
A* biaogni più gravi, io fin rh* io rieda 
Da trarre il notlro pnpol ilÌ paura, 
r.he d’ un >ol cavaliero é fatto pregia; 
Mostrando altrui, come a virtù matura 
Il giovinii furor pirgando eeda, 

K gran fiamma elle vìen da juecini fisco, 
AI tempestoso cìel cunlraste poco. 

XIV 

Coaì detto ai parte e ‘i fralel lassa 
Pien di dubbio didor di tale impresa | 

F. col Suo Brunadasso oltra trapassa, 

Uve il ligi io di Ban fa grave offesa 
Alla gente d* Avarco in guisa lassa, 

Che posta ha nel fuggire ogni difesa, 
Mentr'ei volgendo a questa e a quella maun 
L’ odiato Segorao ricerca in vano. 

XV 

E mirando, vicio vede a Ini farse 
L'altera coppia che spnmando viene | 

C.h* ai primo riguardar degna gl* parte, 
Che d'esterl'un de' doni gli accenda spelte; 
E di sì gran de*ir nell’ animo arse, 

C.hr d' alquanto aspettargli nun soiliene, 
Ma iiicunira spinge il ran<lido eor«iem, 
I^Mandu a lui del frrn I* arbitrìu intero. 


XVI 

Ma poi che pìn s'appressa e bianco e bmno 
In quadri minniissìini distiulo 
Scorge lo scudo in allo, sa che l'uno 
Sia Palamede che ne viene accinto { 

E di due spade, onde mai fit nessuno, 
Sopra il sinistro fianco ìt vede cinto: 

Dell' altro il cancro aurato in negra sede, 
Che Brunadasso sia gli ba fatto fede. 

XVII 

In guisa di levrìer resta smarrito. 

Che da Innge venir damma n cervetta 
Seco itiiiiaadu, per 1* erboso Iito 
Or si fa iurmilro ed or nascoso aspetta ; 
Che sdegna in se de! suo pender fallilo, 
Poi rhe vide eli’ ei fu correndo in fretta, 
Un corntilo raonton, che a quella strada 
0’ alcun lupo vicìn dubbioso vada. 

XVJII 

Tale avnene al guerrier, da poi ch*c certo, 
Che 'I ricercato Iberno ivi non sia, 

E ragiona in snu core: br reggia aperto, 
QiiaiiUi ho ne' miei desir la sorte ria; 

Clic mi fare il senlìer sassoso ed erto, 

Cir ad altrui piano e dolce diverria. 

Dì ritrovar cstluì, rhe in ogni loco 
Suol non menu apparir, di' all' ombra il foco. 

XIX 

E *n lai dori pen«ìrr la coppia trova, 

A mi parla : Signor, le vostre insegne 
Conosco lo l>cn. die mille volte in prova 
Qiiant* altre mal d’onor le vidi degne; 

Né con lor cereberei battaglia nuova : 

Ma se le voci mie non sono indegor, 

Dì mustraniii il rsmmin vi pregherei 
Da 'nconlrar Srguran, cb' io sol vorrei. 

XX 

Ma il ferocissimo Ebrido, che vuole 
Di Lancibitio il di la palma avere, 
Uisponde alle cortesi uie parole : 

Liiuce è mollo di qui con Ir sue «rliirre, 
E troppo in bavso ornai cadrebbe il sole, 
Pria che 'I poteste in oaìo rivedere. 

Ma per non trapassar quest' ora in vano. 
Armale in vece sua ver me la uiaiio. 

XXI 

E rosi detto, il brando eh* alto avea, 
.S<ipra la lesta srarca a Lanrìlutlo 
Sì, di' ngn* altro guerriero a morte rea 
Con l'infinita forza avria condotto; 

Ma r intrepido cor che ’n sen lenea 
1/ offeso cavalier, non resta sotto 
Il grave peso estinto, ma s‘ arrende 
Qual fiaiBina al vento, ove il vigur ripreade. 

XXII 

E dice lutto irato : Io non pensai 
Da lì chiaro guerrier ricever qneslo; 

Nè che 'I cortese aflìelto. eh' io mostrai, 

A si gran cavalier fosse molesto : 

Ha il elei chiude la vista a cui dar goai 
Dispone, e gli apparecchia aspro e funesto 
Fine al viver mortai, come a vui fare, 

Poi che '1 torto adoprac meco vì piace. 


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L A.V A tt e II IDE 


E *n qaetU allo U fronte gU percuote, 
Ove prima etto lui oel proprio loco, 

E pii fece tremare ambe le eote, 

E pii occhi empieo di sfavillante fuco; 
Fiir le parli miglior di furia vote, 

E che i sensi sniarrisaer maocù poco ; 

Pur deli* elmn il valore, e 1 rore ìovillo 
Il piegante vigor sostrooc dritto. 


Or già del ano destrier disceso è in terra 
Il cliiaru Lancilutto, c ’n pace atleude; 
Mentre che dal gran fascio, che V alterca 
Si dtscarca il nemico, e ’o dubbio prende; 
Ma intanto Bruoadasso della guerra 
Dal cumpagno inlcnncssa il carco prende} 
E ben cir a piede il Franco si rìtrtiove, 

11 corsiero spronando in esso moove. 


E più saldo che mai, di punta il ftede, 
Ove srudo non ha, dal destro lalo, 
Dicendo : Discnrlcse Palamede 
la alcuno atto suo non fu trovai», 

Né ascosamente a voi percossa diede. 

Poi che vi ritrovò sul rampo armalo, 

Ove adoprar convìrn la mano e'I brando. 
Non andar altre fole raccoiilaudu. 


No *l teme il gran gucrrter, ma fermo aspetta 
Infio che sopra lei se ‘1 vede accorso ; 

Nel destro lai» poi leve si getta, 

E con la manca man gli prende il tiiors<> ; 
Nè gli giova il volar, come saetta. 

Che mal grado di lui finisce il carso ; 

£ volto è io Lai furor, poi che s’arresta, 
Qi*ove le groppe area, toma la lesta. 


Tacesi Lancìlotio, e I* ira ascondr, 

Che ‘I parlare c 'I ferir gii Ita do{>pia arreso : 
Che quanto fosse unquauco stalo altronde. 
Si senti il destro iato essere offeso. 

Ha qusi leva Nelliiuno in allo 1’ onde, 

Che nell' aperto Egeo rabbioso peso 
Del sufliar d'aqiiilon nel verno sente. 

Tal di sdegno al gucrricr bollia la mente* 


lodi con r altra maao il buon gnerriero 
llipusio il brando pria, di Brunadasso 
Siringe il braccio stnislru, e del destriero 
Senza rimedio avere il lira al basso; 

E sopra l' arenoso aspro sentiero 

Là, dove ci giacque abltandonalo e lasso, 

Ritratta fuor la spada al collo il (ere, 

A cui lontano il capo feo cadere. 


E presta al vendicar cala la spada, 

Che gli venne a ferir «opra lo scudit. 

Di cui roti vico clic alrinia parte vada 
Volando a terra, e di sé il lasse ignudo ; 
K pattando per quel si face strada 
Nell' omer rh'ei copriva, e ’l ferro crollo 
Squarcia t’alirc armcappresso,e tanto serode. 
Che i nervi, eh* ivi son, non poco uiì'code* 
XXV ri 

Nè smarrito è però 1* EbriJo altero, 

Cile con piò grande ardir ritorna a guerra: 
Ma il possente Nifonte al suo corsiero 
La destra orecchia con la bocca afferra, 

E crollando la fronte inw|uo e fero. 

Come rabbioso can T affligge e serra, 

£ eli dà tal dolore c 1 ticn si basso 
Ctr ci nuo s' arrischia sol muover il passo. 


Già il fi-ro Palamede io pJè risorto 
Parte del breve assalto avea vediilu. 

Ma come cavalier cortese e accorto 
Non sostenne al bisogno dargli aiutti t 
Che piu tosto il compagno rosi morto 
Volse, che I’ onor suo veder perduto. 
Scado due contro ad uno, ultra ch'egli ave 
Di tal guerra con lui disdeguo grave. 

XXXIV 

£ con delti nmilissìmi si scusa. 
Dicendo: L'altrui culpa in me non veglia 
Nel cui bacii cor nulla vìllade é chiusa, 

E la cui man nun fé* mai rosa indegna ; 
Se nel suo stran paese questo s* usa, 

Sìa del fallir la penileuaa degna. 

Che chi assale il uemico io siini l sorte 
Nuo merla puniaiuu uiiuur che iBurlc. 


Disposto pore in se da Ini diicior'O 
In qual guisa mro rea disreroer puvir, 
Cotale adopra alfm, che si disinorsr. 

Ma sema urectliia avere iodi si scuole, 

£ levatosi in allo, tanto scorse 
Tirato dal furor, che poi percuote 
Riversandosi indietro su 1' arena, 

Con grave del signor periglio e pena. 

^ XXIX 

S* aggiunge or nuovo alla primiera piaga 
Colpo da non sprezzar sopra la lesta ; 

Né per questo anco il suo valor sì smaga, 
Né pensa al dolor doppio che il molesta ; 
Ma piò clic fosse mai, lutto s' iudraga, 

£ si rivolge in quella parte, e ’o questa. 
Tal che moie il buuu animo e ’l citi volse, 
Dal caduto cavai tosto si sciolse. 


Lancilotio cortese gli rispose : 

Non può il fallir di lui macchiare io parie 
Dei vostro allo vslor Copre famose 
Al quale in tal favore aspira Marie. 

(jiii linilo il parlar, ciascun ripose 
AH* assalto novri la forza c l'arte; 
Ciascun dal collo già lo scudo ha tolto, 

£ I suo braccio siuìstro in esso acc-ullo; 

XXKVt 

E s' accuurìa al ferire ; e fu il primiero 
L' Ebridu, che di punta in mezzo il petto 
Drizza all' allo avversario uii colpo fero. 
Che se'l ferro finissimo c perfetto. 

Cui di tempra iinmortal gli spirti fero 
Era iiscn saldo allora, allo sospellu 
Aver potea ciascun di LaticiloUu, 

Ch all estremu suo di fosse cundollo. 


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xxxvn 

M* r|aal crudo leon, quando •! Mola 
Dal rozzo orao im|Ma|[ar più, che non aoglia, 
Che idegnofo c rabbiuio oe dircnta, 

E d'ira micidiale arma la voglia; 

Poi doppiato il furor, ratto l'avvenla 
Di morir fermo, o riportarne tpoglia, 

E rnggendo’ e fremendo fa temere 
(guanti il ponoo ivi udire oomiai e fere. 

XXXViU 

Tale il figlio onorato del re Sano 
Tulio d'ira iofiamniato a lui li getta, 
Gridando: Tronchi il ciel la pigra mano, 
Se dei aoitro dulor non fa Tendella; 

E percuote il guerriero, e non io vaun, 

Nel braccio, onde ietiea la fpada atrella t 
Che fé* piaga* profonda, ma non tate, 

Che '1 danno, che ne vicu, gli aia mortale. 

xxsix 

Opra ben al, che *1 brando che non era 
Come iolea, di valida catena 
(ioDgiunto al braccio, la percoaia fera 
Scorrer fa da luntan sopra l’ arena; 

Ua quella alma onorala, inrilla, altera, 

Che non cura periglio o Mntc pena, 
Impedito, qual è, 1* altro riprende. 

Che d' un' altra cìuUira al collo pende; 

XL 

E gli viene a cader so 'I lato manco. 

Più allo alquanto, ove impedir non puute 
Quella che vieti più bassa sotto il fianco; 
E dell'albergo suo ratto lo scuole ; 

Indi senza mostrarse amido o stanco, 

Più che mai l’ avversario suo percuote; 

Ma '1 Colpo, cite sceodea dritto alla lesta, 
Dallo scudo iolcrrotto in alto resta. 

XU 

E fu tale il furore, ond' egli scese. 

Che non ebbe a suoi di simile assalto; 

E quanto il taglio fulminando pre*e. 

Che fu il terzu di lui, ne cadde d allo; 

E Lancilottu a più spietate offese 
Armalo ha il nuhii cor di crudo smalto, 

K per dar fine alla dubbiosa guerra, 

Vie più slrelio, che mai con lui si serra. 

xui 

E senza altra di se cura tenere 
Raddoppia i colpi, e non s' arresta mai ; 

Or sopra 1' cinin, or nella spalla il fere, 

Or fa al braccio sentir nuovi altri guai ; 
Non s' abbandona quel, quantunque iulere 
Nuli aggi! il miserei le forze ornai, 

Perche I braccio ha pur frale, e 'n più d'iin loco 
Scale il saugiie versarse a poco a poco. 

XUII 

E Lanrilotio alfin di cruda punta 
Gli ha drizzala la spada nella gola ; 

Cdi' uve gli spirlì van, vihraudo spnntZf 
Per formar Ira le lahhra la parola. 

All estremo cunfiii l'anima giunta 
Trista c rabbiosa in altra parte vola, 

Libera in tulio del rorporro nudo, 

Che a terra scorse in miserabd modo. 


xtiv 

Tosto che '1 vide steso LanciloUo, 

Del suo fero destio mosso a pleiade 
Seco si diiol d' avere a tale indotto 
Un dei miglior guerrier di quella elade ; 
E per chiaro saver, se 'I fil gli ha rotto 
La parca ria, dall' arenose strade 
Aiutato da'sooi l' innalza e scioglie 
L'elmo d' intorno e dalb fronte il toglie. 

XI.V 

lodi, che scorge pnr pallido il volto. 

Le labbra estere eiangoi, e gii oerhi attorti, 
Dice qnatt piangendo: O mondo stolto, 
Che 'ngaoni ancor quei, che più sieno accorti 
Oggi é di vita parimente sciolto 
Il fior dei cavalieri ardili e forti, 

Come il più vii soo servo, o« gli valse 
L'alta virtù di cui sola gli calse. 

XLVI 

E così ragionando EIen richiama, 

E gli dice : Or si porti al padiglione 
Fra molti anco costui, che d' alla fama 
Di preporsi ad ogni altro è beo ragioae, 
Cno Brunadasso : e qnci, come-chi brama 
D'obbedire al itgoor, tosto ripone 
Sopra gli omer di molti il doppio incarco, 
Che '1 portar tosto al comandato varco. 

XLVti 

Il chiaro Lanciiollo sa *1 deslriem, 

Che gli presenta appresso, riniooiato, 

Più che fosse ancor mai gravoso e fero, 

A ricercar l' Iberno torna irato; 

E seco si dolca dentro al pensiero 
Delle palme, onde allor giva onorato, 
Diecnilo : Or fia però qnesla mia mano 

10 ogni altro erotici, che 'n Segoraoo f 

XLVttI 

E eh' uccìsi aggia ornai colasti ansici, 

E si gran cavalicr di sommo onore, 

C.h' io bramava vedere alti e felici, 

E che cari mi fur quanto il mio core ì 
E questa sol per tutte le pendici, 

Ov'or m'avvolga il mio fallace errore, 
Non possa ritrovare io alcun loco, 

Tal prende s mici desir Fortuna io gioco f 

XLIX 

E 'n tate immaginare il cammìn prende, 
Ove fuggia ciasruo, verso le mura. 

Or già Ciodiii «la Buslarino intende 
DrII EbriJo reltor U iiiorte dura, 

11 qual gli dice: Or sovra noi disientle, 

Se 1 riel non ha di ciò piti larga cura, 
Fortuna in tutto l‘ ultìnia ruina, 

Clic minacciosa ornai ratta s' iuchioa. 

L 

Morto è il gran Brunadasso, e morto ancora 
Ch'a gli stessi occhi miei do fede a pena. 
Quel, che dd vecchio Atlante e dell' aurora 
(.tascnoa riva del suo nome ha piena, 
L'altero Palamede, che 'n brev'ora 
Vid' io, lasso, disteso su T arena 
Dal crudo Lancilutio, in guisa tale, 

Ch è dal fero leone aspro cinghiale. 


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l’ AVARCHIDE 




u 

Nc pria Bmaoro e DioAtlaao 

Coa molli altri famoti ca?alieri, 

(>hr raniru al mui poter cortero in easu, 
Rapnar di «aagiie f;li aridi sentieri t 
Tal rlie sol resta Ì1 noUil Septiraao, 
r.h' ornai non so quel che SÌ fareia o speri, 
E eoi tumino sip;aor, dal qnale aspetta 
SaluU il vivo, e dii mori vendetta^ 

LVUI 

A voi dieder te stelle oro e terreno, 

E 'n dorali capei cannto senno, 

£ gran forM c valor, ma cerio meno, 
Ch‘a Cancilolto e Segoran non denno. 

Or ciascun con la grazia, ond* egli è pieno, 
Segua il rammin che gii ns'jstrò col cenno 
Il ciclo al suo venir; non quel ch’altrui 
Apeflisiimo è dato, e chioso a lui. 

Ul 

Nè vi convien tardar rhe lo spieCalo 
Della fngace turba tanti atterra, 

Che n* è rolna la valle io ogni lato 
Si, che '1 volto è oasrofO della terra t 
£ cfii pnole scampare, inda eh* entrato 
Non sia nel cerrhiu, ciie la villa serra, 
Seruro non si tiene, onde là entro 
Pianto è maggior, che nel Tartareo ccatro. 

IIZ 

Pria eh* ora esporvi alla dubbiosa impresa 
(Se vi cal del fidalo mìo consiglio) 
Dovreste presso aver salda difesa 
Di Segarano in si mortai periglio, 

Che sia posseulc scudo all' aspra ufTesa, 
Che far vi po«ia del re Bano il figlio; 
Che *1 valor di «lue tali aggìtinlo insieme 
Può *1 furore aCrcnar che tutti preme. 

un 

Aneollaodulo attento il giuvioetio, 
r.h* olirà il poter nmano ode novelle, 
Timor, duolo e pietà gli iogopsbra il petto, 
E li lagna oel ror dell' aspre stelle | 

Pur per non dare a* suoi certo sospetto, 
Che le vaglie d'ardire aggia ruballc, 

Con voce alla rispoade: Non si poole 
Contrario andare alle celesti rote. 

f.z 

Gli rìspontir Clodin : Grazie vi rendo 
Dei buon saggi ricor«li r dell' amore, 

Ch* esser di ine per lunga prova intendo 
Ora, e molti anni pria nel vostro core, 
E tolto iu grailo dolcemente premln 
Il vostro ragionar; quantunque fuore 
Del dritto «la, poi che 'n si larga sorte 
Laiidlolto di me stima più forte. 

LIV 

A cui poi ehe citi piace, a noi ronvieiie 
Del lor volere a so (Te rena* armane, 

E nel presente aver 1’ alme ripiene 
D'alto e chiaro desio di vendiearse, 

E rivestire il sen dì certa spene, 

Ch' oggi non sien le nostre forze scarse 
Più che fosacro ier, nè ehe d' uu solo 
Meo vaglia un tanto e si onoralo stuolo. 

tsi 

. E vi prometto qui, che lutto Solo 

Lni, dovunque iu '1 ritrovi, assalir voglio, 
In mezzo ancor del suo Crancetro stuolo; 
£ qual nave, che carra orrido scoglio 
Trove, dall' aqiiiloo sospìnta a volo. 

Tulio il fan't loruare; c pur mi doglio. 
Che '1 cugin suo Boitrle c Lionello 
Non sema seco, e lutto il loro ostello. 

I.V 

Or nsoviam lieti adunque a ritrovare 
<juel, cui più che virtù, fortoaa aita 
E così dello, snbilo ehiatuare 
Fa eh' a lui vegna, dal famoso Ortrila, 

Agrogern rrudrl , quel che dai mare ^ 

Di Iterliona ha la genie intorno nnita: | 

Al «|iul giunto gli dice: Or di voi da. 

Mentre io sarò lostao, la vece snia. 

SUI 

Or prendete pur qui la cura inUra 
Di teuer salda e stretta qnesta gente. 

Cosi parlando, irato e ’n vista altera 
Bivujge e sprona il suo corsier posscnie; 
Ma Terrigaiio il granile, e lunga schiera 
De’ maggiori e miglior, che all' alma sente 
Del suo gir coalro a tal leiuenza grave, 
Pur mal grado di lui seguito l'ave. 

I.VI 

Ch a me forza è di gire ove gran danno 
Il crudo Lanciotto ai nostri face. 

Con securo sperar, che il breve alTaoao 
Tosto rivolgercfno in lunga pace. 

L* altro, eh' è de' primier, che mollo saouo 
Per prova e per etade, allor non tace, 

£ gli dice : Siguor, lodo ogni impresa. 
Pur eh' al pubblico bea venga in difesa. 

tZHI 

Vaauo ultra ratti, e Buslarin gli scorge 
Lungo il cammiu d' Avarco, ove 1* Oroiie 
Su la man destra il lento corso porge 
Di destiicr morti colmo e di persone ; 

Né molto vao, che già virin si scorge, 
Che del lor ivi andare era cagione 
11 chiaro Lanrilotto, io mezzo ciiIraU» 

Del popolo infelice e sconsolato. 

LVIt 

Ha come al mio gran re sommo e sovrano 
Vi dirò ancor, ch'egeal 1' esperienza 
Non avete al gran figlio del re Bano, 

Né di forza alla sua pare ecceUciisa ; 

(•he quel che nulla cosa adopra in vano, 
Giiikio coinparle alla mortai semenza 
Le virtù rare, e mai per nulla etatc 
Furo in un petto sol lutto adunate. 

tXiV 

Quando il mira Cl«>dia, che proprio appare 
L* accorto mictilor, che '1 verde fieno 
Fa nell' aprii disteso riversare 
Con la falce mortai de' prati io seno; 

Q«icl vedea morto, e quel ferito andare 
Dal brando micidial sovra ’l terreno, 

Nè i miser contrastare a morte acerba 
Più che faccia al V'Ilaa la spiga o t'crha : 




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l’ avarchide 




— ^ 


Si f* Dfl volto pallido e «rmarrìlo, 
r.ir olirà opot crciirr *uo 1« |m)vr vrde} 

£ pià drntrn al pnt»icr r^^la pentito 
Drl vrndirarr il morto Palamrdo; 

Ma l’onorr e '1 dovere il rende ardilo 
Sì, rite por verso lai mnnve anco it piede, 
Ma in si raneiata forma, rh' appario 
Più freddo ia parte il caldo tao desio. 

I.XVf 

Qoale it pSoviae alan, rhe '1 rabido orso 
Srorpe da^li alti colli entro alla valle, 
r.hr’n ver Itti quanto può si sprona al corso 
Per più dritto, spedilo e breve ralle j 
Cl«e poi rhe vede oprar I' artiplio e '1 morso 
Or nel rapo, or nel pelln, or nelle spalle 
Depli altri inoi compagni, volentieri 
Prenderebbe al tornar nuovi sentieri; 

l-XVti 

Ma lo stormo de* molti, e Palle grida, 
£ *I voler giiivinii gli porge ardire 
Tal, che più d’altro semptire s' alftda 
Senxa riguardo aleno quello assalire; 

Il qual lunge Irovandol d* ogni guida, 
finde possa a Imon porto rìnscire, 

Con le gravi unghie nella tempia il fere, 
£ latrando lontano il fa cadere. 

f.xvrii 

Tale al miser C.lmiino allora avvenne, 
Poi eh’ al cerio periglio era eondoUo; 

Ma pur dritto il cammin correndo tenne, 
Ove i molli abbatteva LanrtloHot 
E d’Avarrn vlein tanto pervenne, 

C.h* alla porla e la torre era già sotto 
Ove con molli il rnUero Clodaiso 
Tulio seernea, rhe si faceva in basso. 

ixix 

E eoo amere lagrime piange» 

Con quanti ivi ha ron Ini, per la pietade 
Di quei rh* a morte gir, lassi, vedrà 
Di sangue empiendo I’ arenose strade ; 

£ qn»«i a se medesmn duo credea, 

Cdi*iiua soia apparta Ira tante spade 
Vollarsc io larghi giri, e Patire tulle 
Di forza e di valor morte e dislrutte. 


Ha insino a qnesto punto di lontano 
Non area ogni parte ronosciula, 

Se non la fuga e 'I eonlrailare in vano 
Della tnrba macftior, eh’ era perduta ; 

Or più vicino if figlio del re Bano 
All’ insegna famosa, che veduta 
Più volte altrove area, disceme, e Irema 
Per P aulica memoria, e nuova tema. 

I.Xf( 

Or tosto, eh* apparir vede non luage 
Il pino anralo, e persa le bandiera, 
Ch'aveva il snn (iglinnl, che ratto giunge 
Siitlo alle mura ornai con larga schiera. 
Tale acerbo dolor Palma gli punge 
immaginando il ver, si come gli era, 

Che ia barba svegliendoii dal mento 
(juasi mnor di dolore c di spavento. 


LXXII 

Or ri tuo) avventar <lalP alte mora 
Per difender laggiù P amato figlio; 

Or ratto andar per via larga e sicura 
Sena arme a Ini salvar col sno periglio; 
Or da molli impedito a* snoi si fura, 

E vuol render di se ’l ferro vermiglio j 
Ha poi che «|ne«lo e quel tPalirni gli è tolto, 
Chiama il fìgliuul con lacrimoso volto. 

Lxxin 

E spiogeodosi avanti, quanto lice 
A chi ben ritenalo e alrrlto sia. 

Gridava : Or dove vai, nato infelice ? 

Quale spietata stella, otmè, l’ invia 
Verso quei mictdial, che la felice 
Già bella e oomero«a prole mia 
Ha si bassa csMiJotla, che lo solo 
CuQ qnatlro altri minor mi sei figlinolo f 
« 

i.axtv 

E con qnri pochi ancor rendevi qneta 
Questa eannla e lirbite Treehiezza ; ' 

E tatto il regno mio. che ‘n te s* acqueta, 

Pur allendeva od di pace e dolcezza. 

Or non tentar, cite morte acerba mieta 
L* ultima nostra speme e la ricchezza; 

Non Tuler porre in rìschio il nostro bene, 
Che sol di tutti in vita ne mantiene. 

txt» 

Ma perchè ha fra! la voce e pnr s' avvede. 
Ch'udire il snn parlar non può Clodino ; 
Che tal grido e rumor I’ orecchie fieJe, 
Che ’n van Pascolleria, dii gli é vicino: 
Questo e quel chiama intorno, io cui pìii fede 
Aggia per lunga prova: e basso e 'ochino 
Umile il prega, non cun regie note, 
Ch'ogni spirto orgoglioso il doulu scuote, 

Lxavi 

E dire: Or gite insieme, amici rari, 
lì dove il mìo figliuol cu' suoi »' aduna, 

E gli narrate i miei dolori amari, 

A cui liinii non vide sole o Inoa; 

E se ì paterni preghi ebbe mai cari, 

Che non tenti oggi P invida fortuna 
Contea il figlio di Ban, ma dentro regna 
A salvar la città con qnella insegna, 

i.xxvu 

Van tntli qnelli, ed è di loro il duce 
Il suo primo srudier, detto Araillaao; 

Che con gli altri volando si cutidiice. 

Ove Imve Clodin, ma giunse in vano. 

Che già corso era alla dorata luce 
Dell' arme illustri, che spicodea lontano, 
L'ardito Lanciloilo, eh' avea i|>eme 
Di trorar Segnrau con questi iusiemr. 

LXXVIU 

E conosciuto alfiu, eh* egli era solo 
Il grande erede drl famoso Avarco, 

Qual aquila affamata mosse il volo 
D'ira in un punlo, e d’allegrrrza rarco ; 
Che *1 figiianl riveder gli apporta duolo 
Di chi *1 padre gli arca di vita tearco ; 
Passi lieto al trovarlo in pace, dove 
Possa di trarlo a fio porsi alle prove. 


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l’ AVARO II IDE 

LXXIX 

E come fiìanpe a lai, leax' alleo dire 
In mezzo a qtunti area dona alla letta 
Di colpo lai, che allnr polca finire 
La vita in totln, eh' a pattar pii restai 
Ha Biutarino il prande, eh' al ferire 
Di lui ben paarda, e che la apada ha prc<ta, 
Con quella il pran furor, che 'n basto scende, 
Haffircuaodo, Clodin sìcaro rende* 

I.XXXTI 

Ha pure il giovin re, eh' altro non vede, 
Fuor che '1 fngpire a quel periglio scampo, 
E più ln*to che ’ndietro accorre il piede, 
Vuol fine aver sni declinalo rampo, 

Si fa innanzi «pronando e nulla tede, 

E fa qnal lume che più ardente lampo 
Mostra che non solca, quando piìi scemo 
Ila il nntrinenlo suo piunlo all* estremo ; 

LSXX 

Non però tanto fa, ch'ei non m amia 
Delia pcrcotia li, die ne rimane 
Stordito alquanto, ma oon piacque spenta 
La vieto repia, o le toc forse vane ; 

Ch* ardito più che mai, ver Ini s' avventa, 
Come contro al rinphtal ferito cane, 

Che ne* compapni «uni ponendo speme 
Il erodo olTeodilor di nuovo preme. i 

LlXXVit 

Così fere egli; e molli rolpi in vano 
Su lo scudo, so r omer, sci la fronte 
Dona al figlio onorato del re llano. 

Ma nuoce meno assai, ch'ai Pelio monte 
Non fao l'arme temprale da Yuirano, 
Quando ha Giove al ferir 1* ire men pronte; 
Che pii pno ben crollar gli arbori e i sassi, 
Ha il suo rigido dorso immoto stasai. 

txsat 

E con qnanto ha vipor presso al cimiero 
Non aspettata allor pii pon la spada) 
Buttano, Terripaoo e *1 furie Nero 
Fan seco a priiova chi piò innaoaì vada ; 
Quel nell' omero destro tin colpo fero 
Gli diè da lato, mentre ad altro bada, 

11 secondo ari collo, e ’l Ner perduto 
D' una poeta nel petto l'ha ferule. 

I.XXXVIII 

Roape alquanto lo scudo, alquanto scorta 
Della men dura maglia e del cimiero; 
Gravagli il rapo e Icnlameote sforza 
Il braccio in basso, che più piva altero; 
Ma Lanrìiutlo alfin, con quella forza 
Ch’avea più intensa e più spietato e fero 
Che fosse forse ancor, verso esso sprona, 

E 'n cotale aspro dir seco ragiona ; 

LXXXII 

Lnnpo altro sluol di cavalieri è mouo, 
Che dei uo piuvìo re la ptiardia avea, 

E con opnt poter ra lutto addosso 
Al prude Laneilutio, e tal farea 
Ch' opni altro ne saria di lena scosso, 

E preda fallo ornai di morte rea; 

Ma quella anima invitta la virtude 

Fa in ptó doppi tnappìor, che dentro chiude. 

t.XXXIX 

Non pnò, spietato re. da me seampartc, 
Se noo l'alto Kaltnr, che tulio puotc: 
Chiama iovan pare il Itellicuto Marte, 
Ch'bai tanto in pregili r le sue quinte rote: 
Che ti cuovien volare in quella parte, 

Ore adirai le diilomse note 

Di più d' un tuo fratri, cui la mia spada 

Suspinse acerbo alla Tartarea strada. 

f.XXSHI 

E quale avvien, se ad esptipnar le mora 
Al nemico caslei, di orribil polve 
Di nitro c solfo un' ampia fossa oscura 
Ben chiusa intorno il tappiu duce involve, 
Poi di io preda a Ynlcan, eh' ultra tnUara 
Sforzando opni ritegno, apre e dissolve 
11 monte altero e ’n paventoso tuono 
GeUa i sassi lonUn che io esso sono: » 

se 

Così parlando ancor vibra una punta 
Con latto il snii valor cunlra lo sritdo. 

La qual con quel furor per esw spunta, 
Come un'altra farta, chi fosse nudo: 
Squarcia anco 1* arme e tra le roste gìunla 
Corre in mezzo del core, e *1 colpo crudo 
Ivi non retta, ma dati' altro lato 
Per io apiooso dorso ha trapassalo. 

LVXXIV 

Tale il fere puerricr, ch'oppresso e stretto 
Da tanti e lai nemici si ritrova, 

D'ire infiammando 1' animoso petto, 

Con r istesso furor par che si innova ; 

Gira il forte corsiero e ’n se ristretto 
Spiega le braccia alla incredibii proova, 

£ del sinistro l'empio Terripaoo 

Con ao roTcrso sul distese al piano. ' 

XCI 

Fupgfsi r alma afllilla e disdegnosa 
Di partir Indi alla ilapione acerba; 

Cade il pran butto e duramente posa 
Riversato tra’ suoi sovra arida erba : 

Né lungo tempu al vecchio padre atrusa 
Del fipìiuol l'aspra fin, lassa, li serba: 
Ch'ei con rocchio medenno seerse il tutto, 
Nunziu non mentitor del proprio lutto. 

LxaxT 

Col collo di Nifunle Bustarino 
Insieme col cavai posto ha per terra; 
lodi il Nero Perduto, che vicino 
Pjù r impedisce ancor, con molli atterra; ' 
Poi con più rabbia al misero Clodino, 

Che soletto riman, si muove a puerra; 

Nè mai restò con lupo a tal fiapello i 

Da cani a da paslor lassalo agnello. 

xeti 

Ha in quello {stesso punto che't destriero 
Lasciò, morendo, il misero figliuolo, 

£(«o i sensi tmarrili, sa '1 sentiern. 

No '1 toileocndo alcun, cadde di duolo : 
Ha il chiaro vincitore ardilo e fero 
Coiitra quei, rh' ivi sono, addrixza il volo : 

E '1 primter fu il superilo Bustarino, 

Che risorto il cavallo è il più vicino. 


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AVARCHIDE 



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1 


I l'avarchide 


CTIf 

Morto è *1 bann Dln«d*n, morto i Branoro 
PaUtncdr il |;ran dnce, ( Buctarìno ; 

Ma qitrl, rb’ afipiraTa più, morto c fra loro 
Il vostro rarp « miimi ('.lodino; 

E t gran leorrro vostro il ino tesoro 
Vide roudollo airnltimo ronfino, 

Clir sopra all'alta torre scer«r il tnttOy 
Cliiamanilu arnipre voi con pianto e ludo. 

otte 

Ma T infiammato Iberna alfin condotto 
Alle spi>nde vìcin della riviera, * 

t'.ome scorge da liinge Lanrilollo, * 

Gli dire iu voce minacciosa e fera ; 

Pria die '1 giorno, ch*or luce, asconda tolto 
L* oiraso il volto c si converta in sera, 
Tremante il petto, e lagrìmoso il viso 
Ti peutìrai d‘aver Cludiuo ucciso. 

crin 

Gridando: Ov'or si trova ogni mia speme 
Il gran genero mi»? perché non viene 
A u>rrorrer qirri resto dri mio seme, 
r.lie la fortiiiia anror vivo ritiene? 

E *n questa scorge ehi l' assalta e preme. 
Poi ette gli ha tratto il «angne di pici vene. 
Ferirlo in meixo il enr eoo Tempia spada, 
£ rìvenar seni' alma sa la strada. 

cxv 

Né ti varri Pavere arme locantatn 
Vano c folle gnerrìer della nutrice; 

Né mille più di lei sagaci fate 
Ti porriaiio srampar 1* ora infelice, 

E triste oggi per te saranno siate 
L’alt* vittorie, onde ti fai felice; 
die i tuoi chiari trofei, le ricche spoglie 
Spiegherai di PUton ndT aire toglie. 

CIX 

AI mi erodo radrr radde reti anrnra 
Snpre le nostre tirarria afflitto e smorto; 
E '1 re Vagorre mi comanda allora, 
f'.lT io vi rrcrassi per cammiii più eorto, 
E narrassi il gran danno ove dimora 
La misera ritlà, tenia confurlo. 

Sema sostegno ornai d* alcun de* inni, 
Senza speranza aver le non io voi ; 

csvi 

AlT aspro minacciar tubilo volto 
Il gran figlio di Ban, tosto rhe sceme 
Ch* egli è pur Segurao, che 'atomo accollo 
Più d' uno avea delle toc schiere Ibeme; 
r.at cor beu lieto, e eoo allegro volto 
Bende alle grazie alle virtù superne; ' 

Tra gli arcìou ti eonferma, e sovra il petto 
Lo tendo addrìaza, e meglio il brando ha stretto ; 

ex 

Che i mido Lanrilollo in tale orgoglio, 
In lai rabbia e fiimre oggi è salilo, 

<^he di romper dì SrilU il duro scoglio 
Col brando, eh'ei soslieo sarebbe ardilo; 
Firn di sparrnlu in somma e di cordoglio 
TuUo il campo in Avarco è rifuggito; 

Sul questa parte di lìmor ai sgombra. 

Che del vostro valor combatte alT ombra. 

ezvn 

Indi come leon, cht dal diginno 
Lungamente gii oppresso, ha il dì cercato 
Per boschi e valli, ué d* armento alcuno, 
Né di Cerva, o di damma orma ha trovato; 
Che <juando ha meno speme all* aer brano 
Se gli mostra un gran taoro al verde prato, 
€h* a luì s* avventa, qual saelU soglia, 
Sbramando ingordo T affamata voglia; 

CXI 

Mentre il feroce Iberno le parole 
Del tristo mcsiaggier tacendo ascolta, 

Pton fu di ti grand* ira al caldo sole 
Offesa dal villao mai serpe avvolta, I 

l^om' egli allora, ed or nel cor si dnolt 
Del ino Clodino, or della giurìa lulia, 

Che mal può rìcovrar, poi che lui vivo 
Sia d’un tanto figliiMtl Clodasso privo. 

crrtn 

Così verso il rorrenle Segorano 
Il bramoso guerrìer muove il destriero. 
L'uno e l'altro di lor Tarerba mano 
Alza alT iitesso paolo ardilo e fero; 

Ma T onoralo figlio del re Banu 
A ferir T avversario fu il primiero; 

E T oscuro dragon, che in oro siede, 
Sovra U possente scodo altero fiede. 

ceti 

Hé sa con qnal conforti possa omat 
Baffrcnare il dolor della consorte. 

Né con la vecchia Albina scasar mai 
La lontananza tua da quella morte; 
Vergogna il punge, c gli raccresce guai 
Puugenle invidia in piu gravosa sorte; 
Che 1 giuvin Laocilotlo ornalo vede 
Di Unte illuttri e si fasnote prede. 

cz« 

£ quantonqise d’acrìar la sesta scorta, 
E GnUsima e grossa il riciogcsie. 

Del sacro brando all* inGuìU forza 
Non come conlra gli altri integro resse; 
Che *1 parte fino al mezzo, e tanto sforzi, 
(die la sinistra spalla aucora oppresse 
E fé* iu basso piegarse il grande Iberno, 
Qual T abete Aquilone al maggior verno. 

cxm 

E da' tristi pensier distratto il core, 

Ove il pensa trovar ratio s'invia, 

£ 'n un momento uscio di vista fuore 
Del buon Trislan, rhe pretao il brameria | 
rnrlus perdendo, sfoga il suo fnrore 
Sovr' altra gente, e spinge ^ morte ria 
Tanti t^uel di, che si porrìan contare. 

Non piu che Tonde dell' Icario mare. 

czx 

Ma non senza vendetta, eh* esso irato, 
Con la spada, eh’ ei tolse a Galcalto, 
Tosto percosse Ini nel proprio lato 
Culai, eh* ebbe acerbisaìmo 1* assalto. 

L' argeutalo suo scudo, fabbricato 
D'immortal Icnipra di porfireo smalto. 
Pur con lutto >1 valor zi duro peso 
Col suo nnovo signor fu molto offeso. 


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^ L’ AVA.RCHIDE 


CIXI 

Qai dell'uao r drU'<ltro io ^oìm accrejcc, 
Lo <pi«Ulo drtio di v«ttdirar>«, 

The con manco forar s'awulgc c mesce 
La fìjnima in Manfcibcl, qaaato più arse i 
Ma pni die ’Ì ferir primo in ran riesce. 
Per tosto vindlore a' suoi aaotlrarse, 

L'un e l'altro di lor lassa da parte 
Del marxial lavor la norma e 1' arie, 

curili 

Tale avvien di cuilor : or quello appare 
Qnasi esser vincitore, e poi si vede 
Quello con tal valor sopra tornare, 

Clic di lui sol la palma esser sì crede; 

Ma I* orgoglioso Iberno, ch'aver pare 
Si sdegna al raoudo, e che si tiene erede 
Di quanta gloria mai gli antichi suoi 
Ebbero al inondo e tutti gli altri eroi; 

casti 

E scasa aver fi|tnardo ai suo vanUf;gio 
Come Tira amministra, i colpì vanno 
Più spessi assai, ch'ai tempestoso ma(c|tio 
Graiidiuc, eh* alle spiphe apporli danno; 
Né cosi ratto in |(iru il solar rapirlo 
Muove specchio, eli* è mosso, come fanno 
Le spade lor, che semlirano al sereno 
Notturno estivo eie), lampo e baleno. 

CXJIIZ 

E ch'ornai trarre a fio vuol questa gnerra 
E ch'ha vergogoa in se, che lauto dura; 
Irato ad ambe man la spada serra 
Per isforzar se stesso e la natura : 

Drizzala in fronte, ma vaneggia ed erra. 
Che '1 saggio LaDcìlollo, ch'ha pur cura 
Di quanto avveuir punte, alxa lo scudo, 
Che non vegoa su l' cimo il colpo crudo. 

Caini 

Il popol, eh' a vedere è inlomo accollo 
DalTnaa e 1* altra parte, e stasti in pace. 
Col cor tremante c con dubbioso volto 
Or spera, or teme quel ebe piti pii spiace, 

10 se parlando: Or n'è concesso, o tolto 

11 fin bramalo e la tranquilla pace; 
Perchè in man di costoro è posto solo 

11 ben perpetuo, o '1 noslru eterno duolo. 

CUI 

E bene ad uopo fo, che in colai guiia 
Rovinò in basso l'orrida tempesta, 
C.h'ognt pietra durissima divisa. 

Non pur di Lancilulto avria la lesta; 

Ma r incantala guardia non incisa, 

Nè pur segnata di quel colpo resta; 

Fu ben Culai, che in un la mano c '1 braccio 
Nè sentir lungamente amaro iiupacciu. 

CXXIV 

E levando le eiplia in preghi c *n voti 
Ciascun quel che desia, domanda al cielo; 
Questi con umil cor cliiaman devoti 
Chi del ver prima ascoso squarciò il velo, 
Quelli i fallaci Dei più bassi e noli, 

Giove, Marte e '1 pastor riic nacque io Dclo, 
t.he al suo donin vittoria, per mercede 
Deir avola di lor credenza e lede. 

CXXXi 

Or non fu visto mai selvatico orso 
Sovra l'Alpi aweotarse eoo laul'ira 
Verso il fero mastio che l'avea morso, 
E di lui paveiilaudu il piè rilira; 

Che ruggendo e gemenibs il lardo corso 
Muove infiammato, e latto rabbia spira. 
In fin che rilumaio a nuova guerra 
Con r artìglio mortai lo stese a terra; 

CXXT 

In questo tempo ì nobili guerrieri 
Sono offesi fra lor dì danno eguale; 

Van di pari al ferirsi ardili c feri, 

E di pari han parlilo il bene e '1 male; 
Son raduti per terra ambe t cimieri 
E r incantalo ferro a pena vale 
Degli elmi a mantener salva la testa 
Dalia forza crudel, che gli molesta. 

cixtu 

Come in quel punto fece LanriloUo, 
Spingendo il *uo deslrier nel percussore, 
£ di punta il ferio, che scorse sotto 
Lo snido al petto, che si mostra fnore; 
Trapauu il brando addentro, ma cundollo 
Non l'è lant' altra, che trovasse il core : 
Che nella quarta costa in basso il prese, 
Nè drillo gio, ma in alto si dislcie. 

cvtvi 

E senza piaga aver rimao sovente 
L* uno e l'altro di lor quasi stordito; 

Ma il core invitto, e I' animo possente 
Mantiene al corpo il suo vigor si unito. 
Che qual gravato più talor si sente. 

Per vergogua eh' ci u' ha, più torna ardilo, 
E tal la mano sprona al rendicarsc 
Che non gli tornan mai le forze scarse. 

rxvxiii 

S'empson l’arme di sangne.enon ne cale 
All'animoso Iberno, che già il sente, 

E con più arihsrc il gran nemico asule ; 
Ma inlanlo Ìl negro Eluu. che mcn posseuU 
Fu di Nifonte, a contrastar non vale 
Al farioso urlar, che alteramente 
D'improvviso gli vico del destro lato 
Sì che sopra ìl sinistro è riversato. 

cxant 

Qual nell' ampio Ocean, quando 1* offende 
Il nevoso Aquilon con greve assalto, 
Ch’ove più 1 onda spinta in basso scende, 
Più in minaccioso luun risurge iu allo, 

E ‘1 turbato suo corso ionanai stende. 
Variando il camniio di salto in salto, 

Si ch'ora eccelso monte, ora umil valle 
Si lassa indietro alle spumose spalle ; 

CXXXIV 

E sopra il sno signor tutto si trova, 

11 qual più presto assai, che leve augello 
Da lui si scioglie, ed a novella prova 
Si rappresenta minaccioso e fello ; 

Ma il nobil Lancilotlo, a coi non giova 
Vantaggio alcnoo aver, veloce e snello 
Salta giù del destriero, e 'a larghi passi 
Onde viea 1* avversario, innanzi tassi. 


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4i3 


J 




L AVARO H IDE 


CXXkV 

Sìerndo t Or noo prnixte alierò dnre, 
Che Tamor rii* ho porUto al chiaro amico, 
£ 'I driio di vrodrlta, che m' indare 
A chiamar Segnraoo a«pru nemico, 

Mi faccia oggi oacorar la para luce 
Di Tirili Ycra, e del calore antico; 

O ricercar di toì bramala morte 
Per allre, che d'onor lodale acorte* 


CXtSTI 

Riipoode Segttran : Frulla mi coro 
Di (|aal per daouo mio prendiate ilrada; 
Che del mondo e di voi vivo accoro. 
Mentrr io man aonteoer potrib la apatia : 
Or si dia tuie all* opra, anzi che oacnro 
Laaaando il ouslro mondo altrove vada 
li *ol cadente, clic m'avanzi aorora 
D' opugnare il voalr* oate larga 1' ora. 


cssxvit 

K*n rotai ragionare on colpo dona, 

Che gli venne a trovar la destra spalla, 

E qorlla in guisa, e tutto l'altro intuona| 
Che in basso rovinar di poco falla ; 

Pnr reggendo alla c'nirgra la persona 
Con nn ginocchio sol piegaado avvalla 
Il dritto piè, ma tosto ne risorge, 

£ '1 brando alla veodelta altero porge. 


CTTXVm 

E sopra il destro braccio per traveno, 



E'I polca ben finir, ma torla viene ' 
La spada, e sovra 1* omero discende, 

E 'mpiaga ai, che a pena più sostiene 
La scudo ornai, che da qoel lato pende ; 
Perch* avea i nervi incili, e I’ allre vene. 
Onde il braccio sinistro il vigor prende : 
Spinge nna punta poi, che dritta gìnnge. 
Ove piò il collo al petto vi congìaoge. 


CXMfl 

Ha non venne lant'alla, che ritrovo 
Il cavo in nti mortale il colpo fora. * 
Or dalie prime piaghe, e qoeste nuove ^ 
Tai srogninose stille uscivan fnora, 

Ch* a pena Ì1 piede, a pena Ì1 braccio muove 
1/ afflino Iberno, e pnr si vede aocora 
Lo spirto Invitto ardilo dimostrarle, 
E^qaanlo oppresso è più, più altero farse. 


extiv 

E qual veggiam la ylocitrlce palma, 
Che ’n famoso edificio pusta in opra 
Quanto sente aggravar maggior la salma, 
Più d'io alto montar te forze adopra, 
Colai di Segnran la nobil alma 
Io quantunque fortuna, a tutte sopra 
Mai sempre si mantieo, nè prende cura 
Delia vita mortai, die poco dura. 


Ma il bnoo figlio di Bau, che vede ornai 


Che più se ifpcrlo aveva, irato il fere; 

Taglia oltre tanto, che di sangue asperso 
Quant'ivi ha fino aeclar fece cadere. 

Non si sgomenta il fero, e cangia verso, 

Poi che sente fra se, che sosteuere . . / 
Può il grave brando aneor. che nervo od osso 
Impiagato oou era, o d'indi scosso. 
cxxxix 

Ma qual crudo leoo, che 1 cacciatore 
O di strale, o di dardo aggta ferito ; 

Che scernendo Ìl vermiglio atro colore 
Vie più, clic non solca, diviene ardito; 

Drizza r irsuto vello, e mostra fimre 
L'artiglio c *1 dente e con la coda il Klo 
Battendo intorno a se, di salto io salto 
S' addrizza irato al micsdiale assalto ; 

CXL 

Tale il gran Segnran ratto s* arvrala 
Verso n nrmiro suo pìrn di dispetto, 

E con mille percosse in giro lenta, 

£ la fronte c le braccia e *1 ventre e *1 petto, 

Tal che *1 pupol Britanno si spaventa, 

Che di vederlo urciso avea sospetto ; 

Ma l'accorto giierrier senza paura 
Di dilendersi sol prendeva cara. 

czu 

£ col divino scudo or allo, or basso. 

Ogni colpo, che vien, Irnca lontano; 

Né cangiando <#ma, o ritirando il passo 
Solo in guardia ponea 1* arme c la mauo } 

Piò clic *1 feroce Iberoo frale t lasso 
Ornai eoùoKe II faticar sno vano ; 

AMor più verso luì morendo il piede ' 
Con quanfó avea potere in fronte ìl Sede. 


Giacer nelle sue man di Ini la morte, 
Spoglia r ira rrodri degli altrui guai, 

£ pietoso dìrien della sua sorte, 

£ dice: Allo mio re, se foste mai 
Per teinpo alcun da più cortesi scorta 
Guidato a far mercede a giusti preghi, 
Qoel, ch'io domanderà, ‘aoa mi si nieghi. 

CXI.TI 

Piacciavi oggi trovar 1* albergo mio 
Del quale, e poi di me ri fo signore i 
Ivi al re Galeallo ornile e pio 
Domandar sol la pare, e fargli onore ; 

£ vi prometto qui, se lon degn' in 
D' esser da voi creduto, che ’n brevi ore 
Vi renderò in Avareo ; c non vogliale, 

Cb* io spenga ai gran lume a qoesta ctate. 

CXLVtt 

Che potete veder, eh’ ornai m' è dato 
Sovra voi questo di certa vittoria, 

La qnal non mia virtù, ma vostro fato 
Stimerò sempre, e di noi par la gloria; 
Ma lassar senza onore io tale stalo 
Non potrei fuor di biasmo la memoria 
D' un re sì grande, e si leale amico, 
Ch'ogni esempio avanzò moderno e antico* 

CSLVtlI 

Risponde il cavalier tallo sdegnato, 

E più che altrove mai, con alto core: 

Tu dunque ardisti, folle e Kellerato, 

Di Seguran tentar rinvitlo onore? 

Usa la sorte tua, ch'ai duro stato 
Vugl' io più presto d* ìniemal dolore 
Per mille morti, e mille esser condotto, 
Che questa vita aver da LaociluUu. 


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Coiì parltado, cui vigor clic resU, 

Chf pur poco era ornai, (orna a iiattaglia, 
E qniocì e quindi qiianUi può moietta 
Pel franco cavaliern or piatirà or maglia; 
Drtxxagli al fìne il brando <ii la letta 
Tal, rhe la vista quasi gli abbarbaglia; 
Onde il nglio di Dan nu>tso a giotl' ira 
Per dar fine aJia guerra uu colpo lira; 

CI. 

E drillanenle il colse ore la gola 
A, li «piriti e ’l cilto ba doppia strada ; 

L' una e T altra squarciando, inoaoai vola 
Tinta d'alro culur I* agata spada. 

Cui sangue mista rapida s’invola 
L'alma, rat vero onur, non altro aggrada; 
Cadde il gran busto, e l'arenosa valle 
Empiou d'alto romor rannate spalle. 

cu 

Il cbiaro vincitor tosto V accoglie, 

Ponto il cor di dulcìtsima pietate ; 

E con sembiante iitnau dell' elmo scioglie 
Le luci già dì tenebre adombrale: 

Lo scado e’I chiaro hraodo indi gli toglie. 
Aprendogli le man, che ancor serrale 
Cosi morto tenea. come anco schivo 
Di sì onorate spoglie ivi esser privo. ^ 


Tolto i| popolo Iberno, e T altro insieme. 
Che quivi era vìrio, fogge in Avarco, 

Qnat gregge, a coi leou col morto preme 
Il pio pastore, e*l can di morie è al varco; 
Ma il Brilaonicn sluol di certa speme, 

E dì estrema dolceua il petto carro. 
Corre a veder, né che sia crede ancora 
Dallo spietato cur 1' anima fuora ; 

cult 

Né i' ardisce appressar, ma di lontano 
Il fero volto suo. rhe Marte spira. 

Il forte petto, e la possente mano, 

Ch'eì teme anror, con maraviglia mira; 
Ma dopo alquanto il (iglio del re Baao 
Dal sovrastante vulgo tntlieiro il tira, 

E riroperlo poi d' aurati fregi 
Il fa seco portar fra gli altri regi. 

rtiv 

E condotta all'albergo il fa purgare 
D'ngni marchia, rh' avea di sangue, n polve. 
Con tepide acque, c dentro dispogliare 
Dì che più tosto in putrido si solve ; 

Poi sotto a Galealtn il fa locare, 

Ma pria di tela serica P ìnvolve j 

Fa il medetmo degli altri, e di Clodino, 

Ch'ai forte ^egurau fu il più vicino. 



ARGOMENTO 


(^gni Britartno esaiia il t^incttorr, 

Cht itmprf. mesto, r nìfin Jnl sonno prfsoi 
£ (lo/ra/Zo presso al albore 

(ili appnr, r dire eh' é dal del disceso. 
Desto, alla salma o/ioi doluta onore 
Con regia pompa, e molto pianto è resof 
(ìmtndi ne' giochi funerali ai prodi 
Porgonsi i doni e U mertate lodi. 




Glorio il gran Segnrano, e rifuggito 
Tutto l'oste avversario dentro Avarro, 
Lassa il Britanna stuul già d' Boro il lilo, 
E *n verso t padigliun di gioia carco 


Volge il piè vincitore, e del gradilo 
LancìloUo lodar nessuno é parco, 

Dicendo - Ei tanto più d' ogni altro vale, 
Clic non si dee stimar cosa mortale. 

Il 

E ben sì può bìasmar l'aspro consiglio 
Drllo sdegncMo Arturo e di Oavetto, 

Che n'avra lutti posti a gran periglio, 

E la parte miglior di morte in senu. 

10 lai parole il popolar bisbiglio 
Correa d'intorno di lìrenaa pieno; 

Gli altri duci maggior tacili vauno, 

E rinvidia dì lui celando vanno, 

Iti 

Onde luti! soo colmi, fuor che solo 

11 generoso cor del pio Tristano, 

Che non teme poter di pa^ il volo 
Stender un di, che poco avea lontano; 

Or poi che le sacr'arme e'n parte il duolo 
S'ha dispoglialo il £glio del re Bau», 

Con fresche onde alle mani, al collo, al volto, 
L’altrui sangue c *1 sudor s'aveva tolto. 








AVARO II IDE 


Risponde LsnciloUo : 11 sommo impero , 
Cli’io vupljo s|tf;iate in me qnento avni vita. 
Non di spogliarmi so) lo sdegno fero, 

Che m* ave* contro » qoel I* «Ima feriU| 
Ma fona ha tal, che nnllu amico iotero, 
Ond’opni vof(lìa sua resti compita, 

Troverà più di me : rosi vi ftioro 
Qual {;nerrìer seuxa biasmo e serro puro. 
XIX 

Tanto poi più di' ogni ditrrelo core 
Quella offesa in <ibblio lassar dovrìa, 

Che non premendo addentro Ìl rcro onore 
Fiamma ardente d'amor ragion ne sia, 
Come io Ini fa t che mosso dal dolore 
D’ esser di cosa privo, eh’ ei desia. 

Volse più tosto irato Ì1 guardo avere 
Al proprio danno suo eh* al mìo dovere. 

XX 

Cosi dello Tabbracia c lui Gaveno ; 

Poi fiir sempre fra lor fidati e cari. 

Or già il divo germano, ornato il seno, 
Qual ne' più festi giorni ai sacri altari. 

Il sanliisimo libro, ch'é ripieno 
De* precetti divini e detti chiari, 

Porge al figlio di Ban, ch'umile e piano 
Rivoltandosi al esci, vi pou la mano, 
xxt 

Dicendo; Sommo Dio giuro e prometto, 
Se la graxia di lui mi regna scorta. 

Di mai non traviar di quanto ha dello 
Il Briiaunico re, con voglia torta. 

Qni r onn e 1' altro arnese all'opra eletto 
Agraven nel suo dir correndo porla: 

Ch'ai re Lago gli sproni in guardia ha dato. 
Come al chiaro Tristano il brando aurato. 


II qual baciato io atto riverente 
Dentro alla regia man tosto il ripone; 
Arturo in vista placida e rìdente 
Del nubil Lancilnlto al fianco ìl pone; 
Dirgli nel modo islesso uroiicmenle 
L' Orcado invitto 1' uno e 1* altro sprone; 
Kd eì pur di sua maii non sdegna ancora 
Di cingergliene i piè, ch'ei tanto onora. 

XXIII 

Fui ch*c ginnio al su» fio l'onore altero, 
Che suggello maggior ouo ebbe nnqoancoi 
Non alcun re, non duce o cavaltero 
Di lodar sue virtù si vide ilanrui 
Ma il buon re Lago, a cui dona l' impero 
Sovra tutti il color canuto e bianco, 
t'.omiocìò in chiara voce; Oggi mi legno 
Miglior, ch'io non solca, dì questo segno, 
xstv 

Fui eh' un si chiaro dure mi rìiruovo 
r.ompagou aggiuolu per cavalleria, 
Avvegiia io di molli anni, ed cuu nnuvo, 
E ch'io d' Utero, ed ei d' Arloro sìa, 

£ quantunque a luì pare io non m'approvo, 
Pur venni anch'io per la mcdeuua via, 

Il di, che '1 gran Saducco c Caioclolto 
Di Paudraguii T esercito avea rotto. 


Ch* io dace sol da quattro miei aegaito, 
Sibilas, Sinadusso ed Arfaiaro, 

E Randon persian, sovra quel Ilio 
Fui contro al vincitor scudo e riparo, 

Infin che 'I popol nostro sbigottito 
Co' cavalieri a guerra ritoruaro, 

P«>i rh' udir, che Sadoeco per mia mano 
Premea sena' alma l' arenoso piano. 

XXVI 

Perchè nel luogo istcsso e tufo armalo 
Sovra il destriero ancor da Pandragone 
Hi fu il proprio soo brando posto a lato, 
E di lui cinto i piè 1' aurato sprooc ; 

E' 1 duedcciinu lustro è già passato 
In questa, ove noi aiam, calda stagione; 
Ma piacesse oggi al riel, eh' io fusti ancora 
Di forza e di valor, qnal era allora. 

XXVII 

Coti dicendo, per dolcezza il volto 
Bagna di larghe lagrime e 1* abbraccia ; 

Ma già di servi stuolo insieme accolto 
Della cena apprestar ratto procaccia; 

Chi del gran padiglione ha iolomo tolto 
Ciò che 1 fa imporu, o che lo spazio impaccia; 
Chi adorna in giro la rotonda mensa 
Di delicati lio, chi fior dispensa. 

xxvni 

Quel del frutto di Cerere l' ingombra. 
Quel dì Bacco ìl liquor pone in disparte 
In argentali vasi e ne disgombra 
11 calur, che dà il ciel con onda ed arte ; 
Quel luca i ricchi seggi, ove fanno ombra 
l3i seta, d' ostro e d' or cortine iparle ; 

E già la lunga pompa i pasti spande, 

Ch' apporla in lei le splendide vivande. 

XXIX 

Già tebicra dì donzelli in urne aurate 
Alt' alle regie mani umil presenta 
Le chiare acque freschissime odorate. 

Tal che r aer vicìo se ne risenta ; 
L'imperiali inseguc il dì spogliale 
Arturo a quanti suno egual diventa, 

E questo e quel per snu compagno chiama 
Re, dace c cavalicr di maggior fama. 

XXX 

Ha il chiaro Laucilotlo e '1 buon Tristano 
Sovra qnanli altri sono onora e cole, 
L'uno e 1’ altro di lor lira con mano, 

E r invita in dolcissime parole; 

Indi il vecchio re Lago in atto umano, 
Qnal suo padre onorato, come suole. 
Poscia appella Cavea, Fiorio e Boorte, 
Che pure infermi ancor vennero a corte. 

XXXI 

Assiso al fine ngo'oom Ira l'esca e '1 vino 
Al passalo sudur reslanro dona, 

Mentre ch'or altamente, or col vicino 
Delle fatiche sue basso ragiona; 

Poi latti insieme con C»vor divio» 

Dan delia intera palma la corona 
Al gran figliuol di Daoo, a cui pur piace 
Il lodar tulli gli altri c di se tace. 




l’ a V a r g n I d e 



»xn , 

XXV IX 

Or poi eh« della »ete e del diglnnn 

Dop' etto il re dell’ Orcadi e Trillano 

Il naturai delio rimane vpento, 

Con U tchìera famou ch'ivi autede. 

Scarra la menu al fin, ledea ctaieuno 

Securo il fan, eh* al giorno prottimano 

Con le membra pin ultle e *1 cor runtenlo ; 

Seco taran nella ucrata tede. 

Solo il pio Lancilottu orrido c brano 

Coti fermo in fra talli, a mano a mano 

Tiene il pernierò al raro amico inlcnio; 

Ogn'uom verto l’albergo volge il piede 

E per altro compir, che in mente avra, 

Col congedo del re, detideroio 

Già drinaloii in piè, coii dìcea i 

D'aver nel tonno ornai qualche ripoto. 

xxmi 

xt 

Invittiiikno re, pni che conceiio 

Ma II famoio Trìstan pria che rilrove, 

M'ha il eiel dì vendicar chi tanto amai, 

Benché atui travagliato, il padiglione, 

Vorrei dar One a quel che viene appreim, 

Verta gli ultimi fotti il patto muove. 

Ch*è di preptio mapt^ior, che l'altro aiuì, 

R r aule tue guardie intoroo pone ; 

Di porger preghi al eiel, che voglia in ciio 

Che ancor che intenda che l'andate prove 

Spiegar la ina bontà, le '1 voUe mai 

D' ctier tenia timor gli dian cagione, 

In altro pio gnerricro, le ine colpe 

E ben eh’ ei tta goerrìer d* invitto ardire, 

Nel ungue del figliuol pietoM iculpe. 

Delta guerra al dover non vuol fallire. 

uzrr 

XLI 

B qoantonqne lauti oicntc raglia 

Già rimbrunito il cielo e U campagna. 

Pompoao onor, ma le preghiere umili, 

Si ritrova ciateun nel tonno avvolto, 

Per moitrar pur quanto di lui mi caglia. 

Ditcarco il cor, come chi atui gutdagna. 

E che i iDoi. che qni ton, non tenga viii| 

E *1 loipetto e *1 dolor del tcno ha tolto. 

Come il iole co* raggi al mondo taglia. 

Solo il bnon Lancilotto ancor ti lagna 

Vorrei eh' a voi ro* nobili e gentili 

Dì doglioti pcoiier 1’ animo avvolto. 

Yoitrì doei maggiori in negro manto 

B ditpiace a te tUtto d' etter vivo. 

Piacene cuce preiente al noiUu pianto : 

Poi che d* amico tal ti tenie privo. 

xaxv 

xut 

B dar r eitremo don, che qui ii dare 

Pur* stanco alla fin verso 1* aurora. 

A rmi altero cor, come il vedette; 

Come no leve dormir gli oecl>i gii ingombra; 

E far poi comandar, che pronto e leve 

Più che mai folte, lieto icorgc albica 

Tutto anco il noitro eiercilo l'appreile 

Di Galealto tuo la placid' ombra 

D’ euer ai unto offirio, e non gli greve 

Non men lucente e vaga che 1* aurora, 

Mover le voci pie devote e mette 

Quando al eie! piò teren la nulle tgombra, 

A Dio per quel goerrìer, eh* a morte è cono. 

E gli dice; Fratti, perchè piangete 

Scado a* perigli aooi fido aoccorao. 

Del dìvio, ch’era io me, le torli Itele? 

xxxri 

XLlIt 

A 11 gtotli detir r allo Britanno 

Io mi trovo or lauìi tra le più chiare 

Ritpondet Per (ratei, padre e Rglioolo, 

Anime che ‘I Fatlor teco raccoglia. 

Che gli folte cagion d’ eterno affanno, 

Di quei, che d'opre tol lodttc e rare 

Non piante alcun già mai con tanto duolo, 

Nella vita murtale ornan la voglia. 

Come al pubblico noilro ctlreno danno 

E eh' alla tua bontà talda fermare 

Di qocl che di bontà (n al mondo lolo, 

Otar la tpeme lor; ch’a qncUa toglia 

Ho fatto il primo giorno e ’l (arò umprc. 

Di ulire il rammin gli mottreria 

Mentre fia integra in me 1* unuiu tempre* 

Per aperta e ticura e dritta via. 

zxxrii 

XLIV 

E di fargli ogni onor qvaai immortale 

Non vi dolete piò della mia pare. 

Non cenerò giammai per ogni torte, 

E che d' aspra prigion tia funre ornai. 

Perchè l' amor di noi fa del tuo male 

Se '1 beo di chi v' onora non vi tpiare. 

C^gioQ, come dìcetle, e di tua morte : 

O non piangete i mìei, ma i vostri guai; 

Ma quando ciò non fotte, or ton io tale. 

L’amor eh' ho vitto in voi, Irnppt mi piace, 

Che della corlcria cbingga le porte 

Nè vendicato pur mi tengo astai, 

A Lancilotto mio, dorè eooviene 

Ma troppo ancor; perchè qiiattìi non spira 

Il dover, la ptelà, 1* onore c '1 bene ? 

Il rabbioto furor di sdegno e d’ ira. 

IXXVtlI 

XLV 

Coti detto, l’araldo Amato appella, 

Le gloriole imprese e gli altri onori, 

E gli ragiona; Voi con gli altri tntieme 

Che ’n memoria di noi dì far bramate. 

Gite dell* Ulte in qnetta parte e ’n quella 

A tebivn non avrò, pur che tien fuori 

Comandando a eiatcìin, che m' ama o teme : 

Degli altri danni e d'empia crndeltate; 

Tutto che il tol diman cacrìa ogni tlella. 

Ma perchè il tot montando { tuoi colorì 

Venga in gnita di qoel, cui doglia preme. 

Rende al mondo quaggiù, lieto restate. 

Sena’ arme al tempio, a far con umil Core 

Sema turbar inai più co' pianti vutlri 

A Galealto il re dovuto onore. 

La pace eterna mia negli alti chiotlri. 


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Meotrt parlava aocor, di Baco il G§Uo 
t/' avide braeria a prenderlo atendea t 
LafEnaù al Gn con lap-ìmofo ciplio. 
Ch'aria vana e non Ini arco atriogea: 

Poi molto più eh* al candido e vennlgiio 
Ciel rivolgere il voi, iaaao, il vedrà. 
Dicendo: E perchè m*è ai predio tolto 
Il quetar gli occhi miei col vostro volto? 

XLvn 

Ma nel dir questo c porger prieght a] cielo, 
Che ’l latsaue restare alquanto seco, 

L' umido sonno già 1* osroro velo 

Gli scioglie e fogge al ano nascoso speco ; 

Ond' ei fuggendo con ardente telo 

Gli occhi volge d' intorno e riman ciecO| 

Che non T alluma più l’andata luce, 

E r aurora anco acerba poco luce. 

XLTin 

Poi donando al gran sogno fede intera. 
Dell' amico beato assai s'allegra; 

Por segnrndo il costume, la ina arhiera 
Tutta fece coprir di vesta negra, 

E mostrarse a cìasenn come a chi pera 
Caro padre, o ligliuol, dogliosa ed egra, 
Non mcn di quella, ch'ai principio venne 
Con Galealto e acco ai mantenne. 


Or si slava tra lor penvoso e molo. 

Fin che con gli altri Arturo ivi arrivassi, 
Nè fu lungo 1* attender, che venato 
£ chi il lassa lootan non molli passi; 
Drinaat allora in piè, poi che veduto 
L' ha presso al padiglìon ; nè 'orontra fassi, 
Ma la fronte tnchinanilo alle sue soglie 
Tacito e in atto semplice 1' accoglie. 

X. 

Fecel tosto asseder sn *1 manco lato, 
Ch'ebbe il dì Laocilotio il primo onore; 
Indi ogoi cavaliero, e ‘1 più pregialo 
Vien primo sempre a dimostrar dolore : 
Pc3scia si ripnnea, dove localo 
Era il seggio per tutti ivi di fuore, 

In doppio ordine posto, ove rlii siede 
Di quel che incontra sia, la fronte vede; 

LI 

Assegnata in tra' duo! sì larga strada, 
Che possa il varco dar che largo sia 
A famoso drappri che io guisa vada, 

Che i pedestri guerrieri «isan per via. 
Come ripiena fu l'ampia contrada 
Delia reale e nubil compagnia, 

£ di' assisa fo alquanto, in alto dire 
Comanda il regio araldo indi partire. 

Lll 

Drìiaansi Inni allora e '1 meno tiene 
Del primier rigo il Gglio del re Bino, 
Seco in sa '1 destro lato Arturo viene. 

Il buon re Lago alla sinistra mano; 
Preme indi appresso le dogliose arene 
Sotto avendo Gaven, sopra Tristano, 

Re Roribao, che Galcallo solo 
Amù come fraiel, come Ggliuolo: 


Che d' Xodromeda uscito a lisi MrclU 
Il segolo fedelmente in ogni aorte ; 

Poscia il giovio Candor, nato anrh'ci d'ella, 
Vien tra *1 buon Ualigante e 'I pso Boorle; 

I qoai mal fermi ove pietà gli appella, 
Volscr pure onorar ai chiara morte ; 

Poi seguir tolti quei die seco furo 

In meuo a* cavalier del grande Arturo* 

u« 

Cosi tacili van con lento passo 
Dentro al sacrato Tempio, ivi coostrnlU) 
Non di pietra porfirea o Pano sauo 
Dall' Egeo nè dall' Issteo condutto: 

Ma in mariial lavoro iorulto e basso 
Di più d' Oli ediCdo eh' han desirutto: 
Pure in tal ampio spazio si stendea, 

Che gran parte dell' oste ricevea. 

LV 

Cinto era tolto quel sopra e d* iolorno, 
Chioso il lume solar, di drappo oscuro: 
Ma lanle faci ha in sen, che fanno scoroo 
Al di, ch'aggia I' aprii più vago e puro: 
Poi lutto è in giro nieslameole adoroo, 
Per mostrar del suo re I' dfcllo duro, 

Di scudi, ove il leoo vermiglio asssede 
Tra perse stelle in argentata sede. 

LVt 

Giaolo il famoso sluol, ss come ionanti, 
Trova i seggi ordinali, ove ti posa 
Ascoltando devoto ì preghi santi 
Delta sacerdolai turba pietosa ; 

Alle lor note amili, a' tristi canti, 
Ch'hanno in voce or pieniuima, or' ascosa, 
Chi con tacile labbra, e chi col core 
ya invocando dal cìel l'alto favore» 

LTII 

Poi eh* al sacralo uffìcio il Gn a' impone, 
Tatti al modo primier ritorno Canno 
Del mesto Laocilotto al padiglione, 

Ove poi che rassisi alquanto stanno. 

Grida l'Araldo alior: Regie corone. 

Duci aiti e cavalier, del preso aSàuoo 
Vi rende grazie Laocilotto e i suul, 

£ '1 partire, e '1 restar sia posto in voi* 

Lvm 

Drinaati il primo Arturo, e aalotati 
Tutti quei che restara, iodi sì parte; 

Colai di grado in grado i più pregiati 

II segnon tutti alla medeama parte; 

Ma Laocilotto, e gli altri sconsolali 
Preuo al re morto asseggooo in disparte 
L'un all' altro lonian, bagnando il volto 
Coo r estremo dulor, eb' è io essi accollo* 

tu 

E così notte e di nel nono giorno 
Questo angoscioso pianto ai distese ; 

Come il decimo sol fece ritorno. 

Fu imposto il Gne al lamentar palese ; 

E ‘I buon Gglio di Ban per fare adorno 
Come r uso rhiedea del suo paese, 

Il gran funebre onor, snbilo chiama 
Tarquiro Araldo suo di maggior fama : 


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^ AVARGHIDK 

tx 

E |li diec t Or ▼« intorno • tulio Tolte» 
E 'a mio nome dir»i, ehe chi dciix 
Glori* e pilmc «cqoì«l*r» cb« 6ro prò poi lo 
A* giuochi miliur» qui tosto sio; 

Mo primiere ol groo re vendono esposte 
Le mie ombosdoto» e<l egli lu cortesi» 
Voglio di suo prescot» odduroe ooore. 

Per clT ogni ilUo ol Tcnir dispongo il core* 


LZV1I 

Poi per gli altri guem'er, ehe tanti foto, 
Che ’l nnmeru contar poteano a pena'» 
Sena' ombra ricercare alT acr puro 
Avean per seggio l'inGammsta arena» 

Che di gregge e d’armento orrido e duro 
Fu tutta iotorno rìrramente piena; 

Ha tal ridotto al luogo foco e grave, 

Ch’ al popol marzia! venia soave. 

UH 

Non riUrdo Torqoiro, e *1 commin prende 
E come ol sommo Arturo il tutto ho detto» 
Per cuugcdo di quello il posso stende» 
Ove ilo duce o corolier più eletto. 

Or poi che ’J compo le novelle intende» 
Ogni migliur gucrrier •* ioGommo il petto 
Di tosto olTolte prove riirovorse» 

E m OS Ir or cbe non h» le Corie scene. 


tzvni 

Poi di ria preciosl erano sparti 
Con mìsora maggior vasi infìoiiì, 

Air intorno de' quali allegri farsi 
S' udian dei grau remore i vidn liti ; 
Nè di lodar fra loro erano scarsi 
Di LanciloUo poi gli alti e graditi 
Alti cortesi, e più TinviUa mano, 
Ch’area taoli altri aecisì» e Scgnrano. 

LZ'I 

E 1 ciel, ehe fovorir T imprei» Toole» 
Po» che quei, che 'mpiogati crono ovonti» 
li buon oerbtu con erbe e con parole 
Con sacri impiastri e con divini incanti 
SoDoli ha sì, che ciò» che o|grovo c duole, 
Ero fermo e risoldo in tutti quanti, 

Sì ehe possoo venire io tutte prove» 

Come focesser mai più forti altrove. 


LUX 

Ua in altro grave snon tra i duci c i regi 
Si sentian fuor venir le sagge note 
Di senno adorne e di bei detti egregi» 
D’invidia in latto, «d'altrui biasmi vote; 
E sovra tntti qnel eh' ha mille pregi 
Tra le propinque genti e le remote, 

Dico il gran re deH'Orcadi, ogni core 
Riempie» di dolccua e di valore. 

inni 

Or gii primo il gran re ii rapprcienla 
Con vestì aurate ai destinato loco; 

Ogni altra gente a lui seguire intenta 
Stampa Torme reali a poco a poco; 
Ciascun d’ esser più ornato s' argomenta 
Che '1 piacerò tal nom nou prende in giuoco; 
li nobil Lancilolto Arturo accoglie» 

Nè d* ooorarlo assai saaia le voglie. 


LXZ 

Poi ehe (T esca e di vin qneto è il desio 
Guardando va T esercito Britanno 
I pregi del cerlar, che luogo il rio 
Sovra verdi troncon sospesi stanno, 

Tutti di gran valor» che '1 gnerrter pio 
D' amico sì fedel dopn il gran danno 
Vorria quante ha ricchexae, oro e terreno 
Del gran feretro suo versare in seno. 

LXIV 

Fa il medesmo da poi secondo il merlo 
A quanti erau con lui regi e signori, 

Solt' ampio padiglion» ch’era coperto 
Dentro d'oro, e di seta e d'oslrn fuori; 
Ov’era il ciel con le sue stelle inserto 
iUia la luna e col sole in tai lavori» 
Ch'ogui uum dicco con nuova maraviglia» 
Che nou più Ìl vero al vero s' assimiglia. 


LXXI 

Già di sonore trombe ciato iotorno 
L’onoralo Tarqnlr si mostra fuori 
Di ricco argento e di vermiglio adorno» 
Che del Gglio di Ban sono ì colori ; 

Ma da poi che tre volle d' ogn* intorno 
Pe* risonare il ciel d'alti romuri, 

Grida : il gran LaociJotlo, per memoria 
Del buco re GaleaJto» « per sna giuria» 

uv 

Questo fu del re Archindo, che tcoea 
Co dolorosa guardia io suo potere» 

Il qual già Laiicilollo a morie rea 
Sospinse e vinse 1' aoimose schiere ; 

E quante altre riechme ivi entro aveo, 

Ai compagni c gli amici donò intere; 

E sol volle di questo essere adorno 
11 qual mai non spiegò 6no a quel giorno. 


Lxxn 

Oggi intende propor T ottava prova 
Ai duci illustri e chiari cavalieri; 

Il priniier sìa di chi più ratto mnova 
Il corso steso ai nobili destrieri; 

L'altro di chi più saldo sì rilrnova 
Nella liitia, e più integro e più leggieri; 
Il terzo poi nell' impiombalo cesto 
Chi col pugno al nemico è più molesto. 

LXVI 

Sotto dri quale allor fece locare 
L'aurata mensa» ove soletto assise 
Il gran Britanno e di vivande rare 
Fu più volle cercata io varie guise; 

Poi sotto ombre frondose all' aure chiare 
Non mollo a lui lontana dì fuor mise 
Ulta rotonda tavola, dov'era 
Degli altri ravalier Tornata schiera. 


uuctit 

lodi chi armala io bellicose giostre 
Meglio addrizzi la lancia, c 't brando stringa; 
Il quinto, chi più pronto il piè dimoslre» 
Ch'ai corso velocissimo s' accinga ; 

Poi chi Ga quel, che fra le forze vostre 
Grave e ferreo baston più innanzi spinga; 
Il sclliuio sarà, chi '1 segno tocchi 
Più vieta con lo slral» die d’ arco scoochi. 


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l’ AVAaCHIDB 


L'nuriit 

E jtercli* io TCftKÌo voi, povia novellu, 
Co’ più Mpsi t fni{;Uur mellervi io prova ; 
Vi dirò, che lo sprunr, e clie'l flagello 
Adnprar eoo funir nìeote giova, 

£ ’l paiaar nel prioripio quello e qoello 
Alfio gloria danooia ai ritrova; 

Che a meezo il rurio poi ai frale c itaoco 
£ 'I miiero cavai, eh* ei uc vico manco. 

xcv 

Mosser tutti in un punto oone insìenu 
Fosser legati, o fosse un coq>o solo; 
Ogn'uom distende U freno, c '1 fianco preme 
Al veloce cavai, che fogge a volo ; 

Surge U polve in allo, il terreo freme, 

E 'atomo applaude il risguardante sloulot 
Van multi passi in no cungionli al paro. 
In fin che voUe il franco re Ciotaro; 

LXXXIX 

Non con la forza aola a terra aieodo 
L* arUur, ma più eoa l'arte, l’arcbileUo; 
Nè tprsMi travialo il eammiu preode 
Il difcreto nuechirr, ma dritto e atrello; 
PIÙ aeciiro il auo gir mai aempre rende 
Quel, che d'ogni periglio aggia aoipetto; 
Tardo aia il eoniineiar di clii deaia 
Poter lalvo compir la lunga via. 

XCvi 

Il coi Tracio corsJer dal vento sembra 
Ch'a tutti ^li altri innanzi sìa portato; 
Non par eh* adopre le correnti membra. 
Ma qoal Aquila in del si nostre alato; 

Il valoroso Eretto, a coi rimembra 
Del paterno ammonire, il manco lato 
Si va intero servando, c con le grida 
Più, ch'oprando lo sprone, il cavai guida. 

xc 

Il primiero «pronar aia dolce e piano, 
Che Doo farcia al deitrier timore, o adegno; 
Sia il cono dritto e miri di lootaao 
A eoi debbe arrivar 1' eletto aegoo; 
Spingali aempre alla ainiatra mano, 

CoQ ragion vera e debito ritegno 
Di non urtar la mela, o gir «i Innge 
Ch* entri fra quella e voi dii dietro pooge. 

xeni 

Il nobil Persevallo, che sì vede 
Vie più che di destrier, fornito d’ arte, 
Taolo col beo sollecita, e col piede, 
Che '1 primo vien dalla sinistra parte ; 
Poi meolre alquanto di prestezza cede. 
Al più stretto cammla la via comparle. 
Lieto, che questo e quel vagando giva 
Perdendo tempo auai per altra riva. 

XCI 

Ma poi ch* caia varcando a lato manco 
Per tornar qoÌ fra noi acle rivolto, 

Allor potete all'imo l'altro fianco 
Porre in opra lo apron, di tema aciuJio, 
Che'! corrente cavai divegoa stanco, 

(ibe *1 senlier, ch'ei de* far, non è poi molto, 
E ’n breve spazio al Irapasaarvi poi 
Non basterebbe Achille, e i destrier suoi. 

xc«m 

Ma il giovinetto Franco, in cui la speme 
Già di certa vittoria si nutria, 

Hitruova un fosso io fra le trite arene 
Sepolto si, che fuor non app«ria; 

Ponvi il Tracio ambe i piedi e gb convicoe 
Batter la fronte su 1* sscosa via; 

Pur sema danno alcun del suo signore 
Di periglio e d' aSanno il trasse fuore. 

zeli 

Cosi detto, a* assise; e gU io brev'ora 
1 cinque cavalìcr sono in arcione ; 

E Lancilotlo di ciascuno allora 
Dentro un elmo serrato Ì numi pone; 

Poi gli trac ben misebiando, e *1 priiuier fuora 
Venne il giovine Eletto, cb* a ragione 
S* empie di gioia, ch'ai sinistro lato. 

Che vico più in ver la meta, fu lucalo. 

xcix 

Ha il bnoa Neslor di Gare, die lui segue 
Quanto fu indietro pria d' avanti acquisU; 
Né lo sproD, nè la sferza ban paci, o tregue. 
Che runa c l'altra vien dijgiunU e mista; 
Ha il risurto cursier par si dilegae 
Qoal nebbia al veuto, e subito racquisla 
Il perduto vantaggio pria che vegna, 

Ove indietro tornar la meta insegna. 

xcm 

Il Kcondo è Caveo poi Prrierallo, 
Nestore il qnarlo, e 1' ultimo (Uolaro, 
Ciré di ciò lieto, perché il suo cavallo 
Tien fovra qnaiilì fur nel mondo chiaro, 
Dicendo fra suo cor: Se maggior fallo 
Non fa eh' ci soglia, é mio quel pregio caro ; 
£ se ciò avvieu, di appeuderlu divulo 
Al lempio Parigin fo cerio volo. 

c 

Né più il mosse, il valor che la vergogna, 
Che scotia lamentarsi il giovinetto, 

E che spargendo lagrime il rampogna, 
Direodogli : Or sei la quel Tracio, detto 
Al mondo senza par, cb' ogni uomo agogna, 
E eh' oggi pur ^ me sei alato eletto 
Tra mille, ch'io n'avea, come il migliore. 
Per farmi Ìu culai luco un Ul disaorc l 

XCIV 

Lì secondo la sorte in breve riga 
Il proprio LanciluUo gli diipuse, 

Dicendo: Or sia cìasciioo ottimo auriga, 
Siccome ottimo é sempre in maggiur cose; 
Poi questo e quel del popolo gailiga, 

Che 'n mezzo al lor viaggio s'interpose; 
Indi Col terzo luuo, ch'ai elei rimbomba, 
t^h' ornai sproni chi vuol grida U tromba. 

CI 

Passa olirà adunque, e onllo ornai contende 
Mentre a lui ben vicino era Gaveno, 

A cui venendo al pari il corso stende 
Eretto, ch'ha fermato entro al suo seno 
D'altro di uun veder, che quel ebe splende, 
O del pregio secuiitio oroarse almeno , 

E perché c già vidu mollo alla mela, 

11 sollecito andar non gli si vici*. 


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cn 

C««ì qoAiito p«À più ipiofcr il detlriero, 
Nè mcn f«cea Gaven dairaltra parte, 
Qaaodo han trovato, che alrin^ea *1 teoliero 
l'n alto tatfo, che i confili diiparte 
Tra doc victn, per dltroprìre il vero 
Ai nouerior, che vivono io disparte; 

Dall' altra era il |raii vallo, ond* era poco 
Ai caper toUì due 1* annotto loco. 

OR 

Qaaodo il vede Gaven, eoa atpro ciglio 
Grida: 11 voatro eorsier fermale alqiiaulo, 
Nc vogliale oggi pome a tal periglio 
Ch*a chi Dc porta amor ne regna pianto; 
Allor piò «prona dal re Lago il figlio, 

E di lui don ndìr ai finge in tanto, 

E quel «eguita anror: Vot folle sete, 

Nè di voi, nè d* alimi cura tenete. 

civ 

Non M eonvien si poro riverire 
Chi di regno • d’età vi aia maggiore; 

Ma il giovine rpreuando ogni tuo dire 
Al corrente deatrier eretee il furore; 

Onde Gaven, tememio ivi perire, 

Prepoo la vita a) gaadagnato onore, 

B *i lassa avanti gir, nè il potè poi 
Racquìstar più con gli argomenti aaoi. 

cv 

Ma in qneslo roatrailar, già Persevalle, 
Che lor dietro era ancora, ionanaì è gito 
E già del meno per più aceorto ralle 
Il corso primo a tutti avea compito; 

Ma nel voltar so l'arenosa valle 
Venne al girar la meta il piè fallilo 
Al «no destriero, e l’ano c l' altro in eua 
Ebbe la maaca spalla inaieme oppressa. 

evi 

Sarge tosto il mesehia, benché si seaU 
Della percossa asprissima impedito; 

Ma il sito cavai, che a muover «'argomenta, 
Vie più, che non è loi, trova impedito; 

E dopo tango aver la forza intenta, 

A pena il pnè driiaar sopra quel lilo ; 
Onde accasando il del doglioso e lasso 
Il tira per lo freno a lento passo. 

cm 

Or già di Ctodoveo Tallero figlio 
Primo a qnanti altri sono al segno arriva; 
E 'I popoi Intto lieto l'aureo giglio 
Va ÌDoalsando alle strile in voce viva. 

B Laneilotio a loi con lieto ngllo 
Dice: Caro signor, noo vegns schiva 
Questa corona ornai di qnesla chioma. 

Che d'altre aaaai maggiori attende soma. 

cvni 

Coti di propria man d' essa gli doge 
La nubil fronte ; e '1 giovinetto adorno 
D'onorato rossore il viso pinge, 

E ’n fra' snoi lotto lieto fa ritorno ; 

Nè il bonn vecchio Sieatnbro ancor •' infinge 
D'appellar felicissimo quel giorno, 
li) coi quel ch'ei nodritee e ‘I suo destriero 
Di così chiaro pregio ir vede altero. 


cn 

Vien dopo il Franco re l'Orcado Eretto 
Che si trova Gaven, che sprona a lato, 

E correa ti vìdn, rh' avea col petto 
Quasi T ardon dì dietro trapassalo, 

E ae'l spazio del corso, ivi perfetto, 

Si fosse pochi passi proinngato, 

Era forse il secondo, ma in qnelT ora 
Con grave ira e dolor terzo dimora, 
ex 

Po il quarto alT arrivar Nestur di Cave, 
Che'l tirar d' un buon arco indietro viene, 
Per ch'aveva rivai possente c grave. 

Coi più del corso il guerreggiar cunvicne ; 
E ‘I suo signor, eh' altissimo cor ave, 

Di così basso onor aura non tiene, 

Ha per far cosa grata a Lanciloito 
Fu con poca speranza a dò cundoUo. 
cxi 

L* ultimo è Persevai, che frale e stanco 
Biasmandu il suo deslio coutrario troppo, 
r.oodure, il aie' che può traendo il fianco, 
Per la brìglia il destrier debile e zoppo, 
Come bifolco il bue, che venne manco 
Arando al mezzo dì, che '1 fero intoppo 
D'agnio legno entro alla siepe ascoso 
Al rivolger l'aratro ebbe noioso. 

CXII 

Del quale a Lancilollo, che lontano 
Già lo vede apparir, preode pietade, 

E dice sorrìdendo: Or chi sovrano 
Vive in quest' arte della nostra elide, 

Se la sorte ebbe avversa, fia che 'n vano 
Senza premio calcar debba le strade f 
E 'n tal dire il destrier di Palamede 
Preode, e far ne lo vuol famoso crede, 
cxm 

Ma T infiammato Eretto che ciò mira. 
Tosto al figlio di Ban di mano il toglie; 
E cou note tremanti e colme d* ira, 

E eh' a gran pena dalle labbra sci«»glie. 
Gli dice : Alto signore, ai torlo aspira 
Chi corteae ss fa dell' altrui spoglie; 

Nou più vostro è il cavai, ma fatto è mio. 
Poi di' io fusai il secondo piacque a Dìo. 

CXIV 

E se di sue virtù vi astringe amore. 
Non vi mancia corsieri, oro ed argento 
Da dargli anco del mio pregio maggiore, 
Ood' ei ai resti lieto, ed io contentu. 

Rise del giovìnil semplice ardore 
Il nobil Lancilotto a gloria inlento, 

Kd abbracciando! dice: lo veggo scorto. 
Caro più che figliuol, ch'oprava il torlo, 
cxv 

Riprendete il cavai vostro a ragìoae, 

Ed io d'altro miglior sarò cortese; 

Poi Tarq uir manda tosto al padiglione, 
Che quel di Segtiran, ch'era ivi, prese, 

Il qnal tutto doralo avea Tarciime, 

E di prezzo infinito il ricco arnese, 

E I presenta dicendo a Persevallc: 

Questo lìa più sccuro in ogni calle. 


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l’ AYARCIIIDE 



C»T| 

Or arnlre in altra parie il cbiaro Eretto 
Ne mena il pre|t>o tuo di |lorÌa pieno, 

D’ alto adeguo infiammalo c di dttpeUo 
Air incontro di lui »urge Gaveoo, 

E dire : Di Uì prtncipi al cotpetto 
Yo' che *1 ver, qual eì aia, si arnia aliamo; 

E giudichin da poi se ragion fia 
Che 1 cavai più clic aoilro, di voi sia. 

ex VII 

Non coDfcolilc voi che per inganno 
Fitste, non per valor vilturìoso ? 

(*.he mentre tu mi leaea ptirtarvi danno, 
Ritenni il mio corsier di voi pieluHi : 

£ voi iprunaudu mi readeste alTaonu 
lo vece del beo fare, oad io dogliuto 
Hi trovo il terzo, che il secondo u *1 |>ciiiio 
Fulea forse venir, l’ io dritto estimo, 
cxnii 

Qoandu il re giovinetto il vide irato 
£ del padre c d' altrui biasmo leniea. 

Gli dice: Per tornar nel primo stalo 
Del vostro buono amor, cum‘ io solca. 

Non sol qnctiu cavai ch'ho guadagnalo, 
Ha quanti mai n'avrò, quanti n'avea. 

Che Mcn voitri, signor, contento sono, 

E d* ogni mio fallir chieggio perdono. 

cxix 

E così ragionando, io man gli pone 
La briglia del corsier che seco adduce 
Non alle s|Hghe all' arida stagione 
La pioggia estiva più dniceua induce, 

Che fendei giuviarllo il pio sermone 
Nel petto irato dell' Orcanso duce: 
L’abbraccia c stringe e gli risponde appresso: 
A voi dono U cavallo e poi toc stesso. 

CUE 

£ riconosco or beo, eh’ è tutta in voi 
La paterna vitto che non ha pare, 

£ prego il ciel che voglia gli anni suoi, 

£ l'alta sua forUioa in voi versare: 
Vulgest a Laiicilotto e ’l prega poi, 

Lbe voglia il Icrxo pregiu a lui donare i 
£d ei di Massiminu in alto umanu 
La supravvesLa alluc gli reca ìn osano. 

CXXI 

Ebbe il suo quarto don Neslor dì Cave, 
Che di Vittorio fu la regia sella: 

Riman l'altera coppa d'oro grave, 

£ di gemme e di pietre ricca c bella, 

Ch* è il quiuto pregio, che cursor noti ave, 
Che più possa sperare ornarsi d'cJla; 

Onde il piu LanciloUo in man la prende, 
£ con casa al re Lago il braccio stende, 

exxii 

Dicendogli : Io vi prego lutto umile, 

O chiaro re dell' Orcadi famoso. 

Che non vi sia da noi prendere a vile 
11 basso duo ch* a presentar sono oso : 
Perche poscia possiate in Dura o tu Tile 
Dentro al bel regno vostro in gran ri|»osu 
Bevendo tra i miglior, del valor allo 
Ricordarvi talor di Galealto. 


cxxiii 

Nè si conviene a voi farne riniiln, 
r«»i che di guadagnar pregio altramente 
Vi cniileoduiio or gli anni e ’l pel canuto, 
Che le membra guastando ornati la mente. 
Lieto r antico re del n'revnto 
Onor fra (anta e si fiorita gente 
Risponde: Troppo è ver, figlio oooralu, 
Che *1 tempo ogni vigor m’ «ggia spoglialo. 

cxxiv 

Deh mi trovass’ io tal, quale allnr era, 
Che 'I gran re C.alanesio fu sepolto; 

Che non fu alnino in quella fe‘>la altera. 
Che routro al min p<iler valesse molto; 
Feci io del cesio alla batUglia fera 
Restar quasi Irunron di vita sciolto: 

Vinsi Unibnine alla lotta e 'I leve Aiterò 
Nel corso a me la palma concedeo. 

cevv 

Nell’ avventar del dardo Afìcie ed Ali, 
t.h' avaniavann ugtriiom privai d' nuore ; 
Sol de’ deslrìeri in prova più pregiali 
Fur di me alquanto Aranticn e Faiiurc, 
Non dirò piò nell' arte ammaestrati. 

Ha perche il mio rorsier nel gran fnrore 
Fece al proprio tornar 1* istesso fallo, 
Ch’ora il suo far vedeste a Fcrsevallu. 

eaxvi 

Or di natura all'ordine m’ arrendo, 
Pasrendn il cor della passala ginria: 

£ 'I vostro amiro don gioioso prendo, 

Per la vostra e d’altrui chiara ineniurla: 
N« di farmene adorno meno intendo, 
Ch'io facessi niiqiia mai d'altra vittoria: 
Ch' esser del vostro amor tenuto degno 
È d’ intera virtù non dubbio segno. 

• CRXTII 

Rise il Rglin di Oao : rivolto poi 
Verso i duri più forti e cavalieri. 

Dire in alto eorlese : Or ehi di voi, 
i'.he tanti ee ne son di nomi alteri, 

Fia ehe lu(Un«lo gli avversari suoi 
Stender ad nno ad im sii 1' erba speri, 
Surga per onorar morto ehi solo 
Fu vivo il primo onor di questo stuolo. 
C!ixvm 

E eli avem destinato il primo pregio 
Nubi! vaio d’argento e fililo d oro, 

In cui scolpio la terra il mastro egregio 
Fra ronde accolla con sollii lavoro, 

K verso i labbri in allo il ricco (regio 
Ha Febo ìn seno e delle Hiivc il coro: 

£ grande è si, che ìn esso il vincilotc 
Fulrà lavar giaceudo Ìl suo sudore. 

CXXIX 

Nè il vinto anco sari senza mercede. 
Che «r irsuta leone avri la spoglia. 

C.oB la testa d' argento e cìa»cun piede, 
Qual Ercole e Teseo portar ai aughai 
K l'imo e l'altra fa tra le mie prede, 
Ch’ arqnisUi già deulro alla regia soglia 
DrI t.iiiibrieo Fire» clic voira, lasso. 
Soccorso conira noi dare a Ctodasso. 




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CXBX 

Co«ì p»rl4VB imcur; qaindo H*lchioO( 
M^lcltiuo il ^roiJo che litanie appare, 

Drt popol di Moravia, a coi viriao 
1] porlo di Salute affreoa il mare. 

Ivi avanza riavron, tircome il pioo 
Suoi gli altri arbori inlorao. aormootarc ; 
Getta ogni vesta all* arcousa valle, 

£ nu^lra oodc fuor 1' orride spalle* 

raaxi 

E quaoli io giro aon tanti ne sfida. 
Dicendo: Or venga a noi di sì gran gente, 
Citi più di tutti al suo valor s* affida, 

E che si pensi mero esser possente. 

Nessun risponde all* orgogliose grida 
Per lungo spazio, rd ei più fieramente 
Le voci addoppia e le sue forze pregia, 
Come quelle d^ltruì biasina e diipregia. 

CXXXII 

Non sa più il buon Tristano ornai soffrire 
lì superbo parlari ma poi che vede 
Che pure allr'uutti non vuole incontra uscire. 
Verso lui tutto qiirlo addrizza il piede. 
Quando il mira Maicbìo, comincia a dire: 
O di Meliadusse inviUo crede, 

Usate il vostro ardir sovra il cavallo, 
di' a piedi e meco poi farete in fallo. 

CXXXIll 

Tace il saggio guerriero e spoglia iolan'u 
Ciò che *1 copriva e nudo si presenta: 

Il gran Ualcliin, poi eh* ba tardalo alquanto. 
Tulio pica di furore a Ini s* avventa : 

Qual il geloso lauro, eh' aggia a canto 
La tua cara giovenca, e guerra lenta 
CoDlra il leone e d‘ atterrarlo spere, 

Per aver più di lui le membra altere. 

rxxxiv 

Cingel sotto le braccia e cerca in vano 
D' alzarlo e scniel fermo tu Tarma 
Più cb* aspra quercia il vento Subsolaoo, 
Nata infra dure pietre e d anni piena; 

Lo scuote appresso or su la destra mano, 
Or su l'altra più volle e 'n giro il mena: 
Né ’l ritrova men saldo io ogni sponda. 
Ch'alio scoglio maria di Teli ali' onda. 

ex XXV 

Ma il sagace Tristan eh' é sempre inteso 
Di fare un colpo solo e ‘1 tempo aspetta; 
Come il vede sforzando esser sospeso, 

£ non tener coi piè la terra stretta: 
Alzandolo più ancor con tutto il peso 
CIT ha di petto e di braccia ivi si getta, 
Ove il scote più io aria, e tal s'accampa. 
Che delle spalle fa che il bto stampa. 

cxxxvt 



CXXX«tl 

Drizzansi autrambt r *1 misero perdente 
Forbendo in allo 1* omero arenoso 
Di vergogna ripieno è si dnleote, 

Che ’l cortese Triilan ne viro pietoso, 

£ dice in alla voce: Assai sovrale 
Fa la fortuna T iinm vitlorioso, 

Che di tniuor virtù fornito sia, 

Come forse oggi a me fallo ba la mia. 

CXXXTIII 

Però, t* a voi pareste, io non rifiuto 
D* esser con voi nella seconda prova. 
Rispoode ^nel: Pria ch'ora ho conosciuto 
]l roagnanitno cor che *n voi sì trova: 
Siami assai d' una volta esser caduto, 
Senza cercar da voi percossa nuova t 
E basti ciT io vi cedo con io scudo 
Con la lancia, col brando, armato e nudo» 
rxxxtx 

Il cbiaro figlio altor del gran re Baoo 
Si fa tosto portare il vaso aurato, 

E dice: Or fia condotto al mio Tristano, 
Che questo ed ogni pregio ha guadagnalo, 
Ove vorrà spiegar T arte e la roano, 

E I valor suo, che per vittorie è nato. 
Risponde a lui Tristano: £ chi porria 
Lancilotto agguagliar di cortesia? 

CXL 

E beo si prova in voi, che la virtode 
Che si conosce in se non aver pare, 
DrlTaitrni gloria nulla invidia chiude, 
t'erta dì quella e tolte sormontare, 

Non coavien più che s' affatirlie o sude 
Per arqiiislare amai palme più chiare 
La vostra altezza, eh' alt' estrema punta, 
Ove arriva il mortai, d'onore è giunta» 

CILI 

Ride il pio Lanciluilo e diee: Assai 
Mi fia premer dì voi Torma vicina. 

Col vcHu del leoD poi gii aspri goal 
Di Malchiu saoa e l'alta sua ruinat 
Indi si volge agli altri e dice: Ornai, 

Poi che già il sol dall’alto punto inchina, 
Venga quaich' un con T impiombalo cesto 
Ad onorar se stesso e ’l giorno sesto. 

CXIII 

E pregio limiglianle avrà il vittore 
All'arme, onde acquistò gradila palma, 

Ch* un nubii cesio fia, cìnto dì foore 
Con piastre d' oro fio di grave salma. 

Di seta ordito d' ostrico colore 
Dentro ove della man enopre la palma: 

£ se *1 ver di si luoge si conduce, 

Fu il più onoralo arnese di Polluce. 

CXUII 


Con quello allo rumor, ch'argine o ponte 
Combattuto dall' onde caggìa in esse: 
Parve un colle minor sovra do gran monte 
Tristan, quando Milchin col petto oppresse: 
Le genti attoroo eoa allegra fronte. 

Cut nuova maraviglia t cori impresse, 
Alzan le grida al ciel miste di riso, 

Di vedere il maggior da lui conquiso* 


L'altro no* anfora d’or dì giusta altezza 
Di preziosi ungocnli fido albergo. 

Per dar conforto alla dogliosa asprezza 
Di braccio intorlo o d’ impiagalo tergo* 

L’ orgoglioso guerricr ch'ogn' altro sprezza. 
Tosto cIT ode il parlar sì mostra a tergo; 
Tanlasso è costui della moolagna, 

Nato dove il Solveo nel mare stagna. 


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L AVARO H IDE 



rxUT 

QaASteAvea veiti intorno «vvrnU à terra, 
E d' impiombali enti amta le mani. 

Poi anoiiaodo le brarria, invita a fiorrra 
Quanti ha buoo eavalier pretsi e luolanit 
E dando colpi al ciclo, or apre, or »erra 
Le pofioa io fìro c dice: Come vani 
Sarao tutti culor che penaeranoo 
Altro rìtrar da me, che morte o danno ! 

cu 

Ha perch* era pur grande, ivi noi coglie, 
Che gii venne a radere io mezzo al petto, 
£ '1 feri tal che d' ogni carne scioglie 
L'osso più io allo in tra le coste astretto; 
Ai l'ira il fer Britanno il freo discioglie, 

E col folto rader, ch'arbore o tetto 
Balte grandine al maggio, • colpi versa 
Con Tona e 1' altra man dritta e riversa. 

XLV 

E piaceoe Og^i al ciet, eh* a ciò venire 
Volraar un de* miglior che chiuda Avarcoi 
Ch' io '1 poteiii percuotere e ferire 
D’ogni clemeoxa e penitenza acarco : 

Ch' asaai mi Ga pur dnol veder morire, 
Chi per nostra salute è d' arme carco: 

E questa man conira Clodasso accinta 
Bel pio sangue civile aver dipinta. 

cut 

L'ammaestrato Fiorio che s'accorge. 
Che conviene al furor conceder loco. 

Ora il cesto ora il braccio innanzi porge, 
E dell* ira immortai tien Innge il foco: 
L' altro mentre s' abbassa e mentre insorge, 
Va le forze scemando a poro a poro, 

£ Col molto ferir già frale e 'ncerlo 
Or questo loco, or quel lassa scoperto. 

CILVI 

£ per ch'ai chiamar primo aleno non viene, 
t'he quel ritìen vergogna e quel timore, 
Prende il gran pregio anralo, e: Si conviene, 
Die' egli, a me questo primiero onore : 

£ r altro ancor, poi che oesvun si tiene 
Pusieote a cuiilraslar cui mio valore, 
Ri>puode Lancillotto: lo vcl consento, 

Se nullo or di tnusirarse aggia ardimento. 

culi 

Ed ci, che qual 1* accorto racciatore, 
Che nascoso il Iron tra froudi aipetla, 

Che quando gliépiiial dritto, io mezzo licore 
Gli scocca iiievilabile saetta; 

Come vede al Britanno il capo fuore 
Della dovuta guardia, a lui sì getta, 

£ nella manca lempia in modo il fere, 
Che co* sensi smarriti il feo cadere. 

cxtriì 

Quando Florio il toscan che vicio era, 
Vede tacere ogni uom, pleiade il prende 
Della negletta e vilipesa sriiiera, 

£ ’n ver l’ invitatore il passo stende, 

Alto parlando: Or qursta vita pera, 

Ch* a passo a passo nel suo Gtie scende. 
Solo in un punto} prima che soffrire 
Di tanto e tale stuolo il biasmo udire. 

cuv 

Va eoo la fronte in basso, si che appare 
Combattuto dcllìnu al lito spiato, 

Quando è più irato e Icmpeitnso il mare, 
Dal feru austro vernai dì nubi cinto. 

Come il vede in tal guisa a terra andare 
Il cortese losraa da pietà vinto 
Ratto il sollieva in alto c 'n seno il porse 
Della schiera de* suoi che al caso corse. 

CKLVUI 

Grida il popol d'intorno e lieto fesse, 
Ch' un sì nubil gucrrier si metta in prova ; 
E *1 famoso Tristano ivi si trasse, 

E ciò che fea mestier, per lui ritrova; 
Non volle eh* altra mano il dispogliasse, 
Nè che ’n porgergli aita altri si muova; 

£i sol gli apporla Ì Cesti, ei sol gli «nge, 
E la vittoria aperta gli dipinge. 

CLV 

E *I portaro all' albergo, dove sembra. 
Quantunque viso pur, peggio che inori»; 
Nullo appar moto alle indormile membra, 
E *1 capo inchino e 'n su la spalla iolortot 
Tutto il popol migliur tosto s* assembra 
Iniumo al vincilur, picii di ruoforto t 
t'.he lemea ch'im gucrrier si chiaro e forte 
Non venisse al suo Cn per simil morte. 

CLVIX 

Or già s'é in guerra posto Taulasio, 

R del fato di Florio assai gl' iocrcscc : 

Ch* al soo colpo primiero ci saggia in basso, 
Si sotto spera, che con lui si mesce: 
Drizxaii l'un ver 1* altro a lar^o passo, 

E quanto può sul piede alto s accresce: 
Poi più vtein con sollevate Lracrìa 
Esamina ciascun ciò ch'altri faccia: 

et VI 

Ha sovr* ogn’ altro lieto era Trìtlano, 
Che più caro il tenea, che proprio frate ; 
Né reca dì quell» il figlio del re Sano, 
Ch* era a Ini simil d' anni e di bonUle, 

£ '1 meritato don gli pone in maoo 
nicendo: Quesln integro riservale 
Per segno eterno dell' avuta gloria, 

£ questo altro da poi per mia memoria. 

et 

E con Gnie percosse va tentando, 

Come Irove il nemico acconcio all'opra: 
Or ferendo leggiero, ora schivando, 

Più l'occhio e l'arte che 'I valore adnpra: 
E vanno il giro attorno ; ma poi quando 
Vide il Toscano il sno vantaggio sopra. 
Che ‘1 nemico scoperta avea la gola, 

Di ferirlo aspramente >1 tempo invola. 

O.VII 

E gli fe* don di tutta 1’ araiadnra, 
di' al superbo Cliidino aveva lolla. 
Con la spada inraiitaU c la cintura 
Di Gnissime gemme e d'oro avvolta; 
Poi, che fosse portata, prese cura 
A chi la guadagnò con pena multa 
L’ anfora preziosa, indi si mnove 
Per seguitar 1' incominciate prove, 


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CI.SXI1 

Surf e L«D«lone il dritro, rhe*n in *1 patto 
Clic pili fnirda all* Ibernia arra la ledet 
Po»rìa Alib«i di Lofrri e Finatio 
Nudrilo in Catanrtia mI di prr«lc ; 

Vira dopo il bei Nnriaalin MeliaiMi, 

Alla cui gran beltade ofni altro cede; 

Pili l’aftfinnfe Mandoro, e Bandefamo 
Vaghi di riportar di pino il ranm. 

CLnttt 

Medeglt Lanrilollo in»ietne egnali, 

Poi dii il lepao la tromba; e qnei repente 
Qual la rigida corda ì Icti tirali, 

Lattan il teggio lor Tclocemente. 

Bonrte ra il prtmirro, c l'aveu’ali 
D’Aqnila, non porria pire altramente; 
Srguelo amai vicin Landone il deitro, 

€b« Ira i primi cnrtori era maealro. 

a. e* re 

Poi Tenia Baadegamo e pretto t qneBo 
Il vago Meliatio, rhe viecea 
De* gioTÌnetli il nobile drappello, 

('.he della pari etl nell' otte area; 

Poro lontan Mandoro ed Alibello ; 

Ma indietro a tntli gli altri rimanea 
Con tuo troppo dolor Fisatto il bianco, 
Che rinecr por potea, reoira al fianco, 

ante 

Già nel mraxo del corto area Landone 
BarqiiiiUln Bonrte, e innanii giva; 

Cir al cominciare, il fren piò che lo sprone, 
In te mcdrtioo aiato, or rifiorirà 
Il tcrvaio rigor, ma il cici t'oppone 
Alla tperaaia tua gii ferma e vira ; 
Ch'ore i dettricr giarean di Lancilotto 
La notte a rinfretearte, era condotto* 

CLXKVt 

E *n fra 1' nmìda paglia e 1 lordo fimo. 
Non riguardando beo, col patto trorte. 

Tal che tt trova io basto, c 'I volto il primo 
Nel bagnalo Icrren radendo porte, 

Ogni iiom. che rovinar dal sommo aU'irao 
Il quasi vincilor ai pretta trorte, 

Grida per la pieli poi tcco ride, 

Quando il rito Mciogarae irato il ride. 

CI xxm 

Non t' arresta Buorte, e con gran ginin 
Dì riateun riguardante ha il sommo loco; 
Ratto spedilo dall' avola noia 
Arrivato è Landon dopo euo poro; 

Viro Rrndegaino il terso, e ten' annoia 
Tale il franco Mandor, che par di foro; 
Che poi eh* esser non può fra’ primi dui. 
Ferma tperansa avea di vincer lai. 

CLSsriii 

Alibel dopo lur venne, e Finatso 
Così giiiali fra lor, che mal porria 
Alrun ben giudicar, ehi t'abbia il pasto 
Potlo più innanzi, o ehi ’i perdente sia: 

1/ uUlroo a tutti gli altri è Meliatso, 

La cui tenera età la tnnga ria 

Mal potè sostenere, e ‘I volto ha pieno 

D'amaro lagrìmar, di doglia il seno.* 


ctzxts 

E la vergogna e Tira in loi rarereire 
Lo splendor giovinil, ebe 'I fare adorno; 
Volgesi a Lancilotto, e latto meaea 
Le note Ira i voipir con greve icornn, 

E dice: Io veggio ben, di' al ciel rinrretee 
Di chi viste qnaggiù piò Innso giorno, 

Se di tolto lo tlaol di me più antico 
Solo abbaatando noi ti noitra amico. 

CLltX 

Ride il pio Lancilotto, e gli riiponde; 
Maggior d'etti mercede avrete certa. 
Ch'alto detif», ehe'n giovin core abbonde, 
Quanto l' altrui viltorie il pregio merta ; 
Indi un' aurea ghirlanda, else le fronde 
Agguaglia deH'allDr, di gemme intrrla, 
Sovra i btoodi capei gli pone, c dice: 

A) biioo voitro voler portarla lìce. 

ctsxn 

I doe famoti cao Boorte prende : 
Landon quasi tdegnoso il leve pardo, 
Dicendo t Tale onor, signor, vi rende 
Più il mio fero detlio. che Tester tardo. 
E l'altro a lai ridendo: Se v'ofiende 
Il cielo, c del mio ben ha tal rignardo. 
Astai mi pregio io più, perchè più vale 
Favor divin, ch'ogni virtù mortale. 

CLXSXtl 

li preiioto dardo ha Bandegamo, 
Lancilotlo a Mandoro nna einlura 
Dona arricchita di toUÌI fieamo. 

Con la spada, eh' è forte olirà mitara ; 

£ per mai non aver ginttu richiamo, 

D' adeguar bene il pregio assai prnenra 
Intra Finasso il bianco, ed Alibelln, 

Senza oflender la mente a qnetto, o a qoello 

CLxxxin 

Ed imo anreo mooile il qnal gli area 
Il gran re Clodoveo T ahr' Icr mandato. 
Che nnove volte il eolio gli eingea, 

Per richietta di lui gl* fu portato; 

E due d' esso egnat parti tic faeea. 

Poi di par n'ha ciascun rorlese ornato; 
Indi prega la schiera, eh* è piii degna, 

Ch' a nuova «lira tenzuue ionaoii vegoa. 

CLXIXIV 

Coti fa in mezzo addnr di grave peto 
Grossa sbarra di ferro, e dice poi t 
Chi di questa in più spazio avrà disteso 
Il corso per tna inan di tnlti voi, 

Avrà il famoio brando, che Galeso 
Oprò, quantunque indarno, tovra noi. 
Quando al fin cadde a terra; «d è rotale 
Che no *1 può bene alzar forza mortale. 

ei.xzxf 

Deli' altro sia il tuo tendo, eh* è »■ grande 
Che Ire simili a noi porria covrire 
Qual convenne a gigante onde ti spande 
1/ aspra fierei/a, che faeea mnrire 
I guerrirr vinti, e in orrisie vivande 
Sovra la mensa poi gli fra venire; 
li terzo avrà di Ini l'elmo e 'I cimiero, 
Ov'lia Marte legala e prigiouìero. 


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AVARC HIDE 


Non eootò ((lì allH don, che Halìgaotc 
Era già ratio arrc»fVO e Gargantino, 

Pn$ria il re Pelinoro poro inoante, 
AH'inroatro Agravco, che gii è vicÌDo; 
Piò li’ iin re, duce e cavaliero erraote 
Già prr eMer con ior prende il cammino ; 
Ma vedendo TriiUn già larto in piede. 
Privo d' ogni aperansa indietro ricde. 

CLXXXVll 

Fa il primo Gargantia,ehe in man li prende 
La talda sbarra, e’alorno la rimira; 

Le forM e ‘i peso esamina, e comprende, 

E tulio iolcnlo alla vittoria aspira. 

Alta qnanto sa il braccio, indi lo stende, 

E col poter quanto ha spingendo tira 
La ferrea salma, che volando freme, 

E ben longe da luì l’ arena preme. 

CLxxxvm 

Dopo il primo avventar, viene Agraveno 
A cui il loco secondo in sorte è dalo ; 

Che di manco polrr non parve pieno, 

Che fere al par di lai l'istesso lato i 
Ma ben d’arte maggior che nel terreno 
Meglio c conGtta, e io modo piò lodalo ; 
Prlinom, ch'c’l teno, inoanii passa, 

E i colpi d’ ambe due piò indietro laaia. 

CtXXKtX 

Viffl Maligaote appresso, e certo stima 
Di potere avaniar quei Ire di mollo; 

Ma perché vuole aver la palma prima, 

Usa tutto il saver, ch’ha in se raccolto; 
Ch* or la prende al piò basso, ora alla cima, 
Or r ha nel proprio meato il pugno avvolto 
E va intorno librando il come, e ’l d* onde 
Al aecuro avventar meglio risponde. 

cxc 

Poi rhiuandosi a terra, dell’ arena 
Hende aspro il ferro, e la sudante mano { 
Stringel ben poscia, e la nervosa schiena 
Forma in arco ioenrvato, indi pian piano 
Ritorna io alto, e poi con tanta lena 
Il gettò da’ suoi piè cosi lontano, 

Ch'ai segno dei tre primi innanzi vada, 
Quanto lunga due volte area la spada. 

cxci 

L’oltimo fu Trisian, eh* a lento passo 
Alla prova ordinala si presenta; 

Recasi il ferro io man, che giace in basso, 
Così leggiero a lai, ch’a pena il senta; 
Poi d’ ogni cara il cor snostraodu casso, 
Qual asta il carriator, si forte avventa, 
Che il nobii Maligante ha superato, 
Quanto lira il baslon pastore irato. 

cxcti 

Grida il popol d* intorno, e *1 chiaro nome 
Del vincitor Trisian porta alle strile; 

E Lancilotio a lui: Le vostre chiome 
Già di mille corone ornate e belle 
Non devranno sdegnar, che di vii some 
Il loro antico onor sì rìonovelle: 

E ^lì porge d'oliva nna ghirlanda, 

Ch^ei guadagnò nella famosa Irlanda, 


excni 

Dicendo: In colai prova guadagnai 
Questa nel suo terreo dal buon re Claro t 
E per eh' altra miglior non vidi mai 
Infino a questo di, oc vìssi avaro ; 

Or perché cedo a voi, s’ io meritai 
Che dono alcun de' mìei vi fosse caro, 
Prendetela, vi prego, e non vi sìa 
A sdegno il suo valor, poi eh' ella è mia. 

cxctv 

L* accetta il buon TrisUo allegramente, 
Dicendo : E come vostra oggi la prendo, 
Non per ch’a voi non ceda interamente, 
Che 'I vostro al mio valor auprenio intendo; 
La spada beo avrò come vincente, 

Poi che piò di quei quattro il ferro stendo. 

Maligaote lo scudo e Pelinoru 

Ila il grand'elmo lucente ornalo d'oro. 

eaev 

Una posaente scure ad Agraveao 
Diede pur Lancilutto, eh' ebbe inaieme 
Del medesroo Galeso; e fa sereno 
Il cor di Gargaatin, che d'ira freme. 

Con la mazza d' acciar eh' area Drumeno, 
Che deU'lrcania nelle parti estreme, 

Fu fabbricata in si mlrabil tempre. 

Che ciò, che percolca, squarciava sempre. 

czev; 

AI dntto laelUr propone i pregi. 

Dato a quel fine, il gran fìglìuol di Bauo ; 
Una faretra pria d'aurati fregi 
Piena di strali c 1' arco Soriano ; 

Serba al secondo degli arcieri egregi 
Vn forte aoel, che per tirar lontano 
La corda incorche, ove un ruLio riluce, 
r.he del foco, e del sol viocca U luce. 

cxevM 

Una fromba è del terzo ornala e bella, 
Di serico lavor rontcsta e d'oro: 

Già s’appresenta il primo, e gli altri appello 
11 Norifolco onoralo Gineamuro, 

Dicendo: Quei che spìnge amica stella 
A commetter ai venti i colpi loro, 

Veiigan srni' a*petlar nuova richiesta 
A li oooraU impresa, come questa. 

rzcmi 

Surge Bareno allora il pio cugino 
Del chiaro Lancilotto, ìndi il fratello 
Del fer Boorte ch’era a lui virino. 

Muove seco anco il Franco Lionello. 

Son già i tre insieme: e ch'ai voler divino 
Chi sia in prova il primiero, u questo, o quello 
Conieotou si rimetta ; e i numi d' essi 
Al profondo d' un elmo son commessi. 

cxciz 

Fu tratto innanzi il Gallico Bareno 
Pui Ganesmoro c Lionello appresso ; 

Ivi cuagiongon legni alti non meno. 

Che nell' Ida Crelea pino, o ctprcsao; 
Pongon poi d'essi nell' estremo seno 
Una colomba candida, ch'oppresso 
Ha l'uno e 1 altro pie da laccio breve, 
Ch* esser de’ loro strali il seguo deve. 


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L AVARCHIDE 



CC 

AUa il re Ganemoro il ano forte arco 
Con lo tirai, ch'alia corda area la cocca; 
Poi clÌMgnato auai con rocchio il rarco. 
Che più drillo conduce, il nervo icocca; 
Va la tacila ben, ma il colpo è parco, 
Che del segno più io batto alqaaolo locca; 
Snooa il verde totlegoo, e per la lema 
L' ali il pavido ucccl acolcndo trema. 



cciv 

E dice : Chi vorrà venire in prova 
Della lancia avventar drilla e lontana. 
Avrà, Bendo il miglior, non d'opra nuova, 
Ma di mano aalichistima e tovraua 
Lo scado, olle donò, se 'I creder giova. 
Teli al figliuolo alla cìllà Troiana, 

Da Vulcan fabbricalo, ed a me il diede 
Viviana, e che sia lai mi facea fede. 


cci 

Vien Baveno il secondo e drillo coglie 

10 laccio, che la tien, col forte slrale. 

Tal che senza suo danno la disciogUe; 

Ed ella iodi fuggendo spiega l'ale. 

Ha LioocI, che scorge le sae spoglie 
PorUroe il vento, e I' aspettar non vale; 
Lo tirai, che sovra l’ arco avea già posto, 
Ove la vide gire, addrizza tosto. 

crii 

E quasi in fra le nubi in allo atCOM 

11 colpo mìridial l'ha ritrovata; 
Pcrcnutcla, ove all' omero si posa 
La sinistra ala, onde rìman privala ; 

Tal che poi moribonda e disdegnosa 
Rivolgendo per Tana, e 'nsangninata 
Ai piè del pcrcossor venne a cadere, 

E '1 popolo empie il cicl di grida altere* 

ceni 

Poi molto dopo lei quell'ala aneisa 
Raggirala dai vento in basso scende; 

L* ona e l'altra raccoglie in lieta guisa 
Il nohii Lionello e '1 pregio prende: 

Cosi fan gli altri ; e Lancilolto avvita, 
Che'l di, che ìn occideule il corso stende, 
Non r animonÌKe ìn van, che rollav'opra 
Prima si rechi a 6n, che *1 sol si copra. 


cev 

L'altro una atta bellissima, ch'ancora 
Si pensa esser d'Achille in Pelio colta. 
Crenso il seoescial si drizza allora, 

£ dopo forse poi schiera più folta ; 

Ma il magnanimo Arturo, che vico fuora, 
E con la maìestà, ch'era io lui molta, 
Dice : Io sarò con voi; fu la cagiooe 
Che non vennero in prova altre persone, 
cevi 

E Lancilolto steaso, che s* accorge 
Della troppa umiltà, va riverente, 

E lo scodo fatato io man gli porge. 
Dicendo: A voi eonvteo veracemente. 
Perchè in voi tal valore, o più si scorge, 
Che già nel sno signor primieramente ; 

E poi senza provar, tutti iotcndemo, 

Che io ogni parte a noi sete supremo. 

CCTII 

Però vi piaccia il prenderlo, e volere 
Che del vostro Creoso l'asta sia. 

Ride il famoso Artnro, c dispiacere. 

Dice, non*. voglio a tanta cortesia . 

E 'n memoria sii voi m' aggrada avere 
Il preaioso dono, e per tal via 
Prenda l' asta Creuso: e '1 pregio porge. 
Che gliel aerhi Agraven che presso scorge. 


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A V A R C H 1 D E 




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Ivi irovao cW » ea »0 in i tnanino 
V« il campo vwlUndo il pio Trillano, 

Come la mandra «lol fido mavtiao, 

A cui il lupo non sia mollo lontano; 
nipuardapli ea»o, « poi ch'è piò viciuo. 

Vede il baoo vecchio re, eh alai la mano 
D’ aroicùia per »epno, « sceso in terra 
Domanda pace alla perduta p«crra, 
siri 

Dicendo : O iavitlo, altero, < chiaro penne 
Del piò onoralo tronco, che mai fiitse, 

Dmil li prego per le ornate e ferme 
Virtù del sacro tuo Meliadusse, 

Che non voglia oppi alle fortune inferme, 
di' al lor piò basso fine il cicl condusse 
Giouger piò peso; e vi sovvegna ancora 
Del re Vagorre, che fu vostro ogn’ora. 

sivn 

Qoand' ode il bnoii TrisUn che questo sia 
Vaporre, eh* ouorò mai sempre quale 
Padre e signor, in bassa compagnia 
Li si mostrava a prigioniero egnale, 
L'abbraccia, e dic